Sentenza 14 dicembre 2006, n.40789
Corte di Cassazione. Sezione sesta penale. Sentenza 14 dicembre 2006, n. 40789: “Maltrattamenti familiari e diversa religione praticata dai coniugi”.
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – Sezione sesta penale
Composta dai Signori:
Giorgio Lattanzi – Presidente
Giovanni Conti – Relatore
Domenico Carcano – COnsigliere
Giorgio Fidelbo – COnsigliere
Bruno Oliva – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro nei confronti di E.V., nato a …, il …
avverso la sentenza in data 6 dicembre 2004 della Corte di appello di Catanzaro
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere Giovanni Conti;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Enrcio Delehaye, cha ha concluso per il rigetto del ricorso
Fatto
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza in data 20 febbraio 2003 del Tribunale di Crotone, sezione distaccata di Strangoli, appellata dal Pm, con la quale V. E. era stato assolto dal reato di cui all’articolo 570 cpv n. 2 c.p. (capo a) perché il fatto non sussiste, e del reato di cui all’articolo 572 c.p. (capo b) perché il fatto non costituisce reato.
A seguito di querela in data 10 novembre 2000, con la prima imputazione si addebitava all’E. di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie C. P.e alla figlia minore R.; con la seconda, di avere maltrattato la moglie con ripetute offese, minacce e aggressioni alla sua integrità fisica.
Rilevava il Tribunale, sulla base delle testimonianze della persona offesa, della figlia R. e del m.llo L. S., quanto al primo reato, che la P.aveva un reddito come collaboratrice domestica, con il quale provvedeva al sostentamento dei figli, e che comunque l’imputato aveva sempre provveduto a fornire alla famiglia quanto necessario, secondo le sue possibilità economiche; quanto al secondo, che il maltrattamenti denunciati erano stati in realtà episodi sporadici, e in parte causati dai continui dissidi tra i coniugi circa l’educazione religiosa dei figli, che la P., testimone di Geova, impartiva secondo la propria fede, in contrasto con il marito.
Nel suo atto di appello, il Pm si doleva della assoluzione dell’imputato con riferimento al solo capo b), osservando che il Tribunale, nell’escludere la responsabilità penale dell’imputato con riguardo al reato di maltrattamenti, si era basato sulle sole dichiarazioni della P., senza considerare quelle della figlia R., dalle quali si ricavava con certezza l’esistenza dei denunciati maltrattamenti.
Ad avviso della Corte di appello, la sentenza di primo grado non meritava le censure dedotte, posto che i provati episodi di percosse da parte dell’imputato nei confronti della moglie, verificatisi in occasione delle frequenti liti tra i due dovute anche alla relazione extraconiugale che aveva l’E., non erano riconducibili a un’unica intenzione criminosa di ledere sistematicamente l’integrità fisica e morale della congiunta al fine di avvilirla e di sopraffarla, ma erano espressamente reattive a una situazione di reciproche malversazioni e di disagio familiare, il che escludeva la sussistenza del dolo di maltrattamenti.
Ricorre il Pg della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, che, con un unico motivo, denuncia la violazione dell’articolo 572 c.p., osservando che le risultanze processuali, tra cui in particolare la insospettabile testimonianza di R. E., davano prova di una situazione di sistematica violenza fisica e morale da parte dell’imputato nei confronti della moglie, nella quale andava inquadrata, oltre alla serie di reiterate percosse, anche la ostentata relazione adulterina intrattenuta dall’E..
Ai fini del dolo richiesto dal delitto in esame, non occorreva del resto la dimostrazione di un programma criminoso in capo all’agente, bastando la coscienza e volontà di commettere una serie sistematica di atti lesivi della sfera fisica e morale del soggetto passivo.
Diritto
Osserva la Corte che il ricorso inammissibile, in quanto introduce censure in punto di fatto della sentenza impugnata nel giudizio di legittimità.
Secondo l’Ufficio ricorrente le risultanze processuali dimostravano la sussistenza di sistematiche violenza fisiche e morali cui l’imputato sottoponeva la moglie, con un dolo di continua vessazione e prevaricazione della congiunta. Ciò si ricaverebbe in particolare dalla testimonianza della figlia Roberta.
Non è questo, però, che i giudici di merito, sia in primo sia in secondo grado, hanno accertato. In entrambe le sentenze si è pervenuti a una decisione assolutoria sulla base dell’apprezzamento di condotte violente e offensive dell’imputato nei confronti della moglie non riconducibili a un carattere di abitualità né collegabili a un dolo unitario di vessazione.
Si è ritenuto, sulla base di una valutazione delle risultanze processuali che non spetta a questa Corte rivisitare, che siffatte condotte fossero espressione di una reattività estemporanea che affondava le sue radici nel clima di dissidio tra i coniugi derivante sia dalla diversa religione praticata dalla P. sia, soprattutto, dalla relazione adulterina intrattenuta dall’E., che tuttavia la congiunta era disposta a subire, non sollecitando la separazione del marito; e in tale clima andavano collocati gli episodi di percosse di cui aveva parlato la figlia R..
Trattandosi di valutazioni non eccepibili sotto il profilo sia logico sia giuridico, il ricorso va dichiarato inammissibile.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
COsì deciso addì 6 novembre 2006.
Autore:
Corte di Cassazione - Penale
Dossier:
Testimoni di Geova
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Testimoni di Geova, Libertà religiosa, Educazione religiosa, Maltrattamenti, Appartenenza confessionale, Famiglia, Violenze, Percosse
Natura:
Sentenza
File PDF:
3998-sentenza-14-dicembre-2006-n-40789.pdf