Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 3 Febbraio 2005

Sentenza 17 gennaio 2005, n.669

Corte di Cassazione. Seconda Sezione Penale. Sentenza 17 gennaio 2005, n. 669: “Jihad e reato di terrorismo internazionale”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza in data 26 maggio 2004, il Tribunale di Firenze, sezione distrettuale del riesame, confermava il provvedimento del GIP in sede, con il quale era stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di M. R., A. A. B. M., G. H. B. M. H., R. C. e B. M., perché gravemente indiziati del reato di cui all’art. 270 bis c. 3 c.p..

Il Tribunale, premesso che, sulla scorta anche di quanto indicato nell’ordinanza cautelare, in forza dell’interpretazione costituzionalmente orientata dalla convenzioni internazionali per terrorismo internazionale deve intendersi la violenza, giuridica e storica, che mira ad intaccare i fondamentali principi costituzionali (nei quali lo Stato italiano si riconosce) e che si esplica in atti che intendono instaurare il sistema di terrore contro chiunque (persone, Stati, intesi come Stati comunità, organizzazioni internazionali), riteneva che l’esistenza dell’associazione (nella peculiarità del fenomeno organizzativo riconducibile al terrorismo religioso a matrice islamica di natura internazionale) era dimostrata dall’appartenenza degli indagati (e degli altri coindagati) al mondo dell’integralismo (ovvero del radicalismo) religioso islamico e dall’esistenza del programma di azione (dimostrato dal materiale sequestrato ad A. A. B. M., in particolare dal documento intitolato: impronte sul muro della morte, contenente la definizione della Jihad che non è una guerra di difesa) orientato verso l’indottrinamento e la pratica ideologica del fanatismo religioso militante inteso come teoria e prassi della violenza con uso della strage indiscriminata nei confronti di popolazioni, dell’attacco agli Stati, enti e organizzazioni, servendosi anche di martiri suicidi.

Le conversazioni oggetto di intercettazione, lette in questa ottica, dimostravano che, sotto il coordinamento di M. R. (indicato come il reclutatore e il selezionatore dei soggetti da avviare alla Jihad: conversazione tra A. e R. C.), con un crescendo di attività organizzativa, si andava maturando il passaggio alla fase operativa come dimostrato: per M. R., A. A. e B. M. dalla decisione di recarsi in Iraq e di partecipare alla Jihad, nonché per B. e A., della programmazione di un viaggio a Bagdad per portare 300 Kg di esplosivo; per R. dalla decisione di recarsi in Iraq e di partecipare alla Jihad; per G. dalla manifestazione dell’aspirazione al martirio alla partecipazione alla Jihad; ovvero dalla partecipazione al colloquio in cui si parla di un gruppo di trenta persone pronte ad agire contro gli Stati Uniti, con adesione di tutti alla cellula fiorentina che (come dimostrato da altri colloqui intercettati) era collegata ad A. M., che riveste un ruolo di primo piano nella rete mondiale di Al Quaeda, fenomeno non riconducibile alla partecipazione ad una lotta di resistenza contro una coalizione di forze straniere d’occupazione perché coagulato attorno alla ideologia e alla pratica di terrorismo religioso islamico che nella questione irakena vede solo un’occasione per dare la massima espansione alla pratica ed al programma del terrore religioso contro gli infedeli e i miscredenti, contro gli USA, definito come il Grande Satana, esigenze cautelari erano individuate nel pericolo di fuga, non rimediabile con sistemi alternativi a quello della custodia in carcere.

Contro tale decisione hanno proposto tempestivo ricorso tutti gli indagati, che ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: M. e B., erronea applicazione dell’art. 270 bis c.p., in ordine all’elemento organizzativo ritenuto non necessario dal Tribunale, mentre esso è l’elemento costitutivo del fenomeno associativo in se considerato; carenza e manifesta illogicità della motivazione, perché nella valutazione offerta dall’ordinanza impugnata della peculiarità del fenomeno del sistema del terrore di matrice islamica finisce col far perdere i contorni della definizione giuridica di associazione, che invece, proprio a motivo della natura di reato di pericolo, richiede un’attenta verifica dei requisiti della correttezza ed attualità dei progetti di violenza.

