Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 17 Febbraio 2005

Sentenza 17 luglio 1998, n.268

Corte Costituzionale. Sentenza 17 luglio 1998, n. 268: “Provvidenze a favore dei perseguitati politici anifascisti e razziali: illegittimità costituzionale dell’art. 8, della legge n. 96/1955”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
– Dott. Renato GRANATA, Presidente
– Prof. Giuliano VASSALLI
– Prof. Francesco GUIZZI
– Prof. Cesare MIRABELLI
– Prof. Fernando SANTOSUOSSO
– Avv. Massimo VARI
– Dott. Cesare RUPERTO
– Dott. Riccardo CHIEPPA
– Prof. Valerio ONIDA
– Prof. Carlo MEZZANOTTE
– Avv. Fernanda CONTRI
– Prof. Guido NEPPI MODONA
– Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
– Prof. Annibale MARINI, Giudici

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici
antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti)nel testo sostituito prima dall’art. 4 della legge 8 novembre 1956, n. 1317, la legge 22 dicembre 1980, n. 932 promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 29
settembre 1997) dalla Corte dei conti – Sezione III giurisdizionale centrale sul ricorso proposto da Dino Saraval contro la Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici o razziali e loro familiari superstiti, iscritta al n. 736 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Udito nella camera di consiglio dei 22 aprile 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Fatto

Nel corso di un giudizio promosso per ottenere la concessione dell’assegno vitalizio di benemerenza previsto per i perseguitati politici antifascisti o razziali, la Corte dei conti – Sezione III giurisdizionale centrale, con ordinanza emessa il 28 febbraio 1997 e pervenuta il 29 settembre 1997, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge lo marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti) – nel testo sostituito prima dall’art. 4 della legge 8 novembre, n. 1317, e poi dall’art. 4 della legge 22 dicembre 1980, n. 932 – nella parte in cui non prevede che un esponente della comunità ebraica faccia parte commissione che esamina le domande dirette a conseguire i benefici previsti dalla stessa legge. La disposizione denunciata stabilisce che le domande siano sottoposte all’esame di una commissione – nominata dal Presidente dei Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell’interno, della giustizia, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale – presieduta da un rappresentante della Presidenza dei Consiglio e composta, oltre che da rappresentanti dei Ministeri interessati, anche da tre rappresentanti dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti.
La Corte dei conti ritiene che l’omessa previsione che della commissione, cui è rimesso l’esame anche delle domande dei perseguitati razziali, faccia parte un rappresentante della Comunità ebraica, determini, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, una disparità di trattamento, giacché le deliberazioni relative ai perseguitati politici sono assunte con la partecipazione dei rappresentanti della loro Associazione, mentre quelle relative ai perseguitati razziali, che richiedono valutazioni non dissimili ed egualmente complesse sulla esistenza dei presupposti per l’attribuzione della condizione di perseguitato e per conseguire i previsti benefici, sono adottate senza la partecipazione di un loro rappresentante.

