Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Luglio 2005

Sentenza 17 gennaio 2002, n.11275

Corte di Cassazione. Sezione III Penale. Sentenza 17 gennaio 2002, n. 11275: “Restauro senza autorizzazione di beni culturali”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione III Penale

composta dagli ill. mi signori:

Dott. Antonio Zumbo Presidente
l. Dott. Aldo Rizzo Consigliere
2. Dott. Claudia Squassoni Consigliere
3. Dott. Carlo M. Grillo Consigliere
4. Dott. Aldo Fiale Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da , nato a Lecce il 10-12-1948, avverso l’ordinanza del 5-8-10-2001 pronunciata dal Tribunale del riesame di Bari.
-Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Carlo M. Grillo;
-sentite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. M. Favalli, con le quali chiede l’annullamento senza rinvio della gravata ordinanza, limitatamente al reato di cui all’art. 733 c.p., ed il rigetto del ricorso nel resto;
-sentito il difensore, avv. F. Rotunno, che insiste per l’accoglimento del ricorso;

la Corte osserva:

FattoDiritto

Con provvedimento 6-8-2001, il G.I.P. presso il Tribunale di Trani, accogliendo la richiesta del P.M. in data 2-8-2001, disponeva il sequestro preventivo dell’impianto di illuminazione installato presso la Cattedrale di Trani, con disattivazione e smontaggio immediato di esso, ipotizzando, nei confronti di -funzionario E.N.E.L. responsabile della progettazione ed esecuzione dei lavori, nonché condirettore degli stessi- i reati di cui agli artt. 635 e 733 c.p., 11 e 59 L. n. 1089-1939.
In data 13-9-2001, il G.I.P., richiesto di revocare la detta misura, o comunque di disporre la rimozione dei sigilli, accoglieva l’istanza subordinata, disponendo la temporanea rimozione dei sigilli e la sospensione dello smontaggio dell’impianto, al fine di consentire alla competente Soprintendenza di compiere le necessarie verifiche sullo stesso.
Del provvedimento di sequestro preventivo il chiedeva il riesame ed il Tribunale di Bari, con l’ordinanza indicata in premessa, pur riconoscendo l’insussistenza del fumus relativamente alla contravvenzione di cui all’ art. 733 c.p., rigettava l’istanza, ravvisando l’ipotizzabilità degli altri reati, nonché la sussistenza del periculum in mora.
Ricorre per cassazione l’indagato, deducendo: 1) insussistenza del fumus commissi delicti in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 733 c.p. ed assoluta mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata ordinanza sul punto, in quanto il Tribunale, dopo aver escluso l’astratta configurabilità della stessa, avrebbe dovuto coerentemente dichiarare la nullità del decreto di sequestro, quantomeno in relazione a tale contravvenzione; 2) nullità ed illegittimità del sequestro per mancanza del fumus commissi delicti in ordine al reato di cui agli artt. 11 e 59 L. n. 1089-1939 ed assoluta mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata ordinanza sul punto, giacché per le opere in questione era stata rilasciata la prevista autorizzazione (con nota 2-8-2000, prot. 9195), quantunque la Soprintendenza avesse posto la condizione di verificare “ogni passaggio esecutivo” con appositi sopralluoghi; inoltre, nullità