L’appartenenza al mondo dell’integralismo islamico viene posta come premessa logica e alla luce di tale presupposto, indimostrato, si valuta il materiale probatorio acquisito senza tenere conto che si tratta di informazioni diffuse via internet configurabili come un punto di vista ideologico di parte del mondo musulmano con conseguente stravolgimento della interpretazione delle conversazioni intercettate, con stridenti contrasti sul contenuto delle conversazioni stesse; contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si vuole attribuire natura di associazione di tipo terroristico ad una cellula definita dormiente; R. C., violazione dell’art. 270 bis c.p., perché dalle conversazioni intercettate non emerge chiaramente il proposito del compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, essendosi limitato l’indagato ad utilizzare un linguaggio collegato alla cultura islamica e al Corano.

Anche ad ammettere il suo intendimento di voler andar a combattere in Iraq (il suo programma era di andare in Tunisia) in questo non sarebbe configurabile alcuna finalità di terrorismo, apoditticamente ritenuto dal Tribunale; violazione dell’art. 273 c.p.p. per assenza di gravità indiziaria rispetto al reato contestato, perché le frasi attribuite al ricorrente manifestano al più entusiasmo religioso, espressione di un linguaggio che trae origine dalla cultura islamica e dal Corano e che esprime solo critica all’abusiva politica di aggressione di alcuni paesi occidentali contro altri paesi; violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p. per non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione nella scelta della misura cautelare da applicare con una presunzione sulla ricorrenza dei pericoli di fuga e di recidiva.

G. H.; violazione dell’art. 270 bis c.p., perché dalle conversazioni intercettate non emerge chiaramente il proposito del compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, essendosi limitato l’indagato ad utilizzare un linguaggio collegato alla cultura islamica e al Corano.

Nulla dimostra che era suo intendimento andare a combattere in Iraq (ed in questo, comunque, non sarebbe configurabile alcuna finalità di terrorismo), e l’assunto dell’appartenenza ad una cellula operativa e apoditticamente ritenuto dal Tribunale; violazione dell’art. 273 c.p.p. per assenza di gravità indiziaria rispetto al reato contestato, perché le frasi attribuite al ricorrente manifestano al più entusiasmo religioso, espressione di un linguaggio che trae origine dalla cultura islamica e dal Corano e che esprime solo critica all’abusiva politica di aggressione di alcuni paesi occidentali contro altri paesi; violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p. per non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione nella scelta della misura cautelare da applicare con una presunzione sulla ricorrenza dei pericoli di fuga e di recidiva.

A. A. B. M., nullità dell’ordinanza in punto di motivazione, quanto alla sussistenza dell’elemento associativo perché il giudice di merito si limita a motivare in ordine alla comune fede degli indagati, ipotizzando addirittura la possibilità della non conoscenza reciproca, senza delineare i ruoli con carenza di elementi indicativi della sussistenza di un vincolo stabile; nullità dell’ordinanza per mancata indicazione del ruolo partecipativo dell’odierno indagato posto che la contestazione indica i reati di cui agli artt. 270 bis commi 1, 2 e 3 c.p. con doppia contestazione e senza specificazione in motivazione del ruolo effettivo all’interno dell’associazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorso nell’interesse di M. R. e B. M.: il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia erronea applicazione dell’art. 270 bis c.p., addebita all’ordinanza impugnata di avere ritenuto non necessario l’elemento organizzativo quale caratteristica del fenomeno associativo in esame.

Ma per pervenire a tale affermazione suggestivamente estrapolata da contesto argomentativo la parte di una frase (ecco che l’aspetto organizzativo non può richiedersi, semplicemente perché non necessita) ricongiungendola con la parte di un’altra frase (è opera sterile ricercare a forza gerarchie, figure di capi che la stessa ideologia e pratica della fratellanza musulmana impedisce, a volte, di trovare), finendo in tale modo con lo stravolgere il significato della parte della motivazione in esame.

Ed invero la non necessità dell’aspetto organizzativo è dal Tribunale ravvisata nel grado di complessità che viceversa è riscontrabile nella vita di altri fenomeni associativi criminali.

Si è inteso cioè chiarire, come si spiega nell’altra frase riportata, che la peculiarità del sistema della c.d. fratellanza musulmana rende sterile il ricercare a forza gerarchie, figure di capi.

