Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Aprile 2007

Sentenza 17 gennaio 2007

Corte di Appello di Milano. Sezione II Penale. Sentenza 17 gennaio 2007: “Reato di violenza sessuale ai danni del coniuge”.

CORTE D’APPELLO DI MILANO – SECONDA SEZIONE PENALE

Composta dai Signori:
1. Dott.ssa LA BRUNA Erminia – Presidente –
2. Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere Rel. –
3. Dott. SPINA Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa del Pubblico Ministero

contro

E.P. – APPELLANTE – LATITANTE; Imputato di: ARTT. 81 CPV. C.P., 572 C.P., 609 BIS CO. 2 n. 1-609 SEPTIES CO. 4 n. 4 C.P. Difeso da: Avv. A.N. Foro di MILANO

PARTE CIVILE:
S.S. – NON APPELLANTE – Difensore Avv. R.S. Foro di MILANO

Svolgimento del processo

P.E. veniva rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Milano per rispondere: a) del reato di cui all’art. 572 c.p., perché, con ripetuti atti di ingiuria, quali: “puttana”, e rinfacciandole in numerosissime occasioni le sue origini africane inferiori a quelle europee, con percosse quali schiaffi, strattoni e strette ai polsi, sbattendole la testa contro il muro e tirandole i capelli, procurandole più volte la fuoriuscita di sangue dal naso – anche durante il periodo di gravidanza – con lesioni quali quelle repertate il 10/12/2001 con prognosi di giorni cinque, con atti vessatori quali l’obbligare la moglie a servirlo in tutto ciò che desiderava, nel controllare ogni minima spesa e rimproverandola aspramente per quelle che giudicava superflue, non lasciandole nemmeno la minima libertà nella scelta di un programma televisivo o di cosa mangiare, obbligandola a versargli tutti o la maggior parte dei soldi da questa guadagnati, provocando nel soggetto passivo un profondo stato di sofferenza fisica e psichica tanto da indurre la persona offesa ad abbandonare il domicilio domestico insieme con il figlio, maltrattava la moglie S.S., con lui convivente – in Milano, in epoca anteriore e prossima al 18/1/02, data di allontanamento dal domicilio domestico; per rispondere altresì: b) del reato di cui all’art. 609 bis, comma secondo, n. 1 c.p. perché, con violenza consistita nel prendere la persona offesa con la forza e dandole un pugno al viso, costringeva la moglie a subire atti sessuali consistiti in una penetrazione anale, approfittando della sua condizione di donna all’ottavo mese di gravidanza (reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’art. 609 septies, comma quarto, n. 4 c.p.) – in Milano, in data imprecisata, ma comunque anteriore al 18/1/02.
All’esito del dibattimento il Tribunale riteneva dimostrata la colpevolezza dell’imputato con riferimento ad entrambi i capi di accusa e ciò sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, considerate intrinsecamente attendibili e comunque corroborate, quanto ai maltrattamenti, da molteplici riscontri esterni.
La persona offesa aveva, infatti, ricostruito con coerenza l’andamento della sua vita matrimoniale, fornendo numerosi particolari e contestualizzando con precisione, nel tempo e nello spazio, gli episodi più significativi.
