Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Febbraio 2007

Sentenza 15 gennaio 2007, n.611

Suprema Corte di Cassazione. Sezione Quarta Penale. Sentenza 15 gennaio 2007, n. 611.

(Presidente: S.G. Iacopino; Relatore: G. Colombo)

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA

G.B., E.D.G., R.G. ricorrono, tramite l’avvocatura dello stato, contro l’ordinanza del GIP del tribunale di Roma del 6 feb., depositata dal PM e disposta la prosecuzione delle indagini nel termine di 24 mesi.

Più precisamente l’ordinanza in questione ha respinto la richiesta di archiviazione e indicato che si procedesse entro il termine di 24 mesi ad espletamenti di indagine epidemiologica; ad espletamento di ulteriori indagini (individuate da precedente perizia ed indicate nella parte motiva del provvedimento); allo svolgimento di tutte le attività necessarie conseguenti agli sviluppi e dagli esiti delle indagini medesime.

L’articolato ricorso premette alcune considerazioni a proposito della modifica dell’art. 111 della cost., che ha introdotto le regole del giusto processo e della ragionevole durata del processo; dell’esigenza di adottare una interpretazione tale da adeguare l’applicazione delle singole norme alle nuove regole costituzionali; della giurisprudenza in tema di rapporto causale nei reati colposi, secondo cui la probabilità statistica è insufficiente a determinare il rapporto causale nei reati colposi omissivi impropri, ed è necessario ipotizzare le conseguenze dell’atto ritenuto doveroso ed essere impropri, ed è necessario ipotizzare le conseguenze dell’atto ritenuto doveroso ed essere esclusa la possibilità di processi causali alternativi.

Procede all’esposizione dello svolgimento del procedimento, che si sviluppa a partire dal 1999/2000 e di cui i ricorrenti hanno notizia solo a fine 2003.

Fa presente che nello stesso sono state depositate, in occasione di richiesta di incidente probatorio, le relazioni dei consulenti del PM che, con riferimento all’ipotesi di reato riguardante numerosi decessi per leucemia verificatisi nell’area immediatamente circostante impianti di diffusione di onde elettromagnetiche, accennano (Relazione Crosignani) a due casi di leucemia di bambini residenti presso una struttura della marina militare ed escludono (relazione Tarsitani) che qualsivoglia studio abbia dimostrato un aumento del rischio di leucemia per emissioni elettromagnetiche a frequenza radio (senza che nessuno accertamento preventivo venisse fatto in ambito processuale nei confronti della marina militare); che è seguita ordinanza omissiva dell’incidente in ordine ai fatti origine delle emissioni, al nesso di causalità tra questi e le leucemie e all’andamento epidemiologico nelle zone oggetto delle indagini; che, a seguito del deposito dell’elaborato peritale da esso scaturito, il giudice ha disposto procedersi solo ad indagine epidemiologica per non essere fattibili le altre due indagini (perché non in grado di dimostrare il nesso eziologico); che però successivamente il GIP ha revocato la disposizione e rimesso gli atti al PM per le attività di competenza, poiché la perizia avrebbe travalicato oil termine delle indagini preliminari; che il difensore dei ricorrenti ha quindi sollecitato il PM per le attività di competenza, poiché la perizia avrebbe travalicato il termine delle indagini preliminari; che successivamente il 13 dic. 2005 il difensore dei ricorrenti è stato reso edotto della fissazione di udienza per decidere l’istanza di archiviazione, proposta dal PM dal PM e opposta dalle parti offese; che la richiesta di archiviazione, più che contenere un’effettiva richiesta in tal senso, lamentava una incompatibilità ta i tempi utilizzati dal PM ed il temine per le indagini preliminari, l’esistenza di accertamenti in corso che non potevano essere interrotti e poneva alla GIP una secca alternativa tra la prosecuzione degli accertamenti e l’impossibilità di esercitare l’azione penale; che dopo che il GIP si era riservato di decidere è stata notificata al difensore una seconda richiesta di incidente probatorio con la quale, richiamandosi un precedente provvedimento del GIP, il PM sosteneva che il perito epidemiologico aveva affermato l’astratta possibilità di fornire la prova scientifica del nesso causale anche sul piano meramente epidemiologico, comunicava che restava la possibilità di accertamenti di altra natura e chiedeva al GIP proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari sino all’esaurimento degli accertamenti peritali nel caso in cui gli stessi si fossero protratti oltre la data già fissata dal GIP; che il GIP (circostanza allora ignota ai ricorrenti) aveva precedentemente rigettato l’istanza di archiviazione ed ordinato procedere nei termini di 24 mesi, oltre e nonostante la scadenza dei termini per l’utilizzabilità degli atti e allo svolgimento di ulteriori attività di indagine (un’indagine statistico epidemiologica ed altre ritenute necessarie alla luce degli esiti delle indagini medesime).