L’ordinanza impugnata, quindi, lungi dall’escludere la necessità dell’elemento organizzativo, ne descrive le peculiarità, sicché il motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia carenza e manifesta illogicità della motivazione, procede ancora con l’inammissibile sistema di estrapolare dal contesto della motivazione, frasi o spezzoni di esse, riferendole a proposizioni diverse da quelle del testo del provvedimento.

Così l’assunto secondo il quale non si può non prescindere dalla peculiarità del fenomeno) dal ricorrente viene messo in connessione con il concetto di terrorismo internazionale (previamente fissato il concetto di terrorismo internazionale nella violenza giuridica che si esplicita in atti che intendono instaurare il sistema del terrore il Tribunale del riesame precisa che se è di matrice islamica non si può non prescindere dalla peculiarità del fenomeno).

Analogamente il ricorrente opera con la frase successiva estrapolata ancora da pag. 5 dell’ordinanza che, inserita nella parte della motivazione destinata a definire la particolarità del tipo di organizzazione (quindi dell’aspetto che attiene al fenomeno associativo), lo trasferisce al diverso aspetto che attiene alla finalità dell’associazione cioè al terrorismo internazionale.

Concetto quest’ultimo che, dopo un approfondito richiamo alle convenzioni internazionali, è definito correttamente dal Tribunale come violenza che mira ad intaccare i principi, ai quali la nostra Costituzione si ispira, instaurando il sistema del terrore contro persone, Stati o organizzazioni internazionali, ed in relazione al quale indica in termini concreti ed attuali quali fossero i propositi che animavano i ricorrenti, avendo riportato stralci significativi delle conversazioni intercettate.

Il riferimento alla cellula di tipo triangolare dove il coordinatore può essere quello che tiene le fila del gruppo è contenuto nella parte della motivazione che si preoccupa di rispondere a specifiche osservazioni difensive tese a ricondurre il fatto in esame allo slancio di giovani irredentisti arabi che esprimono propositi di resistenza contro una coalizione di forze di occupazione.

Il Tribunale, dopo aver rilevato l’ingenuità di una simile interpretazione, ha insistito su quanto già esposto in ordine all’esistenza della cellula operativa, individuandone un’ulteriore caratteristica, con un richiamo storico a quanto accaduto nel fenomeno del terrorismo algerino, dove operava una cellula di tipo triangolare.

Una notazione di tipo incidentale viene di nuovo estrapolata dal percorso argomentativi seguito dal giudice e criticata in quanto priva dei requisiti di concretezza ed attualità, dimenticando che tutte le precedenti pagine della motivazione individuano circostanze concrete sulle quali si ancora il convincimento di esistenza dell’associazione finalizzata al terrorismo internazionale.

L’appartenenza degli indagati al mondo dell’integralismo islamico è affermata come premessa condivisa dagli stessi ricorrenti, cioè come appartenenza a quel filone culturale nel quale essi si riconoscono (nello stesso ricorso si da atto di tale punto di vista ideologico di parte del mondo musulmano escludendone, in quanto tale, il rilievo sotto il profilo penale, perché manifestazione della libertà di pensiero).

Ma non si tratta di affermazione apodittica, perché confermata dal risultato dell’attività di indagine, ampiamente illustrata, e che da riscontro non solo dell’adesione dei ricorrenti a tale corrente del pensiero islamico ma anche della loro aspirazione e disponibilità, in procinto di attuazione, a dare concreto contributo al terrorismo di matrice islamica.

Le critiche successive introducono considerazioni in fatto, mediante l’affermazione della responsabilità in qualsiasi sito internet delle informazioni e dei programmi contenuti nel materiale sequestrato, ovvero mediante le proposizioni di valutazioni alternative a quelle formulate dal Tribunale sulla definizione del significato della Jihad.

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30- 4/2/7/97 n. 6402, ric. Dessimone e altri).

Ulteriori critiche propongono il confronto fra il contenuto dei brogliacci delle intercettazioni effettuati con quanto riportato nel testo dell’ordinanza, denunciando quindi sostanzialmente un travisamento dei fatti stessi.

Ma nel giudizio di legittimità non è deducibile tale vizio, inteso come ipotesi di contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale e gli atti processuali; il controllo demandato alla Corte di Cassazione ha ad oggetto l’accertamento della mancanza e della illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi in indagini extratestuali dirette a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti dati fondanti della decisione, siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo (Cass. Sez. I, 10/1-10/2/2000 n. 94).

