Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 18 Gennaio 2009

Sentenza 15 gennaio 2009, n.814

Cassazione – Sezione prima – sentenza 19 novembre 2008 – 15 gennaio 2009, n. 814: “Matrimonio concordatario ed esclusione del bonum prolis”.

Presidente Luccioli
Relatore Fioretti

(omissis)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 30 ottobre 2001, F. N. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Roma E. T. per sentir dichiarare l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza emessa in data 15 ottobre 1999 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio – ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d’Appello del Vicariato di Roma l’8 febbraio 2001 e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto 10 maggio 2003 – con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario, contratto dal N. e dalla T. in omissis in data omissis, per esclusione del bonum prolis da parte di entrambi i coniugi.
La T., costituitasi in giudizio, deduceva pregiudizialmente la inammissibilità dell’azione proposta dal N.; nel merito si opponeva alla declaratoria di efficacia nell’ordinamento della sentenza ecclesiastica, in quanto contraria all’ordine pubblico.
In via gradata avanzava domanda riconvenzionale per l’attribuzione, ai sensi dell’art. 129 bis cod. civ., di un assegno mensile di mantenimento pari ad euro 516,46.
Con sentenza 13 gennaio-2 febbraio 2005 la Corte adita ha dichiarato efficace nella Repubblica Italiana la sentenza del 15 ottobre 1999 del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio.
Avverso tale sentenza T. E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. L’intimato N. F. non ha presentato controricorso, ma ha nominato suo difensore, conferendogli procura speciale, l’avv. Manfredini Ornella, che ha partecipato alla discussione nella pubblica udienza.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° co., n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 8 L. n. 121/1985, ed all’art. 2697 c.c., per l’inesistenza del decreto di esecutività della sentenza ecclesiastica al momento di proposizione della domanda. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ex art. 360, co. 1°, n. 5, c.p.c..
Poiché il decreto di esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica della sentenza del Tribunale Ecclesiastico è stato emesso soltanto nel corso del giudizio di delibazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare la domanda di delibazione improponibile od inammissibile per mancanza, al momento della introduzione del giudizio, di un presupposto processuale indispensabile e per la inesistenza dell’oggetto, dato che veniva richiesta la delibazione di un provvedimento che non esisteva.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., in relazione al combinato disposto degli artt. 8, L. n. 121/1985 e 797 c.p.c., vecchio testo, e all’art. 2697 c.c., per la mancata produzione in giudizio della documentazione richiesta ex lege per la delibazione. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c..
Ai sensi dell’art. 797 c.p.c., tuttora applicabile in materia di delibazione delle sentenze dei Tribunali Ecclesiastici, il N. avrebbe dovuto provare che, al momento della proposizione della domanda, non pendeva presso il giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera.
Il N., a seguito di specifica richiesta della Corte d’Appello, aveva prodotto in giudizio un certificato, con il quale il Tribunale di Roma attestava la iscrizione del “procedimento n. omissis, iscritto il 13.12.1996, assegnato a Sezione SP, contenzioso T./N., ud. omissis, sep. Consensuale definito, G.I. omissis”.
Producendo tale certificazione il N. non avrebbe assolto l’onere probatorio che gli incombeva, non essendo tale produzione sufficiente per escludere la esistenza di un giudizio, avente il medesimo oggetto del presente, pendente tra le stesse parti, instaurato prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° co., n. 3 c.p.c., in relazione al combinato disposto degli artt. 8 L. n. 121/1985 e 797 c.p.c., vecchio testo, nonché in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., per contrasto della sentenza ecclesiastica di annullamento con l’ordine pubblico italiano (tutela della salute della moglie). Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c..
Deduce la ricorrente che nella motivazione della sentenza, emessa dal giudice ecclesiastico, si dà atto che il bonum prolis fu escluso dal N. e dalla T., perché il primo era affetto da una grave malattia (sindrome di Reiter) trasmissibile con i rapporti sessuali sia alla moglie sia all’eventuale feto, fatto che avrebbe consentito soltanto di avere rapporti sessuali in forma protetta.
