Sentenza 14 febbraio 2008, n.3709
Cassazione civile, Sez. I, Sentenza 14 febbraio 2008, n. 3709: “Matrimonio concordatario e prova della riserva mentale”.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente
Dott. MORELLI Mario Rosario – Consigliere
Dott. PANZANI Luciano – rel. Consigliere
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare 109, presso l’avv. D’ANDREA Luciano, che lo rappresenta e difende con il prof. avv. Nicola Bartone, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
B.A.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Baldassarre 26, presso l’avv. Rita Mone, rappresentata e difesa dagli avv.ti RICIGLIANO Maurizio e Luigi Battaglino del foro di s. Maria Capua Vetere giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3296/04 del 18.11.2004;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/1/08 dal Relatore Cons. Dott. Luciano Panzani;
Udito gli avv.ti Bartone e D’Andrea per il ricorrente, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
F.L. conveniva B.A.M. avanti alla Corte d’appello di Napoli per sentir dichiarare efficace in Italia la sentenza emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano il 26.11.1997, confermata dal Tribunale di appello presso il Vicariato di Roma e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti in (OMISSIS) il (OMISSIS) per esclusione da parte dell’attore dell’indissolubilità del vincolo.
Nel costituirsi la B. sosteneva l’infondatezza della domanda eccependo il contrasto della sentenza ecclesiastica con l’ordine pubblico interno italiano, fondandosi essa su di una riserva mentale unilaterale non portata a conoscenza dell’altro coniuge.
La Corte d’appello con sentenza 18.11.2004 rigettava la domanda sul presupposto che la riserva mentale del F. in ordine all’indissolubilità del vincolo, accertata dal giudice ecclesiastico, non fosse stata portata a conoscenza della B., sì che andava tutelato l’affidamento incolpevole di quest’ultima secondo i principi inderogabili di ordine pubblico interno dell’ordinamento italiano. Dall’esame degli atti del giudizio vertito avanti al Tribunale ecclesiastico in primo e secondo grado non si evinceva la prova che il F. prima della celebrazione del matrimonio avesse manifestato alla B. la sua volontà di escludere l’indissolubilità del vincolo. Le dichiarazioni dell’attore e dei testi escussi per suo conto non erano rilevanti. In particolare le deposizioni erano de relato ex parte actoris e pertanto non avevano alcuna efficacia probatoria.
Era poi ininfluente che la B. non si fosse costituita nel giudizio ecclesiastico di appello e avesse reso una dichiarazione scritta in data 17.4.1999 in cui dava atto di non aver alcuna eccezione da proporre e di confermare la validità della sentenza di primo grado. Tale dichiarazione stava soltanto a significare che la B. aveva riconosciuto l’esistenza della causa di nullità del matrimonio canonico, ma nulla diceva in ordine alla conoscenza della riserva mentale del coniuge, che era tema estraneo a quel giudizio.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione il F. articolando un unico motivo di ricorso. Resiste con controricorso la B..
Motivi della decisione
1. Il ricorrente con l’unico complesso motivo in cui non indica le norme di legge violate, osserva che la Corte d’appello avrebbe fondato la sua decisione su tre assunti: a) la coincidenza tra ordine pubblico italiano e principio di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole; b) l’irrilevanza ai fini della prova delle dichiarazioni dell’attore e dei testi de relato ex parte actoris nel giudizio ecclesiastico; e) l’inesistenza di un’ammissione di conoscenza della riserva mentale del marito da parte della B. nella dichiarazione inviata al Tribunale ecclesiastico di secondo grado.
Con ciò la Corte d’appello avrebbe violato le norme in tema di ordine pubblico interno dell’ordinamento italiano e reso una motivazione apparente. Questa Corte avrebbe già riconosciuto con la sentenza 2325/99 che la valutazione della rilevanza della deposizione de relato ex parte actoris andrebbe compiuta caso per caso, senza che sia possibile escluderne a priori l’attendibilità, specie quando sia questione degli stati d’animo e delle opinioni del nubente. il limite rappresentato dal principio dell’affidamento andrebbe ridimensionato nei limiti della conoscibilità della riserva mentale da parte dell’altro coniuge.