I riscontri esterni erano costituiti da una relazione dell’A.S.L. in data 25/1/02, dalla quale emergeva il resoconto delle problematiche familiari rappresentate dalla S. ai servizi sociali negli identici termini riferiti in sede di denuncia, prima, ed al Tribunale, poi; inoltre, da una relazione del servizio sociale della Provincia in data 1/2/02, che riportava traccia dei maltrattamenti riportati dalla persona offesa (sulla base di tali risultanze il Tribunale per i minorenni aveva adottato un provvedimento di allontanamento provvisorio del minore M.R. dalla casa familiare e di affidamento dello stesso al Comune per essere collocato, insieme con la madre, in idonea struttura).
Vi erano poi, ad offrire conferme alle dichiarazioni della persona offesa, le risultanze delle deposizioni dei testi escussi nel corso del dibattimento, amici o vicini di casa della coppia, i quali avevano ricevuto confidenze dalla S. circa il suo penoso regime di vita e, in talune occasioni, direttamente verificato segni di percosse e udito epiteti ingiuriosi.
A tali dichiarazioni si doveva aggiungere, quale ulteriore elemento di riscontro, il referto medico dell’Ospedale xxx in data 19/12/01, attestante le lesioni (lieve contusione alla spalla sinistra, con prognosi di 5 giorni s.c.) riscontrate sulla persona della S. e conseguenti ad un’asserita aggressione subita da parte di persona conosciuta.
Quanto alla violenza sessuale, poi, se era vero – osservava il Tribunale – che mancavano riscontri esterni alle dichiarazioni della persona offesa, era, tuttavia, altrettanto vero che queste, una volta verificatane l’intrinseca attendibilità con il particolare rigore imposto dalla peculiarità della fonte, erano di per sé idonee ad integrare una prova piena di colpevolezza.
Al riguardo, osservava ancora il Tribunale che la persona offesa aveva fornito una spiegazione del tutto convincente delle ragioni del rifiuto opposto (il divieto, per i fedeli islamici, di avere rapporti per via anale) e della conseguente necessità, per l’imputato, di ricorrere alla violenza per superarle.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il Tribunale riteneva congrua la pena di anni sei di reclusione (pena-base, per il più grave reato di violenza sessuale: anni 5, aumentata di anni 1 per i maltrattamenti), oltre alle pene accessorie previste.
Con la medesima sentenza il Tribunale condannava l’E. al risarcimento, in favore della parte civile, dei danni morali, liquidati in complessivi Euro quindicimila.
Contro la sentenza proponeva appello il difensore sottolineando, in primo luogo, l’insufficienza e, per l’episodio di violenza sessuale, l’assenza totale di riscontri alle dichiarazioni della persona offesa.
L’appellante censurava, in secondo luogo, la sentenza impugnata per avere inflitto una pena sproporzionata rispetto alla reale dimensione e gravità dei fatti contestati e alla personalità dell’E. ed inoltre per avere negato le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale.
Concludeva, pertanto, affinché l’imputato fosse assolto perché il fatto non sussiste o con altra formula opportuna o, in subordine, affinché la pena venisse ridotta, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e con il beneficio della sospensione condizionale.

