Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 20 Luglio 2005

Sentenza 17 settembre 2002, n.2003

Corte di Cassazione. Sezione I penale. Sentenza 17 settembre 2002 , n. 2003: “Finalità religiose e delittuose di un’associazione”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. SOSSI MARIO – PRESIDENTE
1. Dott. FABBRI GIANVITTORE – CONSIGLIERE
2. Dott. CHIEFFI SEVERO – CONSIGLIERE
3. Dott. CAMPO STEFANO – CONSIGLIERE
4. Dott. CANZIO GIOVANNI – CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) N. IL 17-03-1933
2) N. IL 10-11-1955

avverso ORDINANZA del 20-02-2002 TRIB. LIBERTÀ di BOLOGNA
sentita la relazione fatta dal Consigliere FABBRI GIANVITTORE
sentite le conclusioni del P.G. GERACI annullamento senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 479 c.p. dovendo esso qualificarsi come reato di cui all’art. 480 c.p.. Rigetto nel resto dei ricorsi.
udito il difensore Avv. INSOLERA

Fatto

Con ordinanza depositata il 20-2-2002 il Tribunale di Bologna in sede di riesame confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di e in ordine al reato di associazione per delinquere e, relativamente alla prima, anche per i reati di falso ideologico, sequestro di persona e maltrattamenti.
In base alle dichiarazioni della denunciante , alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, alle perquisizioni e ai conseguenti sequestri di medicinali e di monili, il tribunale riteneva configurato un grave quadro indiziario circa l’esistenza di una struttura – dotata di immobili, facente capo alla e operante con l’apporto di altri, tra cui la con funzione di segretaria – dedita a pratiche pseudoreligiose, anche violente, e a terapie pseudosanitarie, costituente un sodalizio criminoso che, servendosi della fede nelle capacità taumaturgiche e soprannaturali della nonché dello stato di dipendenza indotto dagli psicofarmaci, perseguiva finalità truffaldine e di arricchimento personale della predetta indagata, garantendosi i mezzi finanziari mediante le terapie, gli esorcismi, l’uso di ricette contraffatte e la vendita di medicinali.
Il tribunale riteneva anche esistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di falso ideologico, di maltrattamenti e sequestro di persona: relativamente al primo reato rilevava che il sodalizio aveva usufruito di ricette firmate dal dott. , medico convenzionato, che erano intestate a componenti del gruppo e che determinavano la disponibilità di farmaci, che poi venivano fatti pagare da chi usufruiva delle prestazioni pseudosanitarie espletate da persone prive dei relativi titoli abilitativi; relativamente ai reati di cui agli artt. 572 e 605 c.p. osservava che il minore era stato sottoposto a circa venti esorcismi, pratiche violente che avevano creato per lui un sistema di vita avvilente e doloroso, limitandone la libertà personale e di locomozione, tanto che il predetto minore aveva insultato la e aveva tirato calci e che la madre si era preoccupata di evitare che fuggisse.