Tale vizio in tanto può essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimità in quanto risulti inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 lett. e) c.p.p.

L’accertamento di esso richiede pertanto la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell’avvenuta rappresentazione al giudice del precedente grado di impugnazione degli elementi dai quali quest’ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicché la Corte di Cassazione possa a sua volta desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi siano stati valutati, in modo che il vizio si possa eventualmente tradurre in mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Cass. S.U. 30 aprile 19976, Dessimone e altri).

Questa Corte, ancora a sezioni unite, ha ribadito la necessità di mantenere fermo l sindacato di legittimità in termini di rigorosa non interferenza con le valutazioni fattuali riservate al merito della prova nel senso che l vizio di motivazione deve rimanere incanalato nel suo significato strettamente testuale, senza possibilità alcuna di sconfinamento nella verifica attraverso il controllo degli atti.

L’esame deve quindi rimanere vincolato alla motivazione, ma la verifica della sua completezza (cioè della sussistenza del vizio di omessa motivazione) impone di considerare come tertium comparazionis non solo l’atto di impugnazione (precisa questo Collegio: sia in senso proprio, come l’appello, sia in senso più lato come il riesame), ma anche le memorie e gli atti difensivi con i quali la parte abbia rappresentato la questione (cfr. da ultimo Cass. S.U. 30/10-24/11/2003 n. 45276).

Con l’ultimo motivo i ricorrenti criticano il passaggio motivazionale nel quale, in esordio della motivazione, si afferma che alle persone sottoposte alle indagini si contesta di aver costituito una cellula dormiente e comunque già in fase di risveglio, rilevandone la contraddittorietà con l’assunto dell’esistenza di associazione aventi finalità di terrorismo internazionale.

Si osserva che si tratta di contraddizione solo apparente, perché evidente frutto di dislalia semantica riconducibile a semplice errore materiale che trova la sua implicita correzione nel successivo capoverso dove si riporta in sintesi l’oggetto della contestazione e dove si addebita chiaramente la costituzione di una cellula attiva ed organizzata.

Ricorso di R. C.: il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione dell’art. ‘270 bis c.p., sostanzialmente critica i passaggi della motivazione con i quali si definisce la Jihad, si indica come destinazione dell’esplicazione dell’azione del ricorrente l’Iraq e si attribuisca apoditticamente alla cellula la funzione di coagulo dell’ideologia e della pratica del terrorismo religioso islamico.

Ed invero le premesse interpretative dell’art. 270 bis c.p. sono coincidenti, nel senso che sia il ricorrente che l’ordinanza impugnata concordano nella definizione dell’associazione con finalità di terrorismo internazionale, da intendersi come struttura organizzativa caratterizzata da una programma comune ai partecipanti con il proposito del compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale.

Tanto chiarito, si osserva che il ricorso è inammissibile per la parte in cui sostanzialmente denuncia travisamento del fatto, laddove afferma non essere vero quanto affermato dal Tribunale in ordine alla volontà del ricorrente di recarsi in Iraq per combattere la Jihad, perché invece dagli atti risulterebbe che sua intenzione era recarsi in Tunisia, e in ordine al significato attribuito al termine Jihad.

Nel giudizio di legittimità non è deducibile il vizio di travisamento del fatto, inteso come ipotesi di contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale e gli atti processuali; il controllo demandato alla Corte di Cassazione ha ad oggetto l’accertamento della mancanza e della illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi in indagini extratestuali dirette a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti dati fondanti della decisione, siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo (Cass. Sez. I, 10/1-10/2/2000 n. 94).

Tale vizio in tanto può essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimità in quanto risulti inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 lett. e) c.p.p.

L’accertamento di esso richiede pertanto la dimostrazione, da pare del ricorrente, dell’avvenuta rappresentazione al giudice del precedente grado di impugnazione degli elementi dai quali quest’ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicché la Corte di Cassazione possa a sua volta desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi siano stati valutati, in modo che il vizio si possa eventualmente tradurre in mancanza o manifesta illogicità della motivazione (Cass. S.U. 30 aprile 1997, Dessimone e altri).

