Sentenza 13 gennaio 2006, n.381
Corte di Cassazione. Sezione Tributaria. Sentenza 13 gennaio 2006, n. 381: “Enti ecclesiastici ed agevolazioni relative all’imposta comunale sull’incremento del valore aggiunto degli immobili”.
(Omissis)
Svolgimento del processo
La controversia trae origine dall’impugnazione da parte dell’ente “V.C. dei SS. N. e L.”, avente sede in Siena, dell’avviso di liquidazione con il quale l’ufficio del registro rettificava la dichiarazione (n. 135) presentata dall’ente ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 299/1991 (Invim straordinaria) relativamente ad alcuni appartamenti di sua proprieta’ locati a terzi ad equo canone. A sostegno dell’impugnazione l’ente, oltre a contestare il diniego della riduzione prevista per l’affitto ad equo canone, opponeva la propria assimilabilita’ ai benefici ecclesiastici (che sono esenti dall’Invim periodica, ed anche da quella straordinaria), oltre al vincolo per interesse storico-artistico dell’immobile de quo (che comporterebbe in ogni caso una riduzione dell’imposta al 25 per cento).
La Commissione tributaria provinciale di Siena accoglieva il ricorso solo con riferimento alla negata riduzione per l’affitto ad equo canone, ritenendo questioni nuove, perche’ non dedotte con il ricorso originario, quelle relative alla natura di beneficio ecclesiastico della Veneranda Compagnia e al vincolo per interesse storico-artistico dell’immobile. La decisione era parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale, con la sentenza in epigrafe, annullava l’avviso di liquidazione in ragione della “natura ecclesiastica dell’ente” e, quindi, del suo diritto all’esenzione dall’Invim periodica ex art. 8, comma 3, della L. n. 904 del 1977.
Avverso tale sentenza il Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze) propone ricorso per cassazione con unico motivo.
La “V.C. dei SS. N. e L.” non si e’ costituita.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, l’Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 del D.P.R. n. 643/1972, 8, comma 3, della L. n. 904/1977, 1 del D.L. n. 299/1991 (convertito con L. n. 363/1991), 21, 28, e 45, della L. n. 222/1985, nonche’ omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi. L’Amministrazione ricorrente contesta che la “V.C. dei SS. N. e L.” abbia il requisito soggettivo per godere dell’esenzione prevista dall’art. 8, comma 3, della L. n. 904/1977, in quanto essa non puo’ dirsi essere “un ente caratterizzato come beneficio ecclesiastico”: in ogni caso, il giudice tributario avrebbe omesso di approfondire la doverosa indagine sugli elementi di fatto indispensabili per la qualificazione dell’ente come beneficio ecclesiastico – in particolar modo per quel che concerne la indispensabile ricostruzione del rapporto giuridico intercorrente tra il patrimonio dell’ente e il titolare dell’ufficio ecclesiastico – risolvendo la motivazione nell’insufficiente rilievo della “natura ecclesiastica (non, si badi, specificamente beneficiale) dell’ente, come comprovata da attestazione dell’Arcidiocesi (di Siena)”.
Inoltre, sottolinea l’Amministrazione ricorrente, non si sarebbe tenuto conto del fatto che la L. n. 222 del 1985 ha disposto il superamento del sistema beneficiale con la istituzione degli Istituti (diocesani o interdiocesani) per il sostentamento del clero e contestuale estinzione dei benefici esistenti (con devoluzione del patrimonio di quest’ultimi all’Istituto di riferimento): e’ agli istituti che viene attribuito il diritto all’esenzione, sicche’ sarebbe impensabile un cumulo di esenzioni, che, oltre agli istituti per il sostentamento del clero, concerna anche “benefici ecclesiastici” (eventualmente) sopravvissuti a dispetto delle norme che ne imponevano l’estinzione.
Il motivo e’ fondato. Il comma 3 dell’art. 8 della L. n. 904/1977 stabilisce, tra l’altro, che “… gli immobili appartenenti ai benefici ecclesiastici sono esenti dall’imposta di cui all’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, e successive modificazioni”. La norma deve essere letta in relazione alla disposizione dettata dall’art. 25, comma 2, lettera c), del D.P.R. n. 643/1972, la quale, sempre con riferimento all’imposta di cui all’art. 3 del medesimo decreto, ne dichiara esenti gli immobili appartenenti agli “enti non commerciali” “destinati all’esercizio delle attivita’ istituzionali”.
