Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 9 Marzo 2005

Sentenza 12 luglio 2004, n.5059

Consiglio di Stato, Sezione V. Sentenza 12 luglio 2004, n. 5059: “Nozione di rettoria”.

Si veda: T.A.R., Sentenza 26 luglio 1995, n.190

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, anno 2003

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso nr. 6276/2003 R.G., proposto dal Sig. F. R., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Romano ed elettivamente domiciliato nello studio dell’avv. Stefania Iasonna in Roma, Via Riccardo Grazioli Lante n. 76,

CONTRO

Il Comune di M., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ennio Mazzocco ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questi in Roma, Via Ugo Bassi n. 3,

per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza, resa dal Consiglio di Stato, Sez. V., n. 5769 del 2002, pubblicata mediante deposito il 18 ottobre 2002.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di M.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visto il ricorso per motivi aggiunti proposto dal ricorrente;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2004, relatore il consigliere Michele Corradino;
Uditi gli avv.ti difensori Romano e Mazzocco come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con decisione n. 5769 del 2002, pubblicata mediante deposito il 18 ottobre 2002, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione V, ha accolto il ricorso in appello proposto dal Sig. R., e, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo del Molise n. 190/1995, ha annullato il provvedimento gravato in primo grado (deliberazione del Consiglio comunale, n. 34 del 27 giugno 1994, recante diniego di retrocessione di congrui locali annessi alla chiesa).
Con atto di diffida ad adempiere notificato in data 27.12.2002, il Comune di M. veniva invitato dall’odierno ricorrente a dare puntuale esecuzione alla statuizione contenuta nella decisione n. 5769/2002 di questa Sezione, nel termine di giorni trenta dalla notifica.
Il Comune di M., pertanto, fissava un incontro con il Sig. R. per il 30 gennaio 2003. Successivamente, in data 1 aprile 2003, l’amministrazione del Comune di M. (dopo aver adottato la delibera n. 4/2003 che fissava in 60 giorni il termine per l’esecuzione del giudicato) comunicava all’odierno ricorrente l’avvio del procedimento volto all’ottemperanza ed il nominativo del responsabile dello stesso, con avvertimento di poter prendere visione degli atti.
Il giorno 16 maggio 2003 veniva redatto, dal responsabile dell’ufficio tecnico del Comune resistente, processo verbale dello stato di consistenza dei locali. L’amministrazione, tuttavia, lasciava trascorrere inutilmente i 60 giorni fissati nella prefata delibera.
Ciò stante, il Sig. R. ha qui proposto ricorso chiedendo in sede d’ottemperanza che venga ordinato al Comune di M., in persona del legale rappresentante pro tempore, di dare piena e integrale esecuzione alla decisione in epigrafe pronunciata dal Consiglio di Stato e fissare un termine entro il quale il Comune resistente dovrà provvedere, con nomina, altresì, di un Commissario ad acta, con l’incarico di provvedere in via sostitutiva in caso di perdurante inerzia.
Il Comune di M. si è costituito per resistere al ricorso.
Nelle more, l’odierno ricorrente ha gravato con ricorso per motivi aggiunti la delibera n. 14/2003 adottata in data 5 agosto 2003 ed assunta al protocollo n. 3850 dell’8 agosto 2003 dal Comune resistente, con cui viene disposta la retrocessione dei locali meglio specificati nella planimetria allegata. Secondo il ricorrente la prefata delibera sarebbe elusiva del giudicato.
Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2004, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Il Collegio dà atto che nell’attuale ricorso è stata regolarmente seguita la procedura di cui agli artt. 90 e 91 del R.D. 17.8.1907, n. 642 e che la Segreteria del Consiglio di Stato ha provveduto a comunicare all’Amministrazione interessata l’avvenuto deposito del ricorso.

Ciò premesso, il ricorso deve ritenersi fondato.

1. Deve essere in primo luogo precisato che questo Consesso, con la decisione su cui è sceso il giudicato per l’esecuzione del quale è causa, ha stabilito che non sussiste un diritto soggettivo della Parrocchia, come invece essa afferma, ad ottenere la retrocessione dell’immobile ex conventuale. Il fatto che la legge preveda la cessione o ripartizione di una congrua parte del fabbricato implica una valutazione, da parte dell’Amministrazione, improntata a discrezionalità, di fronte alla quale non possono che esistere posizioni di interesse legittimo. Il provvedimento da assumere va, secondo i principi, adeguatamente istruito e motivato, secondo i canoni d’imparzialità e ragionevolezza, avuto riguardo alla situazione di fatto accertata ed alle esigenze manifestate dal soggetto considerato dalla legge come portatore della pretesa tutelata; 3.3.2. l’impugnata deliberazione del consiglio comunale è illegittima per difetto di istruttoria, vizio denunziato in primo grado e riproposto in appello, considerato che non risulta essere stato fatto nessun accertamento che potesse indurre a ritenere che fosse stata già consegnata la congrua parte dell’edificio-ex convento, e che tale fosse quella consistente nei due ambienti genericamente indicati, per i quali neppure è fatto cenno del titolo certo di detenzione o di possesso o di proprietà, da parte della Parrocchia; 3.3.3. la deliberazione è, ancora, illegittima per difetto di motivazione, vizio pure dedotto in ambedue i gradi, posto che l’affermazione di congruità, qualora risultasse che i locali detenuti siano quelli a suo tempo ceduti in esecuzione dell’art. 8 della legge n. 848 del 1929, non è sorretta da alcun elemento che valga a costituire una premessa logica adeguata all’asserzione fatta, anche con riguardo al criterio dello spazio attribuibile, in rapporto all’intero immobile, spazio cui l’appellante fa esplicito riferimento.