La Corte d’Appello, dichiarando efficace in Italia la sentenza del giudice ecclesiastico, senza dare il giusto rilievo al motivo che aveva determinato la esclusione della prole, avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 8 L. n. 121/1985 e 797 c.p.c., vecchio testo, nonché degli artt. 2 e 32 Cost. per non avere considerato che detta sentenza, violando il diritto alla salute della ricorrente, si poneva in contrasto con il limite dell’ordine pubblico italiano.
Conseguentemente avrebbe anche errato nel respingere la domanda della T., proposta in via riconvenzionale, di attribuzione alla stessa, ai sensi dell’art. 129 bis cod. civ., di un assegno mensile di mantenimento, sul rilievo della mancanza del requisito della buona fede, perché la stessa, nel momento in cui fu celebrato il matrimonio concordatario, era a conoscenza della specifica circostanza per la quale è stata pronunciata la nullità del matrimonio.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° co., n. 3 c.p.c., in relazione al combinato disposto degli artt. 8 L. n. 121/1985 e 797 c.p.c., vecchio testo, nonché in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., per contrasto della sentenza ecclesiastica di annullamento con l’ordine pubblico italiano (tutela della salute del nascituro).
La delibazione della sentenza in questione si porrebbe in contrasto anche con il fondamentale diritto alla tutela della salute del nascituro, atteso che il riconoscimento della efficacia di detta sentenza in Italia si tradurrebbe in una censura per non avere i coniugi voluto concepire un figlio in una situazione di grave pericolo per la sua futura salute.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare la inammissibilità o improponibilità della domanda del N. perché al momento della proposizione della domanda mancava il presupposto processuale del decreto di esecutività della sentenza ecclesiastica del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la cui mancanza renderebbe addirittura la sentenza inesistente.
Tale tesi non è condivisibile.
La ricorrente erroneamente qualifica il decreto di esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica quale presupposto processuale, trattandosi invece di una condizione dell’azione. Non incide infatti sulla esistenza o validità dei rapporto giuridico processuale (come si verifica, ad esempio, in mancanza o nullità della domanda giudiziale oppure nell’ipotesi in cui la domanda sia rivolta a giudice incompetente), ma incide sul diritto ad ottenere una sentenza favorevole. Essendo una condizione dell’azione (condizione della sentenza positiva di accoglimento), è necessario che sussista non nel momento in cui viene introdotto il giudizio, ma nel momento in cui la lite viene decisa. Pertanto detta condizione può venire ad esistenza, senza alcun pregiudizio per l’attore, anche in corso di causa, com’è avvenuto nel caso di specie.
Anche il secondo motivo è infondato.
L’art. 797, primo comma, n. 6 c.p.c. – da ritenersi tuttora applicabile nel caso di domande di dichiarazione di efficacia nella Repubblica delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali Ecclesiastici (cfr. tra le molte Cass. n. 8764 del 2003) – prevede quale condizione ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica della sentenza straniera la pendenza davanti ad un giudice italiano di un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera.
Secondo la ricorrente il N. non avrebbe assolto l’onere probatorio che a lui incombeva di fornire la prova della inesistenza di siffatta pendenza, il che sarebbe di ostacolo alla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio.
Il predetto non solo avrebbe omesso di allegare la necessaria documentazione (certificazione negativa della cancelleria del Tribunale) all’atto della citazione, ma non avrebbe mai prodotto un qualche documento tale da soddisfare il disposto del menzionato art. 797, co. 1, n. 6, c.p.c..
La corte di merito ha affermato che non risultano pendenti tra le parti giudizi sullo stesso oggetto, affermazione che appare corretta atteso che, avendo la cancelleria del Tribunale certificato (come risulta da quanto affermato dalla stessa ricorrente) che l’unica causa pendente (e peraltro ormai definita) tra le parti era una causa di separazione personale dei coniugi, devesi logicamente ritenere che, facendo riferimento a tale esclusivo giudizio, abbia implicitamente escluso la pendenza tra le parti stesse di altri giudizi, aventi un diverso oggetto, riguardanti il loro matrimonio.
È appena il caso di osservare che il riconoscimento degli effetti civili della sentenza di nullità del matrimonio concordatario, pronunciata dai Tribunali Ecclesiastici, non è precluso dalla preventiva instaurazione di un giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi dinanzi al giudice dello Stato Italiano, giacché il giudizio e la sentenza di separazione personale hanno “petitum”, “causa petendi” e conseguenze giuridiche del tutto diversi da quelli del giudizio e della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio (cfr. in tale senso: Cass. n. 3339 del 2003).
