Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Luglio 2005

Sentenza 12 febbraio 2002, n.4893

Consiglio di Stato. Sezione IV. Sentenza 12 febbraio 2002, n. 4893: “Sopravvenuta vocazione religiosa e servizio nella Polizia di Stato”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente:

DECISIONE

sul ricorso in appello n.1799/90 proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia, in Roma, via dei Portoghesi n.12;

contro

il sig. Antronaco Luigi, non costituito nel presente grado di giudizio;

per l’annullamento e/o la riforma della decisione del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria n.189/90, del 15 febbraio – 12 marzo 1990, notificata il 12 maggio
1990.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista l’ordinanza di questa Sezione n.1021/90 del 9 ottobre 1990;
Visto il fascicolo di primo grado e gli atti tutti della causa;
Udito alla pubblica udienza del 12 febbraio 2002 il relatore Cons. Nicola Russo e udito l’avvocato dello Stato Di Martino per l’amministrazione appellata;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

Con ricorso notificato il 6 novembre 1986 Luigi Antronaco proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. della Liguria chiedendo l’annullamento del provvedimento di diniego di riammissione in servizio nella Polizia di Stato, nonché degli atti ad esso connessi e, in particolare, del parere della Commissione consultiva citato nel provvedimento di reiezione, parere peraltro sconosciuto al ricorrente.
L’Antronaco affermava di aver prestato servizio in Polizia dal 10 aprile 1980 all’1 settembre 1984, data di collocamento in congedo a domanda, per sopravvenuta vocazione religiosa e conseguente entrata in seminario.
Dopo più di un anno il ricorrente, verificata l’insussistenza di tale vocazione, aveva chiesto di essere riammesso in servizio con domanda dell’11 dicembre 1985, ma l’Amministrazione aveva rigettato la domanda, avendo la Commissione prevista dall’art.69 D.P.R. n.335/82 espresso parere contrario.
L’Antronaco, con il suddetto ricorso, deduceva che il provvedimento appariva completamente sfornito di motivazione, non essendo tra l’altro conosciuto il parere della predetta Commissione.
A seguito di richiesta istruttoria avanzata dal ricorrente, il Presidente del T.A.R. adito ordinava all’Amministrazione di depositare in segreteria tutti gli atti e i documenti, compreso il parere della Commissione consultiva, del procedimento amministrativo sfociato nel provvedimento impugnato.
L’Amministrazione ottemperava a quanto ordinato e il ricorrente, fondandosi sulla cognizione degli atti depositati, presentava motivi aggiunti, che si incentravano sulla illogicità del parere in relazione ai criteri che la Commissione medesima aveva elaborato nella seduta del 27 novembre 1984, criteri ai quali non risultava riconducibile il caso di specie, nonché sul contrasto del giudizio espresso dalla Commissione con i precedenti rapporti informativi stilati durante la prestazione del servizio.
