Sentenza 14 luglio 1999, n.343
Corte Costituzionale – Sentenza n. 343 del 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Dott. Renato GRANATA Presidente
– Prof. Giuliano VASSALLI Giudice
– Prof. Francesco GUIZZI ”
– Prof. Cesare MIRABELLI ”
– Prof. Fernando SANTOSUOSSO ”
– Avv. Massimo VARI ”
– Dott. Cesare RUPERTO ”
– Dott. Riccardo CHIEPPA ”
– Prof. Gustavo ZAGREBELSKY ”
– Prof. Valerio ONIDA ”
– Prof. Carlo MEZZANOTTE ”
– Avv. Fernanda CONTRI ”
– Prof. Guido NEPPI MODONA ”
– Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI ”
– Prof. Annibale MARINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 11 della legge 27 dicembre 1989, n. 417 (esattamente: del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, recante “Norme in materia di reclutamento del personale della scuola”, convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1996 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Maria Grazia Tosé contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di costituzione di Maria Grazia Tosé nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi l’avvocato Carlo Rienzi per Maria Grazia Tosé e l’avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso da una insegnante che chiedeva l’annullamento di due decreti con i quali la Sovrintendenza scolastica interregionale per l’Abruzzo e il Molise aveva annullato le prove d’esame sostenute dalla ricorrente per conseguire l’abilitazione all’insegnamento delle discipline letterarie in una sessione riservata al personale che aveva prestato servizio nelle scuole statali, ed aveva disposto la esclusione della stessa insegnante dal concorso, per soli titoli, di accesso ai ruoli del personale docente, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza emessa il 3 giugno 1996 (pervenuta il 10 luglio 1997), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 11 della legge 27 dicembre 1989, n. 417 (esattamente: del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417), nella parte in cui escludono dalla sessione riservata degli esami di abilitazione i docenti di religione.
Le disposizioni denunciate, inserite nel contesto delle norme in materia di reclutamento del personale della scuola, dettate con il decreto-legge n. 357 del 1989, prevedono l’accesso ai ruoli del personale docente mediante concorsi per soli titoli, ai quali possono partecipare coloro che hanno prestato (per almeno trecentosessanta giorni, anche non continuativi, nel triennio precedente) servizio, negli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado, per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, nonchè per insegnamenti relativi a classi di concorso (art.2, comma 10, lettera b). Le stesse disposizioni prevedono, inoltre, che i docenti non abilitati, in possesso dei requisiti di servizio prima richiamati, possono partecipare ad una sessione riservata per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento (art. 11, comma 3, dello stesso decreto-legge n.357 del 1989).
Nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, la ricorrente era in possesso della laurea in filosofia, titolo di studio richiesto per la classe di concorso “materie letterarie”, per la quale aveva presentato domanda di partecipazione alla sessione riservata degli esami di abilitazione, ma le sarebbe mancato il requisito del servizio di insegnamento per classi di concorso, giacchè l’insegnamento della religione, prestato dalla ricorrente, non é compreso tra le classi stabilite dalle tabelle annesse al decreto ministeriale 3 settembre 1982.
Il giudice rimettente ritiene che la esclusione degli insegnanti di religione dagli esami di abilitazione per discipline diverse da quella insegnata, ma per le quali siano in possesso del titolo di studio richiesto, determini una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri docenti i quali, purchè in possesso del titolo di studio, verrebbero ammessi a sostenere gli esami di abilitazione anche in discipline diverse, pur se comprese in classi di concorso diverse da quella per la quale hanno prestato il servizio di insegnamento.
Il giudice rimettente sottolinea che le norme sullo stato giuridico del personale insegnante non di ruolo, stabilite dalla legge 19 marzo 1955, n. 160, si applicano anche agli insegnanti di religione, i quali espletano, come gli insegnanti di altre discipline, tutte le attività connesse con la funzione docente, definita dall’art. 395 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione (approvato con il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297).
Lo stesso giudice, ritenendo non necessaria la corrispondenza, ai fini della partecipazione ai concorsi previsti dalle disposizioni denunciate, tra le materie insegnate ed inserite in classi di concorso e quella per la quale si chiede l’abilitazione, considera irragionevole ed ingiustificata una diversa disciplina delle situazioni messe a raffronto e dubita che le norme denunciate violino i principi di eguaglianza e di imparzialità della pubblica amministrazione.
