Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 22 Dicembre 2003

Sentenza 13 marzo 2003

Corte d’Appello di Brescia – Sezione Lavoro. Sentenza 13 marzo 2003.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai

Sigg.:

Dott. Filippo Maria NORA Presidente
Dott. Antonella NUOVO Consigliere
Dott. Anna Luisa TERZI Consigliere rel. est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato

in Cancelleria il giorno 26/04/2002 iscritta al n. 169/2002 R.G.

Sezione Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del

13 marzo 2003

da

XXX, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Andrea MINA e Paola SORLINI del Foro di Brescia, procuratori e domiciliatari giusta delega a margine del ricorso in appello in appello

RICORRENTE APPELLANTE

contro

XXX, in persona del legale rappresentante protempore, rappresentato e difeso dall’Avv.to Claudio LA GIOA del Foro di Brescia, procuratore e domiciliatario giusta delega a margine della memoria di costituzione in primo grado

RESISTENTE APPELLATA

In punto: appello a sentenza n.806/01 del 22/10/2002 – 25/01/2002 del Tribunale di Brescia.
Del ricorrente appellante:

Per la riforma della sentenza impugnata n. 806/01 del Tribunale di Brescia Sezione Lavoro Dott. Ignazio Onni e per l’effetto, ogni contraria istanza respinta voglia l’On. Giudice, dichiarare la nullità anche ai sensi dell’art. 4 L. 604/66, art. 3 L. 108/90, art. 15 L. N. 300/70, e/o l’niefficacia, nonché l’illegittimità e/o invalidità del licenziamento avvenuto ad opera della XXX, ed a danno di XXX, in data 5.09.2000, per l’effetto condannare la XXX alla renitregrazione del lavoratore, oltre al pagamento delle retribuzioni globali di fatto di £ 2.720.000 mensili, od alla somma maggiore o minore che risulti in corso di causa o che il Giudice riterrà anche a seguito, se nel caso, di CTU, stante la presenza agli atti di tutte le buste paga, oltre i contributi previdenziali, dalla data di licenziamento alla effettiva reitregra, nella misura di 5 mensilità, riservandosi quest’ultimo successivamente alla sentenza di optare per il pagamento di 15 mensilità sostitutive della reintregrazione, interessi e rivalutazione al saldo, spese di entrambi i gradi di giudizio refuse.

Della resistente appellata

Respinge tutte le domande del ricorrente appellante, perché infondate in fatto ed in diritto, per tutti i motivi gradatamente esposti nella presente memoria di costituzione e nei precedenti scritti difensivi di primo grado, con ogni conseguenza di legge;
Spese, diritti e onorari, oltre cap e iva, o l’equivalente a titolo di risarcimento, rifusi.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 26.4.02 XXX, dipendente dal 28.4.00 al 5.9.00 della XXX quale fattorino, proponeva appello contro sentenza n. 806/01 del Tribunale di Brescia, con la quale era respinta la sua domanda all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli per aver lasciato opuscoli cartacei editi dai Testimoni di Geova su un ripiano ove erano altre riviste nella sala d’attesa della Casa di Cura di Lecco, gestita da un ordine di religiose cattoliche, presso la quale era mandato in ragione delle sue mansioni, avendo il Giudice di primo grado ritenuto che la condotta fosse indicativa di sopravvalutazione individualista e assolutista dei propri diritti, priva di rispetto per i contigui diritti altrui di pari rilievo costituzionale e che la stessa avesse determinato una grave situazione di pericolo potenziale in relazione alla prosecuzione e al corretto svolgimento dei rapporti contrattuali fra la società datrice di lavoro, esercente attività di laboratorio di analisi cliniche, e i suoi clienti.
Con il primo motivo d’appello veniva censurato il rigetto delle istanze istruttorie ritenute irrilevanti sulla base dell’erroneo presupposto della non contestazione di circostanze che in realtà non erano affatto pacifiche fra le parti e che, ciò nonostante, erano state assunte a fondamento della decisione, quale conoscenza del fatto che la Casa di Cura di Lecco appartenesse ad una istituzione religiosa o l’effettiva minaccia da parte di quest’ultima di interrompere i rapporti contrattuali con i laboratori XXX. Con il secondo motivo d’appello veniva censurata la valutazione relativa all’ambito di lecito esercizio del diritto di manifestazione del proprio pensiero religioso ex art. 1 L. n. 300/70 e art. 21 Cost., non potendo essere imposti limiti diversi da quelli inerenti al regolare svolgimento dell’attività aziendale e non potendo altresì essere desunti dei limiti dalla natura religiosa della congregazione proprietaria della Casa di Cura trattandosi di istituto convenzionato con il servizio sanitario nazionale (circostanza di cui veniva chiesto l’accertamento ex art 213 cpc ).
Con il terzo motivo d’appello veniva constata la proporzionalità fra la condotta e la sanzione espulsiva sia per entità oggettiva e soggettiva dell’inadempimento, per di più non inerente allo svolgimento delle mansioni, sia in ragione del fatto che mai fino ad allora la datrice di lavoro aveva manifestato disapprovazione rispetto all’abitudine del dipendente di lasciare in sede o presso i clienti riviste edite dai Testimoni di Geova. Con il quarto motivo d’appello veniva riproposta l’eccezione di nullità del licenziamento per la mancata affissione del codice disciplinare.
Si costituiva in giudizio la società appellata contestando in fatto e in diritto le istanze istruttorie disattese in primo grado e chiedendo la conferma della sentenza del Tribunale.
All’udienza del 13/3/03 la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo del quale veniva data lettura.

