Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Giugno 2005

Sentenza 13 giugno 2005, n.172

TAR Trentino Alto Adige. Sentenza 13 giugno 2005, n. 172: “Espropriazione di pertinenze immobiliari parrocchiali”.

IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DEL TRENTINO-ALTO ADIGE – SEDE DI TRENTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 67 del 2003 (ed integrativi) proposto dalla PARROCCHIA DI S. MARIA ASSUNTA, in persona del Parroco, legale rappresentante pro tempore, don G.C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Sergio Dragogna e Federico Mazzei ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Trento, Via G.A. Manci n.18;

CONTRO

il COMUNE DI VILLA LAGARINA, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Trento, Via Paradisi n. 15/5;

nonchè contro e nei confronti

della PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente in carica, non costituitasi in giudizio;

per l’annullamento

A) (ricorso principale):

1) della delibera del Consiglio comunale di Villa Lagarina 18.12.2002 n. 51 di “adozione definitiva dalla Variante Generale al vigente PRG di Villa Lagarina”;

2) della delibera consiliare n. 32 del 12.09.2002 di prima adozione della suddetta variante;

B) (I ricorso integrativo con motivi aggiunti):

1) dell’avviso del Segretario Comunale del Comune di Villa Lagarina dd. 18.03.2003 prot. 2071, di “Avvio procedura espropriativa realità passaggio pedonale palazzo Libera”;

2) della determinazione n. 108 dd. 10.03.2003 del Segretario comunale di Villa Lagarina avente ad oggetto: ”Art. 4 L.P. 6/93 e s.m. Indizione procedura espropriativa ordinaria a carico delle realità private interessate ai lavori di realizzazione parco nuovo accesso pedonale a Palazzo Libera”;

3) della deliberazione della Giunta comunale di Villa Lagarina del 27.01.2003 n. 4 avente ad oggetto “approvazione in linea tecnica progetto esecutivo. Lavori di realizzazione nuovo accesso pedonale a Palazzo Libera”;

4) della determinazione del Segretario comunale di Villa Lagarina dd. 27.01.2003 n. 38 concernente “Approvazione piano finanziario” per la realizzazione dell’opera passaggio pedonale Palazzo Libera”;

5) della perizia di stima asseverata del Tecnico comunale di Villa Lagarina di identificazione della neo particella p.f. 291/2 C.C. Villa Lagarina;

6) del parere della Commissione edilizia comunale 25.10.2001;

7) dell’autorizzazione della Provincia autonoma di Trento – Servizio Beni Culturali – resa dalla Commissione Beni Culturali nella seduta 27.03.2002 e relativa alla richiesta per la formazione di un “varco nel muro per un passaggio pedonale diretto tra la Piazza S.M. Assunta ed il Palazzo Libera”;

C) (II ricorso integrativo):

1) della determinazione n. 967 dd. 29.10.2003 del dirigente della Provincia Autonoma di Trento – Servizi Beni Culturali – avente ad oggetto: “D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 – art. 5. Accertamento dell’esistenza di interesse storico – artistico del terreno contraddistinto dalla p.f. 291 (ora p.f. 291/1 e 291/2) C.C. Villa Lagarina. Non interesse”.

D) (III ricorso integrativo):

1) della deliberazione della Giunta provinciale di Trento 23 ottobre 2003 nr. 2746, pubblicata in B.U. n. 44/I-II dd. 4.11.2003, avente ad oggetto: “Comune di Villa Lagarina: variante al Piano Regolatore Generale – Approvazione con modifiche d’ufficio”, compresi tutti gli elaborati e le previsioni grafiche e normative;

2) del non conosciuto parere della Commissione urbanistica provinciale in seduta 22.5.2003 (reso in senso favorevole alla variante al P.R.G.);

E) (IV ricorso integrativo):

1) della determinazione del Dirigente del Servizio espropriazioni della Provincia Autonoma di Trento n. 179 del 31.03.2004, avente ad oggetto: “Comune di Villa Lagarina: lavori di realizzazione nuovo accesso a Palazzo Libera dalla Piazza Santa Maria Assunta. Determinazione ex art. 6 della L.P. 6/1993”, con la quale: sono state respinte al punto 1 le rituali osservazioni della Parrocchia di Villa Lagarina sulla base degli atti presupposti e connessi, come sopra indicati; è stata disposta al punto 2 l’autorizzazione all’Ente promotore Comune di Villa Lagarina l’autorizzazione ad eseguire il piano delle espropriazioni così come pubblicato; è stato precisato al punto 3 che “l’inizio delle espropriazioni avviene con il presente atto e la loro ultimazione entro due anni dalla data dello stesso” e che “l’inizio dei lavori dovrà avvenire entro un anno dalla data del presente atto e la loro ultimazione entro il 31.12.2006”, fissando al punto 4 la determinazione dell’indennità delle aree da espropriare individuate sul tipo di frazionamento n. 396/2002 dd. 15.07.2002”;

2) dell’atto 14.03.2004, prot. n. 3094, del Segretario del Comune di Villa Lagarina, Ente promotore dell’espropriazione, di notificazione della determina provinciale impugnata, (pervenuto il 15.04.2004) effettuata personalmente a “Don Giovanni Cristoforetti”;

F) (V ricorso integrativo):

1) della determinazione del Dirigente del Servizio Espropriazioni della Provincia Autonoma di Trento n. 531 dd. 30.08.2004, notificata in data 01.10.2004, avente ad oggetto: “Comune di Villa Lagarina: lavori di realizzazione nuovo accesso a Palazzo Libera dalla Piazza S. Maria Assunta – Determinazione di esproprio definitivo”;

G) (VI ricorso integrativo):

1) della relazione dd. 01.03.2002, prot. n. 269/02, del Funzionario tecnico di zona Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento avente ad oggetto: “Comune di Villa Lagarina; muro di delimitazione fra il giardino (p.f. 290) di pertinenza di Palazzo Libera (p.ed. 96) e l’area a verde (p.f. 291) di pertinenza della canonica (p.ed. 103) della chiesa di S.M. Assunta (p.ed. 106) C.C. Villa Lagarina”, con proposta alla Commissione di Beni Culturali di cui all’art. 2 della Legge prov. 27.12.1955, n. 55 di parere favorevole limitatamente all’esecuzione del varco di muro (che rientra nell’ambito di Palazzo Libera), con prescrizioni in testo.

Visto il ricorso ed i vari “motivi aggiunti” con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villa Lagarina;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza dell’1 aprile 2005 – relatore il Cons. Mario Mosconi – l’avv. Sergio Dragogna per la ricorrente e gli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi per l’Amministrazione comunale resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1 – Con l’atto introduttivo del giudizio sono stati impugnati in toto o in parte qua, gli atti pianificatori sub A1 e sub A2 (variante al P.R.G. di Villa Lagarina), meglio indicati in epigrafe: in particolare nella parte in cui gli stessi rideterminerebbero le funzioni urbanistiche di beni immobili di proprietà della Parrocchia di S. Maria Assunta, confinanti ed in adiacenza ad un complesso edificiale (canonica e Chiesa) anch’esso di proprietà parrocchiale.

1.1 – Avverso i predetti atti comunali viene dedotto:

1.1.a – violazione e falsa applicazione dell’art. 831 del codice civile, dell’art. 5, 1° c., della legge 30.05.1985, n. 106 (rectius n. 121 del 25.03.1985), dei DD.MM. 21.3.1986 e 30.12.1986;

1.1.b – violazione degli artt. 18, 2° c., lett. g) e m), 41 e 42 della l.p. 5.9.1991, n. 22, 2 e 19 del D.Lg.vo 19.10.1999, n. 490 (allora vigente), 5 e 12 della l. 25.3.1985, n. 121, e della comunicazione statale delle Belle Arti n. 552 del 09.05.1923 (in relazione alla L. 20.06.1909 n. 364 e al R.D. 11.9.1921 n. 1389);

1.1.c – violazione degli artt. 40 e 41 della l.p. 5.9.1991, n. 22, sotto altri profili ed eccesso di potere per plurimi aspetti sintomatici.