del sequestro e del provvedimento impugnato per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 118 D. L.vo n. 490-1999, che ha sostituito gli artt. 11 e 59 della legge del ’39, in quanto la nuova formulazione normativa prevede la contravvenzione soltanto nel caso di opere realizzate “senza autorizzazione”, e non anche di quelle “in parziale o totale difformità rispetto all’autorizzazione” rilasciata dalla Soprintendenza; infine, pur rientrando la contravvenzione prevista dal menzionato art. 118 nella categoria dei reati c.d. di pericolo presunto, la condotta posta in essere dall’agente deve pur sempre essere dotata del carattere dell’offensività, vertendosi altrimenti nell’ipotesi di reato impossibile; 3) nullità ed illegittimità del sequestro per mancanza del fumus commissi delicti in ordine al reato di cui all’art. 635 cpv c.p. ed assoluta mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata ordinanza sul punto, per carenza dell’elemento soggettivo del reato (dolo), atteso che nè prima nè durante l’esecuzione dei lavori la Curia aveva in alcun modo manifestato dissenso alla realizzazione dell’impianto, pur informata dell’iniziativa dell’ENEL a seguito della Convenzione con la Regione Puglia; 4) nullità ed illegittimità del sequestro per mancanza del periculum in mora, ed assoluta mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata ordinanza sul punto, perché, non essendo i lavori proseguiti dopo la diffida della Curia, non si comprende quali altri reati potrebbero essere commessi in assenza del vincolo cautelare, nè può temersi la messa in funzione dell’impianto, in quanto lo stesso non è stato ancora ultimato; 5) abnormità, nullità ed illegittimità del sequestro, nella parte concernente lo smontaggio immediato dell’impianto, ed assoluta mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata ordinanza sul punto, quantunque tale ordine sia stato successivamente sospeso dal G.I.P., in quanto comunque, fino alla permanenza del vincolo, l’impianto non potrebbe essere messo in funzione e “un sequestro che comportasse la distruzione della res perderebbe la sua natura e la sua finalità e si trasformerebbe in un ordine di demolizione, tanto intempestivo, quanto illegittimo”, anche perché l’art. 59 L. n. 1089-1939 (ora art. 131 D. L.vo n. 490-1999) non conferisce al giudice penale il potere di ordinare, neppure in via suppletiva, rimozioni o intervento sui beni.
All’odierna udienza, il difensore propone un nuovo motivo di ricorso, ex artt. 311, comma 4, e 325, comma 3, c.p.p.: inosservanza di disposizioni processuali previste a pena di nullità (artt. 309, commi 9 e 10, 322, 324, comma 7, c.p.p. in relazione agli artt. 178, lett. ‘c’, e 606, comma 1 lett. ‘c’ ed ‘è, c.p.p.), nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto. Assume, invero, il ricorrente che, tra gli atti utilizzati dal G.I.P. per l’emissione della misura cautelare e trasmessi al Tribunale del riesame, non era stata inserita la copia del progetto esecutivo, approvata dalla Soprintendenza, sebbene potesse avere valore decisivo ai fini della pronunzia, donde la nullità dell’ordinanza impugnata.
Indi il P.G. e la difesa concludono come sopra riportato.

