Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Giugno 2004

Sentenza 12 luglio 2002, n.10143

Corte di Cassazione. Prima Sezione.
Sentenza 12 luglio 2002, n. 10143.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rosario DE MUSIS
Presidente
Dott. Mario ADAMO
Rel. Consigliere
Dott. Fabrizio FORTE
Consigliere
Dott. Bruno SPAGNA MUSSO
Consigliere
Dott. Angelo SPIRITO
Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

NASO PATRIZIA, elettivamente domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Prima Sezione Civile difesa dall’avvocato LIBORIO SABATINO, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –

contro

LA BARBERA ROBERTO, elettivamente domiciliato a Roma, Via Giuseppe Ferrari 35, presso l’Avvocato Massimo Filippo Marzi, che lo
rappresenta e difende unitamente all’Avvocato Maurizio Liotta, giusta procura speciale per Notaio Cannistraro Gabriella Maria di Palermo,
Rep. 36878 del 14.03.02
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127-00 della Corte d’Appello di PALERMO, depositata il 01-03-00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21-03-02 dal Consigliere Dott. Mario Adamo;

udito per il resistente, l’Avvocato Marzi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano Schirò che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, l’accoglimento del terzo motivo del ricorso e l’assorbimento del secondo motivo del ricorso.

Fatto

Con ricorso depositato in data 10.5.1999 Roberto La Barbera chiedeva alla Corte di appello di Palermo la delibazione della sentenza ecclesiastica, resa in data 25.6.1998, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario celebrato fra il ricorrente e Patrizia Naso.
Costituitasi in giudizio Patrizia Naso eccepiva che erroneamente il giudizio era stato introdotto con ricorso anziché con citazione, assumendo che l’erronea scelta del rito aveva pregiudicato il suo diritto di difesa.
Con sentenza in data 1.3.2000 la Corte di appello di Palermo dichiarava efficace in Italia la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, celebrato fra le parti.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello propone ricorso, fondato su tre motivi, Patrizia Naso.
Resiste con controricorso, illustrato con memoria, Roberto La Barbera.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso Patrizia Naso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. e dell’art. 4 lett. b) del protocollo addizionale del 18.2.1984, reso esecutivo in Italia con la L. n 121-1985.
Assume la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità e comunque l’inefficacia del procedimento avanti a sè incardinato posto che il giudizio avrebbe dovuto essere introdotto con citazione e non con ricorso e si sarebbe dovuto svolgere con il rito ordinario e non con rito camerale.
In particolare, come già rilevato dalla stessa Corte di merito, a seguito dell’introduzione del giudizio con ricorso il Presidente della Corte di appello, con provvedimento in data 18.5.1998 ha convocato le parti in camera di consiglio per l’udienza camerale del 9.7.1999, assegnando termine per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto fino al 15.6.1999, talché il termine a comparire del convenuto era risultato di neanche 25 giorni, inferiore quindi al termine di giorni 60 previsto dall’art. 163 bis c.p.c.
Il motivo è infondato e va pertanto respinto.
Al riguardo si osserva che la Corte di cassazione ha già precisato che l’uso del ricorso al posto dell’atto di citazione e lo svolgimento del giudizio con il rito camerale anziché con il previsto rito ordinario non sono di per sè causa di invalidità del procedimento, per il principio di conservazione degli atti nulli, qualora dalle indicate inversioni non siano derivati pregiudizi concreti al diritto di difesa delle parti. (Cass. civ. sez. I 5.7.1994 n 6346) Dall’impugnata sentenza risulta che la Corte di appello, accertato che alla convenuta era stato concesso un termine per comparire inferiore a giorni 60 previsto dall’art. 163 bis c.p.c., ha rinviato la causa ad un’udienza successiva alla prima, onde permettere alla convenuta medesima di articolare, nel rispetto dei termini di legge, le sue difese.