Propone infine due motivi di ricorso.

Il primo riguarda i termini per l’espletamento delle indagini.

Il GIP ha motivato sui termini sostenendo che quelli indicati dall’art. 407 c.p.p. non si pongono nella fase conseguente al rigetto dell’istanza di archiviazione per costante giurisprudenza.

L’argomento però, secondo il ricorrente, è in contrasto con i principi fondamentali del processo penale, in coerenza con le regole dell’art. 111 cost.

La fissazione dei termini serve a garantire l’indagato da accertamenti a tempo indefinito, e a ciò non può opporsi l’esigenza di modulare i tempi dell’indagini a seconda della complessità, perché per questo sono previste le proroghe dei termini di base: quando le indagini si sono dilatate sino al massimo ragionevole consentito nessuna deroga è ammissibile.

È inesatto il richiamo del GIP alla giurisprudenza di legittimità coerente alla indicazioni della corte costituzionale precedenti alla riforma dell’art. 111.

Il GIP, infatti, ha applicato la giurisprudenza richiamata a fattispecie diverse da quelle esaminate dalla corte suprema, con modalità al di fuori delle previsioni di legge.

Indipendentemente dal fatto comunque la giurisprudenza sull’argomento non unanime (il ricorrente cita due sentenze del 1995), una dilatazione temporale è ammissibile, purché il giudice indichi in modo non generico le ulteriori indagini, al fine di non vanificare il controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale.

Cass., VI, n. 18261 del 4 feb. 2004 afferma che se il termine risultasse in assoluto eccessivo entrerebbero effettivamente in gioco valori costituzionali come la durata ragionevole del processo, perché un termine ingiustificatamente e manifestamente dilatato violerebbe i principi di ragionevolezza e di durata del processo, e la torsione del sistema prodotta dalla fissazione di un termine non ragionevole in assoluto o con riguardo al tipo di indagine, agli accertamenti, al titolo del reato, al termine di prescrizione, troverebbe sbocco sul piano dell’abnormità, perché in contrasto con la stessa essenza della giurisdizione.

Il provvedimento impugnato costituisce una torsione del sistema di esercizio della giurisdizione, perché è privo di ogni logica.

Infatti, in primo luogo, la proroga appare priva di logica e coerente motivazione sulla reale utilità delle indagini, perché gli accertamenti di natura statistico epidemiologica costituirebbero soltanto un coefficiente di probabilità statistica di cui sarebbe impossibile effettuare una verifica di alta probabilità logica e pertanto, sarebbero inidonei a offrire risultati utili alla ricostruzione del nesso causale.

Sarebbe impossibile una verifica controfattuale, perché la procura non ha mai effettuato accertamenti in ordine a compiti e responsabilità degli ufficiali ricorrenti; non è mai stata accertata quale azione doverosa avrebbe potuto impedire l’evento; non risulta quale cooperazione possa essere esistita fra loro e la radio vaticana; è sconosciuta e non ipotizzabile con buona approssimazione la potenza e la frequenza utilizzata e utilizzabile dalla marina, perché nessun accertamento è stato fatto al riguardo; non ha significato scientifico la definizione di area a rischio come area corrispondente al raggio di 6 dalle antenne, perché essa potrebbe essere misurata solo attraverso un accertamento elettromagnetico, fattibile solo con grande approssimazione e indeterminatezza; la nuova perizia epidemiologica stabilirebbe soltanto un’ipotetica relazione di probabilità statistica tra malattie e decessi e il complesso delle onde elettromagnetiche operanti nell’are, in una situazione in cui sarebbe impossibile distinguere tra radio vaticana e marina e tra altre sorgenti di emissione, come affermato dal perito elettromagnetico; rimarrebbe comunque non dimostrata la relazione causale tra onde e malattie o morti, rilevabile da un’indagine biologica esplicitamente giudicata no fattibile; la sola perizia epidemiologica sarebbe quindi inadeguata e inconcludente.