Questa Corte, ancora a sezioni Unite, ha ribadito la necessità di mantenere fermo il sindacato di legittimità in termini di rigorosa non interferenza con le valutazioni fattuali riservate al merito della prova nel senso che il vizio di motivazione deve rimanere incanalato nel suo significato strettamente testuale, senza possibilità alcuna di sconfinamento nella verifica attraverso il controllo degli atti.

L’esame deve quindi rimanere vincolato alla motivazione, ma la verifica della sua completezza (cioè della sussistenza del vizio di omessa motivazione) impone di considerare come tertium comparazionis non solo l’atto di impugnazione (precisa questo Collegio; sia in senso proprio, come l’appello, sia in senso più lato come il riesame), ma anche le memore e gli atti difensivi con i quali la parte abbia rappresentato la questione (cfr. da ultimo Cass. S.U. 30/10- 24/11/2003 n. 45276).

La successiva critica al passaggio della motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove afferma l’esistenza di cellula operativa che si è coagulata attorno a un’ideologia e pratica di terrorismo religioso islamico, è formulata in maniera manifestamente infondata attraverso la sua estrapolazione dall’iter argomentativo seguito dal Tribunale, che perviene a tale affermazione dopo un esame complessivo delle risultanze probatorie costituite dal contenuto del materiale sequestrato ad A. A. B. M., dal quale di è desunta la definizione di Jihad (per come intesa dagli appartenenti all’associazione, che non è guerra di difesa); dalle conversazioni intercettate, di cui è protagonista anche il ricorrente, che individuano il R. M. come il punto di riferimento e come finalità quella di partecipare alla Jihad, con la programmazione di imminenti partenze con destinazione paesi dove operare non per operare alla resistenza ma per mettere in pratica il terrorismo, come giustificato con il passaggio della motivazione (non oggetto di critica) in cui si spiegano i collegamenti della cellula, alla quale il ricorrente apparteneva, con movimenti che riconducevano alla rete mondiale di Al Quaeda.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione dell’art. 273 c.p.p. per assenza di gravità indiziaria, è ancora inammissibile, perché addebita un significato di ambiguità al contenuto delle conversazioni intercettate e riferibili al ricorrente attraverso una valutazione alternativa del medesimo materiale probatorio già valutato, in maniera non manifestamente illogico, dal giudice di merito.

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Casazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30/4-2/7/97 n. 6402, ric. Dessimone e altri).

Il terzo motivo di ricorso , con il quale si denuncia violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p., per non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione nella scelta delle misure da applicare, è infondato perché la concretezza ed attualità delle esigenze (ancorché rilevate in motivazione con affermazione di sussistenza in re ipsa) è motivata in considerazione di quanto evidenziato dal complesso della motivazione.

I comportamenti concreti dai quali il Tribunale ha desunto la sussistenza del pericolo di fuga sono individuati nella manifesta intenzione di allontanarsi dall’Italia, desunta dall’annotazione di servizio della Digos di Firenze del 5 maggio 2004 e già resa palese dal contenuto delle conversazioni intercettate (tel. n. 13409 del 19/10/2003 e n. 1927 del 14/4/2004).

Ricorso di G. H. B. M. H.: l rimo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione dell’art. 270 bis c.p., è coincidente con il primo motivo di ricorso proposto da R. C. sicché si rinvia al paragrafo che precede, con la seguenti specificazioni, necessarie per la peculiarità della posizione del ricorrente, il quale sostanzialmente denuncia travisamento del fatto, laddove afferma non essere vero quanto affermato dal Tribunale in ordine alla sua volontà di recarsi in Iraq per combattere la guerra santa.

Ed invero il Tribunale addebita al G. non di avere intenzione di recarsi in Iraq ma di aspirare al martirio e alla guerra santa.

Tali elementi, assieme alla partecipazione ad un incontro nel quale si parlava di un gruppo di trenta persone pronte a colpire, sono stati valutati dal Tribunale come significativi della sua piena adesione alla cellula operativa definita, sulla base di una serie di altri risconti gravemente indiziati (non criticati), come finalizzata al terrorismo internazionale.

Tale parte della motivazione, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in sede di legittimità, in considerazione dei limiti posti al sindacato del giudizio di cassazione dalla lett. e) dell’art. 606 c.p.p.