Dalla lettura contestualizzata delle surrichiamate disposizioni emerge con indubbia chiarezza il particolare favor con il quale il legislatore ha guardato ai benefici ecclesiastici, sancendo per via normativa una presunzione iuris et de iure della destinazione degli immobili posseduti da questi peculiari “enti non commerciali” all’esercizio delle attivita’ istituzionali. Cio’ consente di trarre una prima, immediata, conclusione: la disposizione di cui all’art. 8, comma 3, della L. n. 904 del 1977 costituisce una norma agevolativa di particolare intensita’. Come ogni altra norma istitutiva di agevolazioni fiscali, essa e’ una norma di carattere eccezionale – anzi, in questo caso, potrebbe parlarsi di “eccezionalita’ rinforzata” -, che non ammette, secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, una “interpretazione analogico-estensiva” (cfr. Cass. n. 17162/2004) ed esige un atteggiamento dell’interprete ispirato al “criterio di stretta interpretazione” (cfr. Cass. n. 18544/2003; n. 15216/2002; n. 1613/2002).
In applicazione di siffatto criterio si impone una rigida delimitazione dei soggetti ai quali e’ riconosciuta l’agevolazione de qua, mediante una precisa identificazione degli enti che siano qualificabili come “benefici ecclesiastici”.
Come in altri casi che concernono i rapporti tra Stato e Chiesa, anche qui l’ordinamento giuridico italiano non propone una propria definizione del “beneficio ecclesiastico”, rinviando alla nozione che ne prospetta l’ordinamento canonico. Facendo, quindi, riferimento al canone 1409 del codice di diritto canonico del 1917 – il sistema beneficiale e’ stato, infatti, abolito a seguito del nuovo codex del 1983 e della (quasi contestuale) conclusione del processo di revisione dei Patti Lateranensi (L. n. 121/1985 e L. n. 222/1985) – “beneficium ecclesiasticum est ens iuridicum a competente ecclesiastica auctoritate in perpetuum contitutum seu erectum, costans officio sacro et iure percipiendi reditus ex dote officio adnexos”.
I due elementi costitutivi dell’ente, giuridicamente eretto dalla competente autorita’, definibile “beneficio ecclesiastico” sono, pertanto, da identificare, da un lato, nell’ufficio sacro (elemento spirituale), e, dall’altro, nel diritto (del titolare dell’ufficio sacro) di percepire i redditi annessi per dote a quell’ufficio (elemento temporale): ci si trova, in buona sostanza, di fronte ad un patrimonio di scopo, situazione che agevola il comprendere le ragioni della presunzione iuris et de iure di destinazione ad attivita’ istituzionali degli immobili posseduti dal “beneficio”, istituita con il richiamato art. 8, comma 3, della L. n. 904/1977.
In conseguenza di’ siffatta natura, il “beneficio” e’ una fondazione, cioe’ una persona giuridica non collegiale, in particolare una persona giuridica non collegiale ecclesiastica, consistendo lo scopo, cui il patrimonio dell’ente e’ funzionale, nel sostentamento del titolare di un ufficio ecclesiastico (ad esempio, il parroco, nel qual caso di parla di “beneficio parrocchiale”, o il vescovo, nel qual caso si parla di “mensa vescovile”, o altri ancora). Appare chiaro che il “beneficio” e’ un “ente ecclesiastico” di natura e caratteri assai peculiari, che escludono la possibilita’ di utilizzarne il nomen quale sinonimo dell’espressione “ente ecclesiastico”, essendovi enti ecclesiastici, la cui personalita’ giuridica e’ anch’essa riconosciuta nell’ordinamento giuridico italiano, che non sono, appunto, “benefici ecclesiastici”: non appartengono a quest’ultima categoria, tra tanti altri, ad esempio, le “compagnie”, per restare al tipo di ente che interessa il presente giudizio, perche’ in esse – che, peraltro, sono “persone giuridiche collegiali” – manca la figura dell’investito dell’ufficio sacro al cui sostentamento siano destinati i beni dell’ente.
