Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Maggio 2005

Sentenza 15 aprile 2005, n.7791

Corte di Cassazione. Sezioni Unite. Sentenza 15 aprile 2005 n. 7791: “Carenza di potestà giurisdizionale del giudice italiano nei confronti di enti di diritto internazionale al di fuori dei provvedimenti di contenuto esclusivamente patrimoniale”.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 22 novembre 1994 al Pretore di Roma, Paolo De Orsi esponeva di aver lavorato, quale titolare di un rapporto a tempo determinato con mansioni direttive e con scadenza al 31 agosto 1993, alle dipendenze dell’Opera romana pellegrinaggi, avente per statuto la funzione di organizzazione viaggi in luoghi religiosi, ed affermava l’assoggettamento di detto ente alle leggi lavoristiche italiane. Di conseguenza, negata la ricorrenza di alcuna delle condizioni richieste dalla L. 18 aprile 1962 n. 230 per la stipulazione di un contratto di lavoro a termine, chiedeva che, dichiarata la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, l’Opera venisse condannata al pagamento delle retribuzioni a partire dal giorno di effettiva interruzione del rapporto.
Costituitasi la convenuta, la quale affermava la propria natura di organo della Santa Sede, esente dalla giurisdizione italiana ai sensi degli artt. 11 del trattato del Laterano 11 febbraio 1929 e 2 prot. 15 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 20 maggio 1985 n. 206, il Pretore dichiarava il proprio difetto di giurisdizione con decisione del 27 febbraio 1996, riformata con sentenza del 21 febbraio 2001 dal Tribunale, il quale dichiarava la giurisdizione italiana e rimetteva le parti davanti al Pretore di Roma. Esso considerava l’Opera come una “articolazione” del Vicariato di Roma, ente esercitante potestà proprie del Sommo Pontefice nella diocesi dell’Urbe, ossia organo della Santa Sede. L’Opera non rientrava perciò fra gli enti ecclesiastici svolgenti attività diverse da quelle religiose o di culto e perciò soggetti alle leggi dello Stato (art. 7, comma 3, accordo 18 febbraio 1984 tra Italia e Santa Sede; art. 15 l. 20 maggio 1985 n. 222).
Nondimeno, per quanto riguardava le attività strumentali e di contenuto non religioso, quale la conclusione e l’esecuzione di contratti di lavoro in territorio italiano, ancorché in sedi “immuni” al pari di quelle diplomatiche e consolari, non poteva negarsi la giurisdizione del giudice italiano.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione l’opera romana pellegrinaggi mentre il De Orsi resiste con controricorso. Memorie utrinque.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4, n. 2, cod.proc.civ., l. 31 maggio 1995 n. 218, l. 25 marzo 1985 n. 121, 7, comma 3, tratt. Laterano, l. 20 maggio 1985 n. 222, 10 trattato del 1985 tra Italia e Santa Sede, negando la giurisdizione italiana quando, come nel caso di specie, la domanda giudiziale proposta da un lavoratore contro un organo della Santa Sede abbia ad oggetto non semplicemente il pagamento di una somma di denaro ma tenda ad incidere sull’organizzazione interna dell’ente attraverso la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine contrattuale.
Il motivo è fondato.
Le parti non controvertono sul fatto che l’Opera romana pellegrinaggi entri nell’organizzazione del Vicariato di Roma, vale a dire di un ente della Santa Sede, che persegue istituzionalmente finalità religiose e che quale soggetto sovrano e esente da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (art. 11 del trattato fra la Santa Sede e l’Italia dell’11 febbraio 1929). Né controvertono sul fatto che per Le attività di diritto comune, ossia diverse da quelle religiose o di culto, l’opera è assoggettata alle leggi dello Stato (art. 7, coma 3, dell’accordo tra Italia e Santa Sede del 18 febbraio 1984, richiamato dall’art, 15 l. 20 maggio 1985 n. 222) .
Da quest’ultima caratteristica consegue che l’immunità giurisdizionale di cui gode la Santa Sede con i suoi organi ed enti centrali, quale titolare di personalità giuridica internazionale, non riguarda le controversie di lavoro subordinato aventi ad oggetto prestazioni rese sul territorio italiano, quando queste siano di tipo ausiliario ed estranee all’attività ecclesiale, e nemmeno quando, indipendentemente dalla natura delle mansioni, vengano in discussione aspetti esclusivamente patrimoniali, senza incidenza sull’organizzazione e sulle funzioni del datore di lavoro (Cass. 17 novembre 1989 n. 4909, 4910, 4911; 19 marzo 1990 n. 2291).
A tal proposito queste Sezioni Unite hanno distinto in base al contenuto del provvedimento giudiziario chiesto dal lavoratore-attore ed hanno affermato l’immunità dell’ente convenuto quando il provvedimento realizzerebbe un’ingerenza del giudice nell’organizzazione del soggetto di diritto internazionale, come ad esempio nel caso dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro di un dipendente stabilmente inserito nella struttura organizzativa di quel soggetto, e la si è negata quando il lavoratore tenda soltanto ad attribuzioni patrimoniali (Cass. Sez. un. 28 novembre 1991 n. 12771, 18 novembre 1992 n. 12315, 8 giugno 1994 n. 5565, 12 marzo 1999 n. 120, 15 luglio 1999 n. 395).