2 – Con un primo gruppo di “motivi aggiunti” sono stati impugnati, tutti gli atti rubricati sub B dell’epigrafe, inerenti alla procedura espropriativa per la realizzazione dell’opera de qua (parco pubblico e nuovo accesso pedonale a Palazzo Libera) e meglio specificati in epigrafe.

2.1 – Al riguardo si deduce:

2.1.a – violazione dell’art. 80 della l. 5.9.1991, n. 22 e contrasto con il disposto di cui all’art. 47 della NA del P.R.G. vigente (GP PAT 08.10.1999, n. 6877; C.C. 1/98), per mancanza di conformità urbanistica dell’opera pubblica prevista;

2.1.b – eccesso di potere sotto vari profili sintomatici;

2.1.c – violazione dell’art. 4, 1° c., l.p. 19.02.1993, n. 6, e degli artt. 16,17 (2° c.) e 18 della l.p. 10.09.1993, n. 26;

2.1.d – violazione degli artt. 64, 88 e 102 della l.p. 05.9.1991, n. 22, degli artt. 2 e 3 della l.p. 27.12.1975, n. 55 e degli artt. 2 e 5 dell’allora vigente D.Lg.vo 29.10.1999, n. 490;

Si ripropongono inoltre tutti i motivi già dedotti con riguardo agli atti rubricati sub A dell’epigrafe e come riassunti sub 1.1.

3 – Con un secondo gruppo di “motivi aggiunti” è stato impugnato l’atto provinciale rubricato sub C dell’epigrafe (determinazione dirigenziale n. 967 del 2003), come in epigrafe medesima specificato.

3.1 – Avverso lo stesso si deduce:

3.1.a – violazione dell’art. 6 della l.p. 19.02.1993, n. 6, degli artt. 5, 1° e 5° c., e 11 del D.Lg.vo 19.10.1999, n. 490 (in relazione all’elenco beni di cui all’art. 2, 1° c., lett. a).

Si ripropongono ancora – per asserita illegittimità derivata – i motivi già prospettati – sub 1.1 e sub 2.1 avverso i pregressi atti.

4 – Con un terzo gruppo di “motivi aggiunti” vengono impugnati gli atti provinciali rubricati sub D1 e sub D2 dell’epigrafe (deliberazione giuntale e presupposto parere, approvativi della predetta variante urbanistica di cui agli atti comunali in premessa menzionati) (A1 ed A2 dell’epigrafe).

4.1 – Avverso gli stessi sono dedotti – sempre per illegittimità derivata – tutti i rilievi riportati sub 1.1, sub 2.1 e sub 3.1, con la formulazione di una nuova censura di eccesso di potere sotto vari profili.

5 – Gli atti impugnati col quarto gruppo di “motivi aggiunti” (od integrativi) sono quelli rubricati sub E (determinazione dirigenziale n. 179 del 2004 relativa all’espropriazione e connessa notifica), in epigrafe meglio specificati e puntualizzati.

5.1 – Ai medesimi vengono fatti risalire i seguenti vizi:

5.1.a – violazione dell’art. 6 della l.p. 19.02.1993, n. 6, con un richiamo al vizio prospettato sub 2.1.a;

5.1.b – ulteriore violazione del citato articolo 6 sotto altri profili, con coinvolgimento dei motivi addotti avverso la determinazione della Commissione Beni Culturali (in epigrafe menzionata sub B7);

5.1.c – nonchè tutti quelli già addotti avverso gli atti precedentemente individuati, sempre per illegittimità derivata.

6 – Una successiva corposa serie di “motivi aggiunti” si appunta sulla determinazione dirigenziale n. 531 del 2004 (rubricata in epigrafe sub F), con la quale si dà corso formale alla attività di esproprio di una nuova particella fondiaria, ricavata da un’unica originaria particella (p.f. 291): quest’ultima ridefinita ora in parte a verde pubblico o parco (con specificazioni) e in parte a verde privato.

6.1 – La ricorrente procede, in primo luogo, ancora col sistema di censure per illegittimità derivata, così introducendo, oltre a quanto enunciato sub 5.1.c, anche quanto indicato specificamente ai precedenti punti 5.1.a e 5.1.b.

6.2 – Vengono poi ribaditi, più nello specifico, i contenuti delle doglianze sub 2.1.a; ed in particolare il rilievo di eccesso di potere per contraddittorietà.

7 – L’ultima serie di “motivi aggiunti” – avversanti l’atto rubricato sub G dell’epigrafe (relazione funzionario Servizio Beni Culturali) – si articola come segue:

7.a) violazione degli artt. 4, 24 e 25 L.P. 30.12.1992, n. 23, per mancata partecipazione al procedimento amministrativo e per omessa comunicazione all’Ente ecclesiastico proprietario della procedura amministrativa di accertamento e autorizzazione alla progettazione ed esecuzione di opere su beni culturali ed ecclesiastici indicati nella domanda 14.01.2002 del Comune di Villa Lagarina al Servizio Beni Culturali ed omessa comunicazione del sopralluogo asseritamente eseguito in data dicembre 2001 all’interno delle proprietà di pertinenza ecclesiastica (p.f. 291 e pertinenza della Canonica e della Chiesa);

7.b) mancata acquisizione di parere favorevole per le opere statiche interessanti il 2° arco-portale lapideo (interno); mancata considerazione delle pp.ed. 103 e 106; eccesso di potere sotto vari profili, in quanto nel caso, il funzionario redigente avrebbe limitato il proprio parere intorno all’esecuzione di un varco nel muro divisorio con Palazzo Libera senza dare conto dell’incidenza del progetto de quo su tutto il complesso “monumentale”.

8 – L’Amministrazione comunale resistente, premesse talune eccezioni e dopo aver debitamente confutato le tesi avversarie, ha concluso per il rigetto di tutte le doglianze.

9 – All’udienza dell’1 aprile 2005, udite le parti costituite e presenti, la causa è stata spedita in decisione.

DIRITTO

1 – La Parrocchia di S. Maria Assunta, sita in quel di Villa Lagarina, contesta fermamente – tramite il proprio preposto ministeriale pro tempore – tutti gli atti ed i provvedimenti, comunali e provinciali, sopra specificati.

1.1 – In particolare tali atti – a seconda dalla funzione propria che essi assumono – sono confutati sia sotto il profilo pianificatorio, sia sotto quello dichiarativo di pubblica utilità, sia ancora sotto quello espropriativo, anche con riguardo ad alcuni aspetti tecnici: e ciò in relazione ad un’opera pubblica che il Comune vuole attuare su una nuova particella fondiaria ricavata da una precedente più vasta. Detta opera è poi destinata a dar forma ad un collegamento urbanistico-pedonale tra il vicino Palazzo Libera e la Piazza antistante la Chiesa (Piazza S. Maria Assunta) e la Canonica. Il Preposto spirituale si muove perciò al fine di conservare – nello statu quo ed in modo esclusivo – l’intera particella originaria (p.f. 291) ed annesse non edificate (103, 101) a funzioni pertinenziali plurime del solo compendio ecclesiastico; prospettando, altresì, e a tale scopo, la possibilità di realizzare, in loco (cioè sulla p.f. 291) una struttura di carattere strumentale alle attività religiose e di culto.

1.1.1 – Permea il tutto, infine, un rilievo ulteriore, secondo cui, ritenuta la sussistenza di un vincolo culturale di insieme, il compendio risulterebbe, in ragione della mancanza di un assenso ecclesiale per l’immanente presenza di luoghi di culto, non tangibile in modo unilaterale ed autoritativo.

