Consiglio di Stato. Sezione V. Sentenza 12 marzo 2012, n. 1366: "Contrassegni elettorali ed immagini religiose".
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7666 del 2011, proposto da Roberto Lattanzio, Mario Giuseppe Lattanzio, Artemio Gaetano Laratta, Gaetano Diodati, rappresentati e difesi dall'avv. Claudio Di Tonno, con domicilio eletto presso Maria Assunta Tucci in Roma, via Elvira Recina n. 19;
contro
Comune di Popoli; Concezio Galli, Emidio Castricone, Antonio Tarullo, Vincenzo Davide, Mariondo Santoro, Sergio Della Rocca, Amedeo Natale, Alfredo La Capruccia, Giulia La Capruccia, rappresentati e difesi dagli avvocati Tommaso Marchese e Giulio Cerceo, con domicilio eletto presso l’avv. A. Placidi in Roma, via Cosseria, 2 ; U.T.G. – Prefettura di Pescara, Commissione Elettorale Circondariale di Popoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato (avv. St. Alessia Urbani Neri), domiciliata per legge in Roma, presso la sede dell’Avvocatura generale in via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – SEZIONE STACCATA DI PESCARA, n. 487/2011, resa tra le parti, concernente PROCLAMAZIONE ELETTI ALLA CARICA DI SINDACO E DI CONSIGLIERI COMUNALI NELLE CONSULTAZIONI DEL 15 E 16 MAGGIO 2011; per ottenere l’annullamento della proclamazione degli eletti alla carica di Sindaco e di Consiglieri comunali del Comune di Popoli, come da verbale adottato dai Presidenti di sezione in data 17 maggio 2011, dal quale risultano eletti alla carica di Sindaco Concezio Galli e alla carica di Consiglieri comunali i controinteressati , in epigrafe indicati, facenti parte della lista n. 1 "Popoli Democratica"; e, per l’effetto, previa correzione del risultato elettorale, per dichiarare eletti alla carica di Sindaco e di Consigliere comunale i candidati della lista n. 2, avente il contrassegno “Roberto Lattanzio Sindaco Progetto Comune” che hanno conseguito il maggior numero di voti; con l’annullamento altresì di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, segnatamente, della decisione della Commissione Elettorale Circondariale con la quale è stata ammessa alla competizione elettorale la lista n. 1 “Popoli Democratica”;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Concezio Galli, Emidio Castricone, Antonio Tarullo, Vincenzo Davide, Mariondo Santoro, Sergio Della Rocca, Amedeo Natale, Alfredo La Capruccia e Giulia La Capruccia, e dell’ U.T.G. – Prefettura di Pescara e della Commissione Elettorale Circondariale di Popoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 31 gennaio 2012 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Claudio Di Tonno e Tommaso Marchese;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.- Con ricorso proposto davanti al TAR Abruzzo –Pescara gli attuali appellanti, cittadini elettori del Comune di Popoli (PE) e candidati della "lista n. 2 – Roberto Lattanzio Sindaco -Progetto Comune", hanno contestato la proclamazione degli eletti , a Sindaco e a Consigliere comunale , del signor Concezio Galli e degli altri candidati in epigrafe indicati, appartenenti alla "lista n. 1 – Popoli democratica" , i quali hanno conseguito 1846 voti a fronte dei 1722 voti ottenuti dalla lista Roberto Lattanzio.
I ricorrenti hanno chiesto al TAR l’l'annullamento dell'ammissione della lista n. 1 –“Popoli Democratica” e, previa correzione del risultato elettorale, di dichiarare eletti alla carica di Sindaco il Lattanzio e i candidati in epigrafe specificati. In subordine, è stato chiesto al Giudice di primo grado l'annullamento delle operazioni elettorali e il rinnovo delle elezioni.
Nel ricorso è stato asserito che la lista n. 1 avrebbe presentato un contrassegno che riproduce un'immagine e un soggetto di natura religiosa, vietato per legge (art. 30 d.P.R. n. 570 del 1960). La lista n. 1 avrebbe utilizzato l’immagine di San Giorgio a cavallo nell'atto di trafiggere il drago, presente sulla sommità della chiesa di San Francesco di Popoli.
La difesa dei controinteressati ha controdedotto facendo presente tra l’altro che il simbolo sarebbe in uso fin dal 1993 e rappresenterebbe la figura di un mitico cavaliere – eroe.
1.2.- Nel respingere il ricorso il TAR, dopo avere premesso che gli articoli 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 “esclud(ono) i "contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa” (i quali), pertanto, (per essere vietati) debbono avere un'univoca valenza religiosa, tale da rappresentare un richiamo diretto ed immediato per la popolazione che ha a riferimento quel credo religioso”, ha osservato come non possa escludersi “che possa esservi un simbolo neutro, come nella fattispecie (effige di cavaliere medievale che trafigge un drago su fondo di colore rosso che, nella parte superiore, sviluppa la scritta Popoli Democratica di colore nero su fondo bianco), che abbia, anche per consuetudine locale, un'affinità con una qualche figura religiosa, ma che per la comunità rappresenta un eroe medievale in lotta contro il male”.