2. Deve essere, innanzitutto, esaminata l’eccezione di inammissibilità del giudizio in esame, sollevata dall’amministrazione resistente e motivata dall’intervenuta adozione della delibera n. 14/2003 di (asserita) esecuzione del giudicato. Sul punto, si ritiene utile ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale sui presupposti di ammissibilità del giudizio di esecuzione del giudicato. In una prima fase, la giurisprudenza ritenne ammissibile il giudizio di ottemperanza esclusivamente in presenza di inerzia o inottemperanza totale della Pubblica amministrazione (CdS sezione VI, 514/64; CdS Adunanza plenaria 27/1969). In un secondo tempo, venne introdotta, accanto all’inerzia o inottemperanza totale, l’ulteriore ipotesi di <> (CdS Adunanza plenaria 8/1980): detto orientamento consentiva, allorchè il soggetto pubblico avesse adottato provvedimenti solo apparentemente attuativi del giudicato ma sostanzialmente diretti ad eluderne l’applicazione, o in caso di inottemperanza incompleta o imparziale, di denunciare in sede di ottemperanza contegni provvedimentali che si risolvono in sostanziali aggiramenti delle statuizioni contenute nella sentenza passata in giudicato. Una volta introdotta la differenza tra violazione del giudicato ed elusione del medesimo, la problematica distinzione tra le due ipotesi è stata risolta dalla giurisprudenza optando per l’elusione del giudicato quando il comando contenuto dalla sentenza è talmente puntuale che non lascia alcun margine di apprezzamento al potere discrezionale: ogni atto difforme deve considerarsi emesso in carenza di potere e perciò può essere dichiarato nullo in sede di ottemperanza (Cons. Stato, Ad. Plen., 19/03/1984, n. 6). Infine, nella terza tappa, si supera la complessa dicotomia tra violazione ed elusione del giudicato e si afferma che il giudizio di ottemperanza ha come oggetto la verifica dell’adempimento o meno da parte dell’amministrazione all’obbligo nascente dal giudicato e cioè se essa abbia o meno attribuito all’interessato quell’utilità concreta che la sentenza ha riconosciuto come dovuta, a prescindere dal fatto che residui o meno in capo alla stessa un potere discrezionale (Cons. Stato n. 6843/00; Cons. Stato n. 456/01).

3. E’ il caso di ricordare che, una volta passate in giudicato, le decisioni giurisdizionali sono vincolanti per l’Amministrazione non solo per quanto concerne gli effetti demolitori statuiti, ma anche per quanto riguarda l’adozione degli atti conformativi, che devono essere adottati nell’assoluto rispetto del contenuto formale e sostanziale delle decisioni medesime (Cons. St., Sez. IV, n. 335 del 26.3.1992; n. 219 del 7.3.1994). Orbene, è stato di recente affermato da questa Sezione (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2003 n. 2197) che, in via generale, l’emanazione di un nuovo provvedimento sul medesimo rapporto conosciuto e definito con statuizione irrevocabile costituisce ottemperanza al giudicato (Cons. Stato, Sez. IV, 15 giugno 1999, n. 1020) e che la legittimità dell’atto sopravvenuto può essere delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza solo se la nuova determinazione risulti palesemente elusiva delle regole di azione dettate nella decisione della quale viene chiesta l’esecuzione (Cons. Stato, Sez. IV, 10 aprile 1998, n. 565), dovendosi altrimenti denunciarne l’invalidità con autonomo ricorso nelle forme del giudizio ordinario (Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2000, n. 4459). Così definiti, in astratto, i limiti della cognizione riservata al giudice dell’ottemperanza, deve rilevarsi, in concreto, che la determinazione assunta dal Comune di M. successivamente alla pronuncia della sentenza che si domanda di eseguire deve reputarsi palesemente elusiva di quella, perché essa, in definitiva, si discosta dal dictum della decisione da eseguire, secondo cui <, intesa come azione pastorale e che l’art. 16, lett. a), della legge n. 222 del 1985, afferma che si considerano attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto, alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. E ne ha tratto la conseguenza che sono riconducibili nelle rettorie, in senso stretto, non solo i locali adibiti ad ufficio amministrativo o ad abitazione dei predetti soggetti, ma anche quelli utilizzati per le opere connesse al culto che nella chiesa si celebra>.

4. Ciò stante, le richieste del ricorrente si appalesano fondate e meritano di essere accolte. Vanno quindi messi in atto tutti i provvedimenti idonei a far cessare l’inottemperanza lamentata. A tal fine il Collegio ritiene di nominare quale Commissario ad acta con incarico di provvedere in via sostitutiva, il Prefetto di Isernia, demandandogli l’esecuzione del giudicato in argomento, con facoltà di delega. L’anticipo va posto a carico dell’amministrazione comunale. Esso si liquida come da dispositivo.

Per le ragioni esposte il ricorso va accolto.
Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie il ricorso e per l’effetto:
1) Nomina Commissario ad acta il Prefetto di Isernia il quale, provvederà – anche mediante un suo delegato – a porre in essere in via sostitutiva, tutti gli atti necessari all’esecuzione del giudicato formatosi sulla decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5769 del 2002, pubblicata mediante deposito il 18 ottobre 2002;
2) Pone a carico del Comune di M. un anticipo pari a Euro 2.000 (Euro duemila/00);
3) Dispone che a cura della Segreteria della Sezione, copia della presente decisione sia trasmessa alle parti in causa e al Commissario ad acta nominato.
4) Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

(Omissis)