2 – Osserva, in primo luogo, il Collegio che le varie censure avanzate – e, come detto, introdotte anche per illegittimità derivata in via progressivamente sempre più corposa – fanno riferimento a tre distinti procedimenti: un primo di carattere pianificatorio-urbanistico, un secondo di profilo dichiarativo con riguardo alla pubblica utilità dell’opera ed in ragione della funzione che il Comune ha inteso assegnare alla medesima (aspetti già descritti sub 1.1), ed un terzo, ancora di carattere strumentale, teso all’acquisizione forzosa di una nuova particella quale area di sedime per l’opera de qua. Vi sono poi critiche di carattere tecnico al progetto per quanto già riassunto. Sullo sfondo insiste, infine, il rilievo del mancato assenso ecclesiale in ragione dei vincoli di culto e culturali, asseritamente in essere nell’insieme.

2.1 – In particolare la detta superficie della nuova particella, originariamente di mq. 350, figura, in fatto, come appendice incolta e stretta – molto meno larga rispetto al soprastante brolo (o broilo) che la include ed è coltivato a vite – ed appare incuneata nel medesimo tra un muro di cinta (in presunzione di comunione) che la separa dal giardino di Palazzo Libera (sede del Museo diocesano) ed una delle pareti perimetrali della Canonica. Infine, verso Piazza di Maria Assunta, la stessa area è delimitata da un ulteriore elemento e cioè da un antico portale in pietra, chiuso da un cancello in ferro ad aste, dotato di un lucchetto. Questo portale, che serve come passaggio da e per il detto brolo, è prospiciente all’area antistante la Canonica, la quale affianca anche una parete della Chiesa. Tale ultima area ha in sé intercluso un piccolo giardino all’italiana, dotato di piante che non sembrano di particolare valore. Il relativo primo spazio è di libera frequentazione e al medesimo si accede da Piazza S. Maria Assunta tramite un ulteriore ed uguale arco-portale sostenuto da un basso muretto. Infine ai bordi di detta area, (103 parte libera) e perciò nell’ambito della detta Piazza, è approntata un’area destinata a parcheggi pubblici.

2.1 – Il brolo sopra indicato è dotato di circa 15 filari di vite di vecchio fusto ed è delimitato, ai due lati, da due vecchi muri perimetrali i cui capi si congiungono a monte: uno di questo è lo stesso di proprietà comune e di cui già si detto; mentre l’altro confina con una via resa pedonale; al terzo lato del triangolo ideale la relativa base è rappresentata dal citato divisorio arco-portale interno; inerisce a ciò, inoltre, anche quanto già descritto in precedenza.

2.1.2 – La zona circostante il compendio de quo – che confina con il detto P/zo Libera, con la P/za di S. Maria Assunta, con una strada a libera percorrenza, automobilistica (su cui è prospicente anche il portone d’accesso a detto Palazzo) e con la su rilevata via a solo percorso pedonale – è totalmente urbanizzata ed antropomorfizzata.

2.1.3 – Il brolo (o broilo), che contiene anche la nuova particella da utilizzare per la citata opera pubblica, è dunque l’unica area libera nell’ambito del più ampio quartiere centrale che circonda il centro di culto medesimo e le aree di proprietà della Parrocchia.

2.1.4 – Il ripetuto brolo, nell’ambito della pianificazione qui in discussione, risponde a due ulteriori funzioni: una, avente forma ad “L” e che definisce, da due lati, i muri della Canonica, con dedicazione verde privato di salvaguardia; un’altra – sottratta la parte utile quale area di sedime della citata opera pubblica – con destinazione invece ed ex novo, a verde pubblico attrezzato e parco pubblico, che finisce coll’occupare il resto del vigneto.

2.2 – Ciò premesso sotto il profilo descrittivo dei luoghi, si osserva che nella vertenza sono sempre presenti le stesse parti costituite o, comunque, necessarie.

2.3 – Essa, inoltre, se vista nel suo insieme, aldilà dei diversi procedimenti messi in discussione, riguarda il medesimo oggetto materiale (petitum sostanziale). Sussistono perciò sufficienti ragioni per poter considerare unitariamente l’insieme dei gravami tutti anche se proposti con il sistema dei motivi aggiunti.

2.3.1 – Vi sarebbero, invero, ragioni per dubitare sul corretto utilizzo del disposto di cui all’art. 21, 1° c. 2° alinea, L. 6 dicembre 1971 n. 1034; tuttavia tale questione di rito è irrilevante, come si avrà modo di comprendere in seguito. E del pari irrilevanti sono anche le altre eccezioni di rito.

3 – L’intero complesso argomentativo sviluppato da parte ricorrente poggia su svariate affermazioni di diritto.

3.1 – Una di queste, che può essere considerata preminente, si basa sul già indicato particolare assunto di fondo secondo cui l’intero compendio (comprese le particelle in discussione) sarebbe vincolato ex D. lg.vo 490/99 (allora vigente); ne conseguirebbe, sempre a detta dell’istante Parrocchia, la violazione di varie norme procedimentali, con riguardo sia alla triplice qualificazione urbanistica assegnata alla p.f. 291 (come già sopra delineata), sia a quella assegnata alle altre particelle indicate dalla stessa ricorrente, sia ai vari tipi di procedimenti in discussione.

La conclusione che si fa derivare è la non tangibilità autoritativa di tale compendio onnicomprensivo. Si afferma, invero, e a sostegno di ciò, che la dedicazione a culto, anche solo sotto l’aspetto di attività collaterali e religiose in genere, imporrebbe, in ogni caso, il preventivo assenso della autorità ecclesiastica competente.

3.3.1 – Si assume, poi, con una doglianza ancora di fondo e che permea perciò il complesso dei gravami, che l’opera progettata – per nulla unitaria rispetto alle previsioni delle NA (art. 47) – non sarebbe conforme al dato urbanistico funzionale in essere per la relativa area di sedime, ma solo a quello successivamente adottato e qui in discussione, proprio nella parte in cui, in modo così surrettizio e postumo, fisserebbe tale conformità.

3.2 – Ciò premesso, si osserva:

a – la particella (parte) 103 (contenente la particella 101 quale giardino all’italiana), nonostante quanto affermato dalla ricorrente, non è oggetto di considerazione relativamente all’opera pubblica de qua, nè vi sono atti che la riguardano in modo diretto sotto il profilo progettuale, espropriativo e di pubblica utilità; infatti tutti gli atti che la richiamano – e qui in discussione – hanno valenza meramente descrittiva del contorno ambientale all’opera pubblica medesima: e lo stesso vale per la particella 106, che è edificata e riguarda beni immobili adibiti al culto;

b – la suddetta p. 103, nella parte non edificata, aveva uguale ed identica destinazione funzionale anche nel precedente PRG, essendo volta alla formazione di luoghi “di scambio” per la valorizzazione urbana (art. 47 F4 NA);

c – all’interno della stessa, da lungo tempo di libero accesso pubblico quale spazio collettivo antistante la P/za S. Maria Assunta, v’è il piccolo giardino all’italiana (p.f. 101) già descritto; ed anche la funzione assegnata a tale p.f. 101 è consonante con la precedente, sì da non essere interessata da nessun intervento;

d – la particella 291 (poi suddivisa) era, in precedenza e per lo più, finalizzata ad orto, a viabilità privata, a giardino, cortile e a pertinenza per area agricola ex art. 22 NA;

e – tuttavia una parte di quest’ultima – per la superficie già segnalata (mq. 350) e con la indicazione spaziale già rilevata – aveva, anche nel precedente PRG, la stessa qualificazione della citata particella 103 (per la parte non edificata).

3.2.1 – Nel PRG in corso di sostituzione del precedente la detta particella 103 (parte) viene confermata nella destinazione a viabilità urbana e centrale e posta anche in salvaguardia – come già cennato – del menzionato giardino all’italiana.