Quanto al “simbolo in contestazione, è proprio il contesto specifico della statua di San Giorgio, che sovrasta la chiesa di San Francesco, a dare, con siffatta unitarietà e contestualità, un inequivocabile valore religioso; presa isolatamente e senza alcuna indicazione, la figura acquista il valore anonimo del cavaliere medioevale, quale considerato dalla Commissione elettorale…simbolo (che) invero ha, per la comunità una tradizione locale, documentata fin dal 1993, il che rafforza la sua tipicità di uso politico-amministrativo”.
1.3.- Gli appellanti criticano la sentenza qualificandola illogica, contraddittoria e perplessa e deducendo la violazione degli articoli 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 atteso che se il TAR, da un lato, ha dato atto che “anche per consuetudine locale” il simbolo elettorale della lista vincitrice ha "un’affinità con qualche figura religiosa” poiché “è proprio il contesto specifico della Statua di San Giorgio, che sovrasta la chiesa di San Francesco, a dar(ne), con siffatta unitarietà e contestualità, un inequivocabile valore religioso”, d’altro lato il Giudice di primo grado ha concluso, in modo contraddittorio, nel senso che il simbolo in contestazione, preso isolatamente e senza alcuna specificazione, “acquista il valore anonimo del cavaliere medievale”, del quale però non è data alcuna indicazione, neppure approssimativa, né storiografica, né iconografica.
Per aversi ricusazione del contrassegno –proseguono gli appellanti- basta che il simbolo prescelto raffiguri un soggetto religioso o somigli a una immagine religiosa. E’ contraddittorio sostenere che l’immagine utilizzata dalla lista vincitrice rappresenta un cavaliere medievale e non, invece, San Giorgio, e ciò perché, secondo la storiografia, il citato Santo non era altro che un cavaliere, poi divenuto Santo per le sue gesta e, precisamente, per avere trafitto un drago quale simbolo del male. Il simbolo elettorale, corrispondendo alla immagine di San Giorgio secondo la comune iconografia, ha una indubbia natura religiosa. Il TAR non ha inoltre comprovato l’affermazione secondo cui la figura in questione rappresenta, per la comunità locale, un eroe medievale in lotta contro il male.
La norma del t. u. n. 570/60 non richiede alcun giudizio prognostico sulla idoneità del simbolo a condizionare la libera determinazione degli elettori. Gli appellanti hanno concluso ribadendo l’illegittimità della mancata ricusazione del simbolo presentato dalla lista “Popoli Democratica”.
Gli appellati si sono costituiti e hanno ampiamente controdedotto concludendo per il rigetto dell’appello, che è stato trattenuto in decisione all’udienza del 31 gennaio 2012.
2.- L’appello è infondato e va respinto. La sentenza impugnata non merita le critiche che le sono state rivolte.
Anzitutto, come è stato giustamente osservato dal TAR, i contrassegni, per essere ricusati, devono avere un significato religioso univoco e costituire un richiamo immeditato e diretto per la popolazione che abbia a riferimento quel credo religioso.
Non solo.
La natura inequivocabilmente religiosa del simbolo va apprezzata avendo riguardo al novero della simbologia, degli strumenti di comunicazione (verbale e non verbale) e delle tematiche che rivestano un carattere, appunto, univocamente religioso, e che, cioè, l’immagine è capace di manifestare in relazione al momento attuale, vale a dire nella contemporaneità.
La natura religiosa di una “rappresentazione” (cioè della “riproduzione” semiologica) va quindi necessariamente definita in base alla sua evoluzione storico-sociale, e non già in base all’intera possibile espansione della “sfera culturale-religiosa” accumulata in una storia millennaria, con mutevoli rivolgimenti di assetto sociale e politico (aspetto di preminente interesse ai fini che ci occupano), e quindi assunta con riferimento ad un possibile attuale diretto significato politico-comunitario: l’aspetto storico- culturale, inteso come, spesso complessa, “radice” filologica di un “segno”, non coincide sempre e comunque con la sfera religiosa “sentita” in un certo momento storico, cioè quella che è attingibile come tale in modo diretto, e senza alcuna mediazione critica e interpretativa, dall’elettorato.
Inoltre, gli articoli 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, secondo i quali la Commissione elettorale ricusa "i contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa", contengono una norma limitativa di un diritto di libertà (giustificata sia dal rispetto per le immagini ed i soggetti religiosi, che devono restare estranei alle competizioni politiche, sia dall’intento di evitare ogni forma di suggestione sugli elettori) , che va interpretata in senso restrittivo (così Cons. St. , V, n. 732 del 1994, che il Collegio condivide), tanto più alla stregua del più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall’elettorato rispetto alla situazione così come apprezzata dal legislatore nel 1960.
Non è affatto vero, quindi, che per aversi ricusazione del contrassegno basti una semplice somiglianza dello stesso con una immagine o un soggetto di natura religiosa, nel senso ampio, storico-filologico, sopra definito.
