Sentenza 15 novembre 2002, n.39709
Corte di Cassazione. Sezione VI penale. Sentenza 15 novembre 2002, n. 39709: “Domanda di estradizione da parte di uno Stato estero e atti persecutori e discriminatori”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dai Signori:
Dott. Adolfo Di Virginio Presidente
1. Dott. Raffaele Leonasi Consigliere
2. Dotti Giovanni de Roberto Consigliere
3. Dott. Ilario Martella Consigliere
4. Dott. Francesco Paolo Gramendola Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
avverso la sentenza 27 giugno 2002 della Corte di appello di Roma.
Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso.
Udita nell’udienza in camera di consiglio la relazione fatta dal Conigliere de Roberto.
Udite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Loreto D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito, per
FattoDiritto
1. Con sentenza 27 giugno 2002 la Corte di appello di Roma dichiarava la sussistenza delle condizioni di legge per l’accoglimento della domanda di estradizione avanzata dall’Autorità della Repubblica Iraniana nei confronti di
2. Ha proposto ricorso per cassazione il
Secondo il ricorrente, sarebbe stato violato il principio della doppia incriminazione avendo surrettiziamente la Corte di appello additato come norma iraniana di comparazione l’art. 674 del codice della Repubblica Iraniana, con l’addebitare all’estradando il delitto di cui all’art. 646 c.p., aggravato ex art. 61, n. 11, dello stesso codice, così da rendere perseguibile di ufficio il delitto di appropriazione indebita. una circostanza aggravante palesemente insussistente essendo il rapporto intercorso tra il
La circostanza che l’ordinamento iraniano non contempli tale condizione di procedibilità sarebbe del tutto irrilevante perché, secondo il precetto di cui all’art. 13, 2 comma., c.p., i fini della doppia incriminazione, il reato deve rivestire in entrambi i Paesi tutti i caratteri necessari per il suo perseguimento, sia sostanziali sia processuali.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 705, comma 2, c.p.p. per assenza di gravi indizi di colpevolezza richiesti per pronunciare sentenza favorevole all’estradizione, non sussistendo tra lo Stato italiano e la Repubblica iraniana alcuna convenzione che regoli la materia.
Si sostiene che sarebbe stata fornita la prova del pagamento della somma di 636.200 dollari USA effettuato in favore della
Si indicano, poi, tre prove della falsità delle accuse del
1) Il denunciante ha affermato che il
2) Del tappeto dalle dimensioni di 40×20 metri era proprietario la società inglese
3) Il
Con il terzo motivo il
3. All’odierna udienza in camera di consiglio l’avv. Jorio ha depositato traduzione giurata del “verbale d’inchiesta” dell’Amministrazione della Giustizia della Repubblica Islamica dell’Iran”, recante i “pareri giudiziari” del Consigliere della Corte d’Appello” Majdi Nasab e del Vice Presidente del Tribunale della Regione di Teheran Tabatabai; nel senso della incompetenza a giudicare dell’Autorità giudiziaria iraniana e della insussistenza del fatto reato addebitato al
4. Il ricorso è privo di fondamento.
Relativamente alla prima censura, osserva il Collegio che la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 11, c.p. è stata correttamente ritenuta, ai fini estradizionali, dalla Corte di merito, per essere stato stipulato tra il
Ma, a parte tale, pur decisiva, considerazione, assume valenza davvero pregiudiziale il rilievo che, stando al costante indirizzo interpretativo della Corte Suprema, per l’estradizione del cittadino straniero dall’Italia allo Stato estero richiedente è necessario che il fatto costituisca reato secondo la legislazione di entrambi gli Stati, ma non occorre che nei due ordinamenti sia identica la figura giuridica del reato stesso e neppure è necessario che la persona offesa abbia proposto querela, quando questa sia richiesta dall’ordinamento italiano, ma non da quello straniero per la procedibilità: del reato (v., ex plurimis, Sez. II, 10 dicembre 1965,
Anche il secondo motivo è privo di fondamento, avendo il giudice a quo a lungo esaminato le questioni relative sia ai pagamenti effettuati alla
Un elemento che appare decisivo ai fini della verifica della correttezza del giudizio della Corte territoriale in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, quindi, della pronuncia di una sentenza favorevole all’estradizione.
Di identica sorte appare meritevole il terso ed ultimo motivo di ricorso.
Il giudice a quo ha rigorosamente segnalato come non sussistano concreti elementi di prova circa la violazione dei diritti fondamentali della persona umana, e che, ad esplicita richiesta in proposito, è stata fornita ampia assicurazione circa l’equità del giudizio ed il rispetto dei diritti umani.
D’altro canto, occorre ricordare – avendo il ricorrente fatto riferimento alla possibilità di un trattamento persecutorio determinato da motivi religiosi – che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, la disposizione dell’art. 698, comma 1, c.p.p., che prevede quale causa ostativa alla estradizione, la fondata ragione per ritenere che l’imputato o il condannato verranno sottoposti ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di razza o di religione, amplia e ricalca la norma di cui all’art. 3, secondo comma, della Convenzione europea di estradizione e costituisce applicazione, nella materia della estradizione, del più generale principio di salvaguardia del diritto fondamentale dell’individuo alla libertà ed alla sicurezza contro qualsiasi forma di discriminazione, che potrebbe essere attuata con lo strumento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero; l’atto persecutorio e discriminatorio – si è aggiunto – è pertanto, quello che, in quanto mascherato sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a realizzare per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, laddove dallo status del soggetto, connesso ad una o più delle suddette posizioni, dipendano, nell’ordinamento interno del suddetto Stato richiedente, situazioni di oggettivo pregiudizio reale o potenziale (cfr., ex plurimis, Sez. VI, 17 aprile 1996,
Nulla di tutto ciò essendo ravvisabile nel caso di specie, nè essendo stata fornita alcuna prova della pretesa finalità persecutoria del provvedimento restrittivo (anche considerando la natura del reato per cui è intervenuta condanna non definitiva e le stesse ammissioni del ricorrente circa i rapporti con il
La documentazione depositata all’odierna udienza è, infine, del tutto irrilevante in questa sede, perché da essa emerge esclusivamente la presentazione da parte del ricorrente della richiesta di applicazione dell’art. 235 del codice di procedura penale iraniano, corredato dei pareri del magistrati sopra ricordati; un dato che potrà assumere significazione una volta che tale procedura perverrà ad epilogo – ancora sub iudice – favorevole al ricorrente e che l’Autorità della Repubblica Iraniana provveda a trasmettere una domanda contraria alla prosecuzione del procedimento estradizionale.
5: Il ricorso deve, dunque, essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 203 delle norme di attuazione del c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 delle norme di attuazione del c.p.p.
Autore:
Corte di Cassazione - Penale
Dossier:
_Lotta alla discriminazione_
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Diritti umani, Equità dei giudizi, Ordinamento estero, Incriminazione, Cattura, Estradizione, Nazionalità, Lingua, Sesso, Razza, Libertà di religione, Libertà di coscienza, Persecuzione, Religione, Discriminazione
Natura:
Sentenza