3.2.2 – La particella 291, come già precisato, sconta, con la nuova pianificazione, tre destinazioni diverse:

a – una parte è dedicata a verde pubblico e parco urbano attrezzato ex art. 48 NA;

b – un’altra parte è destinata a fungere da intercapedine privata per la protezione ambientale dei fabbricati della Parrocchia e viene così dedicata a verde privato, orto, giardino ex art. 22 NA;

c – una terza (residuale) parte, avente superficie pressoché uguale e comunque non superiore alla precedente (circa 350 mq), subisce una destinazione pubblicistica che è sostanzialmente uguale a quella già assegnatale nell’ambito del precedente PRG, a sua volta uguale a quella assegnata alla p.f. 103 (parte non edificata).

3.3 – Tanto annotato, si rileva, con riguardo al profilo pianificatorio, che la intera particella 291, la particella 103 (parte) e la particella 101 non risultano gravate da vincoli culturali di alcun tipo tra quelli reclamati dalla ricorrente: e, d’altra parte, la particella 106 è fuori discussione.

3.3.1 – A questo proposito è utile fare riferimento a quanto riportato nell’estratto tavolare allegato, dal quale si desume che su tali aree non edificate non sussistono quegli antichi vincoli vantati, per quanto di interesse (si esclude per ora la questione riguardante i due archi-portali ed il muro comune divisorio con P/zo Libera), dalla Parrocchia.

Del resto, non possono essere interpretati nel modo voluto da quest’ultima, se letti in toto, nemmeno i DDMM 22.5.86 e 30.12.86, dato che dei suddetti vincoli su tali specifici beni nella parte non edificata non vi è traccia; né si raffigurano come utili a tale riguardo, per lo stesso contenuto lessicale, i precedenti atti statali del 1923.

3.3.2 – Andando oltre nella disamina, si osserva che la L. 25 marzo 1985, n. 121, si riferisce, con l’invocato art. 5, ai soli edifici di culto, in quanto religiosi ed in quanto aperti al culto stesso (in atto) e non certo a quelle aree libere alle quali si riferiscono i dati fondiari qui in discussione.

D’altra parte, anche nel caso in cui sia necessario dover considerare edifici di culto nell’ambito di una funzionalità religiosa in essere, la assunta non tangibilità autoritativa, determinata pure dalla sussistenza di vincoli culturali, sarebbe comunque relativa e limitata al fatto che, in sede pianificatoria, non se ne snaturi la funzione in essere e l’interesse culturale; d’altro canto, solo nel caso di interferenza effettiva e concreta sull’attività di culto, che si svolga in edifici a ciò dedicati, v’è la necessità di un assenso della Autorità ecclesiastica competente.

3.3.2.1 – E’ perciò evidente – alla stregua di quanto descritto per la particella 291 e per le altre valutabili in questa sede, nonchè di quanto dedotto in ordine alla assenza di vincoli culturali sulle stesse – che il Comune può disporre, nei limiti della logica, della razionalità e della non contraddittorietà, di tali particelle libere e che, per qualificare le stesse sotto l’aspetto pianificatorio, non è necessario un preventivo assenso dell’Autorità ecclesiastica.

A – Del resto, riguardando ora la sola particella 291, risulta che la stessa è tutta interclusa (v. precedente descrizione), ha un solo accesso tramite il più arretrato arco-portale ed è, allo stato ed in fatto, utile per sole attività agricole (vigneto).

B – Il sostenere perciò che anche tale broilo (o brolo) sconti un vincolo culturale d’insieme con il compendio edificiale, non essendo stato allegato alcun elemento di prova concreta sul punto e l’affermare altresì che, pure per il profilo pianificatorio, vi sia necessità di un preventivo intervento ecclesiale, appare fuori luogo.

C – Ed invero non si può certo assumere che nel brolo, come del resto sulle altre particelle libere in questione si siano svolte, senza soluzione di continuità ed ab immemorabile, funzioni religiose.

D – Se poi si incentra la discussione in ambito pianificatorio, solo con riguardo al muro divisorio comune e ai due archi-portali (accettando, scolasticamente, che anche per questi ultimi vi possa essere una valenza culturale), si finisce con lo scoprire che, tramite la stessa pianificazione in discussione, nessuno di questi beni subisce, quale ipotetica figurazione materiale del citato vincolo culturale, alcuna obliterazione o conculcazione o diminuzione del valore culturale medesimo.

E – E così si può poi rilevare che l’art. 12, 2° c., della L. 25 marzo 1985, n. 121, ha mero carattere propositivo e programmatico ed esso, in ogni caso, fa riferimento al bene culturale di interesse religioso in senso stretto – come già cennato – e non certo a beni del tipo qui in discussione.

F – Inoltre le invocate norme di cui alla L. 29 maggio 1909, n. 364, e al R.D. 19 settembre 1921, n. 1399, sono ormai da tempo non più in vigore.

G – Infine, riprendendo le annotazioni intorno ai profili di possibile irrazionalità ed illogicità delle destinazioni (funzionali) assegnate a tutte le particelle in questione e di quelle assunte in particolare dalla p.f. 291, non si rileva nell’ambito pianificatorio nessuna dissonanza con gli obiettivi generali del Piano medesimo, resi più attuali e concreti per l’assestamento di zone di interesse pubblico in modo conseguenzialmente logico rispetto al precedente dato di dedicazione urbanistica.

G.1 – Ed invero, le connesse valutazioni di specie non sono nè illogiche né irrazionali, ma appaiono funzionali, sotto lo stesso profilo logico, rispetto al contesto urbano cui si riferiscono (v. la descrizione in fatto del quartiere circostante).

G.2 – Nello specifico, le particolari destinazioni impresse alle particelle libere in questione e alla particella 291, qui criticate, sono più che conciliabili con la strutturazione edilizia in loco esistente (anche di culto) e non sono perciò con la stessa incompatibili: e ciò proprio per la loro particolarità infrastrutturale, tesa a rendere, nel concreto, una utilità sociale e di percorso culturale; ove l’opera pubblica prevista – di breve lunghezza – sembra ben inserirsi per materializzare al meglio una parte di tali utilità collettive.

H – Non risulta che l’arco-portale retrostante e di accesso al brolo debba essere spostato dalla sua attuale sede; né è previsto che il medesimo perda alcuna funzione d’accesso intermedio alla parte residuale di area libera. Né si rileva alcun elemento di dubbio tale da far pensare che lo stesso possa essere manomesso sia dal punto di vista statico che strutturale.

I – Da entrambe le previsioni pianificatorie (passate ed attuali) è desumibile che la nuova particella ricavata dalla 291 (o se si vuole solo una porzione della originaria) sia area di sedime di un semplice e minimale percorso pedonale; attrezzato questo in modo esteticamente consono all’ambiente antropomorfico circostante; è altresì ipotizzabile l’apertura, nel muro comune di P/zo Libera, di un idoneo passaggio ancora solo pedonale, rispetto al quale sussiste una autorizzazione culturale, indiscussa entro tali limiti. Invero quest’ultima è criticata dalla parte ricorrente solo per quanto non apprezzato ed asseritamente passato sotto silenzio: ed in ogni caso la manomissione di detto muro non appare al Collegio invasiva e tale da stravolgere la funzione e la caratteristica dello stesso, considerando anche che l’apertura suddetta risulterà dotata di un cancelletto in stile.

Ad ogni buon conto non è possibile, allo stato, “processare alcuna intenzione”; e non è compito del pianificatore conciliare l’esercizio delle attività collettive con quelle riferibili al corretto svolgimento delle funzioni religiose: aspetti questi che allo stato non sono ipotizzabili o comunque praticabili nell’ambito di un’attività meramente pianificatoria e che vengono ad anticipare, di norma, altri procedimenti anche di verifica o controllo.