Ancora la Corte d’appello avrebbe obliterato le dichiarazioni dei testi F.A., T.L., F.M., C. A., C.N., deposizioni che avevano portato i giudici ecclesiastici ad osservare che dal testimoniale risultava, con minor certezza rispetto al F., che anche la B. era d’accordo prima del matrimonio sulla possibilità di ricorrere al divorzio in caso di esito infausto del matrimonio.
Infine quanto alla dichiarazione resa dalla B. al giudice ecclesiastico di secondo grado avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere che da tale dichiarazione non si potesse ricavare alcunchè in ordine alla conoscenza della riserva mentale perchè la B. non ebbe nulla ad obiettare sulla veridicità delle deposizioni raccolte e perchè oggetto di accertamento da parte del giudice ecclesiastico era l’esclusione dal consenso nuziale della specifica proprietà dell’indissolubilità del vincolo da parte di entrambi i coniugi.
2. Va anzitutto premesso che è infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente per non aver il F. indicato nel ricorso le norme di legge che assume violate dalla Corte d’appello.
Tali norme, infatti, pur se non espressamente indicate, sono facilmente individuabili nel principio dell’ordine pubblico quale limite al riconoscimento da parte del giudice italiano della sentenza ecclesiastica che pronuncia la nullità del matrimonio, in forza del combinato disposto dell’art. 8, comma 2, lett. c) dell’Accordo del 1984 di modifica del Concordato lateranense del 1929 e della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g), come meglio si vedrà in prosieguo.
Ed è appena il caso di ricordare che l’indicazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicchè la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del “quid disputandum” (ex multis cfr. Cass. 4.6.2007, n. 12929).
Il motivo è parzialmente fondato.
Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte è costante – anche nell’interpretazione dell’Accordo del 1984, di modifica del Concordato lateranense del 1929 – nel ritenere che la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico, che ha pronunciato la nullità del matrimonio concordatario, per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè la divergenza unilaterale fra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che questi l’abbia in concreto conosciuta, oppure che non l’abbia potuta conoscere a cagione della propria negligenza, atteso che, ove quella nullità venga fondata su una simulazione unilaterale non conosciuta, nè conoscibile, la delibazione della relativa pronuncia trova ostacolo nella contrarietà con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va compreso l’essenziale principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass. 2 dicembre 1993 n. 11951; Cass. 14.3.1996, n. 2138; Cass. 28.1.2005, n. 1822). Il vincolo rappresentato dal rispetto del principio dell’ordine pubblico trova fondamento nel combinato disposto dell’art. 8, comma 2, lett. e) dell’Accordo del 1984 di modifica del Concordato lateranense del 1929 e della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g). In proposito la L. n. 218 del 1995, fa espressamente salve le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, precisando che la “presente legge” non pregiudica le convenzioni internazionali, con la conseguenza che, ove non incompatibili, sia le disposizioni contenute nella convenzione internazionale sia quelle previste dalla legge processuale nazionale di diritto privato debbono trovare applicazione.
A tale principio, più volte confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, si è correttamente attenuta la Corte d’appello.
Non sussiste la lamentata illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che dalla dichiarazione resa dalla B. nel corso del giudizio di secondo grado davanti ai giudici ecclesiastici non si potesse trarre alcuna conseguenza in ordine alla conoscenza da parte della stessa della riserva mentale del marito, prima del matrimonio.
La Corte d’appello ha osservato che la dichiarazione, con cui la B. affermava di non aver alcuna eccezione da proporre, ma di confermare la validità della sentenza resa in primo grado dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano di Napoli, significava che la convenuta aveva riconosciuto l’esistenza della causa di nullità del matrimonio accertata dai giudici di primo grado. Poichè però tale nullità derivava dalla riserva mentale del F., non se ne poteva inferire che con ciò la B. avesse ammesso di essere stata a conoscenza di tale riserva mentale, perchè questo profilo, la conoscenza della riserva mentale del futuro coniuge, era tema d’indagine del giudizio di delibazione e non del giudizio ecclesiastico.
In senso contrario il ricorrente sostiene che, poichè nel libello introduttivo del giudizio ecclesiastico era stato dedotto che la nullità poteva fondarsi sull’esistenza dell’esclusione dell’indissolubilità del vincolo anche da parte della B., con la sua dichiarazione la controricorrente avrebbe ammesso la circostanza. E ancora la dichiarazione avrebbe significato riconoscimento della veridicità del materiale probatorio raccolto.