Il ricorso merita accoglimento nei limiti appresso indicati.
La prima doglianza è inammissibile per carenza di interesse. Infatti il Tribunale ha escluso l’astratta configurabilità della contravvenzione prevista dall’art. 733 c.p., e proprio per le ragioni poste a base del ricorso dell’indagato. Ciò nondimeno ha ritenuto di respingere la richiesta di riesame, finalizzata all’annullamento della misura cautelare, ritenendo quest’ultima giustificata in relazione agli altri due reati ipotizzati dal G.I.P..
Il provvedimento del Tribunale quindi è, sul punto, correttamente e congruamente motivato, nè comporta alcuna nullità il fatto che nel dispositivo non vi sia traccia di tale argomentazione, giacché questo ha ad oggetto soltanto la conferma o meno del sequestro preventivo, determinazione in ordine alla quale non rileva se una delle ragioni per cui venne adottata la misura sia stata poi ritenuta insussistente, ferma restando la fondatezza delle altre.
La seconda doglianza, relativa alla configurabilità del reato previsto dagli artt. 11 e 59 L. n. 1089-1939 si articola, come sopra ricordato, in tre censure.
Rileva, innanzi tutto, il Collegio che, per quanto concerne il caso in esame, la nuova formulazione della norma ad opera del Testo unico in materia di beni culturali ed ambientali (D. L.vo n. 490-1999) -contrariamente all’assunto del ricorrente-nulla ha innovato rispetto alla vecchia disciplina; infatti anche l’art. 11 L. n. 1089-1933 vietava -come l’attuale art. 118- gli interventi, sui beni vincolati, non preceduti dalla prescritta autorizzazione, senza prevedere il caso di esecuzione delle opere in difformità dall’autorizzazione regolarmente rilasciata, per cui la nuova disciplina non incide sulla fattispecie in esame.
Ma la questione è un’altra. Non si tratta, invero, di stabilire se, in presenza di autorizzazione, sussista la contravvenzione de qua qualora le opere realizzate non siano conformi alla stessa, bensì di verificare se possa considerarsi sussistente un’autorizzazione “condizionata”, nell’ipotesi in cui la condizione non si verifichi, e cioè quale sia la sorte -tornando al caso in esame- di un’autorizzazione subordinata ad un determinato comportamento del destinatario di essa, quando questo non venga posto in essere.
Secondo il Tribunale, l’autorizzazione ottenuta dall’ E.N.E.L. deve considerarsi inefficace, in quanto, in sede di approvazione del progetto esecutivo, la Soprintendenza l’aveva sottoposta a specifica condizione, e cioè quella di verificare “prima di procedere alla definitiva collocazione di linee di alimentazione e-o corpi illuminanti,… l’effettiva necessità, sia in termini quantitativi che di compatibilità formale -rispetto alle anzi dette peculiarità monumentali”, ribadendo successivamente, in occasione di sopralluoghi, che “ogni fase dell’intervento doveva essere preventivamente concordata con questa Soprintendenza”. Pertanto, non avendo l’E.N.E.L. ottemperato a tale obbligo condizionante, l’autorizzazione deve ritenersi inefficace, donde l’ipotizzabilità del reato.
Ricorda il Collegio che, in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e di questa Corte, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito, dovendosi limitare alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto (SS.UU., 7 novembre 1992, ), nè sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l’applicabilità di quelle personali, indicate nell’art. 273 c.p.p., per cui è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell’indagato (SS.UU., 23 aprile 1993, ).
Ciò premesso, si ritiene che, nella presente fase, debba considerarsi sussistente il fumus della contravvenzione ipotizzata, potendosi condividere l’assunto del Tribunale. Infatti, nel nulla osta per il progetto di illuminazione della Cattedrale di Trani rilasciato dalla Soprintendenza il 2-8-2000, si legge che il “parere favorevole alla realizzazione dei lavori in progetto”, dopo l’esame degli “elaborati prodotti, riguardanti le modifiche apportate al progetto esecutivo”, è sottoposto a diverse “specifiche condizioni”, tra cui quella che “l’opportunità dell’installazione dei corpi illuminanti delle serie numeriche 20, 40 e 13 resta subordinata ad una verifica in corso d’opera da parte della Scrivente”. Tale formulazione deve essere intesa, ad avviso del Collegio, addirittura nel senso che il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza non comprende l’installazione dei menzionati corpi illuminanti, giacché sulla opportunità di installarli o meno l’Ufficio si riserva di pronunziarsi a seguito di una verifica in corso d’opera.
Pertanto, non essendo stata in concreto mai valutata detta “opportunità” di installazione, questa -avvenuta, secondo quanto affermano i giudici del merito e non contesta la difesa- deve considerarsi effettuata senza autorizzazione, con l’ulteriore conseguenza dell’astratta configurabilità della violazione della normativa del ’39, trasfusa nel recente Testo unico.