2. – Si é costituita dinanzi alla Corte la parte ricorrente nel giudizio principale, depositando successivamente una memoria per sostenere la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
La parte privata ritiene che le norme denunciate impedirebbero, a chi ha prestato servizio quale insegnante di religione nel periodo e per la durata richiesti, sia di sostenere gli esami per il conseguimento dell’abilitazione nella sessione riservata sia di essere ammesso al concorso per soli titoli; ciò esclusivamente per la mancata corrispondenza tra il servizio prestato ed una classe di concorso prevista dalle relative tabelle. Ne deriverebbe una disparità di trattamento, giacchè l’insegnamento, quale che sia la disciplina, rientra nella funzione docente. Inoltre l’insegnante di religione avrebbe gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, sicchè costituirebbe una irragionevole discriminazione escluderli dalla possibilità di conseguire una abilitazione nella sessione riservata a chi ha prestato servizio di insegnamento per il tempo prescritto. Difatti per partecipare a questo esame si prescinderebbe dal servizio svolto nella materia compresa nella classe di concorso cui si intende partecipare, essendo considerato utile anche l’insegnamento impartito in una materia diversa, purchè compresa in altre classi di concorso.
3. – E’ intervenuto nel giudizio dinanzi alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
In una memoria depositata in prossimità dell’udienza l’Avvocatura descrive la evoluzione della disciplina concordataria relativa all’insegnamento della religione cattolica e sottolinea che l’incarico di questo insegnamento costituisce un atto complesso, che si formalizza con la nomina del capo di istituto, ma che richiede la proposta nominativa da parte dell’autorità diocesana che attesta l’idoneità.
Pur essendo stata riconosciuta agli insegnanti di religione parità di posizione con i docenti non di ruolo incaricati a tempo indeterminato, la loro assunzione sarebbe estranea al sistema dei concorsi e delle graduatorie previsto per tutti gli altri insegnanti. Essi costituirebbero una categoria a parte, istituzionalmente sottratta, per le caratteristiche del loro rapporto di servizio, alle problematiche del precariato nelle scuole statali e delle disposizioni intese a sanare posizioni di precariato con modalità agevolate di conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento o di immissione in ruolo.
L’insegnamento in questione, inoltre, si collegherebbe al regime concordatario, sicchè il legislatore non avrebbe potuto, senza nemmeno avvalersi dello strumento pattizio, ascrivere a classe di concorso l’insegnamento della religione cattolica o considerare utile e valutabile di per sè il servizio prestato per quell’insegnamento, sia ai fini del conseguimento dell’abilitazione in una sessione riservata sia ai fini della partecipazione ai concorsi a cattedre per soli titoli.
In riferimento al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), non costituirebbe una discriminazione riservare lo speciale sistema dei concorsi di accesso ai ruoli statali a chi presta servizio per discipline che corrispondono a quei ruoli e non includere gli insegnanti di religione, la cui condizione ha caratteri di accentuata atipicità.
Quanto al principio di buon andamento ed organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.), ad avviso dell’Avvocatura l’amministrazione scolastica potrebbe legittimamente preferire la utilizzazione, per la sistemazione definitiva nei propri ruoli, della specifica esperienza professionale e didattica degli insegnanti partecipi di un rapporto interamente svolto entro la sfera dell’autorità scolastica statale.
Considerato in diritto
1. – La questione di legittimità costituzionale investe le norme in materia di reclutamento del personale della scuola (dettate con il decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357), le quali richiedono, tra i requisiti per essere ammessi ai concorsi, per soli titoli, di accesso ai ruoli del personale docente e per partecipare ad una sessione riservata di esami di abilitazione all’insegnamento, un servizio prestato negli istituti e scuole statali per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, nonchè per insegnamenti relativi a classi di concorso.
Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, gli artt. 2 (comma 10, lettera b), e 11 (comma 3) del decreto-legge n. 357 del 1989, che dettano queste norme, non consentirebbero agli insegnanti di religione – i quali abbiano prestato servizio per la durata e nel periodo previsti e siano in possesso del titolo di studio richiesto per l’insegnamento per il quale intendono conseguire l’abilitazione o accedere ai ruoli – di partecipare alle sessioni di abilitazione ed ai concorsi riservati, giacchè l’insegnamento da essi prestato non é compreso tra quelli relativi a classi di concorso. Da ciò deriverebbe la violazione dei principi di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 3, primo comma, e art. 97, primo comma, Cost.), in quanto non sarebbe giustificata la diversità di trattamento di questa categoria di insegnanti, il cui stato giuridico é equiparato a quello degli altri insegnanti non di ruolo, i quali invece verrebbero ammessi a partecipare ai concorsi per titoli ed a sostenere gli esami di abilitazione nella sessione riservata, anche per insegnamenti diversi da quelli per i quali hanno prestato servizio, purchè in possesso del titolo di studio richiesto.
2. – La questione non é fondata.
Le norme in materia di reclutamento del personale della scuola – emanate, come afferma il preambolo del decreto-legge n. 357 del 1989, per la ritenuta esigenza di provvedere, con la dovuta tempestività, alla copertura dei posti vacanti con personale di ruolo, in modo da assicurare l’ordinato svolgimento dell’anno scolastico 1989-1990 – prevedono modalità semplificate di accesso ai ruoli del personale docente, mediante concorsi per soli titoli, riservati a chi sia in possesso di un duplice requisito: abbia in precedenza superato prove di concorso o di esame, anche ai soli fini abilitativi, ed abbia maturato una consistente esperienza didattica, acquisita con l’insegnamento, svolto sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, corrispondente a posti di ruolo o relativo a classi di concorso (art. 2, comma 10, lettera b).
La sessione per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, riservata ai docenti che abbiano prestato tale servizio, é considerata utile anche per acquisire uno dei requisiti necessari per l’ammissione al concorso per soli titoli di accesso ai ruoli (art. 11, comma 3).
Il meccanismo preordinato dal legislatore si basa sullo stretto collegamento tra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento prestato e superamento di prove di esame, sempre nel contesto del medesimo ambito disciplinare.
L’insegnamento non costituisce una generica e comune esperienza didattica da far valere in ogni settore disciplinare, ma uno specifico elemento di qualificazione professionale per impartire l’insegnamento corrispondente al posto di ruolo cui si intende accedere. Difatti, nello stesso contesto normativo, il legislatore ha disposto che il servizio riferito ad un insegnamento diverso da quello inerente al concorso non sia valutato quale titolo (art. 2, comma 17, del decreto-legge n. 357 del 1989).
Parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la specifica esperienza didattica del candidato costituisca un elemento di qualificazione professionale da verificare in sede di esame e che verrebbe elusa la stessa ragione della sessione riservata, qualora l’insegnamento prestato dal candidato e sul quale in sede di esame devono vertere le prove avesse caratteristiche e contenuti diversi da quelli degli insegnamenti relativi alla specifica classe di abilitazione alla quale si intende essere ammessi.
L’apertura interpretativa, effettuata da altra parte della giurisprudenza amministrativa orientata a non precludere l’ammissione alla sessione riservata degli esami di abilitazione anche se l’insegnamento sia stato prestato per una classe di concorso diversa da quella per la quale si sia chiesto di partecipare, ha tuttavia riguardo a classi di concorso affini, per le quali lo stesso titolo di studio, in base al quale si é prestato il servizio, dà accesso ad entrambe le classi considerate, sicchè l’insegnamento basato su quel titolo consente di maturare una esperienza didattica specifica, ma comune alle classi stesse. Ciò che, appunto, giustifica l’adozione di una verifica semplificata della professionalità, in sessioni riservate di esame o di concorso.
A questa situazione non é assimilabile quella degli insegnanti di religione, il cui servizio é prestato sulla base di specifici profili di qualificazione professionale (determinati con l’intesa tra autorità scolastica e Conferenza episcopale italiana, cui ha dato esecuzione il d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751), i quali, di per sè, non costituiscono titolo di accesso ad altri insegnamenti.
Risulta così esclusa la discriminazione ipotizzata dall’ordinanza di rimessione o la irragionevolezza, prospettata anche per argomentare la lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 11 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357 (Norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito, con modificazioni, nella legge 27 dicembre 1989, n. 417, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.
Autore:
Corte Costituzionale
Dossier:
Lavoro e Religione
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Discriminazione, Ruolo, Religione Cattolica, Concorso, Insegnanti, Legittimità costituzionale, Non fondata, Esclusa
Natura:
Sentenza