Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Luglio 2005

Sentenza 14 novembre 2002, n.574

Corte di Cassazione. Sezioni unite civili. Sentenza 14 novembre 2002, n. 574: “Illegittimità del diniego di conferma di un insegnante di religione dopo la revoca della dichiarazione di idoneità da parte dell’Ordinario diocesano”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CARBONE – Primo Presidente f.f. –
Dott. Massimo GENGHINI – Presidente di sezione –
Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere –
Dott. Roberto PREDEN – Consigliere –
Dott. Giandonato NAPOLETANO – Consigliere –
Dott. Michele VARRONE – Consigliere –
Dott. Luigi Francesco DI NANNI – Consigliere –
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Rel. Consigliere –
Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE & GEOMETRI “G. MANTHONE”, in persona del Preside pro – tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;- ricorrente –

contro

DI MARCO DORIANA, ROTONDI VITTORIA;- intimati –

avverso la decisione n. 6133-00 del Consiglio di Stato di ROMA, depositata il 16-11-00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14-11-02 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito l’Avvocato RAGO, dell’Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Alberto CINQUE che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto.

Fatto

con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo Doriana Di Marco impugnava il diniego di conferma da parte del preside dell’istituto tecnico commerciale e per geometri “G. Manthonè” di Pescara per l’anno scolastico 1989 – 1990, a seguito della revoca della dichiarazione di idoneità da parte dell’ordinario diocesano, nell’incarico di insegnamento della religione, nonché il provvedimento di nomina, al suo posto, della professoressa Vittoria Rotondi.
La Di Marco rilevava che Ìordinario diocesano aveva revocato la valutazione di idoneità nei suoi confronti con riferimento alla scuola per la quale in passato aveva riconosciuto detta idoneità e nella quale insegnava da molti anni e nello stesso giorno aveva rilasciato dichiarazione di idoneità in suo favore per una scuola dello stesso ordine ubicata in diversa località.
Nella resistenza dell’istituto scolastico il Tribunale Amministrativo Regionale con sentenza del 12 gennaio – 10 febbraio 1995 dichiarava illegittima la mancata conferma della ricorrente nell’incarico in oggetto ed annullava Ìatto di conferimento dell’incarico alla Rotondi.
L’appello proposto dall’istituto scolastico era respinto dal Consiglio di Stato con decisione del 24 marzo – 16 novembre 2000. In tale pronuncia si osservava che dalla normativa di riferimento, e segnatamente dagli artt. 5 e 6 della legge 5 giugno 1930 n. 824, dalla legge 25 marzo 1985 n. 121 di ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, modificativo del Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, nella parte in cui dà esecuzione all’art. 9 n. 2 dell’accordo stesso, e dall’art. 309 comma 2 del decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 si evinceva con chiarezza che Ìidoneità degli insegnanti di religione deve essere riconosciuta dall’autorità ecclesiastica e che la loro nomina va disposta dall’autorità scolastica d’intesa con essa. Peraltro una lettura costituzionalmente corretta di dette disposizioni, anche sulla base delle indicazioni fornite nella nota sentenza della Corte Costituzionale n. 390 del 1999 che aveva dichiarato non fondata, con riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97 Cost., una questione di costituzionalità concernente la disciplina della nomina annuale degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche, consentiva di argomentare che Ìattribuzione in via esclusiva ai competenti organi ecclesiastici del giudizio circa la idoneità all’insegnamento, se certamente determina l’impossibilità per il giudice italiano di censurare in sè Ìatto valutativo in discorso, non esclude che detto atto si configuri come endoprocedimentale, in quanto finalizzato all’emissione del provvedimento di nomina di competenza statale, e quindi resti soggetto, perché possa costituire valido presupposto per la legittimità dell’atto di nomina e della sua revoca, ad un riscontro del suo corretto esercizio secondo criteri di ragionevolezza e di non arbitrarietà.
Si osservava altresì che una diversa interpretazione del sistema normativo in esame, tale da comportare l’acritico recepimento di atti autorizzatori dell’autorità ecclesiastica palesemente abusivi e privi delle fondamentali caratteristiche che l’ordinamento riconosce agli atti amministrativi, avrebbe dovuto ritenersi non conforme alla Costituzione.
In applicazione di tali principi si affermava che la palese contraddittorietà, non supportata da alcuna motivazione, del provvedimento dell’ordinario diocesano di revoca della dichiarazione di idoneità della Di Marco ad insegnare nella scuola per la quale il predetto aveva in passato riconosciuto l’idoneità rispetto all’altro provvedimento emesso nello stesso giorno, dichiarativo della idoneità relativamente ad altra scuola del medesimo ordine, valeva a configurare uno “straripamento di potere”, tale da porre l’atto autorizzatorio al di fuori di ogni regola posta dal nostro ordinamento in ordine ai requisiti idonei a conferire agli atti l’efficacia loro propria secondo lo schema normativo di riferimento.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a queste sezioni unite l’Istituto tecnico commerciale e per geometri “G. Manthonè” deducendo un unico complesso motivo. Non vi è controricorso.