Si costituiva l’Amministrazione intimata, che con memoria chiedeva il rigetto della domanda proposta, in quanto il provvedimento di mancata riammissione in servizio risultava motivato per relationem con il parere della citata Commissione, parere che doveva ritenersi legittimo sia alla luce dei rapporti informativi stilati sull’attività di servizio prestata dall’Antronaco, sia alla luce della domanda di trasferimento presentata dal ricorrente quando era in servizio e motivata sulla base del suo imminente matrimonio, a conferma della instabilità rilevata dalla Commissione medesima, sia, infine, alla luce della fattispecie di cui al n.15 dei criteri elaborati dalla Commissione consultiva, concernente il complesso di durata dell’interruzione del servizio e la utilizzazione del predetto periodo da parte dell’ex dipendente.
Con sentenza n.189/90 del 12 marzo 1990, il T.A.R. della Liguria, respinta la censura di difetto di motivazione dell’atto avanzata dal ricorrente, accoglieva il ricorso sotto il profilo dell’eccesso di potere per falsità dei presupposti e illogicità manifesta, << in quanto la scelta religiosa fatta dall'agente, di per sé, non è affatto segno di instabilità di carattere. Anzi, semmai denoterebbe una personalità matura, capace di cambiare la propria vita per seguire una vocazione spirituale >>.
Rilevava, inoltre, il T.A.R. come la motivazione in esame non rientrerebbe nemmeno nella fattispecie di cui al n.15 dei criteri elaborati dalla Commissione, dal momento che << la durata è stata non certo eccessiva, circa un anno, e l'utilizzazione non appare certo biasimevole, essendo l'Antronaco entrato in seminario>>.
Quanto alle circostanze addotte dall’Amministrazione, relative alla domanda di trasferimento presentata dall’Antronaco e fondata sul suo imminente matrimonio, nonché all’asserita negatività dei rapporti informativi stilati sulla sua attività di servizio, il T.A.R. rilevava come si tratterebbe di circostanze irrilevanti, non potendo la motivazione essere integrata in sede giurisdizionale.
Rilevava, comunque, il giudice di prime cure come <> fossero <>, mentre, <>.
Il T.A.R., quindi, accoglieva il ricorso dell’Antronaco, con conseguente annullamento del provvedimento di reiezione della sua richiesta di riammissione in servizio e dichiarava l’obbligo dell’Amministrazione di <>, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite, liquidate in £. 1.000.000.
Con ricorso in appello notificato il 10 luglio 1990 e depositato il 13 settembre 1990, il Ministero dell’Interno ha impugnato dinanzi a questo Consiglio di Stato la summenzionata decisione del T.A.R. della Liguria, chiedendone, previa sospensione dell’esecuzione della medesima, la riforma e/o l’annullamento in quanto erronea ed ingiusta, con vittoria delle spese del doppio grado.
L’appellato, benché ritualmente intimato presso il procuratore costituito nel domicilio eletto per il giudizio di primo grado, non si è costituito nella presente fase di gravame.
Con ordinanza n.1021/90 del 9 ottobre 1990, questa Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione dell’appellata sentenza, ritenendo che dalla medesima non derivasse un danno grave ed irreparabile, così come previsto dal comma 3 dell’art.33 della L. 6 dicembre 1971, n.1034.
Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2002 la causa è stata assunta in decisione.

