Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Ottobre 2003

Sentenza 13 dicembre 1994, n.1104

Corte d’Appello civile di Palermo. Sentenza 13 dicembre 1993, n. 1104.

(Rotigliano; Laurino)

Motivi della decisione

Il decesso di uno dei ricorrenti, avvenuto dopo la sua costituzione in giudizio, e la costituzione volontaria dei suoi eredi contestualmente alla dichiarazione dell’evento da parte del procuratore, toccano il profilo della prosecuzione del procedimento, e più specificamente degli effetti della morte di uno dei coniugi in relazione all’azione di impugnazione del matrimonio ai fini della declaratoria di efficacia nell’ordinamento statuale della sentenza ecclesiastica emessa quando erano entrambi in vita.

Il profilo, così impostato, è stato già esaminato e risolto positivamente dal Supremo Collegio (v. Cass. 8 luglio 1982, n. 4066; Cass. 8 aprile 1981, n. 2011; Cass. 19 ottobre 1978, n. 4708) il quale ha osservato: che ai sensi dell’art. 127 C.C. l’azione per impugnare il matrimonio è trasmissibile agli eredi “quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore”; che tale norma si applica anche ai matrimoni canonici con effetti civili; che la possibilità di fare dichiarare la nullità di tale matrimonio spetta soltanto ai tribunali ecclesiastici, previo riconoscimento dell’ordinamento italiano delle relative pronunce; che conseguentemente si viene a stabilire una necessaria consecuzione fra procedimento ecclesiastico e procedimento di esecutività, dovendosi l’azione ritenere pendente con riferimento al momento dell’introduzione del giudizio davanti ai tribunali ecclesiastici medesimi, sicché gli eredi di uno degli sposi possono proseguire l’esercizio dell’azione per far dichiarare l’efficacia della sentenza ecclesiastica emessa quando erano in vita entrambi gli sposi, e quindi assumere la posizione di contraddittori nel relativo giudizio.

Ne segue che il processo di delibazione non resta insensibile al decesso di uno dei coniugi, che non preclude la pronuncia purché il contraddittorio sia ripristinato nei confronti degli eredi della parte defunta (il che è avvenuto regolarmente nella fattispecie in esame).

Non può, invero, escludersi che alla parte interessata alla (automatica) attivazione del processo sia consentito di rendersi diligente attraverso il canale processuale dell’art. 300, secondo comma, C.P.C., che nel sistema del codice di rito, riguardante il processo contenzioso, rappresenta uno degli strumenti di tale riattivazione. E poiché attiene al fondamentale principio del contraddittorio stabilire se il procedimento di esecutività debba o meno arrestarsi di fronte al decesso di uno dei coniugi che scioglie il vincolo matrimoniale per una ragione diversa dalla dichiarazione di nullità (escludente che il matrimonio sia mai venuto giuridicamente in essere) e con effetti giuridici diversi, pare chiaro che la prosecuzione degli eredi della moglie è non già un atto privo di efficacia giuridica, ma perfettamente legittimo, sicché la Corte non può non riconoscere la legittimazione degli eredi a proseguire il giudizio volto a rendere esecutiva nell’ordinamento interno la sentenza di annullamento, giudizio che si sarebbe dovuto arrestare a seguito della constatazione del decesso di uno dei due coniugi, essendo venuto meno il contraddittorio.

Né può dirsi che al caso di specie possa applicarsi quell’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione secondo cui la prosecuzione di un giudizio di divorzio può aversi soltanto sui capi economici ed in presenza di un concreto interesse di parte (v. Cass. 15 novembre 1977, n. 4971), perché la morte di un coniuge provoca lo scioglimento del matrimonio “ex nunc”, cioè il medesimo risultato giuridico cui si tendeva con la domanda giudiziale, mentre la pronuncia di nullità accerta che non vi è mai stato un valido matrimonio, con efficacia “ex tunc”, sicché le due situazioni non sono affatto equiparabili ed anche a seguito della morte del coniuge vi è un interesse a stabilire che non si è verificato un fatto di estinzione del rapporto, perché il rapporto medesimo non si era mai instaurato.

Conclusivamente, non è sostenibile una eventuale carenza di legittimazione ad agire dei genitori della defunta moglie quali eredi di questa nel giudizio di delibazione – una volta ammessa la trasmissibilità agli eredi dell’azione di impugnazione del matrimonio iniziata davanti al giudice ecclesiastico – posto che gli effetti civili della esecutività, pur essendo provocati dalla sentenza della Corte di Appello, retroagiscono alla data della celebrazione delle nozze nulle, secondo le modalità ed i tempi previsti dall’art. 128 C.C., ma si producono solo fino alla data della sentenza che pronuncia la nullità, e quindi la dichiarazione di efficacia, nell’ordinamento statale, di detta sentenza risulta essenziale per accertare la sussistenza o meno della vocazione ereditaria “ex lege” rispetto all’evento morte successivo a quella data; e sotto questo profilo può interessare all’erede legittimo del defunto fare accertare la qualità di coniugato o meno del medesimo, ed a tal fine portare avanti la procedura di delibazione.

(omissis)