Motivi della decisione

L’appellante ha dedotto, a sostegno della richiesta di assoluzione per il reato di maltrattamenti in famiglia (capo a):
– che non vi sarebbe altro “riferimento probatorio” al di fuori della denuncia della persona offesa;
– che comunque “i riscontri ottenuti dall’istruttoria” sarebbero “deboli e scarsamente plausibili”;
– che, in particolare, i vicini di casa avrebbero notato la persona offesa “con vistose tumefazioni al volto” e l’avrebbero udita lamentarsi del trattamento riservatole dal marito “in non più di una circostanza”: ciò che sarebbe incompatibile con il riferito clima di maltrattamenti imperante in famiglia;
– che anche la condotta tenuta dalla persona offesa successivamente alla denuncia – i coniugi avevano avuto un periodo di riconciliazione attestato dai provvedimenti del Tribunale per i minorenni – era tale da far ritenere scarsamente plausibile il contenuto della denuncia stessa.
L’appello è, per la parte in esame, del tutto infondato.
Al riguardo, non può che ribadirsi quanto già osservato dal Giudice di primo grado e cioè che la persona offesa non solo ha reso alla polizia giudiziaria dichiarazioni dettagliate e precise (cfr. verbale di s.i.t. in data 18/1/02, acquisito sull’accordo delle parti), ma ne ha poi confermato il contenuto in sede di esame dibattimentale (cfr. verbale ud. 8/3/05).
I riscontri offerti dall’istruzione dibattimentale appaiono, inoltre, di qualità ben diversa da quella loro attribuita dall’appellante, il quale, del resto, non ha fatto oggetto di esame e di critica specifica la diffusa ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale con la sentenza impugnata: una ricostruzione che – si deve sottolineare – risulta essere stata condotta dal primo Giudice con il costante e puntuale riferimento al materiale probatorio acquisito al giudizio e che è tale da dimostrare con assoluta chiarezza la responsabilità dell’imputato.
Peraltro, sono diverse e numerose le circostanze nelle quali la S.S. si è lamentata con i vicini del trattamento violento e vessatorio ricevuto dal marito e altresì diverse le circostanze nelle quali la medesima è stata notata con segni di percosse al volto.
La teste G. ha in particolare riferito, a quest’ultimo riguardo, che la persona offesa “ha bussato qualche volta” a casa sua, “un paio di volte: una volta tra l’altro le veniva giù un pò di sangue dal naso o dalla bocca, dicendo che lui l’aveva picchiata” (cfr. verbale udienza 28/6/05, trascrizione, f. 4).
In altra occasione la persona offesa è stata vista dalla teste U.M. “con l’occhio gonfio”, procuratole dal marito con un pugno (cfr. verbale udienza 28/4/05, trascrizione, ff. 29-30).
Altra volta la S.S. si presentava ai vicini dolorante alla mandibola (cfr. ancora verbale ud. 28/6/05, dep. L., f. 15); altra ancora, dolorante in tutto il corpo (L., f. 22).
Anche il teste E. ha notato in una occasione che “… aveva preso dei pugni, si vedeva qua blu”, con riferimento al volto, aggiungendo che, siccome la donna era di colore, questo riusciva ad attenuare “un pochino il rossato dei colpi” (cfr. udienza ult. Cit., trascrizione, f. 42).
D’altra parte, a determinare il penoso regime di vita, cui la donna veniva sottoposta, non erano soltanto le pur frequenti percosse, documentate anche da certificazioni mediche, ma anche gli altri comportamenti dell’E., già posti in evidenza (sulla base di un puntuale riscontro documentale e testimoniale) e correttamente valutati dalla sentenza di primo grado, alla quale si rinvia per il dettaglio dei singoli fatti ed episodi.
Né ha rilievo, in presenza di un quadro probatorio di tanta chiarezza e coerenza, la circostanza che la persona offesa e l’imputato abbiano, ad un certo momento, ripreso la convivenza nella casa familiare, sia perché tale convivenza si è nuovamente interrotta per il ripetersi dei maltrattamenti, sia perché, nel dare notizia di volerla riprendere, la S.S. ha espressamente tenuto a ribadire quanto aveva già formato oggetto delle sue precedenti dichiarazioni (“quello che ho passato non è passato, ce l’ho ancora in mente”: cfr. verbale di s.i.t. rese alla polizia giudiziaria in data 24/4/02, anch’esso acquisito sull’accordo delle parti all’udienza dell’8/3/05).
Se, con riferimento al reato di cui all’art. 572 c.p., deve confermarsi la statuizione di responsabilità dell’imputato, a diversa conclusione ritiene la Corte di dover pervenire in relazione al reato di violenza sessuale, contestato al capo b).
In particolare, ritiene la Corte che la colpevolezza dell’E., pur avuto riguardo alla comprovata attendibilità della persona offesa, non possa, in ordine a tale reato, essere stabilita al di là di ogni ragionevole dubbio e ciò sulla base di concorrenti, molteplici e varie considerazioni:
a) la spiegazione fornita dalla S.S. circa il rifiuto opposto, vale a dire la contrarietà dei rapporti anali ai dettami della religione musulmana, richiede, sotto il profilo logico, per essere del tutto convincente (e per dimostrare in conseguenza la necessità del ricorso alla violenza da parte del marito), non già la semplice prova del fatto di tale contrarietà, che può ritenersi acquisita e di cui comunque il Tribunale ha tratto riscontro nella deposizione E., ma la prova che la donna condividesse e avvertisse totalmente come propri i valori e le pratiche di tale religione e non fosse disposta, in alcun modo e in alcuna occasione, a derogarvi; mentre non vi è dubbio che la stessa, decidendo di intrattenere una relazione sentimentale con l’imputato e, quindi, di fuggire con lui, all’insaputa e contro la volontà della propria famiglia, più volte definita come conservatrice e osservante dei precetti coranici, avesse quanto meno riconosciuto una cogenza “relativa” ai precetti della propria tradizione religiosa;
b) non può escludersi che la persona offesa, nel rappresentare una condizione di prolungata violenza fisica e morale, abbia finito con il trasferire tale carattere anche ad un episodio, che, in realtà, può non essere stato o vissuto come sopraffattorio (si deve ricordare la S.S. ha dichiarato di essere stata molto innamorata del marito, tanto da risolversi a fuggire con lui, e di avere continuato ad amarlo anche in seguito, nonostante le vessazioni subite nel corso della vita coniugale; anzi – come precisato all’udienza dell’8/3/05 – “mentre che sono andata via ancora lo amavo”: cfr. trascrizione, f. 15); o che, risalendo a quasi due anni prima rispetto al verbale di sommarie informazioni in data 18/1/02, nel quale viene per la prima volta riferito, può essere andato incontro, con il trascorrere del tempo, ad un processo rielaborativo, tanto più ammissibile in considerazione della peculiare natura del fatto e della sua attitudine ad insistere su diversi e profondi piani della personalità;
c) è comunque un dato obiettivo che l’episodio in questione non solo non ha formato immediatamente oggetto di querela o denuncia in alcuna sede, né di confidenza ad amiche o vicine di casa, alle quali pure la persona offesa aveva più volte riferito della sua triste condizione di vita; ma nemmeno – la circostanza è pacifica – risulta essere stato affidato al diario, nel quale la S.S. aveva tracciato la storia del proprio matrimonio (e che comprende anche l’anno 2000, in cui l’episodio medesimo si sarebbe verificato): un’assenza, questa, che non può essere trascurata, se si considera la natura propria del documento, il grado di dettaglio degli eventi che la donna puntigliosamente vi annotava, la possibilità di fare uso di espressioni che, pur evocando il fatto, potessero tutelare, anche davanti a lei stessa, il bisogno di un particolare riserbo.
S’impone, pertanto, in applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 530 comma 2 c.p.p., l’assoluzione dell’imputato dal reato contestatogli al capo b) perché il fatto non sussiste.
Tenuto conto della durata dei maltrattamenti e della odiosità (già rilevata dal Tribunale) delle modalità di condotta, con cui l’imputato risulta avere agito, si ritiene corretto ed equo rideterminare la misura della pena inflitta per il reato di cui all’art. 572 c.p. in anni uno e mesi due di reclusione.
Non vi è luogo, avuto riguardo agli stessi elementi, al riconoscimento delle circostanze attenuanti genetiche.
Può, tuttavia, formularsi una prognosi favorevole, ai sensi dell’art. 164, comma 1°, c.p., attesa l’incensuratezza dell’imputato, e, sempre in virtù di tale condizione, applicarsi in favore del medesimo l’ulteriore beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (ari 175 c.p.).
Consegue alle statuizioni adottate la revoca delle pene accessorie applicate con la sentenza di primo grado.
Quest’ultima deve invece trovare conferma per ciò che attiene ai capi civili.
Al riguardo, si osserva come l’ammontare del risarcimento del danno, fissato dal Tribunale in complessivi Euro quindicimila, sia da considerare del tutto congruo in rapporto alla oggettiva gravità della fattispecie concreta di maltrattamenti, contraddistinta – come già esattamente rilevato dal primo Giudice – da un lungo arco temporale e dalla particolare offensività dei comportamenti posti in essere dall’imputato.
Sono, infine, da porsi a carico dell’imputato le spese di assistenza e difesa sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio e liquidate in complessivi Euro 1.500,00 (100,00 per spese; 400,00 per diritti; 1.000,00 per onorari), oltre Iva e Cpa.

P.Q.M.

Visto l’art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 5/7/05, appellata dall’imputato E.P. assolve il predetto, ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p., dal reato di cui al capo b) perché il fatto non sussiste; ridetermina la pena per il reato di cui al capo a) in anni uno e mesi due di reclusione; revoca
le pene accessorie inflitte; condanna l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado di giudizio e liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre Iva e Cpa; concede all’imputato i doppi benefici di legge e ne ordina la scarcerazione, se non detenuto per altra causa; conferma nel resto l’impugnata sentenza.

Così deciso in Milano l’8 gennaio 2007.
Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2007.