E’ peraltro evidente che in questi termini la censura proposta è inammissibile perchè essa non coglie alcun profilo d’illogicità o contrasto della motivazione della sentenza impugnata con le risultanze probatorie, ma pretende di sostituire alla valutazione che del contenuto della dichiarazione è stato effettuato dalla Corte d’appello, pienamente logico in quanto fondato sull’oggetto del giudizio ecclesiastico in rapporto all’oggetto del giudizio di delibazione, una diversa valutazione. Si tratta quindi di una censura di merito, come tale inammissibile in questa sede di legittimità.
Il terzo profilo del ricorso è invece fondato.
La Corte d’appello ha affermato che nessuna rilevanza probatoria, ai fini della dimostrazione della riconoscibilità della riserva mentale, poteva essere attribuita alle dichiarazioni del F. e alle dichiarazioni dei testi, trattandosi di dichiarazioni de relato ex parte actoris.
Mentre si può concordare sul fatto che le dichiarazioni rese dalla parte siano del tutto prive di efficacia probatoria, va osservato che in generale questa Corte ha affermato che la deposizione “de relato ex parte actoris”, se riguardata di per sè sola, non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario; può tuttavia assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive ad essa intrinseche o da risultanze probatorie acquisite al processo che concorrano a confortarne la credibilità (Cass. 19.5.2006, n. 11844; Cass. 4.6.1999, n. 5526).
Con riferimento al particolare tema oggetto d’indagine occorre considerare che la prova della riserva mentale è prova di uno stato psicologico che rimane confinato all’interno della personalità del soggetto agente. Le dichiarazioni dello stesso sono il mezzo con cui tale stato soggettivo, non altrimenti conoscibile, viene esternato e può essere conosciuto dai terzi. Sotto questo profilo le dichiarazioni de, relato ex parte actoris possono costituire elemento di prova, quando siano idonee a chiarire quale fosse, al momento in cui sono state rese, l’atteggiamento psicologico del dichiarante. Per queste ragioni questa Corte ha affermato che le testimonianze “de relato ex parte actoris” possono concorrere a determinare il convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica (Cass. 8.2.2006, n. 2815). Ed ancora è stato affermato che, in sede di delibazione della sentenza di nullità del matrimonio concordatario per riserva mentale, negare ogni validità alla testimonianza “de relato ex parte actoris” può costituire soltanto un orientamento di massima, da riscontrare di volta in volta secondo la particolarità del caso concreto, dovendosi escludere la conoscibilità diretta di intuizioni e stati d’animo del nubente, delle cui confidenze sono destinatari elettivi i parenti più prossimi, e non potendo il giudice esigere, per il principio della libera prova e, in mancanza di diversa disposizione di legge, un mezzo di prova diverso da quello disponibile, salvo valutarne il risultato, una volta esperito, secondo il proprio apprezzamento (Cass. 16.3.1999, n. 2325).
Nel caso in esame le dichiarazioni del teste F.A., riportate nel testo della sentenza del Tribunale ecclesiastico campano e riprodotte nel ricorso, sembrano indicare, sia pur attraverso la bocca del F.L. per dichiarazione da questi fattane al teste, che egli aveva manifestato alla B. le sue riserve sulla indissolubilità del matrimonio per l’ipotesi che le nozze si rivelassero infauste. Di ciò la Corte d’appello non ha dato conto e neppure ha dato conto delle dichiarazioni della teste Fa.Am., che, sempre, secondo quanto risulta dal testo della sentenza ecclesiastica riportato in ricorso, ha dichiarato di poter attestare per scienza diretta che B.A.M. era favorevole al divorzio. Anche di questa deposizione, che non può essere definita come testimonianza de relato ex parte actoris, la Corte d’appello non s’è data carico.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che pronuncerà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2008
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Ordine pubblico, Matrimonio concordatario, Affidamento incolpevole, Sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, Delibazione, Riserva mentale unilaterale, Simulazione del consenso, Indissolubilità del vincolo coniugale, Buona fede del coniuge
Natura:
Sentenza