Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 15 giugno 2012, n. 9844: "Grave difetto di discrezione di giudizio e nullità del matrimonio concordatario".
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. SCHIRO' Stefano- rel. Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.C., elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie 19, presso l'avv. SCALIA Gemma, che la rappresenta e difende, insieme con gli avvocati Leonardo Cattaneo e Mario Gismondi, perprocura in atti;
– ricorrente –
contro
B.A.;
e
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1226 del settembre 2009;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 dicembre 2011 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;
udito, per la ricorrente, l'avv. Lucio Di Rosa, per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso chiedendo il rigetto del primo motivo e l'accoglimento del secondo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.C. ricorre per cassazione, con due motivi, nei confronti di B.A., avverso la sentenza n. 1226 in data 19 settembre 2009 della Corte di appello di Torino, che ha dichiarato efficace nella Repubblica Italiana, in accoglimento della domanda proposta dal B., la Sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure pronunciata il 22 giugno 2007 – confermata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale di Appello di Torino con decreto in data 27 novembre 2007 e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Signatura Apostolica con decreto del 24 gennaio 2008 – che ha dichiarato nullo, per grave difetto di discrezione di giudizio del manto, il matrimonio concordatario contratto dal B. con la G. il 4 luglio 1985 e trascritto nei registri degli atti di matrimonio del Comune di Campiglione Fenile al n. 6, parte 2, Serie A, anno 1985, e successivamente alla quale era intervenuta sentenza del Tribunale di Chiavari del 28 gennaio 2008, passata in giudicato, che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio suddetto.
A fondamento della decisione, la Corte di appello di Torino ha così motivato:
– il procedimento per la pronuncia di nullità del matrimonio e quello per la pronuncia della cessazione degli effetti civili dello stesso si differenziano per petitum e per gli effetti che ne derivano, con la conseguenza che la delibazione è possibile in quanto la sentenza di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo sugli effetti civili prodotti dal matrimonio canonico;
– i principi di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole erano stati impropriamente invocati in relazione alla causale della dichiarata nullità, che nella specie non era riconnessa alla esclusione di uno o più bona matrimonii, ma era stata ravvisata nel grave difetto di discrezione di giudizio da parte del marito e cioè in una condizione di sostanziale immaturità della persona, tanto grave da escludere un valido consenso matrimoniale e da essere suscettibile di percezione e di valutazione nel suo esistere.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente – denunciando violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. e), e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. – afferma che la sentenza impugnata ha errato nell'affermare che la delibazione è possibile, in quanto la pronuncia di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo sugli effetti civili del matrimonio canonico.
La G. deduce che la pronuncia di divorzio contiene una valutazione di validità del vincolo nei limiti di un accertamento incidentale, che però assume autorità di giudicato ostativo alla delibazione ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. e), secondo cui per la delibazione è necessario che la decisione del giudice straniero non sia contraria ad altra sentenza di un giudice italiano passata in giudicato.
La censura è priva di fondamento. Osserva infatti il collegio che la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio e non l'atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi. Pertanto, ove nel giudizio di divorzio le parti non introducano esplicitamente questioni sulla esistenza e sulla validità del vincolo – le quali darebbero luogo a statuizioni incidenti sullo status delle persone, e, quindi, da decidere necessariamente, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., con efficacia di giudicato -, l'esistenza e la validità del matrimonio non formano oggetto di specifico accertamento suscettibile di determinare la formazione del giudicato. Ne consegue che, in dette ipotesi, la sentenza di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano con l'Accordo di revisione del Concordato lateranense, stipulato il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121 – che ha abolito la riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici sulle cause di nullità dei matrimoni concordatali, in precedenza stabilita dall'art. 34, quarto comma, del Concordato del 1929 – e nei limiti di essi (Cass. 2005/4795; 2008/3186).
La Corte di appello di Torino – affermando che il procedimento per la pronuncia di nullità del matrimonio e quello per la pronuncia della cessazione degli effetti civili dello stesso si differenziano per petitum e per gli effetti che ne derivano, con la conseguenza che la delibazione è possibile in quanto la sentenza di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo sugli effetti civili prodotti dal matrimonio canonico – si è uniformata al principio sopra enunciato e la sentenza impugnata resiste pertanto sul punto alla infondata critica della ricorrente.
2. Con il secondo motivo – denunciando violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g), e degli artt. 120 e 122 c.c., e vizio di motivazione – la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito sostenuto che il grave difetto di discrezione di giudizio è assimilabile alle fattispecie disciplinate dall'art. 120 c.c., e segg., e per aver comunque affermato che nel caso di specie la sostanziale immaturità del B., tanto grave da escludere un valido consenso matrimoniale, costituiva "una condizione suscettibile di percezione e di valutazione nel suo esistere". Deduce al riguardo la ricorrente che la Corte di merito ha ignorato che il matrimonio è durato circa venti anni e che tale circostanza è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, costituendo espressione di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito.
Anche tale doglianza non ha fondamento. Infatti, in tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per difetto di consenso, la situazione di vizio psichico (oh defectum discretionis iudicii) da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall'ipotesi di invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell'ordinamento italiano (Cass. 1988/4710; 1997/3002; 2009/19808. In senso conforme, cfr. Cass. 1987/5822; 2000/4387; 2006/10796; 2011/1262). Contrasto con tali principi non si rende ravvisabile neppure sotto il profilo del difetto di tutela dell'affidamento della controparte. Infatti, al riguardo, è sufficiente rilevare che, mentre la disciplina generale dell'incapacità naturale da rilievo, in tema di contratti, alla buona o alla mala fede dell'altra parte (art. 428 c.c., comma 2), tale aspetto si rende invece del tutto ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale vista quale causa di invalidità del matrimonio, essendo preminente, in tal caso, l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico (Cass. 1997/3002;
2009/19808).
Quanto alla rilevanza della durata ventennale del matrimonio, prospettata dalla ricorrente con riferimento all'orientamento di questa Corte secondo cui è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, in quanto essa è espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge (Cass. 2011/1343), osserva il collegio che il principio giurisprudenziale richiamato attribuisce rilievo, quale situazione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, alla convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio e non alla semplice durata del matrimonio medesimo, a cui ha invece fatto riferimento la ricorrente. Ciò in quanto l'ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali (Cass. S.U. 2008/19809), con la conseguenza che, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia, è proprio il matrimonio-rapporto, fondato sulla convivenza dei coniugi, ad avere una incidenza rilevante nell'ordine pubblico italiano, tale da impedire di annullare il matrimonio dopo che è iniziata la convivenza e spesso se questa è durata per un certo tempo (Cass. 2003/3339; Cass. 2011/1343).
Nel caso di specie, invece, la ricorrente si è limitata a porre in evidenza la mera durata ventennale del matrimonio e non la effettiva convivenza dei coniugi per lo stesso periodo, fermo restando che in ogni caso tale situazione di effettiva convivenza avrebbe dovuto essere dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica, da parte della convenuta, che, invece, nè dalla sentenza impugnata nè dallo stesso ricorso per cassazione risulta aver spiegato nel giudizio di delibazione attività difensiva in tale senso.
Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012