All’udienza, come su fissata, la convenuta non ha articolato alcuna richiesta istruttoria sicché nessuna violazione del diritto di difesa è ravvisabile nella specie nè la ricorrente ha indicato quali pregiudizi si sarebbero concretizzati a suo danno dalle indicate inversioni Il motivo testè esaminato va pertanto disatteso.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 797 n 7 c.p.c., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Rileva che in base all’art. 797 c.p.c. la Corte di appello, competente a delibare la sentenza straniera, deve accertare che la sentenza delibanda non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico.
In particolare la Corte territoriale non ha tenuto conto che la sentenza delibanda si poneva in contrasto con l’ordine pubblico perché il vizio della volontà di Roberto La Barbera non era stato portato a conoscenza della futura moglie, prima della celebrazione del matrimonio, e perché la declaratoria di nullità era stata richiesta dopo che i coniugi avevano iniziato la loro convivenza.
Si osserva che la Corte di merito, nella parte motiva dell’impugnata sentenza, ha escluso che sussistessero impedimenti alla delibazione della sentenza ecclesiastica in quanto la stessa non si poneva in contrasto con l’ordine pubblico sia sotto il profilo processuale, posto che era stato garantito il contraddittorio delle parti, sia sotto il profilo sostanziale, posto che al vizio del consenso è riconosciuta rilevanza dall’ordinamento interno.
L’assunto della Corte territoriale non può essere interamente condiviso perché se è vero che al fine dell’utile proposizione del ricorso per la delibazione di una sentenza ecclesiastica è necessario che in quel giudizio sia stato garantito alla parte il diritto di agire e difendersi in giudizio e se è altresì vero che anche l’ordinamento italiano riconosce rilevanza al vizio della volontà, deve tuttavia precisarsi che in base al principio dell’affidamento incolpevole, tale vizio deve essere conosciuto o comunque conoscibile dalla controparte, posto che l’ignoranza del vizio impedisce la delibazione della sentenza, per contrasto con l’ordine pubblico interno.
Tale ultima circostanza non è stata tenuta presente dalla Corte di merito, come sarà meglio precisato in prosieguo, sicché il secondo motivo va accolto.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia motivato in ordine alla conoscenza o conoscibilità da parte del coniuge incolpevole del vizio della volontà dell’altro coniuge e in ordine alla circostanza che le parti, dopo la celebrazione del matrimonio, avevano iniziato la loro convivenza.
Il motivo è fondato per quanto di ragione e va accolto nei limiti in prosieguo precisati.
Si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha sempre precisato che non può essere delibata una sentenza ecclesiastica che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, per difetto dei “bona matrimonii”, allorché non risulti che il vizio del consenso fosse noto o quanto meno conoscibile da parte del coniuge incolpevole.
Dall’impugnata sentenza non risulta se l’indicata condizione sia stata accertata dal giudice di merito avendo questo assunto la conformità della sentenza delibanda all’ordine pubblico, in riferimento a due circostanze insufficienti, senza tuttavia fare cenno alcune alla sussistenza della condizione in questione che doveva essere rilevata anche d’ufficio.
Sul punto il terzo motivo appare fondato e va quindi accolto.
Irrilevante al contrario si deve ritenere l’omessa motivazione in punto di convivenza posto che la norma contenuta nell’art. 123 u.c.c.c. non si configura come espressione di principi e regole fondamentali con i quali la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio. (Cass. civ. SS. UU. 20.7.1988 n 4700), sicché la lamentata omessa motivazione sul punto non rileva ai fini della pretesa violazione dell’ordine pubblico interno.
Pertanto il terzo motivo va accolto nei limiti indicati, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Palermo, diversa sezione anche per le spese del giudizio di legittimità, perché accerti, dandone conto in motivazione, se risulti dalla sentenza delibanda che Patrizia Naso fosse a conoscenza o comunque potesse essere a conoscenza, con la dovuta diligenza, del vizio della volontà del marito.

P.Q.M

respinge il primo motivo, accoglie secondo e terzo motivo del ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di appello di Palermo, diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.