Diritto

Con l’unico complesso motivo, denunciando difetto di giurisdizione per violazione dei principi in materia di Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica ai sensi dell’art. 7 Cost., degli artt. 5 comma 1 e 6 della legge 5 giugno 1930 n. 824, degli artt. 309 comma 2 del decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 e 9 n. 2 dell’accordo di revisione del Concordato e punto 5 del protocollo addizionale, del d,p.r. 16 dicembre 1985 n. 751 e del d.p.r. 23 giugno 1990 n. 202, in relazione all’art. 360 n. 1, 3 e 5 c.p.c., difetto di motivazione, si deduce che il Consiglio di Stato, nel configurare la dichiarazione di idoneità all’insegnamento emessa dall’ordinario diocesano come atto endoprocedimentale nell’ambito del procedimento di nomina dell’insegnante, in quanto tale suscettibile di sindacato, ha violato i limiti esterni della propria giurisdizione. Si sostiene in contrario che il principio costituzionale di autonomia della Chiesa cattolica rispetto allo Stato italiano imponeva di qualificare la dichiarazione dell’autorità ecclesiastica come un presupposto di mero fatto rispetto al successivo provvedimento di nomina, del tutto insindacabile dal giudice italiano.
Il motivo è inammissibile.
Costituisce orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato che il controllo delle sezioni unite della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato rispetto dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale, cui invece attengono gli errori in iudicando e in procedendo: ed invero detti errori esorbitano dai confini dell’astratta valutazione di sussistenza degli indici definitori della materia ed attengono all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, investendo quindi l’accertamento della fondatezza o meno della domanda (v. sul punto, ex plurimis, S.U. 2002 n. 9558; 2002 n. 5283; 2002 n. 385; 2001 n. 16220; 2001 n. 10012; 2000 n. 1327).
Nella specie il Consiglio dì Stato era chiamato a giudicare della legittimità di provvedimenti amministrativi del preside dell’istituto scolastico nel quadro della complessa disciplina, dettata nel contesto dell’impegno concordatario, riguardante l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
Come è noto, e come puntualmente ricorda il ricorrente, la legge 5 giugno 1930 n. 824, emessa nel vigore del Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, all’art. 5 comma 1 dispone che l’insegnamento religioso è affidato per incarico a persone scelte all’inizio dell’anno scolastico dal capo dell’istituto, “inteso l’ordinario diocesano”, ed all’art. 6 prevede che l’incarico stesso possa essere revocato, anche durante l’anno scolastico, “di accordo con l’autorità ecclesiastica”.
È noto altresì che l’accordo ratificato con la legge n. 121 del 1985, di modifica del Concordato lateranense, all’art. 9 n. 2 afferma che “la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”, e che il relativo protocollo addizionale dispone al punto 5, in relazione al richiamato art. 9, che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole suindicate è impartito, in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni, da “insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica”.
Ancora, l’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana, alla quale è stata data esecuzione con il d.p.r. 16 dicembre 1985 n. 751, sancisce al punto 2.5 che “l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale”, e precisa al punto 2.6 bis (aggiunto dall’intesa eseguita con il d.p.r. 23 giugno 1990 n. 202) che il riconoscimento di idoneità all’insegnamento “ha effetto permanente salvo revoca da parte dell’ordinario diocesano”.
Infine, il decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297, contenente il testo unico delle disposizioni vigenti in materia di istruzione per le scuole di ogni ordine e grado, riafferma al primo comma dell’art. 309 che la disciplina dell’insegnamento della religione cattolica è dettata dall’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, dal relativo protocollo addizionale e dalle intese in esso previste, e ribadisce al secondo comma che il capo di istituto conferisce incarichi annuali “d’intesa con l’ordinario diocesano secondo le disposizioni richiamate nel comma 1”.
In tale quadro normativo di riferimento il Consiglio di Stato, chiamato a giudicare della legittimità del diniego di conferma della Di Marco e del conferimento dell’incarico ad altra insegnante, pur dando atto del potere esclusivo attribuito all’ordinario diocesano di valutare l’idoneità dei soggetti chiamati ad insegnare la dottrina della Chiesa, in relazione alle garanzie che essi offrano di essere fedeli interpreti dei suoi principi, ha configurato la dichiarazione di idoneità quale atto endoprocedimentale finalizzato al provvedimento finale, in quanto tale suscettibile di valutazione sotto il profilo della conformità ai criteri di “ragionevolezza e di non arbitrarietà” propri del nostro ordinamento. A fronte del convincimento così espresso le deduzioni del ricorrente, volte a prospettare una violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice italiano in forza della assoluta insindacabilità – che la decisione impugnata avrebbe erroneamente negato – della valutazione formulata dall’ordinario diocesano non pongono una questione attinente alla giurisdizione, ma unicamente una “questione interna” alla stessa giurisdizione, in quanto investono il modo in cui il Consiglio di Stato ha esercitato i suoi poteri di legittimità, e pertanto si risolvono in una inammissibile prospettazione di errores in iudicando, atteso che la contestazione della conformità a legge del principio di diritto enunciato integra una questione di violazione di norme di diritto.
Ed invero il giudice amministrativo, ritenendo in linea di diritto che il recepimento nel provvedimento finale del capo di istituto dell’atto autorizzatorio dell’autorità ecclesiastica postuli il corretto esercizio del potere conferito all’ordinario diocesano secondo i richiamati criteri di “ragionevolezza e di non arbitrarietà”, ha espresso una soluzione interpretativa che può essere opinabile, ma che si profila pur sempre funzionale all’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ed è quindi riconducibile allo schema proprio del giudizio di legittimità.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese processuali, non avendo svolto la parte intimata attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle sezioni unite civili.