Motivazione della decisione

L’ultimo motivo di appello ha natura logicamente preliminare, essendo inerente alla validità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Ritiene la Corte che il motivo debba essere disatteso per le stesse ragioni esposte nella sentenza di primo grado: l’affissione del codice disciplinare nei locali aziendali e più in generale l’averne dato adeguata pubblicità in forme idonee è condizione di legittimità della sanzione espulsiva qualora venga applicata in relazione a fattispecie previste contrattualmente o unilateralmente individuate dal datore di lavoro, ma non quando si tratti di violazioni di obblighi o doveri sanciti da norme legislative e immediatamente incidenti sul sinallagma contrattuale.
Si tratta quindi di stabilire se nella fattispecie in esame la contestazione abbia avuto per oggetto inadempimenti di tale natura.
Passando dunque al merito della controversia, ritiene la Corte che il primo motivo di impugnazione sia pienamente fondato. Nella sentenza di primo grado vengono assunte a fondamento della decisione circostanze contestate (quale il pericolo di perdita del cliente) e vengono comunque espressi giudizi nettissimi senza avere assunto alcuna prova in ordine alla condotta concretamente tenuta dal lavoratore e in ordine al contesto in cui è stata posta in essere. Peraltro, la prova dedotta appare irrilevante in quanto anche assunte come vere tutte le circostanze legate dalla XXX il licenziamento va ritenuto illegittimo perché non proporzionato alla gravità della condotta (come dedotto con il terzo motivo di appello).
Ed infatti, la gravità dell’inadempimento sotto il profilo della idoneità ad elidere l’elemento fiduciario deve essere valutata sia sul piano soggettivo della colpa ascrivibile al dipendente.
Ora, a XXX è stato contestato di aver diffuso opuscoli editi dai Testimoni di Geova durante l’orario di lavoro, senza alcuna autorizzazione, presso la Casa di Cura di Lecco, gestita, come a sua conoscenza, da una congregazione religiosa cattolica, importante cliente della XXX, cliente che a seguito dell’episodio avrebbe bloccato i pagamenti dei servizi prestati e l’esecuzione dei servizi già programmati.
Date dunque per vere tutte queste circostanze (come si è visto in realtà in parte sono contestate) va innanzi tutto osservato per quanto attiene alla valutazione della condotta sotto il profilo oggettivo che l’avere lasciato su un ripiano, in mezzo ad altre riviste, degli opuscoli editi da un movimento religioso ancorché nella sala d’aspetto di una Casa di Cura gestita da una congregazione religiosa di diversa confessione, entrambi peraltro profferanti la tolleranza, non pare in sé fatto di particolare gravità considerato che : 1) non ha inciso in alcun modo sul corretto svolgimento delle mansioni, se non per quella manciata di secondi che può essere stata necessaria a lasciare le pubblicazioni sul ripiano, passando per la sala d’aspetto, 2) non ha realizzato alcun interesse del lavoratore in contrasto con quello del datore di lavoro, 3) non si è trattato di un comportamento eticamente o socialmente riprovevole per le modalità, per l’oggetto o per le finalità. Ed infatti se si può condividere la distinzione fra propaganda religiosa e libera manifestazione di pensiero, per escludere la prima dalla tutela ex art 1 L. n. 300/70 e art. 21 cost. durante l’orario di lavoro, non si può però considerare la propaganda religiosa un fatto intrinsecamente negativo.
La circostanza che la diffusione degli opuscoli abbia infastidito la congregazione religiosa proprietaria della Casa di Cura di Lecco, in quanto negli stessi erano contenuti (fra tanti v. raccolta agli atti) anche articoli con proposte di lettura delle sacre scritture diverse da quelle propugnate dalla confessione cattolica o articoli critici (peraltro anche con specifici riferimenti scientifici) nei confronti di certe pratiche come trasfusioni, è fatto di cui la XXX ha dovuto ovviamente tenere conto nei rapporti con il cliente e che avrebbe giustificato una contestazione e un rimprovero al dipendente per evitare la reiterazione della condotta. La razione della cliente per quanto legittima (sebbene possa forse lasciare qualche perplessità sul piano della tolleranza religiosa e più in generale nei confronti del prossimo) mantiene però a sua volta una giustificazione e giustifica in eguale misura la reazione del datore di lavoro circoscritta a modalità coerenti e proporzionate al fatto. Sicuramente non vi è alcuna proporzione fra il fatto contestato, rispetto al quale, una volta compiuto, l’unico interesse della Casa di Cura era impedire una reiterazione, e la sospensione dei pagamenti di servizi resi con la minaccia di interruzione dei rapporti commerciali (sempre che le circostanze siano vere poiché è singolare che dichiarazioni e condotte negoziali di tali rilevanza non abbiano lasciato alcuna traccia documentale nemmeno indiretta ad es. contabile). La reazione è stata del tutto sproporzionata e si può dire abnorme, quindi contraria ai principi di correttezza nell’esecuzione dei contratti in quanto diretta contro la condotta di un fattorino del tutto avulsa dalla esecuzione del servizio di laboratorio e dai rapporti commerciali e per dire di più contro una condotta nella quale non può essere ravvisata una ingiuria o comunque una grave offesa (si è pur sempre trattato della diffusione di pubblicazioni di carattere religioso nelle quali si propone una lettura delle sacre scritture e non della diffusione di una rivista pornografica o una di quelle riviste di cronaca rosa e nera che per contenuti, fotografie, ecc. possono suscitare scandalo). Per questa ragione, anche se fosse vera, la reazione della Casa di Cura non può essere considerata prova della idoneità della condotta contestata a provocare un danno effettivo o potenziale dell’entità minacciata, posto che l’abnormità della stessa (che non ne consentirebbe alcuna tutela sul piano giuridico) determina una interruzione del nesso causale.
A maggior ragione la condotta contestata a XXX non può essere considerata grave sotto il profilo soggettivo: è ammesso espressamente in tutti gli atti difensivi della XXX che la diffusione degli opuscoli editi dal Testimoni di Geova da parte del dipendente sia in sede che fuori sede (cliente Biobeta) era nota alla società e che prima dell’episodio poi sfociato nel licenziamento mai nessuna osservazione gli era stata fatta in proposito. Appare quindi evidente che l’appellante, avendo in precedenza tenuto condotte identiche senza nessuna rimostranza, potesse essersi convinto in buona fede della liceità di questa propaganda (peraltro si ribadisce innocua quanto a incidenza sulla prestazione di lavoro, modalità e oggetto). In senso contrario non può certo essere tratto qualche argomento dalla allegazione contenuta nelle “note autorizzate” depositate in primo grado di aver “confuso” gli opuscoli incriminati fra le riviste che si trovavano sul famoso ripiano, deducendo dall’uso del verbo “confondere” l’esplicita ammissione della colpevolezza di una attività sgradita alla congregazione proprietaria della Casa di Cura e della scelta del sotterfugio per eludere una proibizione. Una lettura serena di tutti gli scritti difensivi rende palese che l’uso del verbo in questione era finalizzato proprio a connotare la condotta in senso diametralmente opposto ossia non come diretta a mettere subito in evidenza gli opuscoli per richiamare su di essi l’attenzione, ma come diretta a lasciare questa raccolta come possibile opzione di lettura fra le varie riviste.
A questo va aggiunto che con la lettera di giustificazioni XXX ha reso noto di essersi immediatamente scusato con la Casa di Cura (che in persona del direttore avrebbe peraltro negato di aver avanzato rimostranze) e ha protestato la sua buona fede.
Alla condotta contestata, che per tutte le ragioni esposte non può essere considerata idonea ad incidere sulla fiducia nel futuro corretto svolgimento delle mansioni affidate, avrebbe dunque potuto fare seguito non il licenziamento, ma (eventualmente) una sanzione di minore gravità, sufficiente per richiamare (per la prima volta) l’attenzione sulla inopportunità di una attività di propaganda, non riconosciuta come diritto durante l’orario di lavoro, suscettibile di urtare la sensibilità altrui e di mettere in imbarazzo il datore di lavoro e diretta a chiarire il divieto a una reiterazione di simili comportamenti.
Alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento in quanto privo di giusta causa o di giustificato motivo segue la condanna ex art. 18 L. n. 300/70 alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del recesso alla data di reintegra, con versamento dei relativi contributi previdenziali.
Per quanto riguarda la determinazione della retribuzione globale di fatto dovuta, sulla quale sono sorte contestazioni fra le parti, dalla stessa vanno escluse le ore di straordinario in quanto prestazioni occasionali, mentre nella stessa va computata l’indennità di trasferta in quanto continuativamente corrisposta in ragione della natura delle mansioni oggetto del contratto (fattorino) nelle quali è insito e dalle quali è inscindibile il maggior disagio remunerato con l’indennità stessa. Ovviamente poi gli istituti di retribuzione indiretta indipendentemente dalle modalità di calcolo (per dodicesimi o per mensilità) devono essere Corrisposti annualmente una sola volta.
Infine, dal gennaio 2001, epoca dalla quale il ricorrente ha trovato una nuova occupazione, dalla retribuzione globale di fatto va detratto quarto percepito in relazione al nuovo lavoro.
Sulle somme dovute annualmente rivalutate vango calcolati gli interessi al tasso legale.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore dell’appellante per il primo grado in complessivi euro 3.990,25, di cui euro 687,92 per diritti e 8 2.846,00 per onorari e per il. secondo grado di giudizio in complessivi euro 2.500,00, di cui euro 750,00 per diritti 8 £1,.500,04 per onorari.
P.Q.M.

in riforma della sentenza 806/01 del Tribunale di Brescia, dichiara illegittimo il licenziamento irrogato all’appellante in data 5.9.00; condanna la società appellata a reintegrare il lavoratore e a corrispondergli le retribuzioni globali di fatto, determinate. come da motivazione, dalla data del recesso fino alla reintegrazione stessa, detratto l’aliundem perceptum dal gennaio del 2001, oltre interessi e rivalutazione monetaria; condanna la società appellata al versamento dei relativi contributi previdenziali; condanna la società appellata alla rifusione delle spese dì ambo i gradi liquidate quanto al primo grado in complessivi euro 3.990,25 e quanto al secondo grado in complessivi euro 2.500,00.