L’appello in esame è fondato.
Ritiene, anzitutto, il Collegio che la riammissione in servizio costituisce il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale della p.a. circa la rispondenza della reintegrazione del dipendente alle esigenze dell’apparato burocratico (cfr. Cons. St., VI, 21 gennaio 1993, n.64; Cons. St., V, 22 novembre 1991, n.1332; Cons. St., IV, 16 dicembre 1980, n.1207; Cons. St., VI, 23 novembre 1971, n.934; Cons. St., IV, 23 ottobre 1970, n.717), valutazione che sfugge al sindacato di legittimità, purché non inficiata da vizi logici (cfr. Cons. St., IV, 22 maggio 1989, n.343).
Stando così le cose, ne discende che il giudizio della Commissione per il personale del ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato, di cui all’art.69 del D.P.R. 24 aprile 1982 n.335, legittimamente richiamato per relationem nel diniego di riammissione in servizio impugnato in prime cure, non va valutato nel merito, bensì nella sua logicità.
Da tale punto di vista, deve, anzitutto, convenirsi con quanto rilevato dal Ministero nell’atto di appello, vale a dire che la P.A. può certamente escludere la riammissione in servizio di un ex dipendente che si presenti quale “elemento instabile e con idee non molto chiare sul proprio futuro”, giacché sarebbe nociva al servizio e contraria all’interesse pubblico la riammissione di siffatti elementi fra le file dei dipendenti pubblici, tanto più nel caso di appartenenti alla Polizia di Stato, chiamati ad un servizio di gravosità e responsabilità particolari, che può essere proficuamente svolto solo da chi chiaramente abbia fatto determinate scelte di vita alle quali deve poi mantenersi rigorosamente coerente, a rischio, altrimenti, di esiti fatali, per sé o per altri.
L’instabilità di carattere, poi, come fondatamente rilevato dall’appellante, essendo una pecca non tollerabile in un agente di P.S., dal momento che può comportare – in ogni momento – gravi intralci al servizio, può essere desunta da ogni fatto, anche personale, legittimamente noto all’Amministrazione, mentre – giusta quanto precede – sarebbe illogico distinguere, come, invece, ha fatto il giudice di prime cure, tra fatti connessi al servizio e quelli che non lo siano. Comunque, nel caso di specie i fatti controversi o sono connessi al servizio o quantomeno sono stati sottoposti all’attenzione dell’Amministrazione dal dipendente medesimo in connessione a fatti di servizio. Così è per la vocazione religiosa il cui sorgere e venir meno furono causa, rispettivamente, dell’interruzione del rapporto di servizio a domanda e della richiesta di riammissione e così anche per il progettato matrimonio – pochi mesi prima dell’entrata in seminario – con il quale fu motivata l’istanza di trasferimento.
L’Amministrazione, pertanto, ha non illogicamente escluso la riammissione in servizio dell’ex dipendente in questione in quanto instabile e siffatta circostanza ha legittimamente inferito – senza incorrere in vizi logici – dalle evenienze testé menzionate, ritenute manifestazioni di una personalità incoerente, che non riesce a prendere una decisione definitiva sulle scelte fondamentali della vita, passando con leggerezza da una decisione ad un’altra, del tutto contrapposta (implicante, cioè, l’adesione a determinati valori tanto imprescindibili quanto inconciliabili con quelli implicati dall’altra).
Quanto al preteso contrasto con i criteri generali fissati dalla Commissione nella seduta del 27 novembre 1984, deve dirsi che, come fondatamente rilevato dall’Amministrazione appellante, se con tali criteri la Commissione si è vincolata nel senso di esprimere parere contrario alla riammissione ove ricorrano certune condizioni, ciò non vuol dire che la Commissione medesima si sia vincolata a dare parere favorevole negli altri casi; essa, cioè, ben può dare parere contrario ove ricorrano congrue ragioni e queste siano indicate (come è, appunto, avvenuto, sia pure per relationem, nel caso di specie).
Il parere contrario espresso nel caso in esame, poi, come rilevato dall’appellante e contrariamente a quanto sostenuto nella decisione appellata, era ben riconducibile al punto 15 dei suddetti criteri generali (“a causa del periodo di interruzione del servizio nel ruolo della Polizia di Stato, per il suo complesso di durata e di utilizzazione da parte del richiedente, non sia in possesso dei requisiti necessari ai compiti di istituto”).
L’instabilità caratteriale del richiedente lo rendeva, infatti, inadatto – e quindi privo dei requisiti necessari – ai compiti di istituto e l’utilizzo del periodo dopo la cessazione dal servizio manifestava una scelta di vita radicalmente difforme e dopo un anno altrettanto radicalmente abbandonata: donde la corretta e logica inferenza di instabilità.
Inferenza rafforzata, poi, dal fatto che pochi mesi prima dell’entrata in seminario il ricorrente si accingeva a contrarre matrimonio.
Siffatti elementi ben potevano essere presi in considerazione dal T.A.R.; non si trattava, infatti, come correttamente eccepito dall’Avvocatura erariale, di integrazione postuma, in sede giudiziale, della motivazione, ma di deduzione specifica di elementi formativi di un giudizio all’evidenza espresso avendosi presente l’intero fascicolo del richiedente e, quindi, formatosi anche in considerazione di quegli elementi.
Per tutte le suesposte considerazioni l’appello in esame deve, dunque, essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso proposto in primo grado.
Le spese dell’intiero giudizio seguono, come di regola, la complessiva soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso in primo grado.
Condanna la parte appellata al pagamento, in favore del Ministero appellante, delle spese, competenze ed onorari dei due gradi di giudizio, che liquida nella complessiva somma di 2000,00 (duemila) euro, pari a 1000 euro per grado.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Giovanni PALEOLOGO Presidente
Costantino SALVATORE Consigliere
Marcello BORIONI Consigliere
Fabio CINTIOLI Consigliere
Nicola RUSSO Consigliere est.