Diritto

l.- La questione di legittimità costituzionale investe la disposizione che disciplina la composizione della commissione cui è rimesso l’esame delle domande dirette a conseguire i benefici previsti, a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali, e dei loro familiari superstiti, dalla legge 10 marzo 1955, n. 96. L’art. 8 di tale legge – nel testo sostituito prima dall’art. 4 della legge 8 novembre 1956, n. 1317, e poi dall’art. 4 della legge 22 dicembre 1980, n. 932 – dispone che la commissione è presieduta da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composta, oltre che da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri le cui competenze sono coinvolte (dell’interno, della giustizia, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale), da tre rappresentanti dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti.
La Corte dei conti ritiene che questa disposizione sia in contrasto con l’art. 3 della Costituzione nella parte in cui non prevede, così determinando una ingiustificato disparità di trattamento, che della commissione faccia parte un esponente della Comunità ebraica, perché concorra ad esprimere per i perseguitati razziali, analogamente a quanto avviene per i perseguitati politici con la partecipazione di rappresentanti della loro Associazione, le complesse valutazioni richieste dalla stessa legge per il riconoscimento della condizione di perseguitato e per la concessione dei relativi benefici.
2. – La questione di legittimità costituzionale è fondata.
La legge n. 96 del 1955 prevede particolari provvidenze per i perseguitati politici antifascisti: in particolare un assegno vitalizio di benemerenza per chi ha subito, a seguito dell’attività politica svolta contro il fascismo, anteriormente all’8 settembre 1943, atti di carattere persecutorio (detenzione in carcere, confino di polizia, violenze o sevizie, internamento in campi di concentramento), da cui sia derivata una menomazione della capacità lavorativa. Lo stesso beneficio è concesso a chi ha subito, dopo il 7 luglio 1938, nelle identiche ipotesi, persecuzioni per motivi di ordine razziale (art. 1). Inoltre ai perseguitati, sia politici che razziali, sono riconosciuti servizi o contributi figurativi per il trattamento di pensione (artt. 4 e 5).
Alle due distinte categorie, dei perseguitati politici antifascisti e dei perseguitati razziali, sono attribuiti i medesimi benefici pur rimanendo differenti le cause e le finalità degli atti lesivi che danno titolo all’indennizzo. Anche la disciplina dei procedimento amministrativo per il riconoscimento della qualifica di perseguitato e delle situazioni che danno titolo alla concessione dei previsti benefici è identica, mentre la composizione della commissione appositamente istituita per l’esame delle relative domande vede rappresentata una categoria, quella dei perseguitati politici antifascisti, e non l’altra, giacché nessun componente della commissione è riferibile ai perseguitati per motivi razziali.
Questa analogia di condizione, stabilita dalla legge per le due categorie, pone le premesse per verificare la ragionevolezza della diversità di disciplina in relazione alla loro rappresentanza nella commissione.
3. – Va anzitutto ricordato che rientra nella discrezionalità del legislatore, nel disporre in ordine all’organizzazione dei pubblici uffici, prevedere l’istituzione di apposite commissioni per l’esercizio di specifiche attività amministrative, non solo consultive ma anche deliberativi.
Espressione della stessa discrezionalità, da esercitare nei limiti della ragionevolezza ed orientata dai principi di buon andamento e di imparzialità, è la disciplina della composizione delle commissioni amministrative, delle quali può essere chiamato a far parte anche chi non ha un rapporto d’impiego con la pubblica amministrazione, ma è ritenuto idoneo ad apportare all attività amministrativa il contributo di particolari conoscenze richieste nelle materie attribuite alla competenza della commissione stessa o rappresenta interessi particolari da tenere presenti nella valutazione dell’interesse generale.
4. – Nel disciplinare la condizione di chi ha subito persecuzioni a seguito dell’attività svolta contro il fascismo o per motivi d’ordine razziale, il legislatore ha esercitato la sua discrezionalità nell’organizzare gli uffici cui è demandato l’esercizio della funzione amministrativa istituendo, appunto, una commissione cui è attribuita la competenza ad esaminare le domande di riconoscimento della qualifica di perseguitato politico o razziale e ad accertare la sussistenza delle situazioni che danno titolo alla concessione delle relative provvidenze.
La composizione della commissione rispecchia l’esigenza che queste determinazioni siano assunte sulla base di valutazioni che implicano anche l’apprezzamento di situazioni in base alla diretta conoscenza ed esperienza delle vicende che hanno dato luogo agli atti persecutori. In questa prospettiva, si giustifica la partecipazione alla commissione, in numero non maggioritario, di estranei agli apparati amministrativi dei Ministeri interessati, designati dall’Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti, che riunisce quanti subirono persecuzioni a causa del loro antifascismo: arrestati, processati, detenuti, diffidati, feriti o comunque fatti oggetto di violenze nella persona, danneggiati nei beni o esonerati dalle pubbliche e private attività lavorative, esclusi da cariche elettive, da organi centrali e locali. Questa Associazione non solo rappresenta gli interessi delle persone che hanno subito le persecuzioni politiche, ma ha assunto, tra l’altro, il compito di effettuare un preciso censimento delle vittime del fascismo (arti. 2 e 3 dello statuto); la stessa Associazione, in relazione alle finalità che la legge persegue, può dunque offrire l’esperienza di particolari conoscenze, considerate utili per il migliore esercizio della funzione amministrativa.