Né sono, altresì, ipotizzabili peculiari interferenze, con riguardo all’uso dell’accesso pedonale al museo diocesano.

L – Le particelle 103 e 101 non subiscono alcuna destinazione diversa dalla precedente e viene, nel contempo, salvaguardata una situazione in atto di libero e consolidato accesso alla particella 103; mentre la particella 101 è tutelata anche dalla funzione assegnata alla medesima particella 103.

Della inconferenza in fatto della particella 106 si è, invece, già detto (p. 3.2a; 3.3).

M – Sempre proseguendo nelle considerazioni sulla destinazione delle particella 291 anche a zona F2 ex art. 48 NA (verde pubblico attrezzato, parco pubblico, etc), v’è da rilevare che le previsioni di specie non consentono la realizzazione di alcuna struttura perenne che sia tale da incidere sulla vicina attività di culto, peraltro conchiusa ed isolata dal resto.

3.4 – In ogni caso, anche i beni culturali appartenenti alla Chiesa (e tale dedicazione è solo del comune muro divisorio e – a tutto concedere – dei due archi portali) possono essere oggetto di demolizione e di modificazione; se così è non si vede perché questi non possano essere oggetto di attività pianificatoria nel limitato modo sopra descritto; atteso che, in ipotesi, può essere legittima persino una rimodulazione urbanistica che consenta, poi, previa autorizzazione, anche demolizioni e modificazioni dello stesso bene culturalmente vincolato (v. art. 21, 1° c., art. 19, art. 5, 1° e 5° c., D. Lg.vo 19.10.1999, n. 490). Ed il preventivo assenso od accordo con l’Autorità ecclesiastica ha ragione d’essere – ancora a tutto concedere – solo in relazione a beni che siano luoghi di culto in senso stretto e non certo per i beni qui in discussione.

3.4.1 – Del resto più che condivisibile si appalesa la puntuale affermazione del Consiglio di Stato secondo cui – anche allorquando sussistono beni vincolanti nel senso sopra annotato dalla parte ricorrente – è possibile comunque autonomamente ed autoritativamente pianificare, avendo come oggetto di tale attività i medesimi beni e così assegnando agli stessi un uso che, nei limiti di compatibilità con il vincolo culturale in essere, risulti anche diverso da quello in atto o pregresso (CdS, Sez. IV, 13.5.1998, n. 814; 1.4.1993, n. 374; 22.11.1991, n. 122; e 6.10.1994, n. 734; Sez. VI, 18.10.1993, n. 741).

3.4.2 – Tanto ritenuto, va ora osservato che l’articolo 11 del più volte citato decreto legislativo 490/99 (ora non più vigente) fa salve le competenze di specie attribuite alla PAT sia dallo Statuto d’autonomia che dalle relative norme di attuazione.

A – Il tenore delle norme statutarie, di livello costituzionale, e di quelle di attuazione nel campo dei beni culturali (artt. 4 ed 8 Statuto di autonomia; art. 1 DPR 1 novembre 1973, n. 690) consente di affermare che le competenze legislative della PAT in materia hanno carattere esclusivo.

B – I limiti (oltre a quelli costituzionali) a detta competenza esclusiva, ai quali, in ipotesi, si potrebbe far riferimento, sono solo quelli stabiliti dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione di un accordo internazionale tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

B.1 – Ma le norme di cui alla citata legge sono poste a tutela della libertà di culto e della relativa espressione e, poichè non risulta in alcun modo che l’attività pianificatoria qui in discussione sia conculcativa di tale libertà, ne consegue l’impossibilità di invocare i limiti posti al riguardo dalla legge medesima.

B.2 – Inconferente appare dunque il richiamo operato dalla parte ricorrente ai suddetti limiti per frenare la attività pianificatoria in contestazione (e così pure, come si vedrà, anche quella dichiarativa di p.u. ed espropriativa), anche perchè – come si è detto – non vi è nella specie la necessità di un preventivo positivo intervento della (competente) Autorità ecclesiastica e non è quindi ravvisabile in tale senso alcuna carenza procedimentale.

3.5 – L’articolo 831 del codice civile è invocato in modo improprio e fuorviante; invero, sul punto particolare e con riguardo al 1° comma, va detto, anzitutto, che la legge 25 marzo 1985, n. 121, e l’allora vigente D. lg.vo 19 ottobre 1999, n. 490, sono un corpus di norme speciali e come tali prevalenti.

3.5.1 – Inoltre, il secondo comma del citato art. 831 discerne (sempre e solo) nell’ambito di edifici dedicati al culto, nei quali non rientrano quelli di specie.

3.6 – Le attribuzioni amministrative collegate alla materia dei beni culturali sono poi esercitabili, nel territorio trentino, anche nei riguardi degli Enti religiosi ed ecclesiastici; ciò ai sensi dell’art. 1 del (richiamato) D.P.R. 1 novembre 1973, n. 690.

3.6.1 – A ciò si deve aggiungere il fatto che il contenuto dell’articolato normativo di cui al 2° c., lett. g) ed m), dell’art. 18 della L.P. 5 settembre 1991, n. 22, va in un senso diametralmente opposto a quello definito dalla ricorrente; infatti – proprio a termini di tali contenuti (nell’ambito di una legge provinciale, espressione di una potestà esclusiva) – possono formare oggetto di pianificazione pure le individuazioni di siti di “particolare interesse culturale, naturalistico e paesaggistico” e delle “aree per le attrezzature religiose”. In tal senso il costrutto legislativo designa l’assenza dei reclamati limiti di specie ed ha carattere esplicativo di una possibile ipotetica e particolare scelta pianificatoria, peraltro non attinente al caso in esame.

3.6.2 – L’articolo 41, 1°c., della citata l.p. 5 dicembre 1991, n. 22, è richiamato in modo inconferente.

3.6.2.1 – Ed invero, le risposte fornite dalla PA in sede di controdeduzioni risultano, come già in parte delineato, rispondenti agli obiettivi di piano e le stesse non possono comunque qualificarsi irrazionali od illogiche.

3.7 – Ne consegue l’infondatezza di tutti i motivi introdotti con l’iniziale gravame

3.8 – Ne deriva, altresì, l’infondatezza dei medesimi motivi anche quando vengono fatti ricadere a cascata, per asserita illegittimità derivata, su altri diversi atti o provvedimenti od atti di altri diversi procedimenti in esame.

3.9 – Non meritano miglior sorte, sempre nell’ambito della questione pianificatoria, i rilievi avverso gli atti rubricati in epigrafe sub D, con particolare riguardo alla delibera di approvazione del Piano de quo da parte della G.P.: del resto, i vizi dedotti sono già stati esaminati e ritenuti privi di pregio. Né risulta posto in discussione il relativo parere (endoprocedimentale) CUP (che, nonostante l’affermazione contraria, appare noto per tabulas).

4 – Fermo quanto sopra annotato sub 3.8, si deve ora ritornare nell’ambito delle censure prospettate con l’atto introduttivo del 1° gruppo di motivi aggiunti (e cioè quelli rubricati sempre in epigrafe sub B), ma limitatamente a quelle sub 2.1.a, 2.1.b, 2.1.c e 2.1.d in fatto riassunte; poiché per il resto (censure riproposte in via derivata) si è già data risposta.

4.1 – I relativi atti, in precedenza richiamati, danno luogo alla progressiva formazione del procedimento dichiarativo di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera in questione, già più volte descritta; e nella inerente impugnativa è coinvolto anche il parere della CEC del 25.10.01 ed un atto della Commissione Beni Culturali della PAT del 27.03.02.

4.2 – Tanto premesso, si annota quanto segue:

A – si deve fare riferimento, in specie, alla sola particella nuova, ricavata dalla 291 ed avente una superficie di circa 350 mq.;

B – è, infatti, su tale sola minimale superficie che è prevista l’allocazione del citato passaggio pedonale;

C – tale superficie risulta inequivocabilmente inserita all’interno di quell’area già destinata, anche a mente delle NA del PRG precedente e pur nello stesso modo della detta particella 103 (parte libera), a viabilità anche pedonale (zona F4 ex art. 47 NA).

4.2.2 – Ne consegue che la previsione progettuale dell’opera pubblica de qua si pone in modo conforme anche al dato di destinazione urbanistica pregresso, al contrario di quanto annotato dalla ricorrente; mentre il successivo intervento pianificatorio, già sopra delineato, si rappresenta semplicemente come conformativo e confermativo (anche con possibile riduzione della specifica area di sedime); ove tale ultimo aspetto non esclude l’esame dei relativi rilievi, come qui verificatosi.

4.2.2.1 – Il progetto di specie appare inoltre considerare in modo unitario la zona circostante proprio per i richiami già delineati; ed in tal senso il medesimo rispetta il relativo dettato del già citato art. 47 NA, pregresse.

4.2.2.2 – D’altro canto, la nuova pianificazione non può che essere vista in prosieguo rispetto all’opera prevista già su tale nuova particella; e ciò alla stregua di una destinazione urbanistica utile e già presente nel passato.

4.3 – Venendo ora all’esame della terza doglianza del suddetto gruppo di motivi aggiunti, ossia a quanto residua sub 2.1.c in fatto, si annota:

A – la comunicazione individuale del Segretario comunale in data 17.4.02 (vedasi anche avviso 15.4.2002, reso ai sensi dell’art. 18 della l.p. 10 settembre 1993, n. 26 ed avente per sua natura fede privilegiata) indica indiscutibilmente la intervenuta disponibilità, tramite deposito per pubblica visione e consultazione, del progetto esecutivo della opera pubblica de qua;

B – l’utilizzo della specifica profilatura tecnico formale trova fondamento strumentale nelle (allora vigenti) disposizioni contenute nel citato articolo 18 della L.p. 26/93; infatti, a mente dell’art. 74, 3° c., della l.p. 19 gennaio 2002, n. 1, allo scopo qui necessariamente in esame, progetto esecutivo e progetto definitivo sono entrambi utili in modo alternativo, facendo l’uno – nelle rispettive sedi d’esame – le veci dell’altro e viceversa;

C – a tale momento informativo non sussisteva perciò il dovere di depositare, giusta anche la natura solo prodromica della fase in essere, un progetto qualificabile come definitivo in senso stretto; pur se quest’ultimo, di norma, è antecedente all’altro, ma in relazione ad altre fasi e per altri procedimenti (art. 14);

D – con la deliberazione della G.C. n. 4 del 27.1.03 il detto progetto – da ritenersi, per le finalità di cui sopra, esaustivo – veniva approvato in linea tecnica, assumendo così lo stesso anche la formale caratteristica di definitivo: con contestuale assegnazione alla prevista opera della qualifica di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e ciò all’ulteriore fine di attivare il successivo ed autonomo procedimento espropriativo;

E – del resto, il progetto in parola assume le caratteristiche di “definitività” anche perché contiene in sè tutti gli elaborati previsti come necessari a tale sua qualificazione e gli elementi tecnici previsti per tale tipo di progetto dalle norme di II livello (all. B DPGP 30.9.94 n. 12/10 Leg. – l.p. 26/93, art. 16), aldilà del relativo nomen iuris;

F – il già richiamato art. 14 della citata L.P. 26/93 non impone – ad avviso del Collegio ed in relazione allo specifico procedimento qui in discussione – che il progetto in esame debba essere prima presentato pubblicamente e solo successivamente alla PAT e che il medesimo progetto abbia in sé già tutti quei profili qualificativi descritti e richiamati nel predetto articolo 14 e successivi;

G – in ogni caso il progetto approvato dalla G.C. nel 2003 è anche quello finale, poiché sostanzialmente a ciò attrezzato sotto l’aspetto esecutivo: il che è, in ipotesi, tanto più utile anche per la parte ricorrente in ragione delle più pregnanti possibilità di osservazione e di discussione sullo stesso per vari profili tecnici (art. 18, 1° c., l.p. 26/93);

H – il parere della CEC – avverso il quale non sussistono specifiche doglianze – non può dunque altro che aver preso in considerazione un progetto anche esecutivo; e ciò si è verificato in data anteriore a quella della G.C. proprio per la funzione ineludibilmente preventiva di ogni parere;

I – analoghe considerazioni valgono per la CPBC chiamata ad esprimersi in sostituzione degli organi periferici dello Stato in materia di beni culturali in genere (artt. 1 e 2 l.p. 27 dicembre 1975, n. 55; art. 7 l.p. 2 febbraio 1996, n. 3; art. 102 l.p. 5 settembre 1991, n. 22);

L – la stessa si esprime, poi, solo nei limiti dello spessore con il quale è stata presentata l’istanza relativa (muro di cinta comune e di confine con P/zo Libera); e ciò è cosa ovvia, in quanto non era stata rappresentata la necessità di ulteriori acquisizioni documentali o di allegazione di atti esplicativi perché non di necessario supporto al profilo culturale in discussione;

L1 – anche per questo la Commissione appare essersi pronunciata solo sulla ipotesi di apertura di un varco pedonale, con allocazione di un cancelletto, sul muro comune che divide dal giardino di P/zo Libera medesimo; muro da considerare soltanto come bene di interesse culturale, ma non certo religioso o di culto;

L2 – nulla la CPBC ha poi affermato intorno ai due archi portali; ed invero – come già annotato – nulla v’era da dire, atteso che uno degli stessi (quello che da su P/za della Chiesa o di S. Maria Assunta) non era certo oggetto in discussione e che l’altro – e cioè quello interno – non subisce manomissioni di nessun tipo o spostamenti di sorta (mentre per il resto si dirà oltre);

L3 – anche in relazione alla su-descritta disposta visibilità pubblica ed acquisibilità collettiva del profilo progettuale dell’opera risulta, quindi, rispettato il contenuto di cui agli articoli 16, 2°, 5°e 6° c., e 18°, 5° c., della l.p. 10 settembre 1993, n. 26: e ciò nell’ambito di una corretta procedura dichiarativa. Del resto, la CPBC e la CEC non erano – come detto – tenute a distinguere tra progetto definitivo o progetto esecutivo, essendovi, a fini di valutazione, alternatività di presentazione tra le dette due tipologie progettuali (v. l’allora vigente contenuto dell’art. 102 della l.p. 5 settembre 1991, n. 22);

M – il più volte richiamato atto della GC n. 4/03 è stato, poi, anche fonte genetica, quantomeno iniziale, del diverso procedimento espropriativo, come previsto e disciplinato dalla l.p. 19 febbraio 1993, n. 6.

N – resta così ininfluente, anche in tale sede, la reclamata differenziazione tra progetto esecutivo e progetto definitivo (art. 4, 1° c., l.p. 19 febbraio 1993, n. 6; art. 16 l.p. 10 ottobre 1993, n. 26; art. 102 l.p. 5 settembre 1991, n. 22; ed art. 65,. 2° c., l.p. 11 settembre 1998, n. 10);

O – in ogni caso il detto progetto è stato poi rivisto in toto – sotto l’aspetto culturale e comunque non solo per gli aspetti non toccati dalla CPBC – con la determinazione del Servizio Beni Culturali n. 967 del 29.10.03, in data successiva alla citata delib. G.C. n. 4/03;

O1 – la determinazione provinciale testè richiamata non si esprime con profili di carattere propositivo, ma ha la portata di un nulla-osta integrale ed è anche condizione di efficacia del citato progetto, prima approvato dalla medesima G.C. (si vedano, tra l’altro, gli artt. 1, 2, 4 e 39 della l.p. 17 febbraio 2003, n. 1, e le relative modifiche al contenuto dell’art. 102 della l.p. 5 settembre 1991, n. 22, nonchè i vari contenuti normativi della l.p. n. 55 del 1975 e quanto enunciato dai già più volte richiamati articoli del D. Lg.vo 19 ottobre 1999, n. 490);

P – il progetto, ormai esecutivo sotto ogni profilo, è poi stato in visione in esecuzione del dettato normativo attinente al procedimento espropriativo. E tale circostanza si realizza nell’ambito delle finalità che, correttamente, solo gli si attagliano; senza che, peraltro, sullo specifico punto siano state adombrate particolari censure;

Q – neppure la perizia di stima allegata sconta censure specifiche: il che comunque, in questa sede, sarebbe fuori luogo;

R – né specifiche censure vengono concretizzate con riguardo agli altri atti di cui al primo gravame aggiunto e cioè in relazione agli atti, rispettivamente, in data 10.03.03 e 18.03.03 del Segretario comunale; atti che danno ulteriore e progressiva consistenza alla medesima procedura espropriativa;

S – per il resto della doglianza di cui al punto 2.1.c in fatto, non si rileva alcuna delle denunciate contraddittorietà, proprio alla stregua di quanto già concluso in precedenza;

S1 – inoltre, non possono essere presi qui in considerazione meri sospetti di inesattezze tecniche del progetto, in quanto gli stessi non appaiono sostenuti da alcuna concreta e fondata previsione di possibili inesatte materializzazioni; senza contare che le argomentazioni di riferimento sono prive di compiutezza espositiva;

S2 – e’ evidente, inoltre che – in relazione alla modesta portata dell’opera che viene a concretizzarsi – il relativo progetto non richiede quanto reclamato dalla ricorrente con riferimento all’art. 12, 2° c. p.f., della l.p. 10 settembre 1993, n. 26. Ed invero, ciò che appare materialmente rimodellato – ed in minima parte – è il solo muro di cinta di P/zo Libera, tramite una apertura pedonale con l’aggiunta di un cancelletto e l’allestimento di apposito pavimento;

T – e questo vale anche per respingere il rilievo secondo cui il progettato percorso pedonale non sarebbe attrezzato per le persone handicappate (D.M. 14.6.99 e legge presupposta);

T1 – del resto, risulta che accessi utili e a norma in tal senso, sono già presenti (v. nota comunale 10.04.03 n. 002888 e atto provinciale sopra citato).

4.4 – Anche l’ulteriore censura di cui al primo gruppo di motivi aggiunti (2.1.d in fatto) è priva di pregio.

4.4.1 – A tale specifico riguardo si osserva che:

A – premesso quanto già dedotto in ordine alla pregressa sussistenza della conformità urbanistica dell’opera de qua anche in relazione all’asserito vincolo culturale, va riaffermato che le invocate norme di controllo sulle interferenze di specie e di cautela sotto tale profilo culturale medesimo sono, in ipotesi, rapportabili soltanto al detto muro di cinta e – a tutto concedere – ad uno solo dei due archi portali (quello più interno e di accesso al brolo);

B – vanno così richiamate le intervenute annotazioni sulla portata e sulla funzione delle manifestazioni di volontà – ora della sola CPBC – ed il fatto che anche i beni vincolati del tipo in questione possono essere strutturalmente modificati ed addirittura demoliti senza nessun preventivo assenso ecclesiale; del resto si tratta, nel caso, di aprire – come già più volte detto – un modesto varco in un vecchio muro poco pregnante sotto l’aspetto estetico, di realizzare un modesto passaggio pedonale lastricato e di consolidare – ove necessario – il sottosuolo intorno ad un vecchio arco portale, senza modificare o spostare quest’ultimo dalla sua sede;

C – è poi possibile sostituire, nell’ambito dei lavori della CPBC, il relativo presidente con altra persona; e ciò è desumibile alla stregua di quanto contenuto nell’art. 2, 8° c., della l.p. 27 dicembre 1975, n. 55; la mancata previsione del relativo argomento all’ordine del giorno non è poi sancita, in modo negativo, da alcuna norma;

D – la partecipazione alla CPBC di un esperto di designazione ecclesiale è prevista solo quando la stessa è chiamata ad occuparsi di archivi ecclesiastici (art. 2, 2° c., l.p. ultima citata). Ma questo non è certo il caso che ci occupa.

4.5 – Va ripresa ora in considerazione, per altro verso ancora, l’attività della CPBC (vedasi 4.3 punto L. 2) alla stregua degli evidenti collegamenti con l’impugnativa in epigrafe dell’atto rubricato sub G e criticato con l’ultimo gruppo di motivi aggiunti (sub 7 a e 7 b in fatto).

4.5.1 – La prima doglianza, alla stregua della quale sarebbe mancato il preventivo avviso del procedimento di specie ed il preventivo avviso di sopralluogo, è decisamente irricevibile.

Infatti, il detto motivo avrebbe dovuto essere rivolto nei confronti dell’atto finale del procedimento di accertamento culturale e perciò nei confronti dell’atto CPBC, già da molto tempo noto ed oggetto di gravame. Ed invero tale doglianza non attiene, nella specie, all’atto rubricato in epigrafe sub G in quanto a sè stante e di carattere endoprocedimentale, ma al connesso procedimento nel suo insieme e quindi all’atto conclusivo dello stesso. In ogni caso, dalla lettura degli atti emerge in modo inequivocabile che la Parrocchia ha sempre avuto preventiva cognizione degli accadimenti e che la stessa ha, sempre, avuto il modo di prospettare il proprio punto di vista.

4.5.2 – Negativa sorte nel merito subisce il secondo rilievo (7.b) su una pretesa carenza del parere favorevole alle opere statiche sul 2° portale (quello interno), poiché l’atto in discussione non ha alcuna portata definitoria o decisionale nel senso voluto dalla ricorrente: esso presenta un mero carattere descrittivo dei luoghi circostanti, senza alcuna qualificazione. E al riguardo si rammenta quanto già dedotto intorno alla p.ed. 106.

5 – Le conclusioni negative per la ricorrente fin qui formulate in relazione ai motivi affliggenti gli atti rubricati in epigrafe sub A e D con riflesso sulle doglianze a cascata versate su tutti gli altri atti menzionati, consentono ora di passare all’esame del secondo gruppo dei c.d. motivi aggiunti; i quali si appuntano, in sostanza, sulla sola determinazione n. 967 del 29.10.03 (rubricata in epigrafe sub C e la cui pacifica funzione è già stata delineata sub 4.3.-01).

5.1 – Con riguardo ai relativi profili di censura, come riassunti sub 3.1a e 3.1.b in fatto, si annota che:

A (3.1.a) – al medesimo si è già data risposta allorquando si è affermato il limite di portata, anche materiale, dei vincoli culturali esistenti in loco e l’assenza degli stessi con riguardo alla nuova particella fondiaria di sedime dell’opera pubblica de qua (come per le altre – 103 e 101 – e nei termini descritti) e si è rilevato, ad abundantiam, che la prima non poteva certo dirsi destinata al culto;

a1 (3.1.a) – anche all’ulteriore inerente profilo di lamentela – che si richiama ai contenuti dell’art. 6 della l.p. 19 febbraio 1993, n. 6 – è già stata data negativa risposta in toto sub 4-3;

a2 (3.1.a) – per il resto, le conclusioni di pag. 7 e seguenti del ricorso integrativo depositato in data 11.12.03 scontano affermazioni tecniche che, come già premesso, non sono passibili di esame in quanto generiche, superficiali ed incomplete: di qui la loro inammissibilità;

a.2.1 – in ogni caso, il muro di confine con Palazzo Libera viene demolito – come più volte affermato – solo in minima parte per poter accedere, solo pedonalmente, al cortile interno del medesimo Palazzo Libera, sede del Museo Diocesano; in concreto, non si realizza alcuna “strada”, ma solo un brevissimo percorso pedonale e l’arco portale interno resta intonso e al suo posto. E tale passaggio pedonale resta percorribile per accedere al resto del terreno;

a.2.2 – non viene fornito alcun principio di prova che il progetto non sia stato riesaminato e rivisitato nel suo insieme, nell’ambito della determinazione provinciale in discussione, anche con riguardo a beni non vincolati; ne consegue così una ulteriore inammissibilità sotto tale profilo;

B (3.1.b) – non è poi più il caso di riprendere in considerazione le doglianze riassunte sotto il rubricato punto 3.1.b, dato che le stesse si appuntano su atti rispetto ai quali le medesime si sono già dimostrate prive di pregio e che le stesse vengono fatte ricadere su atti ulteriori per mere ragioni di illegittimità derivata.