Inoltre, il provvedimento è in contraddizione con quelli precedentemente adottati dal GIP il quale, esplicitamente, aveva dichiarato di ritenere che la lunga durata di acquisizioni e la dispendiosità economica delle attività peritali avrebbero potuto rendere inutilizzabili i risultati delle perizie, in prossimità della scadenza del termine ultimo per le indagini preliminari.

Ed, ancora, dell’inutilità della perizia aveva consapevolezza il GIP che, nel provvedimento impugnato, afferma che oltre all’indagine epidemiologica vanno effettuate anche indagini biologiche, delle quali non esistono precedenti.

Non sembra possibile riferirsi alla possibilità di esperire anche attività non conclusive ma strumentali per l’apertura di ulteriori scenari di indagini, avendo il GIP individuato e coordinato le indagini avvalendosi di un proprio potere di direzione attribuitogli in via esclusiva: o si ammette che il PM in quanto titolare delle indagini possa procedere liberamente ad attività non conclusive, ma allora in rapporto a tali indagini operano i termini massimi di durata senza deroghe; o il GIP esercita il proprio potere di direzione, e allora sono ammesse deroghe, ma non sarà possibile per il GIP rimettersi alle valutazioni del PM.

Il secondo motivo riguarda l’oggetto dell’attività da espletare.

Il giudice, dopo la prescrizione dell’accertamento epidemiologico, prescrive due indagini di natura e conteuto generici, vaghi e confusi, si tratta delle indagini meglio specificate ai punti a), b) e c) della motivazione, ma poiché nella motivazione compaiono varie lettere non si comprende a cosa si riferisca il rinvio, inoltre, il GIP ha disposto che il PM compia tutte le attività che si rendessero necessarie alla luce degli sviluppi e agli esiti delle predette indagini.

Si tratta di un’indicazione generica e vaga con la quale peraltro il GIP ha conferito al PM un potere di indagine assoluto ed indefinito.

E la mancata indicazione precisa delle attività da svolgere comporta uno stravolgimento dell’intera dinamica delle indagini preliminari.

Stravolgimento di cui è prova l’istanza del PM del 13 apr. 2006 per chiedere l’espletamento di un nuovo incidente probatorio ed ottenere la concessione di un’ulteriore proroga rispetto al termine di 24 mesi già fissato dal GIP.

Allega ampia documentazione.

Il procuratore generale preso questa corte ha presentato la seguente richiesta: il ricorso si appalesa inammissibile per due ragioni: per il principio di tassatività delle impugnazioni l’ordinanza di reiezione della richiesta di archiviazione e di prosecuzione delle indagini non è impugnabile; per raggirare tale inammissibilità il ricorso prospetta la abnormità del provvedimento, che consisterebbe nella ingiustificata torsione del sistema violativo dei principi costituzionali di ragionevolezza e di ragionevole durata del processo.

Si, è, ad evidenza, fuori della categoria delle abnormità.

Infatti, in questo caso non sarebbe violata una regola processuale, ma un principio costituzionale ispiratore del sistema processuale, di carattere tendenziale e privo di immediata recettività.

In secondo luogo, non è ravvisabile ne un’abnormità genetica (trattandosi di provvedimento rientrane nella tipologica dei provvedimenti processuali individuati dal codice), ne un’abnormità funzionale (non venendosi a determinare nessuno stallo della situazione processuale).

Le ragioni di sostegno della richiesta sono assolutamente condivisibili, e ad esse ci si riporta in tutto.

I ricorsi sono inammissibili e i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto dei profili di colpa emergenti, ciascuno al pagamento di euro 1000 a favore della cassa delle ammende ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Roma, 14 nov. 2006.

Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2007.