Guardando più da vicino al caso in esame, come è stato correttamente osservato dagli appellati, gli appellanti, nel dedurre il vizio di illogicità e contraddittorietà della sentenza, hanno estrapolato il passaggio della sentenza del TAR là dove il Giudice di primo grado afferma che, per quanto riguarda il simbolo in contestazione, é proprio il contesto specifico della statua di San Giorgio, che sovrasta la chiesa di San Francesco a Popoli, a dare al simbolo stesso un inequivocabile valore religioso, omettendo però di affrontare la successiva (e decisiva) argomentazione della sentenza, con la quale il TAR sottolinea che la figura in questione, presa isolatamente e senza alcuna indicazione, acquista il valore anonimo del cavaliere medievale, quale considerato dalla Commissione elettorale, risultando cioè un richiamo a un contenuto ideale, che ha oggettivamente perduto, nel contesto storico-culturale contemporaneo, una diretta e immediata connotazione religiosa (che un cavaliere, ma lo stesso San Giorgio come icona “tipica” riassuntiva del fenomeno storico, sia simbolo di lotta “benefica”, nonché portatore di un’etica di purezza, appartiene al senso comune consolidato da una pluralità di narrazioni culturali successive e distinte da quelle squisitamente religiose-confessionali, proprio perché ha obiettivamente assunto un senso definitorio, di tali valori, autonomo rispetto alla sua genesi in un certo assetto culturale ormai non più presente).
A quest’ultimo proposito, diversa dalla fattispecie del contrassegno che “riproduce” un soggetto religioso, nel senso indicato dalle disposizioni del decreto n. 570/60, da interpretarsi in senso restrittivo, è l’ipotesi in cui sia utilizzata una immagine, di origine medioevale, significativa per la comunità di Popoli, come simbolo di lotta del bene contro il male.
Una figura che in origine, vale a dire nel Medioevo, durante il quale la religiosità cristiana aveva un valore centrale se non esaustivo della stessa dimensione “politica”, aveva indubbiamente valenza anche religiosa ma che, nel momento attuale, veicola e concretizza un messaggio di tipo etico destinato alla comunità locale e reso, appunto, ormai autonomo dal suo significato originario.
Del resto, diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione, chiaramente inaccettabile, secondo cui pressoché ogni simbolo, comunque ispirato al Medioevo, epoca imperniata sui valori cristiani, andrebbe ricusato, dandosi –illegittimamente- rilievo preminente al significato originariamente religioso del legame comunitario risalente nel tempo.
Il sopra trascritto, decisivo passaggio motivazionale della sentenza, esprime il giudizio –condivisibile- secondo cui il simbolo utilizzato non è idoneo a provocare condizionamenti psicologici negli elettori proprio per il suo significato (ormai) essenzialmente civico, secondo il comune apprezzamento comunitario.
E si sorregge sulla –già condivisa- affermazione per la quale il decreto n. 570 del 1960, nella parte in cui esclude l’ammissibilità di "contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa”, va interpretato nel senso che per aversi ricusazione occorre che le immagini abbiano –non una semplice somiglianza con immagini religiose o una risalente radice nelle stesse, ma – una valenza religiosa univoca, diretta e attuale per la popolazione.
Tra l’altro, come gli appellati hanno ben posto in risalto, la figura inserita all’interno del simbolo utilizzato dalla lista "Popoli Democratica" è la rappresentazione “stilizzata” di un combattente a cavallo armato di lancia, disegnato nell’atto di trafiggere un animale immaginario (un drago o un grosso serpente). Tale immagine non è di per sé univocamente rappresentativa di un soggetto di natura religiosa, salvo richiedere quell’operazione di ermeneutica e specifica ri-contestualizzazione storica che non pertiene ormai al senso comune, ma alla sfera della filologia, escludendosi il carattere diretto della “riproduzione” cui guarda la norma in parola. Il cavaliere in questione é ritratto infatti mentre compie un Gesto epico, e non di carattere prettamente religioso o direttamente evocativo del sentimento religioso.
Assume inoltre rilievo l’osservazione del TAR –ignorata dagli appellanti- secondo la quale il simbolo “de quo” viene utilizzato fin dal 1993 per le competizioni elettorali, il che ha comportato che gli elettori hanno acquisito familiarità con il contrassegno.
Nè pare inutile segnalare, in aggiunta, la descrizione del contrassegno fatta dai presentatori della lista, il che vale a escludere in via definitiva qualsiasi ipotetica evocazione del sentimento religioso: “effige di un cavaliere medievale che trafigge un drago su fondo di colore rosso, nella parte superiore si sviluppa la scritta Popoli Democratica di colore nero su fondo bianco”. Il fatto che nella parte alta del simbolo compaia una scritta vistosa con la denominazione della lista stessa , “Popoli democratica”, di colore nero su fondo bianco, costituisce decisivo e ulteriore elemento di differenziazione.
In conclusione, l’appello va respinto.
Le peculiarità della controversia consigliano di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 31 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 12 marzo 2012