La successiva critica al passaggio della motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove afferma l’esistenza di cellula operativa che si è coagulata attorno a un’ideologia e pratica di terrorismo religioso islamico, identica a quella proposta nel ricorso di R. C., sicché è manifestamente infondata per le ragioni sopra riportate alle quali si rinvia.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione dell’art. 273 c.p.p. per assenza di gravità indiziaria e che ricalca pedissequamente il secondo motivo di ricorso di R. C., è inammissibile per i motivi già indicati ai quali si rinvia.

Il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione degli artt. 274 lett. b) e c) e 275 c.p.p., per non corretta applicazione dei principi di adeguatezza e proporzione nella scelta delle misure da applicare, è infondato perché la concretezza ed attualità delle esigenze (ancorché rilevate in motivazione con affermazione di sussistenza in re ipsa) è motivata in considerazione di quanto evidenziato dal complesso della motivazione.

I comportamenti concreti dai quali il Tribunale ha desunto la sussistenza del pericolo di fuga sono individuati nella manifesta intenzione di allontanarsi dall’Italia (chiaro in tal senso è il riferimento all’annotazione di sevizio della Digos di Firenze del 5 maggio 2004 e alla tel. N. 12481 del 14/4/2004).

Ricorso di A. A. B. M.: il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento associativo, è infondato in quanto il ricorrente si è limitato ad estrapolare dal contesto motivazionale la frase con la quale si spiega il tipo di organizzazione, esasperando peraltro la connotazione cellulare e ponendo come contrastante, con la sussistenza del necessario elemento soggettivo, la possibilità che gli associati non si conoscessero tra di loro.

Si osserva che la condotta di partecipazione all’associazione per delinquere (ancorché connotata dalla finalità di terrorismo) è a forma libera, nel senso che il comportamento del partecipe può realizzarsi in forme e contenuti diversi, purché si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile alla realizzazione degli scopi dell’organismo in tal modo realizzandosi la lesione dell’interesse salvaguardato dalla norma incriminatrice.

L’elemento della conoscenza reciproca tra gli affiliati ovvero di ciascuno di essi con i capi non è decisivo ai fini dell’appartenenza consapevole all’associazione stessa (Cass. Sez. 2, 17/1- 28/5/97 n. 4976).

In maniera del tutto generica il ricorrente addebita, poi, all’ordinanza impugnata di aver omesso di indicare l’esistenza di uno stabile vincolo associativo.

Si osserva che il provvedimento impugnato pone il fondamentalismo religioso come elemento di base sul quale si innesta la congerie di elementi probatori, tratti non solo dal materiale sequestrato al ricorrente ma anche dal contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni ambientali e telefoniche, che è stato congruamente valutato come significativo della finalità di terrorismo dell’organizzazione di tipo cellulare, sullo schema, storicamente accertato, del terrorismo algerino degli anni ’90.

Una volta verificata la sussistenza dei requisiti richiesti per la configurabilità del reato associativo desumibile dalla continuità e sistematicità dei collegamenti di natura organizzativa (sia pure nella rilevata peculiarità del fenomeno definibile come terrorismo religioso a matrice islamica di natura internazionale), la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più attorno a nuclei culturali che si rifanno all’integralismo religioso islamico, perché, al contrario, i rapporti ideologico – religiosi, sommandosi al vincolo associativo che si propone il compimento di atti di violenza finalizzati a terrorizzare, lo rendono ancor più pericoloso.

Anche il secondo motivo di ricorso, che denuncia la mancata indicazione del ruolo partecipativo dell’odierno indagato, è infondato.

La circostanza che nel capo provvisorio di incolpazione vi sia un richiamo normativo sia al primo che al secondo comma dell’art. 270 bis c.p. non determina la denunciata carenza di motivazione.

L’ordinanza impugnata delinea con sufficiente precisione il ruolo del ricorrente allorché ne descrive le condotte.

La circostanza che questi non sia indicato come capo o promotore non può che ritornare a suo favore, per la ovvia considerazione che, allo stato, in difetto di specifica diversa indicazione, il suo ruolo può essere solo quello di partecipe.

I ricorsi debbono in conseguenza essere rigettati, con condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

A norma dell’art. 94 disp., att. c.p.p., a cura della Cancelleria deve essere trasmessa copia del presente provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario per quanto di competenza.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

Presidente: A. Rizzo
Relatore: G. Casucci