Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Maggio 2004

Sentenza 14 luglio 2003, n.11467

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile.
Sentenza 14 luglio 2003, n. 11467.

Presidente Losavio, Relatore Magno.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo mezzo, il ricorrente censura la sentenza impugnata, in base all’articolo 360, 1° co., n. 5, c.p.c., per contraddittorietà della motivazione giacchè, pur avendo essa ritenuto correttamente che la dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario, pronunziata dal tribunale ecclesiastico e ritualmente delibata, aveva determinato lo scioglimento della comunione legale ai sensi dell’articolo 191 c.c., rendendo così applicabile la disciplina della comunione ordinaria, aveva poi dichiarato inammissibile la prova tendente ad accertare le effettive quote di comproprietà, secondo il regime proprio di quest’ultima.
Col secondo mezzo, la censura a esplicitata, ai sensi dell’articolo 360, 1° co., n. 3, c.p.c., come falsa applicazione degli articoli 177, 191, 1100, 1111 e 1114 c.c., sul presupposto che, venuta meno la comunione legale per effetto dell’annullamento del matrimonio, non sarebbe più applicabile la presunzione assoluta di comproprietà del bene per quote paritarie e subentrerebbe il regime di comunione ordinaria, in cui tale presunzione e superabile con ogni mezzo, compresa la prova testimoniale e quella per giuramento suppletorio, ingiustamente esclusa dalla corte territoriale.
I motivi di gravame sopra sintetizzati, da esaminare congiuntamente stante la loro stretta interconnessione logica, sono infondati, per le ragioni di seguito espresse.
Il ricorrente ritiene che «la sentenza di nullità del matrimonio concordatario […] ha costituito causa di scioglimento della comunione legale ex art. 191 c.c., con applicazione della disciplina della comunione ordinaria». L’ultima parte di tale affermazione, condivisa dalla corte di merito, è inesatta e la sentenza impugnata deve essere corretta, sul punto, ai sensi dell’articolo 384, 2° co., c.p.c.
In realtà, la comunione legale sul bene immobile dedotto in lite, pur dopo l’avvenuto scioglimento, ai sensi dell’articolo 191 c.c., con effetto ex nunc – debba tale effetto farsi risalire alla data di delibazione della sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio ovvero a quella, precedente, di passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale, pronunziata fra le parti dal tribunale di Trento il 3.3.1988 (cfr., fra le piu recenti, Cass. nn. 2844/2001, 9325/1998, 8707/1998) – non si trasforma, di per se, in comunione ordinaria e non soggiace alla relativa disciplina, segnatamente con riguardo alla divisione dei beni comuni, che deve essere effettuata necessariamente in parti uguali, secondo il disposto dell’articolo 194, 1° co., c.c. (come sostituito dall’articolo 73, legge 19 maggio 1975, n. 151), stante anche l’inderogabilità convenzionale delle norme relative all’uguaglianza delle quote nella comunione legale (articolo 210, 3° co., c.c., come sostituito dall’articolo 79, legge n. 151/1975 cit.).
Sostiene, però, parte ricorrente che, divenuta efficace nello Stato, per effetto della delibazione (sentenza 27.6.1995 della Corte d’Appello di Trento), la pronunzia ecclesiastica di nullità del matrimonio, la comunione legale dei beni tra coniugi, quale regolata dagli articoli 177 ss., c.c. sarebbe automaticamente venuta meno insieme col matrimonio, sicchè dovrebbe applicarsi la disciplina della comunione ordinaria, dettata dagli articoli 1100 e ss., stesso codice, in virtù della quale l’eguaglianza delle quote dei partecipanti a oggetto di presunzione semplice (art. 1101 c.c.), superabile mediante prova del contrario.
La censura, anche se riguardata sotto questo diverso aspetto, risulta destituita di giuridico fondamento, dovendosi ritenere che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio rende applicabili, per effetto della delibazione, le norme sopra citate regolanti casi e modalità di scioglimento della comunione dei beni fra coniugi; comunione che continua a sussistere nella forma legale, al fine della divisione in parti eguali dell’attivo e del passivo (articolo 194, 1° co., c.c.), per espressa volontà di legge, la cui ratio coincide con le motivazioni – parità fra i coniugi e tutela di quello economicamente più debole (C. cost. n. 6/1987) – ispiratrici della riforma del 1975 in materia di regime patrimoniale preferenziale della famiglia (articolo 159 c.c., come sostituito dall’articolo 41, legge n. 151/1975).
Per tutte le argomentazioni che precedono, i primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminati, debbono essere rigettati, essendosi ritenuto conforme a diritto che la divisione dei beni oggetto della comunione legale fra coniugi, conseguente allo scioglimento di essa per una delle cause indicate nell’articolo 191 c.c., si effettui in parti eguali, secondo il disposto del successivo articolo 194, senza possibilità di prova di un diverso apporto economico degli acquirenti, non essendo luogo all’applicazione della disciplina della comunione ordinaria.
Il terzo motivo di ricorso – con cui si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 356, 359, 184 c.p.c., per mancata ammissione del giuramento suppletorio, tendente ad escludere la presunzione (semplice) di pari diritto di comproprietà sul bene fra i coniugi, sul presupposto di una residuale comunione “ordinaria” conseguente all’annullamento del matrimonio – e chiaramente assorbito.
Nulla devesi riguardo alle spese di questo giudizio, perchè la parte intimata non vi ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.