Deve pertanto distinguersi, nell’ ambito dell’ accertamento che ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. precede ogni sentenza di condanna, e in particolare della condanna ad una prestazione pecuniaria, i casi in cui esso sia suscettibile di produrre la suddetta ingerenza, dai casi in cui la sua portata non valichi i confini della vicenda puramente patrimoniale, giacché, per quanto s ‘ è detto, solo in questi la giurisdizione italiana sussiste. Questa distinzione è chiara ad esempio in Cass. n. 120 del 1999 cit., che ha negato tale giurisdizione nei confronti di un ente di diritto internazionale per quanto atteneva alla domanda di accertamento dell’illegittimità di un licenziamento e di conseguente condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, e l’ha affermata in ordine alla pretesa di retribuzione per prestazioni lavorative già rese.
Nel caso in cui la condanna al pagamento di retribuzioni, formalmente unico oggetto della domanda, debba discendere dall’affermazione giudiziale di un rapporto lavorativo di durata ed a tempo indeterminato, vale a dire da un’affermazione capace di esplicare effetti sull’assetto economico dell’ente di diritto internazionale, la cosa giudicata non solo comprenderebbe l’obbligo di pagare ma si estenderebbe alla detta affermazione, relativa ad una questione pregiudiziale logica.
Già questa Corte ha affermato, con riferimento ai rapporti di durata, che il giudicato relativo alle singole prestazioni si estende all’esistenza del rapporto-base (Sez. un. 7 luglio 1999 n. 383, Sez. lav. 6 marzo 2001 n. 32301).
Nel caso di specie l’attore chiese, con l’atto introduttivo del giudizio, la dichiarazione di nullità, ex l. n. 230 del 1962, della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro avente ad oggetto mansioni di promozione e sviluppo, anche con progetti
speciali, dell’Opera romana pellegrinaggi e svoltosi effettivamente con le mansioni di direttore di un’agenzia. Alla detta dichiarazione di nullità avrebbe dovuto conseguire la condanna al pagamento di retribuzioni non corrisposte, a partire dalla cessazione di fatto del rapporto.
Infatti nel caso di scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro e di comunicazione da parte del datore della conseguente disdetta, non è applicabile la disciplina del licenziamento illegittimo posta dall’art. 18 l. 20 maggio 1980 n. 300, ma l’azione giudiziale del lavoratore ha per oggetto la nullità del termine ed il diritto alla prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto (Cass. Sez. un. 6 luglio 1991 n. 7471), con pagamento delle retribuzioni senza soluzione di continuità.
L’affermazione della giurisdizione italiana sulla sola domanda avente ad oggetto tale prestazione pecuniaria, chiesta ora dal controricorrente, non è possibile poiché l’accoglimento di quella domanda produrrebbe la formazione della cosa giudicata sulla questione pregiudiziale (persistenza di un rapporto a tempo indeterminato), ciò che legittimerebbe il lavoratore a pretendere per il futuro e senza limiti di tempo, rebus et iuribus sic stantibus, di lavorare e comunque a chiedere le retribuzioni, nella forma del risarcimento del danno da inadempimento della locazione d’opere, con finale interferenza della decisione giurisdizionale nell’organizzazione dell’ente oggi ricorrente.
Si tratterebbe infatti di risarcimento non già di un danno permanente da illecito istantaneo bensì di danno da illecito permanente.
In conclusione si deve affermare che nei confronti degli enti estranei all’ordinamento italiano perché enti di diritto internazionale il giudice italiano è carente della potestà giurisdizionale idonea ad interferire nell’assetto organizzativo e nelle funzioni proprie di essi, mentre può emettere provvedimenti di contenuto esclusivamente patrimoniale. Tra questi non può comprendersi la sentenza di condanna ad un pagamento che debba essere logicamente preceduta da un accertamento del danno da interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con prestazioni lavorative attinenti ai fini istituzionali dell’ente datore di lavoro: infatti tale sentenza, una volta passata in giudicato, farebbe stato sia sull’obbligo di pagare sia (questione pregiudiziale logica) sull’obbligo d ricevere a tempo indeterminato le prestazioni lavorative.
All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata (art. 382, terzo coma, cod.proc.civ.) mentre sussistono giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, dichiara il difetto della giurisdizione italiana, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma il 10 febbraio 2005

(Omissis)

Depositata in Cancelleria oggi 15 aprile 2005