Come se non bastasse, l’esenzione disposta dall’art. 8, comma 3, della L. n. 904/1977 sembrerebbe imporre un ulteriore affinamento della nozione di “beneficio”, presa in considerazione dalla norma agevolativa, se si volesse tener conto – e sembra doveroso tenerne conto – di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sua sentenza n. 86 del 1985. In questa loro decisione, concernente la questione di legittimita’ costituzionale proprio della richiamata norma agevolativa, i giudici della Consulta hanno, in primo luogo, escluso che “i benefici ecclesiastici”, cui si riferisce l’impugnata norma di esenzione, comprendano tutti gli “enti ecclesiastici’ dotati di personalita’ giuridica”, dato che, secondo “il previgente Codice canonico (ossia il codex pio-benedettino del 1917), al quale fa implicito richiamo l’art. 8, comma 3, della L. n. 904 del 1977, il beneficio ecclesiastico non e’ il puro e semplice sinonimo dell’ente ecclesiastico”: sicche’ ai fini dell’interpretazione della agevolazione disposta dalla norma in esame il beneficio ecclesiastico va “inteso nel senso tecnico di tale nozione, senza confonderlo con gli altri enti della Chiesa cattolica”. Ma oltre a cio’, secondo il giudice delle leggi, bisognerebbe far conto, al fine di meglio precisare la ratio della norma agevolativa, del fatto che nel sistema del Concordato lateranense in particolare nella prospettiva delineata dall’art. 30, comma 3, di quel Patto, lo Stato aveva “l’interesse a prender parte alla gestione dei benefici ecclesiastici, appunto perche’ congruabili a cura dello Stato stesso”: la richiamata disposizione pattizia impegnava, infatti, lo Stato “a supplire alle deficienze dei redditi dei benefici ecclesiastici con assegni (denominati ‘supplemento di congrua’) da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi attualmente in vigore”. Questo interesse – afferma la Corte costituzionale – poteva ben coinvolgere i profili tributari di tale gestione, dato l’art. 3, comma 1, del R.D. 29 gennaio 1931, n. 227, per cui l'”assegno supplementare di congrua viene corrisposto sul bilancio del fondo per il culto ed e’ concesso a seguito di domanda del parroco, previo accertamento dei redditi del beneficio, al netto – fra l’altro – delle imposte e tasse”: siffatta condizione determina una “situazione assai particolare, che vale a giustificare, pur non imponendola, la scelta legislativa concretatasi nell’impugnato art. 8, comma 3, della L. n. 904”.
Seguendo il giudice delle leggi nel suo ragionamento, bisognerebbe intendere l’agevolazione de qua oltre che limitata ai soli benefici (e non estensibile ad “altri” enti ecclesiastici), anche ulteriormente circoscritta, all’interno della categoria dei benefici, esclusivamente a quelli congruabili. Del resto, se, ad avviso della Corte costituzionale, e’ proprio in ragione di questa interpretazione restrittiva dell’agevolazione in questione, che la stessa puo’ dirsi non confliggente con il principio di uguaglianza, allora siffatta interpretazione dovrebbe dirsi la sola possibile, in quanto costituzionalmente conforme (sulla necessita’ di’ dare alle norme, prima di ritenerne l’illegittimita’, una possibile interpretazione che sia costituzionalmente conforme, cfr. Corte Cost., ord. n. 8/2005; n. 305/2004; n. 242/2004).
In ogni caso, e cio’ e’ quanto piu’ conta ai fini del presente giudizio, anche alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale, e’ fuor di dubbio che un ente ecclesiastico che non sia un beneficio – ossia non ne abbia (nella contestualita’) tutti gli indispensabili elementi: patrimonio autonomo (dos), perpetua destinazione (di’ tale patrimonio) al mantenimento del titolare (pro tempore) di un determinato ufficio sacro (officium), erezione canonica in persona giuridica – non puo’ mai ritenersi destinatario dell’agevolazione di cui qui si discute. Puo’, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: “L’agevolazione disposta dall’art. 8, comma 3, della L. 16 dicembre 1977, n. 904, la quale, come tutte le norme agevolatrici, deve essere intesa in base al criterio di stretta interpretazione, spetta esclusivamente agli enti che, secondo la definizione di cui al canone 1409 del codice di diritto canonico del 1917, possano dirsi essere un ‘beneficio ecclesiastico’ – in quanto costituiscano ‘una persona giuridica ecclesiastica non collegiale’, nella quale siano presenti tutti gli indispensabili elementi della ‘dote’ (un patrimonio autonomo), dell’officium (destinazione perpetua del patrimonio al mantenimento del titolare pro tempore di un determinato ufficio sacro), dell”erezione canonica in persona giuridica’ -, restandone escluso qualsiasi altro ente ecclesiastico”.
Nella fattispecie, dalla sentenza impugnata non emerge la compiuta (e ineludibile) indagine sulla natura dell’ente riconosciuto destinatario dell’agevolazione: anzi il giudice di merito sembra avere ritenuto sufficiente allo scopo la “natura ecclesiastica dell’ente”, affermando cosi’, indirettamente, quella equivalenza tra “beneficio ecclesiastico” ed “ente ecclesiastico”, che si e’ gia’ visto essere contraria allo spirito ed alla lettera della norma agevolativa. Il riferimento che il giudice di merito fa alla prova offerta da una certificazione dell’Arcidiocesi di Siena e’ del tutto inidoneo a supportare la motivazione: da un lato, secondo quanto afferma lo stesso giudice di merito, tale certificazione comproverebbe solo la (irrilevante) “natura ecclesiastica”, e non la (necessaria) “natura beneficiale”, dell’ente; dall’altro, secondo il contenuto di tale certificazione che viene riportato nel ricorso – l’avere l’ente in questione “fini di culto verso i propri Santi e di conservazione e manutenzione dell’attigua Chiesa dedicata a Santa Lucia” -, dovrebbe escludersi la (supposta) natura beneficiale dell’ente (emerge con evidenza, a prescindere dalla presumibile natura collegiale dell’ente, denunciata dal nomen – “compagnia” – la mancanza dell’elemento della perpetua destinazione del patrimonio al mantenimento del titolare di un determinato ufficio sacro: il compito di provvedere alla conservazione e manutenzione della chiesa e’, allo stesso tempo, insufficiente ed equivoco, trattandosi, tra l’altro, di compito tipico di una “fabbriceria”, ente ecclesiastico diverso dal “beneficio”).