Infine anche il terzo ed il quarto motivo, che proponendo questioni logicamente e giuridicamente connesse possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Secondo la ricorrente la sentenza di nullità non potrebbe essere dichiarata efficace in Italia perché, ponendosi in contrasto con il fondamentale diritto alla salute garantito dall’art. 32 della Costituzione, conterrebbe disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano.
Questa Suprema Corte ha costantemente affermato che la dichiarazione di efficacia nella Repubblica della sentenza ecclesiastica, che dichiara la nullità di un matrimonio concordatario per esclusione del “bonum prolis” nella ipotesi in cui detta intenzione sia stata manifestata da un coniuge ed accettata dall’altro, non trova ostacolo, sotto il profilo dell’ordine pubblico, nella circostanza che la legge statale non include la procreazione fra i doveri scaturenti dal vincolo matrimoniale, vertendosi in tema di diversità di disciplina dell’ordinamento canonico rispetto all’ordinamento interno, che non incide sui principi essenziali di quest’ultimo, né sulle regole fondamentali che in esso definiscono l’istituto del matrimonio (cfr. tra le molte: Cass. n.7128 del 1982; Cass. n. 2678 del 1984; Cass. n. 192 del 1985; Cass. n. 4875 del 1988).
Con la sentenza n. 2678 del 1984 questa Suprema Corte ha chiarito che (cfr. motivazione) la non menzione della procreazione tra i doveri nascenti dal matrimonio (art. 143 c.c.) non significa che, se un diverso ordinamento valorizzi tale circostanza, si verifichi un radicale contrasto con qualche principio fondamentale dell’ordinamento statuale, che non solo non prevede alcun principio essenziale di “non procreazione”, ma configura il matrimonio come fondamento della famiglia, finalizzato, cioè, alla formazione di quella società naturale comprendente anche i figli, quale normale, anche se non essenziale sviluppo della unione coniugale (Artt. 29, 30, 31 Cost.), com’è evidenziato dall’ampia normativa che disciplina e tutela la procreazione e la prole in una precisa analisi di diritti e doveri.
Da ultimo le sezioni unite di questa Suprema Corte con la sentenza n. 19809 del 2008, dopo avere distinto le cause di incompatibilità delle sentenze di altri ordinamenti, che annullino il matrimonio, con l’ordine pubblico italiano in assolute e relative ed avere affermato che nella ipotesi di delibazione di sentenze di ordinamenti stranieri rileva ogni tipo di incompatibilità (sia essa assoluta che relativa), hanno ribadito il principio, già affermato in precedenti pronunce, secondo cui le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, in ragione del favore particolare al loro riconoscimento che lo Stato italiano s’è imposto con il protocollo addizionale del 18 febbraio 1984, modificativo del Concordato, possono essere delibate anche in caso di incompatibilità relativa.
Nel caso di specie non appare configurabile neppure tale incompatibilità, non potendosi ritenere rilevanti, al fine di verificare la compatibilità della sentenza del Tribunale ecclesiastico con l’ordine pubblico italiano, circostanze, quali quella addotta dalla ricorrente (malattia contagiosa del marito, che avrebbe potuto pregiudicare la salute sia della moglie che di eventuali figli), che ai fini della dichiarazione di nullità del matrimonio da parte del Tribunale ecclesiastico non hanno assunto alcun rilievo causale. La compatibilità o meno con l’ordine pubblico italiano deve essere verificata con riferimento alla causa per la quale viene dichiarata la nullità del matrimonio.
Nella fattispecie la nullità del matrimonio concordatario è stata dichiarata per la concorde esclusione del bonum prolis da parte di entrambi i coniugi e, quindi, per una causa, che fa giurisprudenza di questa Corte, per quel margine di maggiore disponibilità che lo Stato si è imposto, in materia matrimoniale, nei confronti del’ordinamento canonico rispetto agli altri ordinamenti stranieri, ha costantemente riconosciuto non essere incompatibile con l’ordine pubblico italiano.
Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato. La particolarità della materia oggetto del presente giudizio appare giusto motivo per la integrale compensazione tra le parti della spese giudiziali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.