6 – Può ribadirsi, inoltre, la già raggiunta conclusione negativa anche sulla fondatezza del 3° gruppo dei motivi aggiunti in relazione agli atti sub D in rubrica richiamati (3.9).

6.1 – Ivi, infatti, si disserta solo intorno alla presunta illegittimità della deliberazione della G.P. di approvazione della nuova pianificazione, rispetto alla quale non è stata rilevata la sussistenza dei vizi denunciati in pregresso dalla parte ricorrente, con riferimento ai connessi atti comunali.

7 – Si possono ora esaminare i motivi attivati col 4° gruppo di motivi aggiunti (rubricato in epigrafe sub E).

7.1 – A tale riguardo si annota che:

A – si è dimostrato insostenibile che, al momento della approvazione del progetto dell’opera pubblica de qua con atto della G.C. n. 4/03, non vi fosse già una condizione di compatibilità urbanistica con l’area interessata al relativo sedime; mentre la nuova pianificazione qui criticata è stata posta in modo conformativo esterno; e, con riguardo alla nuova particella ricavata dall’intero (brolo), appare provato che la detta area di sedime necessita solo di una superficie di circa mq. 323 anziché di circa mq. 350 come in precedenza;

B – l’articolo 6 della l.p. 19 febbraio 1993, n. 6, è di conseguenza inconferentemente richiamato;

C – altrettanto fuori luogo è l’affermazione della sussistenza del vizio di eccesso di potere per sviamento, poiché, nel caso, si è visto non sussistere tale dicotomia tra la causa tipica degli atti qui in discussione e la causa effettivamente perseguita dagli stessi;

D – correttamente, dunque, contro deduce il funzionario provinciale del servizio esproprio in atto 179/04 qui in discussione;

D.1 – ed invero, la conformità urbanistica viene rilevata solo in relazione alla pregressa pianificazione nell’ambito della ivi già intervenuta destinazione della detta porzione del brolo segnata come nuova particella; e tutto ciò, appunto, esclude anche interpretazioni diverse sulla funzione e sulla natura di tale atto provinciale.

7.2 – Anche il secondo rilievo di specie è privo di pregio.

A – Infatti, l’annotazione di contraddittorietà non può dirsi accertabile nell’atto provinciale 179/04, poiché la affermazione della sussistenza della stessa consegue solo ad una errata percezione del suo contenuto, del suo significato e dei suoi scopi.

B – Invero, la ivi contenuta descrizione ambientale – con la quale viene registrata la presenza di luoghi di culto, di luoghi di valore culturale ed altri – non è utile, per sè stessa, ad assegnare un valore culturale ai beni di interesse qui in discussione; se non altro perché tale descrizione non può avere la portata invocata dalla ricorrente nell’ambito del potere esercitato dalla PAT, per soli fini espropriativi, con l’atto in questione.

C – Non è possibile, poi, prendere in considerazione quanto annotato con riguardo all’intesa tra Diocesi di Trento e PAT (17.06.2000), perché con la stessa, al di là dell’inconferenza del suo contenuto al caso di specie, la PAT non si spoglia di potestà e di doveri pubblici nell’attività de qua. Nè tale intesa può essere vista come atto sostitutivo di provvedimenti amministrativi, data la sua funzione e la sua lata portata.

D – Per il residuo di doglianze di cui al relativo atto “integrativo” si è già data risposta nel pregresso.

E – La relazione del Servizio espropri non va nel senso affermato dalla ricorrente.

E1 – Infatti, detta relazione – come già assodato per altro atto connesso – non ha quella funzione che la ricorrente stessa le vorrebbe attribuire, oltre a quella propria ed inerente tesa a disattendere la sussistenza di un vincolo culturale sui beni in questione.

E2 – Il progetto dell’opera non ha niente a che vedere con altre particelle, poiché in relazione ad esse sussiste solo una considerazione spaziale – come già detto – di carattere unitario, quale contesto d’ambito e di riflesso antropomorfico.

F – Il resto dei rilievi dedotti si basa su un trascinamento a cascata di pregressi motivi, addotti avverso atti già presi in considerazione e già ritenuti privi di fondamento.

8 – Restano da considerare i motivi cd. aggiunti rubricati in epigrafe sub F.

8.1 – Si osserva, a tale riguardo, che tutti i detti rilievi sono già stati introdotti, oltre che per il tramite dell’atto integrativo teso ad avversare gli atti sub F, anche in precedenza e che agli stessi si è già data risposta in modo specifico e concreto.

8.2 – Ne consegue che il Collegio si riporta, ancora una volta, alle inerenti conclusioni negative.

9 – Va, da ultimo, annotato che non è certo compito del Tribunale definire in via accertativa, la sussistenza, in aggiunta a quanto dedotto dalla PAT, di ulteriori vincoli culturali di specie, non potendosi sostituire in ciò alla stessa PAT, unica a ciò deputata per legge (CdS, Sez. VI, 12.5.04, n. 3003). Del resto il relativo accertamento ha carattere di merito: e l’aver affermato, “scolasticamente”, che anche gli archi-portali hanno una valenza culturale è stato necessario solo a fini di logica dimostrativa.

9.1 – In ogni caso, per quanto concerne gli aspetti procedimentali, connessi a beni culturali (ma solo di interesse religioso) che siano di proprietà della Chiesa Cattolica, va affermato – con richiamo all’articolo 7 della Costituzione – che tali beni non sono contemplati nei Patti Lateranensi.

Di conseguenza lo Stato, anche per il tramite delle sue varie articolazioni, conserva ogni tipo di potestà autoritativa per tali nuove materie ai sensi dell’accordo del 18 febbraio 1984 (ratificato con la citata legge n. 121 del 1985).

Ed, invero, tale accordo è inequivocabile là dove sancisce la doverosa applicazione della legge italiana e il conseguente regime di diritto amministrativo per detti beni.

Ciò che è oggetto d’accordo è dunque la sola modalità d’armonizzazione con le attività di culto; ma, nel caso, il problema non si pone poiché non viene in discussione – come già rilevato – una siffatta situazione.

10 – A conferma di quanto concluso il Collegio ritiene di richiamare anche i contenuti di cui al D.P.R. 4.2.2005, n. 78, che, per quanto successivi alla vicenda, si indirizzano nel medesimo senso delineato nella sentenza per quanto riguarda la permanenza dei poteri pubblici nei confronti di beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche.

11 – In definitiva, il ricorso va rigettato in ogni sua componente sia iniziale che aggiuntiva; salvi i profili di inammissibilità e irricevibilità già delineati.

12 – Soccorrono – soprattutto alla stregua della rilevata complessità della vicenda – sufficienti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, Sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 67/2003, lo dichiara in parte irricevibile, in parte inammissibile e in parte lo rigetta.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

dott. Paolo Numerico Presidente

dott. Mario Mosconi Consigliere estensore

dott. Fiorenzo Tomaselli Consigliere

Autore: Tribunale Amministrativo
Dossier: Italia, Beni culturali
Nazione: Italia
Natura: Sentenza