Peraltro, nel caso di specie, poiche’ i fatti risalgono all’anno 1991, esisteva una prova, indiretta, della natura non beneficiale dell’ente in questione, stante la disposta estinzione dei benefici ecclesiastici a seguito della istituzione degli Istituti per il sostentamento del clero operata con la L. n. 222 del 1985.
Tale legge dopo aver disposto, all’art. 21, che entro il 30 settembre 1986, venissero eretti gli istituti per il sostentamento del clero, da parte del Vescovo di ogni diocesi, e l’istituto centrale per il sostentamento del clero, da parte della Conferenza episcopale italiana, ha previsto, all’art. 28, che “con il decreto di erezione di ciascun istituto (fossero) contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni (fossero) trasferiti di diritto all’istituto stesso, restando peraltro estinti i diritti attribuiti ai beneficiari dal canone 1473 del codice di diritto canonico del 1917″.
Per quanto concerne la diocesi di Siena tanto e’ avvenuto con il decreto in data 24 ottobre 1985 emanato del Vescovo diocesano di Siena e di Montalcino e dall’Ordinario diocesano di Monte Oliveto Maggiore, con il quale e’ stato eretto canonicamente l'”Istituto inter-diocesano per il sostentamento del clero delle diocesi di Siena e di Montalcino e di Monte Oliveto Maggiore”. A tale istituto e’ stata conferita, ai sensi degli artt. 22 e 28 della L. n. 222/1985, la qualifica di “ente ecclesiastico civilmente riconosciuto” con D.M. 20 dicembre 1985, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 1986, supplemento ordinario. A norma dell’art. 4 di tale decreto, a decorrere dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, “le mense vescovili, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nelle diocesi perdono la personalita’ giuridica civile”. L’elenco dei “benefici estinti” nella diocesi di Siena (centoquarantacinque) e’ stato disposto con decreto 29 maggio 1986 del Vescovo diocesano di Siena riconosciuto agli effetti civili con D.M. 5 agosto 1986, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 20 settembre 1986, supplemento ordinario.
Orbene, a prescindere dalla surricordata specifica vicenda senese, il fatto che il legislatore, per di piu’ nel quadro di un accordo con la Chiesa cattolica, abbia stabilito un termine entro il quale, con la contestuale erezione degli Istituti per il sostentamento del clero, dovessero essere estinti i benefici di ogni diocesi con il trasferimento del loro patrimonio all’Istituto eretto, non puo’ non determinare una presunzione, quanto meno iuris tantum, che non abbia natura beneficiale – e non possa, quindi, usufruire dell’agevolazione di cui all’art. 8, comma 3, della L n. 904/1977 – un ente che esista ed operi in data successiva allo spirare di quel termine.
Sicche’ puo’ affermarsi l’ulteriore seguente principio di diritto: “Il fatto che la L. 20 maggio 1985, n. 222, agli artt. 21 e 28, abbia stabilito che entro il 30 settembre 1986 dovesse essere eretto in ogni diocesi un Istituto per il sostentamento del clero e che con il medesimo decreto di erezione dovessero essere estinti i benefici esistenti nella diocesi con trasferimento del loro patrimonio all’istituto eretto, determina una presunzione, iuris tantum, dell’assenza della natura beneficiale in un ente ecclesiastico (che la reclami) esistente ed operante successivamente alla scadenza di quel termine”. Ne deriva una sorta di “rafforzamento” dell’onere probatorio che gia’ grava sull’ente, tenuto comunque, come in ogni altra fattispecie che concerna l’applicabilita’ di norme agevolatrici, a dimostrare il possesso dei requisiti per godere dell’agevolazione di cui trattasi.
In ragione delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana perche’ rivaluti il merito della controversia alla luce dei sopraenunciati principi di diritto. Il giudice del rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.
la Corte suprema di cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile, Sez. Trib.
Dossier:
Enti religiosi
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Invim, Enti ecclesiastici, Chiesa cattolica, Benefici ecclesiastici, Agevolazioni tributarie, Tributi locali
Natura:
Sentenza