Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 18 Luglio 2005

Sentenza 13 luglio 2001, n.6408

Consiglio di Stato. Sezione VI. Sentenza 13 luglio 2001, n. 6408: “Servizio prestato presso scuole non statali legalmente riconosciute e concorsi per l’aggiornamento delle graduatorie uniche permanenti”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9012/98 proposto da Agosta Alberto, rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Cerchiara, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via E. Filiberto 22

contro

il Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi 12
e nei confronti di Gelodi Gemma, Pesaresi Franco e Lusuardi Marcello, non costituiti;

per l’annullamento della sentenza n. 1562/97 del 24 febbraio 1997, pubblicata in data 4
luglio 1997, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo del Lazio, Sez. 3° bis;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Amministrazione;
Vista la memoria prodotta dall’appellante a sostegno della propria difesa;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 13 luglio 2001 il consigliere Giuseppe Roxas e uditi l’avv. Cerchiara e l’avvocato dello Stato Zerman;

Il ricorrente è docente che ha prestato servizio non di ruolo sia nelle Scuole pubbliche che in quelle legalmente riconosciute.
Lamenta che l’apposita tabella predisposta per l’attribuzione del punteggio nel concorso per l’aggiornamento delle graduatorie permanenti a cattedre nelle Scuole medie secondarie, il servizio prestato nelle Scuole statali viene valutato con punti 12 per anno, mentre quello prestato nelle scuole legalmente riconosciute viene valutato con punti 6.
Per tale ragione, con il ricorso in esame ha proposto, con altri, ricorso al TAR Lazio per l’annullamento del decreto del Ministero della Pubblica Istruzione 29 marzo 1996, deducendo le censure che in sintesi si riportano qui di seguito:
1) il provvedimento impugnato è illegittimo, perché l’art. 76 della legge n. 270 del 1982 che istituiva sessioni riservate di esami per il conseguimento dell’abilitazione ai supplenti delle Scuole statali che avessero maturato due anni di servizio di docenza, estendeva con l’art. 76 lo stesso diritto ai docenti di scuole non statali, valutando in piena parità l’esperienza professionale acquisita dai docenti provenienti da istituti statali e non statali.
Pertanto, la normativa sopra evidenziata sancendo il principio di uguaglianza dei servizi scolastici prestati nella scuola statale e in quella privata e estendendo a tutti gli insegnanti provenienti dai diversi tipi di Scuola e consentendo la partecipazione alla sessione riservata di abilitazione in condizioni di parità, ha di fatto riconosciuto su un piano di comparazione e di uguaglianza i servizi degli insegnanti di scuole legalmente riconosciute con quelli prestati in scuole pubbliche.
Tale principio, peraltro è desumibile dall’intera normativa scolastica vigente.
Già a partire dalla legge 19 gennaio 1942, n. 86 che istituiva le scuole statali (“non regie”), il legislatore determinava i controlli, i vincoli a cui quest’ultime dovevano essere assoggettate ed in particolare, disponeva il pareggiamento nella sussistenza di specifiche condizioni.
Inoltre, l’art. 42 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 nel conferire agli organi periferici dello Stato le funzioni amministrative degli organi centrali, prevedeva espressamente che le funzioni amministrative relative alla materia scolastica riguardassero tutte le strutture, i servizi, le attività a favore delle scuole pubbliche che di quelle private.
Ma il principio di comparazione eguagliativa operato dal sistema si coglie ancor più nella disciplina relativa alle supplenze.
Al riguardo l’ordinanza ministeriale n. 331 del 30 ottobre 1991, modificata dall’O.M. n. 375 del 10 novembre 1991, non solo non prevede per le nomine a supplente alcuna differenziazione tra docenti provenienti da scuole statali, ma altresì attribuisce ai servizi prestati da entrambi il medesimo punteggio per l’inserimento in graduatoria.
Da tale circostanza bisogna trarre la conclusione che se il sistema prevede la parità di punteggio tra i due tipi di scuola nel conferimento delle supplenze, non si vede come possa prevedere una differente valutazione in sede di concorso per titoli predisposta per l’immissione in ruolo.
Infine, non vi è alcuna traccia nel nostro ordinamento, di norme che ravvisano una differenziazione tra i servizi sopra menzionati, per quel che concerne l’esperienza didattica acquisita.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 424 del 1992, ha ritenuto illegittima l’esclusione del punteggio dei titoli acquisiti nelle scuole legalmente riconosciute.
Invece, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 180 del 10 febbraio 1988 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, 2° comma della legge 20 maggio 1982, n. 270, che prevedeva l’esclusione dei docenti delle scuole legalmente riconosciute dai corsi ISEF predisposti per il conseguimento del titolo di studio, previsti per i docenti della Scuola di Stato;
2) il decreto impugnato non fornisce alcuna motivazione circa l’attribuzione del differente punteggio a coloro che hanno prestato la propria attività nelle Scuole legalmente riconosciute e, per tale ragione è censurabile per difetto di motivazione.
Tale motivazione era ancor più necessaria, ove si consideri che lo Stato è titolare, nei confronti delle Scuole legalmente riconosciute di penetranti strumenti di controllo.
Nel decreto impugnato sembra ravvisarsi, non il fine dell’interesse pubblico, rivolto doverosamente alla tutela dell’istruzione, ma un interesse di parte in favore dei docenti pubblici.
La disparità di trattamento tra le due categorie di insegnanti e l’ingiustizia manifesta perpetrata ai danni dei docenti non statali è, parimente evidente;
3) i provvedimenti impugnati sono stati adottati sull’erroneo presupposto che sussistano due categorie di docenti nettamente distinte: quella delle insegnanti nelle scuole statali e quella degli insegnanti nelle scuole legalmente riconosciute.
Ma questa non è la verità, poiché l’insegnante che ha maturato i 360 giorni richiesti ha indubitabilmente acquisito un’esperienza didattica presso istituti parificati e non si vede la ragione, perché il servizio deve essere valutato la metà;
4) in via subordinata si solleva la questione di legittimità costituzionale dell’impugnato decreto per contrasto con l’art. 33 della Costituzione.
Infatti, tale norma ha inteso consentire anche alle scuole private di perseguire la finalità dell’interesse primario dell’istruzione. Valutare il lavoro svolto dai docenti di quest’ultima l’esatta metà di quello effettuato da quelli statali significa “svuotare” integralmente il contenuto del principio sopra evidenziato.
Tale sistema si porrebbe, inoltre, in violazione degli artt. 2 e 3 della Cost..
In particolare la dissimilazione tra insegnanti comporterebbe il mancato riconoscimento in capo ai ricorrenti di una dignità professionale, giuridica e sociale pari a quella dei loro colleghi statali dinanzi alla legge, quando si consideri l’insussistenza di presupposti differenti tra le categorie.
Se delle diversità genetiche tra i due tipi di insegnanti possono ravvisarsi – giuste le considerazioni del Consiglio di Stato nella pronuncia n. 424 del 22 maggio 1992 – queste non possono intaccare la menzionata dignità, né investire i compiti che lo Stato ha assegnato agli istituti privati riconosciuti o pareggiati.
L’avverso sistema si porrebbe, infine, in violazione del principio costituzionale del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, non solo per le esposte argomentazioni, ma altresì per il mancato rispetto del diritto alla partecipazione in senso ausiliario ai concorsi (Corte cost. n. 331/88 e n. 412/88).
Tale profilo è strettamente legato a quello della violazione dei principi costituzionali in materia di lavoro, il decreto impugnato comprime la tutela piena garantita al lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Con la sentenza in epigrafe, il TAR adito ha rigettato il ricorso.
Avverso tale sentenza viene proposto il presente gravame, con il quale vengono riproposti ed ampliati i motivi di censura dedotti nel ricorso introduttivo, con richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata o, in subordine, la sua riforma; in via ulteriormente subordinata per la rimessione alla Corte Costituzionale per la decisione sulle questioni di legittimità sollevate.

1) Il ricorrente ha proposto ricorso per ottenere l’annullamento del Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 29 marzo 1996, pubblicato sulla G.U. del 12 aprile 1996, n. 30, intitolato “Concorso, per soli titoli, ai fini dell’aggiornamento delle graduatorie provinciali permanenti a cattedre e posti nelle Scuole ed Istituti Statali di istruzione secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli Istituti d’arte” nella parte in cui, all’art. 3, nel determinare la tabella di valutazione dei titoli di insegnamento in scuole non statali legalmente riconosciute, si attribuiscono punti 6, mentre, viceversa, per ogni anno di insegnamento nelle scuole statali si attribuiscono punti 12, e di ogni altro atto presupposto e comunque connesso.
Con il primo motivo di gravame, viene censurato il capo della sentenza relativo alla lamentata violazione e falsa applicazione della normativa vigente, ed in particolare dell’art. 76 della L. 20/5/82 n. 270 ed il correlato eccesso di potere, nonché la violazione e falsa applicazione della normativa in materia sotto altri profili.
Sostiene l’appellante che l’art. 76 della L. 270 del 1982 ha riconosciuto parità di valore ai servizi prestati dai docenti delle scuole legalmente riconosciute con quelli prestati nelle scuole medie statali. Detto articolo infatti ha previsto l’indizione di una sessione di abilitazione all’insegnamento riservata ai docenti delle scuole statali e a quelli degli Istituti e scuole parificati o legalmente riconosciuti. Ciò implica il riconoscimento di un principio di uguaglianza dei servizi scolastici prestati nei due tipi di scuole: principio rinvenibile sia nella pronuncia n,. 209 del 24 luglio 1986 della Corte Costituzionale che nella intera normativa scolastica (L. 19.1.1942 n. 86, art. 42 D.P.R. 24.7.1977, n. 616) e dal D.M. n. 331 del 30.11.1991 che, per le nomine a supplenze non prevede alcuna differenziazione tra le due categorie per il conferimento delle supplenze.
Deve tuttavia osservarsi che la Corte Costituzionale, nella sopra richiamata sentenza, come evidenziato nella sentenza di primo grado, ha affermato come non possa configurarsi violazione del diritto alla parità del trattamento sancito dall’art. 3 della costituzione tra docenti delle scuole legalmente riconosciute e quelle statali, rilevando nella fattispecie dedotta la diversità delle situazioni dei docenti da ammettere in ruolo in base alle norme sull’eliminazione del precariato rispetto a quella dei docenti non abilitati che aspirano a conseguire un titolo abilitante.
La posizione dei docenti delle scuole statali non può pertanto essere assunta come termine di paragone per la valutazione dei titoli e requisiti di servizio nel senso indicato dagli appellanti.
Né a tal fine può essere addotto l’argomento relativo alla valutazione ai fini della inclusione nella graduatoria dei supplenti attesa la diversa ratio cui risponde la normativa, mirante a far acquisire il periodo di formazione indispensabile per l’ammissione a concorsi, che è cosa ben diversa dalla valutazione dei titoli didattici prevista per i concorsi a valle.
Sostiene inoltre parte appellante che non sono rinvenibili norme che ravvisino una differenziazione di servizi resi nelle scuole menzionate per ciò che concerne l’esperienza didattica acquisita.
Tale profilo non appare trascurato nella sentenza impugnata che ha esaminato la diversa posizione dei docenti che appare inscindibile dalla diversa situazione degli istituti ove viene prestato servizio.
La sentenza n. 424 del 1992 di questa Sezione, richiamata nell’appello, al di là della fattispecie esaminata, ha messo chiaramente in luce come, pur riconoscendo la necessità di una valutazione dell’attività didattica svolta in istituti che perseguono le finalità delle scuole statali, non per questo si afferma “la piena equivalenza tra insegnamenti nella scuola statale e in quella privata; le differenze infatti permangono e sono facilmente ammesse dalla vigente normativa, salvo qualche specifica eccezione (ex art. 76 Legge 270/82 per la partecipazione alle speciali sessioni di esami ai fini abilitanti)”.
Ferma quindi la valutabilità del servizio prestato, non ne consegue una totale equiparazione generalizzata.
Né può essere addotta a tal fine l’argomentazione relativa alla vigilanza e controllo che lo Stato esercita nei confronti delle scuole non statali, con un sistema di accertamento articolato in provvedimenti di diverso tipo e la considerazione che, ove determinati ordinamenti e programmi rispondano ai prescritti requisiti è prevista l’equipollenza del titolo di studio rilasciato: ciò non implica una assoluta equiparazione dei due tipi di istituti.
Ed infatti, come rileva il giudice di prime cure, la giurisprudenza è pressochè unanime nel ritenere che, ai fini dell’ammissione in ruolo dei docenti delle Scuole medie statali, non è valutabile il servizio eventualmente prestato nelle scuole legalmente riconosciute mancandone un presupposto essenziale che consiste proprio nella sussistenza, per i docenti statali, di un rapporto di pubblico impiego non rinvenibile per gli altri docenti che sono parte di un rapporto privatistico instaurato dal Gestore della scuola, e non certo con i procedimenti di selezione fondato su graduatorie pubbliche.
Né i successivi controlli sono di per sé idonei a superare tale differenza basilare, non comportando certamente quel “controllo più diretto e penetrante” che, in diversa occasione l’Amministrazione ha rimarcato quale elemento differenziale.
Ferma quindi la valutabilità dell’insegnamento prestato, appare corretta la statuizione del primo giudice circa la spettanza al Ministero della Pubblica Istruzione di stabilire quali sono i titoli più idonei per accertare le capacità professionali e culturali dei partecipanti in relazione alle tipologie e caratteristiche del servizio prestato.
2) Circa il secondo ordine di censure, concernenti il difetto di motivazione del bando di concorso impugnato circa la differente attribuzione di punteggio, ineccepibile appare la statuizione del primo giudice, che ha osservato come il bando, in quanto atto amministrativo generale, non necessita di motivazione, per espressa previsione dell’art. 3, comma 2, della legge 241 del 1990.
Il riferimento di parte appellante alla vigente legislazione e alle pronunce giurisdizionali succedutesi non può assumere pregio: la valutazione dei titoli espressa con un punteggio numerico, come nel caso in esame, configura un giudizio, e non un’attività provvedimentale e come tale non necessita di motivazione.
Poiché, per quanto esposto, non sussiste identità di posizione tra i docenti delle scuole legalmente riconosciute e quelli statali, non sussiste neppure la lamentata disparità di trattamento.
3) Infine, in ordine alle raiterate questioni di legittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 33, 2, 3, 97, 1 e 35 della Costituzione già la sentenza impugnata aveva rilevato come, esse sono state sollevate con riferimento al bando di concorso, anche se poi, essendo ammesse solo con riferimento a norme di legge e a quelle ad esse equiparate, i ricorrenti fanno un generico richiamo “all’avversato sistema”.
Le censure sono tuttavia infondate.
Afferma il ricorrente che la valutazione del lavoro svolto presso scuole non statali nella misura prevista “svuota” di significato il contenuto dei principi recati dall’art. 33 che consentono anche alle scuole private di perseguire l’interesse primario dell’istruzione.
Violano inoltre gli artt. 2 e 3 introducendo una discriminazione e l’art. 51 per la lesione recata alla dignità dei docenti delle scuole private.
Per quanto esposto in precedenza i sollevati problemi di legittimità non possono ritenersi sussistenti.
Per quanto sopra esposto l’appello deve pertanto essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in Camera di Consiglio con l’intervento dei Signori:
Ruoppolo Giovanni Presidente
Santoro Sergio Consigliere
Numerico Paolo Consigliere
Falcone Pietro Consigliere
Roxas Giuseppe Consigliere, est.