Sotto il differente profilo, poi, della offensività della condotta, basta rilevare che, secondo la Soprintendenza, istituzionalmente deputata a valutazioni del genere, “le opere eseguite alla Cattedrale di Trani… appaiono contrastare fortemente con le caratteristiche monumentali dell’edificio medievale e della sua cornice ambientale, pesando negativamente ed in maniera eccessiva sulle più elementari esigenze di fruizione del bene…”.
Passando alla terza doglianza, relativa alla sussistenza del fumus del reato di danneggiamento, osserva il Collegio che la questione assume un rilievo pratico minore, una volta dimostrata -come si è fatto nel caso in esame- l’astratta configurabilità di un altro reato, che comunque legittima la misura. Nondimeno si ritiene la censura infondata, non potendo l’ipotizzabilità del reato di cui all’art. 635 c.p. essere esclusa, posto che, lo si ripete, è inibita, nella presente fase, ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell’indagato, e considerato che in effetti i lavori in questione sono stati realizzati senza un formale consenso o permesso delle autorità ecclesiastiche preposte alla gestione e tutela del monumento religioso. Quindi, l’eventuale carenza di dolo da parte dell’agente, o anche l’avere il predetto fatto “affidamento” sul comportamento tollerante della Curia, a conoscenza dell’esecuzione dei lavori, non esclude -nella presente fase cautelare- l’astratta configurabilità del reato di danneggiamento, concretizzatosi in particolare nella foratura dei marmi della Cattedrale, nella collocazione di conduttori elettrici e nella realizzazione di tutti quegli interventi che hanno in qualche modo inciso sulla struttura o sull’estetica del monumento.
Riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari, che legittimano il provvedimento ex art. 321 c.p.p., messe in discussione dal ricorrente (quarta doglianza), esse sono assolutamente evidenti, ad avviso del Collegio, essendo concreto il pericolo, derivante dalla protrazione della condotta illecita, di aggravamento delle conseguenze del reato e di commissione di altri reati, come correttamente evidenziato dal Tribunale. Innanzi tutto deve considerarsi che, stando alle asserzioni dello stesso ricorrente, l’impianto in questione non è ancora completato, per cui il sequestro di esso tende, in primo luogo, ad evitarne l’ultimazione. In secondo luogo, si rileva che nell’esposto-denunzia della Curia viene prospettato, oltre al grave danneggiamento dell’aspetto architettonico dell’immobile, di rilevante pregio artistico e storico, altresì il “pericolo per la sicurezza degli operatori e dei visitatori, a causa del rischio di elettrocuzione e di ustioni dovuto alla presenza di condutture elettriche ed organi illuminanti collocati in posizione pericolosa per l’integrità fisica, in assenza di misure idonee a prevenire il rischio di abrasione”. Pertanto, stando al detto esposto, dalla revoca della misura, con conseguente completamento ed utilizzazione dell’impianto, potrebbero anche derivare lesioni colpose in danno dei visitatori del complesso monumentale.
L’ultima doglianza, relativa all’ordine di smontaggio dell’impianto, è invece fondata. Difatti la natura stessa del sequestro, seppure preventivo (e quindi misura cautelare), esclude la possibilità di imporre al destinatario un facere, essendo mirata al congelamento della situazione pericolosa, tanto più nel caso in questione, in cui il G.I.P. ha ritenuto di sospendere l’esecuzione dell’ordine proprio al fine di consentire alla Soprintendenza di compiere le necessarie verifiche sull’impianto. Nè il provvedimento sospensivo del G.I.P. fa venir meno l’interesse del ricorrente, giacché trattasi pur sempre di provvedimento di natura provvisoria, che paralizza solo temporaneamente l’ordine, privandolo di efficacia, ma non lo elimina in radice.
La gravata decisione, così come il provvedimento originario di sequestro, devono, dunque, sul punto essere annullati, con elisione della detta statuizione.
Va, infine, rilevata l’infondatezza del motivo nuovo, prospettato in udienza dalla difesa. Invero sia il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, sia il ricorrente, nell’atto di impugnazione, danno per scontato che il progetto esecutivo dell’impianto di illuminazione in questione, presentato dalla ditta , venne approvato dalla Soprintendenza, per cui nessun concreto pregiudizio è derivato all’indagato dalla mancata trasmissione al Tribunale del riesame, da parte del P.M., del documento che comprova detta approvazione. Come si è detto prima, il problema è un altro, e cioè stabilire l’efficacia del menzionato provvedimento autorizzatorio, essendo esso sottoposto a condizione, mai verificatasi; argomento questo già trattato.

P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro 6-8-2001, limitatamente al disposto smontaggio dell’impianto, statuizione che elimina; rigetta nel resto il ricorso. Così deliberato in Roma.