5. – La condizione di chi ha subito persecuzioni per motivi razziali dopo il 7 luglio 1938, delineata dalla stessa legge n. 96 del 1955, presenta, sebbene siano identici i benefici previsti ed il tipo di situazioni lesive cui si è, con tale legge, inteso porre rimedio, caratteristiche diverse. Manca, difatti, per costoro ogni collegamento con l’attività politica contro il fascismo, mentre assume rilievo, come causa delle situazioni lesive della persona, l’appartenenza alla minoranza ebraica: le persecuzioni sono infatti dovute ad una condizione personale, indipendentemente dalle opinioni e dall’attività politica di chi le ha subite.
Le discriminazioni nei confronti degli ebrei, lesive dei diritti fondamentali e della dignità della persona, hanno assunto consistenza normativa con un complesso di provvedimenti che hanno toccato i diversi settori della vita sociale: dalla scuola (regio decreto-legge 5 settembre 1938, n. 1390; regio decreto-legge 15 novembre 1938, n. 1779), all’esercizio delle professioni (legge 29 giugno 1939, n. 1054); dalla materia matrimoniale (regio decreto-legge 17 novembre 1938, n. 1728), a quella delle persone del no me e delle successioni (legge 13 luglio 1939, n. 1055); dall’interdizione all’esercizio di determinati uffici, alle limitazioni in materia patrimoniale e nelle attività economiche (ancora il regio decreto-legge n. 1728 del 1938).
In questo contesto normativo, la discriminazione razziale si è manifestata con caratteristiche peculiari, sia per la generalità e sistematicità dell’attività persecutoria, rivolta contro un’intera comunità di minoranza, sia per la determinazione dei destinatari, individuati come appartenenti alla razza ebraica secondo criteri legislativamente stabiliti (art. 8 dei regio decreto-legge n. 1728 del 1938), sia per le finalità perseguite, del tutto peculiari e diverse da quelle che hanno caratterizzato gli atti di persecuzione politica: la legislazione antiebraica individua una comunità di minoranza, che colpisce con la “persecuzione dei diritti”, sulla quale si innesterà, poi, la “persecuzione delle vite”.
L’esigenza, avvertita dal legislatore, di acquisire il contributo della diretta conoscenza delle vicende persecutorie, quale può essere attinta da competenze esterne all’apparato amministrativo, per l’esame delle domande di concessione dei benefici previsti dalla legge n. 96 dei 1955, è stata soddisfatta inserendo nella commissione, appositamente istituita, componenti rappresentativi di quanti hanno subito le persecuzioni. Questo obiettivo è stato tuttavia realizzato solo per la categoria dei perseguitati politici e non per quella dei perseguitati razziali. Posta dal legislatore la distinzione tra le due categorie, Costituisce un’irragionevole disparità di trattamento tra di esse l’omesso inserimento nella commissione di una rappresentanza dei perseguitati razziali, perché apporti, analogamente a quanto avviene per i perseguitati politici, il particolare contributo di esperienza e conoscenza delle specifiche situazioni lesive; né, proprio in ragione della diversità di contesti e vicende, la rappresentanza dei perseguitati razziali può ritenersi assorbita dall’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti.
La specificità delle situazioni che fanno capo alle due categorie e la distinta rappresentanza di esse sono state, del resto, già affermate dal legislatore in un analogo contesto normativo. Anche per l’esarne delle domande per la concessione di un assegno vitalizio a favore degli ex deportati nei campi di sterminio nazisti, è stata istituita un’apposita commissione con funzioni del tutto analoghe a quelle della commissione istituita con la norma denunciata, ma prevedendo, accanto ai rappresentanti delle associazioni dei deportati politici e dei perseguitati politici antifascisti, anche un rappresentante dell’Unione delle Comunità israelitiche (art. 3 della legge 18 novembre 1980, n. 791). Alla minoranza ebraica è stata dunque riconosciuta una specificità di posizione e ne è stata attribuita la rappresentanza all’ente che, secondo la legislazione allora vigente, curava gli interessi degli israeliti italiani e delle loro comunità (art. 36 del regio decreto 30 ottobre 1930, n. 1731).
Alla violazione dell’art. 3 della Costituzione può essere posto riparo superando la disparità di trattamento che la norma denunciata determina con i criteri seguiti dal legislatore nell’analoga e già richiamata situazione relativa ai deportati: integrando, quindi, la composizione della commissione con un rappresentante della comunità che ha subito le persecuzioni razziali. Lo stesso legislatore ha individuato tale rappresentanza nell’Unione delle Comunità israelitiche italiane, ente che, ora con la denominazione di Unione delle Comunità ebraiche italiane, è rappresentativo degli ebrei in Italia e ne tutela gli interessi generali (art. 37 dello statuto approvato dal Congresso straordinario dell’Unione tenutosi il 6 – 8 dicembre 1987) e la cui rappresentatività è riconosciuta dall’art. 19 della legge 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane).
6. – Ricondotta a legittimità costituzionale la norma denunciata, colmando l’omessa previsione nella composizione della commissione di un rappresentante dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, permane integro il potere del legislatore di dettare eventualmente una nuova disciplina anche relativa ad una diversa composizione della commissione ed ai criteri di designazione dei suoi componenti.

P.Q.M

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti) – nel testo sostituito prima dall’art. 4 della legge 8 novembre 1956, n. 1317, e poi dall’art. 4 della legge 22 dicembre 1980, n. 932 – , nella parte in cui non prevede che, della commissione istituita per esaminare le domande per conseguire i benefici che la stessa legge prevede, faccia parte anche un rappresentante dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta.