Sentenza 13 ottobre 2000, n.13651
Cassazione. Prima Sezione Civile.
Sentenza 13 ottobre 2000, n. 13651.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza impugnata ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato relativa al matrimonio contratto dalle parti col rito concordatario, ritenendo il rescritto pontificio di dispensa, suscettibile di delibazione, a norma dell’art. 797 c.p.c.. Il ricorrente, con l’unico ed articolato motivo del ricorso, denunciando la violazione dell’art.21- 25 marzo 1985 n.121, in relazione agli artt. 8 e 13 dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984; dell’art. 1, 1.27 maggio 1929 n. 810 e dell’art.17, 1.27 maggio 1929 n. 847, in relazione alla parziale dichiarazione di incostituzionalità di queste norme pronunciata con sentenza n. 18/82 dalla Corte costituzionale; degli artt. 796 e seg.c.p.c. e degli artt.64, 65,66 e 67 1. 31 maggio 1995 n. 218, deduce che il principio secondo cui i provvedimenti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato potevano essere delibati nello Stato, introdotto con i Patti lateranensi del 1929, sarebbe stato abrogato col nuovo accordo tra la Repubblica italiana e la S.Sede, reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985.
Sostiene, quindi, la erroneità della tesi secondo cui le dispense ecclesiastiche dal matrimonio rato e non consumato dovrebbero essere considerato alla stregua di sentenze straniere di scioglimento del vincolo matrimoniale, e, quindi, assoggettate al regime previsto per la deliberazione delle sentenze di divorzio pronunciate all’estero. Rivela, poi, che, in ogni caso, l’assunto della Corte d’appello, che ha attribuito natura sostanziale di sentenza alla dispensa ecclesiastica, sarebbe il contrasto con la natura attribuita dallo stesso diritto canonico a detti provvedimenti, e col principio, espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza 18 del 1982, che ha negato natura di sentenza alle dispense super rato et non consumato.
Aggiunge che, se la Corte costituzionale ha sancito l’incompatibilità tra i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale ed il principio di delibabilità di tali dispense, tale contrasto non potrebbe essere superato attraverso il procedimento ordinario previsto per la delibazione delle sentenze straniere, e si porrebbe, in caso contrario, la questione della legittimità costituzionale delle norme del codice di rito (in quanto applicabili) e della legge di riforma del sistema internazionalprivatistico, ove esse consentissero di attribuire efficacia immediata nell’ordinamento alle dispense ecclesiastiche.
Comunque, secondo il ricorrente, mancherebbe la condizione imposta dal n.1 dell’art. 797 c.p.c. (ed ora dall’art. 64, lett. a) 1. 218/95 ai fini del riconoscimento immediato.
Sarebbe, infine, erroneo anche sostenere che la portata innovativa della 1.218/95 determinerebbe l’immediato riconoscimento nello Stato delle dispense, non come sentenze straniere, ma come provvedimenti diversi, ai sensi dell’art. 65 o dell’art. 66 della 1. cit., posto che si perverrebbe egualmente a risultati incompatibili coi principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 218/82.
La questione che la censura propone è già stata risolta, di recente, da questa Corte con la sentenza 10 luglio 1999, n.7276, la quale ha stabilito che il rescritto pontificio di dispensa super rato, di cui il nuovo accordo tra lo Stato e la Santa Sede non prevede più la possibilità di riconoscimento nell’ordinamento della Repubblica, non ha natura giurisdizionale, ed è insuscettibile di delibazione, anche come sentenza straniera.
Le argomentazioni, condivise dal Collegio, poste a fondamento della pronuncia richiamata, possono essere così riassunte. L’art. 797 c.p.c., sul quale la Corte d’appello ha basato la propria decisione, è stato abrogato, a far data dal 31 dicembre 1996 (e, quindi, ben prima del deposito della decisione stessa), dall’art.73 1. 31 maggio 1995, n. 218, come sostituito dall’art.10, d.l. 23 ottobre 1996. n.542. conv. in 1.23 dicembre 1996, n.649).
Ma la tesi seguita dalla sentenza impugnata si rivela insostenibile anche alla stregua delle nuove disposizioni introdotte dalla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato per regolare l’efficacia delle sentenze straniere in Italia. Essa è in contrasto, anzitutto, col dato normativo.
L’art.2 della legge 31 maggio 1995, n.218 stabilisce, al comma 1, che le disposizioni della stessa legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia.
L’entrata in vigore del sistema dì diritto internazionale privato non ha, perciò, inciso nella materia concordataria. Restano, pertanto, inapplicabile disposizioni della nuova normativa, nella parte in cui esse consentirebbero l’efficacia immediata e diretta della decisione straniera, senza adottare lo speciale procedimento giurisdizionale previsto per le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici (art.8, comma2, 1.25 marzo 1985, n. 121). La tesi è anche in contrasto con l’interpretazione sistematica delle disposizioni concordatarie, in quanto dalla ricognizione delle fonti, dalla loro evoluzione normativa, si evince che i provvedimenti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono stati definitivamente espunti dall’ordinamento.
L’art. 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (contenente disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), che tali provvedimenti contemplava, consentendo alla Corte di appello di renderli immediatamente esecutivi, è stato, infatti, dichiarato incostituzionale con sentenza 2 febbraio 1982, n.18, per violazione del supremo principio del diritto alla tutela giurisdizionale, desunto dagli artt. 2, 3, 7, 24, 25, 102 Cost.. In conseguenza della dichiarazione di illegittimità, questa Corte ha ripetutamente sancito che sono venute meno le norme che attribuivano rilevanza nell’ordinamento statale alla dispensa ecclesiastica, ed ha dichiarato improponibili, perché prive di tutela giudiziale, le domande dirette a far valere agli effetti civili questa causa di scioglimento del matrimonio (ex plurimis, Cass. 24 maggio 1984, n.3186 e Cass. 3 dicembre 1984, n. 6296).
Questo quadro normativo non è stato modificato dalla legge 25 marzo 1985, n.121, contenente ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che ha apportato modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
Pur ridisegnando, nel nuovo contesto storico, i principi fondamentali del matrimonio concordatario, essa, difatti, non contiene più alcun riferimento all’esecutività (agli effetti civili) dei provvedimenti di dispensa super rato et non consumato. L’art. 8, comma 2, limita la dichiarazione di efficacia nella Repubblica , mediante lo speciale procedimento di deliberazione ivi previsto davanti alla corte d’appello, alle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici.
E l’art. 13, comma 1, dopo aver collocato la nuova disciplina in raccordo con la precedente, chiarendo che le relative disposizioni costituiscono modificazioni del Concordato lateranense, stabilisce che (salvo quanto previsto dall’art. 7 n. 6) le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate.
Anche la Corte costituzionale ha sottolineato che le modificazioni del Concordato, espresse nell’accordo del 1984, disciplinano l’intera materia, impediscono di fare riferimenti a testi normativi precedenti (sent. 1 dicembre 1993, n. 421). In ogni caso, non sarebbe coerente ritenere che si sia voluto sottrarre alla legislazione speciale, e ricondurre alla normativa generale relativa all’efficacia delle sentenze straniere, proprio quei provvedimenti che, per loro intrinseca natura e, comunque, anche per la forma e il procedimento adottati, appaiono ben diversi dalle sentenze e dagli altri provvedimenti giurisdizionali stranieri.
Infine, l’accoglimento della tesi qui censurata comporterebbe, ex se, il dubbio della legittimità costituzionale (denunciato, in via subordinata, dal ricorrente) delle disposizioni degli artt. 64-67 218/95, ove interpretate nel senso che sia consentito di deliberare la dispensa ecclesiastica del matrimonio rato e non consumato.
Infatti, anche nella configurazione del nuovo codex juris canonici, con la costituzione Sacrae discipline leges, del 25 gennaio 1983, è rimasta sostanzialmente immutata la natura descrittiva del rescritto pontificio di dispensa super rato et non consumato, che aveva già indotto il giudice delle leggi a considerare tale provvedimento insuscettibile di delibazione, perché non riconducibile ad un atto giurisdizionale (sent.18/82).
Deve, dunque, concludersi (ritenendo così assorbiti gli ulteriori rilievi svolti in via subordinata nel ricorso) che ai matrimoni concordatari è applicabile la sola disciplina concordata dalle Parti contraenti, e che, correlativamente, il problema della delibabilità dei provvedimenti ecclesiastici nella materia de qua, deve essere risolto nell’ambito della specifica ed autonoma disciplina adottata bilateralmente.
Il ricorso deve, quindi, essere accolto.
Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, in quanto la causa non poteva essere proposta (art.382, comma 3°, ult. Parte, c.p.c.).
Nessun provvedimento deve essere adottato sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.
Roma, 9 giugno 2000.
Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2000.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Dispensa, Bolla di scioglimento, Matrimonio rato e non consumato, Rescritto pontificio, Convenzioni internazionali, Diritto alla tutela giurisdizionale
Natura:
Sentenza