Il tribunale infine, riteneva sussistente sia per la sia per la il pericolo di reiterazione nel reato e quello di inquinamento probatorio e riteneva che le relative esigenze cautelari potessero essere garantite soltanto con la custodia in carcere, osservando per entrambe le indiziate, già protagoniste di analoghe vicende giudiziarie, che l’impulso a delinquere non era occasionale ma frutto di una scelta di vita e che erano carenti i freni inibitori, perché l’attività delittuosa era continuata anche dopo gli interventi della P.G.
Avverso la predetta ordinanza ricorrono entrambe le indiziate.
La deduce la violazione di legge, sostenendo che l’inserimento nel sodalizio criminoso dovrebbe basarsi sullo svolgimento di un’attività intellettiva o di concetto, e non meramente d’ordine, finalizzata a vantaggio dell’associato. Sostiene, inoltre, che il pericolo di fuga è inesistente e che quello di reiterazione nel reato non è configurabile per una segretaria quando il capo dell’associazione è detenuto in carcere.
La deduce, con sei diversi motivi, duplice violazione di legge e quattro vizi di motivazione.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione di legge relativamente alla configurazione del reato di associazione per delinquere e delle esigenze cautelari, sostenendo che essa è stata basata sulle connotazioni carismatiche della e sulla dipendenza da essa creata, nel contesto settario, sui suoi seguaci, dimenticando che le libertà di cui agli artt. 8, 19 e 20 della Costituzione trovano limite soltanto nel buon costume e non nell’ordine pubblico, di talché “problematica appare l’applicabilità dell’ipotesi prevista dall’art. 416 c.p. ad una associazione che da lato debba definirsi espressiva di un determinato credo religioso, per quanto stravagante, eterodosso, inaccettabile esso sia. Dall’altro, venga perseguita proprio per i contenuti della fede professata, ovvero… per il ricorso a mezzi illeciti indotto da fenomeni di devozione e credenza miracolistica”.
Con il secondo motivo sostiene che la falsità ideologica di una ricetta medica configura il reato di cui all’art. 480 c.p. anziché quello di cui all’art. 479 c.p., poiché il medico con il documento in questione non pone in essere un atto pubblico, ma si limita a compiere una mera attività ricognitiva del diritto dell’assistito all’erogazione di medicinali ed a rendere operativo tale diritto con l’emissione della ricetta.
Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione quanto all’affermazione che il falso ideologico sia stato funzionale alla truffa in danno di ente pubblico, sostenendo che il rilascio della ricetta non deve necessariamente essere preceduto dall’esame del paziente e che, comunque, non è detto che le prescrizioni mediche non rispondessero effettivamente a reali esigenze terapeutiche degli intestatari.
Con il quarto motivo la deduce il vizio motivazionale in ordine ai reati di cui agli artt. 572 e 605 c.p., sostenendo la mancanza di gravi indizi, in particolare relativamente alla costrizione della libertà di movimento.
Gli ultimi due motivi attengono al vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. Con essi la ricorrente lamenta che le esigenze cautelari siano state ravvisate nelle connotazioni religiose del sodalizio e che non sia stata scelta la misura cautelare più adeguata.

Diritto

Il ricorso della è infondato. Invero la condotta di partecipazione all’associazione per delinquere consiste in qualsiasi contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione e quindi alla realizzazione dell’offesa degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo e il compito che il partecipe svolge nell’ambito del sodalizio e senza necessità che ciascun partecipe consegua direttamente, per sè o per altri, il profitto o il vantaggio da realizzare attraverso l’associazione (Cass., VI, n. 1472 del 2-11-1998, ed altri, rv. 213447; Cass., VI, n. 7627 del 31-1-1996, P.M. in proc. ed altri, rv. 206598). La doglianza sul pericolo di fuga è irrilevante, non essendo stato tale pericolo posto a fondamento della conferma dell’ordinanza cautelare, basato soltanto sulle esigenze cautelari di cui alle lettere a) e c) dell’art. 274 c.p.p. Quanto al pericolo di reiterazione del reato esso è stato correttamente motivato nel provvedimento impugnato, evidenziando la posizione preminente dell’indagata nel sodalizio criminoso: invero tale posizione consente di ritenere ininfluente, ai fini della permanenza del pericolo di reiterazione nel reato da parte del partecipe all’associazione, il fatto che sia stato catturato il capo di essa.
Anche il ricorso della dev’essere rigettato.
Il primo motivo è infondato. Invero l’art. 19 della Costituzione comporta la non perseguibilità dell’associazione religiosa come tale e della relativa attività di propaganda ed esercizio del culto, salvo il limite del buon costume; ma non significa che l’associazione di carattere religioso possa delinquere, nè che possa liberamente costituirsi per delinquere dietro il paravento del credo religioso, anche approfittando dello stato di dipendenza da esso indotto sui partecipanti in forza delle ritenute capacità taumaturgiche del capo carismatico. Conseguentemente, quando come nel caso in esame sia accertato, addirittura attraverso il compimento dei reati – fine, che l’associazione ha avuto non soltanto finalità religiose – per quanto atipiche, stravaganti ed eterodosse – ma anche delittuose, ben può essere configurato il reato di cui all’art. 416 c.p. e ben può essere ritenuta pericolosa, ai fini della reiterazione nel reato e del pericolo di inquinamento probatorio, anche la predetta dipendenza, pure se determinata dal credo religioso.
Anche il secondo motivo è infondato. Premesso che il medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale è pubblico ufficiale (v. Cass., V, n. 8080 del 26-6-1991, ed altri, rv. 188545) e che per qualificare come certificato un atto proveniente da un pubblico ufficiale è necessario che l’atto non attesti un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate (v. Cass., n. 2314 dell’11-2-1997, , rv. 207009), deve ritenersi che la qualificazione di una prescrizione medica come atto pubblico o certificato amministrativo debba basarsi sull’esame concreto dell’atto, al fine di valutare se il suo contenuto attesti o meno un’attività compiuta dal medico redigente (come l’espletamento della visita sanitaria). Trattandosi di esame di fatto, che deve avere compiuto il giudice di merito e che non può essere compiuto da questa Corte, deve escludersi la possibilità, in questa sede, di una riqualificazione del fatto nei termini richiesti dal ricorrente, non risultando che le prescrizioni sanitarie in questione, che questa Corte non può direttamente visionare, abbiano esclusivamente contenuto di certificazione.
Il terzo motivo è ugualmente infondato, avendo il provvedimento impugnato congruamente spiegato le ragioni della decisione sul punto, evidenziando che l’accusa si basava sulle dichiarazioni della – relative alla presenza e alla gestione del deposito di medicinali presso i locali dell’associazione – riscontrate dal sequestro di numerosi medicinali e dall’analitica documentazione dei costi delle prestazioni con i relativi clienti. Appare pertanto immune da vizi di illogicità manifesta la conclusione circa la finalizzazione del falso ideologico a lucrare la differenza tra il costo dei medicinali e il prezzo praticato ai pazienti.
Quanto al quarto motivo si osserva che il provvedimento impugnato ha debitamente esaminato il quadro indiziario, costituito dalle dichiarazioni di , padre della vittima dei reati, per dedurne – in maniera non manifestamente illogica – il convincimento circa la restrizione della libertà psichica e di movimento e l’assoggettamento ad un sistema di vita avvilente e doloroso. Conseguentemente la doglianza della ricorrente sul punto appare diretta, inammissibilmente in questa sede, ad una rivalutazione delle risultanze processuali già esaminate dal giudice di merito.
Quanto agli ultimi due motivi occorre ribadire che il carattere religioso di un sodalizio non impedisce la perseguibilità di esso in sede penale qualora assuma le connotazioni dell’associazione per delinquere e che l’assoggettamento degli adepti al capo carismatico ben può essere valutato, pur se indotto dal credo religioso, come elemento sintomatico del pericolo di reiterazione nel reato o di inquinamento probatorio. Comunque nel caso in esame le esigenze cautelare sono state fondate anche sui precedenti giudiziari dell’indagata, sulla abitualità del suo comportamento delittuoso e sulla carenza di freni inibitori, dimostrata dalla prosecuzione dell’attività criminosa anche dopo gli interventi della P.G. L’adeguatezza della misura è stata congruamente esaminata in relazione alla personalità dell’indagata e le doglianze della ricorrente sul punto non dimostrano la manifesta illogicità della motivazione ma costituiscono mere censure di merito, chiaramente dirette – inammissibilmente in questa sede – ad una rilettura degli elementi già esaminati nel provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 23 L. 332-1995.