Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Maggio 2007

Sentenza 11 settembre 2006, n.29872

Corte di Cassazione Penale. Sezione III. Sentenza 11 settembre 2006, n. 29872: “Beni culturali di interesse religioso e lavori di restauro”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITALONE Claudio – Presidente
Dott. DE MAIO Guido – Consigliere
Dott. ONORATO Pierluigi – est. Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia – Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:

1) R.G., nato a (OMISSIS);
2) M.A., nato a (OMISSIS);
3) M.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza resa il 01/07/2005 dalla corte di appello di Perugia.

Vista la sentenza denunciata e il ricorso;

Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza per essere il reato estinto per prescrizione;

Udito il difensore degli imputati, avv. FINI Giorgio, per R., e, in sostituzione dell’avv. Marco Bellingacci, per M., che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti del R. per non aver commesso il fatto, e nei confronti del M. per essere il reato estinto per prescrizione.

Osserva:

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 1.7.2005 la corte d’appello di Perugia, parzialmente riformando quella resa dal tribunale monocratico di Spoleto il 29.9.2004, appellata dal pubblico ministero e dagli imputati M. e Mi.:

– ha condannato, con i doppi benefici di legge, R.G., M.A. e M.F. alla pena di quattro mesi di arresto ed Euro 520,00 di ammenda, convertita nella pena complessiva di Euro 5.080,00 di ammenda, avendoli riconosciuti colpevoli del reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118, comma 1, lett. a), ora sostituito dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169, per avere:

– il primo quale rappresentante della Curia Arcivescovile di Spoleto, committente dei lavori, il secondo quale direttore dei lavori, e il terzo quale legale rappresentante della ditta appaltatrice dei lavori stessi, in concorso tra loro e con il parroco P.P., deceduto – eseguito lavori di restauro della Chiesa romanica di (OMISSIS), della fine del 12^ secolo, senza la preventiva autorizzazione della competente Soprintendenza per i Beni Architettonici e Artistici;

– ha confermato con la formula “il fatto non sussiste” l’assoluzione di R.G. e M.A. dal reato di cui all’art. 733 c.p. contestato per avere danneggiato la chiesa suddetta attraverso i predetti lavori (per lo stesso reato il giudice di primo grado aveva dichiarato non doversi procedere contro M. F. per oblazione).

In estrema sintesi, la corte territoriale ha accertato e considerato:

– che il vicario vescovile R.G., ai sensi del D.P.R. 26 settembre 1996, n. 571, art. 5, aveva presentato per la Chiesa di (OMISSIS) il progetto di miglioramento sismico e di riparazione dei danni causati dal terremoto;

– che la conferenza dei servizi, in data 4.11.1999, chiese la modificazione del progetto da inviare alla Soprintendenza per la preventiva autorizzazione di legge, nel contempo stabilendo che gli interventi sugli elementi di interesse storico-artistico fosse effettuato da restauratori specializzati;

– che in data 10.1.2001 due operai della ditta appaltatrice eseguirono una sabbiatura sulle parte lapidee dell’abside e del portale della chiesa, che non era stata autorizzata, e che fu prontamente bloccata dai funzionari della Soprintendenza, che poi denunciarono l’illecito;

– che nel mese di ottobre 2001 si eseguirono invece i lavori autorizzati dalla Soprintendenza, relativi al miglioramento sismico e alla riparazione dei danni provocati dal terremoto;

– che secondo il D.P.R. 26 settembre 1996, n. 571 il ruolo del Vescovo o del suo delegato non è soltanto quello di presentare ai soprintendenti i progetti per gli interventi di restauro dei beni culturali degli enti ecclesiastici soggetti alla sua giurisdizione, ma anche di realizzarli, di scegliere l’impresa appaltatrice e di vigilare sulla concreta esecuzione dell’appalto nel rispetto del progetto approvato;

– che pertanto tutti gli imputati, nelle loro rispettive qualità, avevano concorso colposamente nella commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 181, ora D.Lgs. n. 41 del 2004, art. 169 per non aver sorvegliato sulla corretta esecuzione dei lavori;

– che infine non sussisteva il reato di cui all’art. 733 c.p., essendo mancata la prova che, in seguito alla interruzione quasi immediata della predetta sabbiatura, si fosse effettivamente cagionato un danno, anche perchè lo shock patito dalla pietra fu rimediato egregiamente con un intervento di restauro.

2 – Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, personalmente o tramite il difensore.

2.1 – Il difensore del R. in particolare:

2.1.1 – deduce violazione della norma incriminatrice e del citato D.P.R. n. 571 del 1996, posto che il vescovo ha solo l’obbligo di presentare il progetto di restauro, ma non ha nè un dovere di sorveglianza nè una posizione di garanzia, sicchè unico responsabile dell’illecito intervento doveva ritenersi il parroco della Chiesa di (OMISSIS) (ormai deceduto);

2.1.2 – lamenta mancanza di motivazione laddove la sentenza impugnata attribuisce al R. la qualità di rappresentante dell’Arcivescovo;

2.1.3 – chiede che sia dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, maturata sin dal 10.7.2005, qualche giorno dopo il deposito della sentenza d’appello;

2.1.4 – in estremo subordine chiede la revoca della sospensione condizionale della pena.

2.2 – Il difensore del M. lamenta:

2.2.1 – inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Al riguardo sostiene che il fatto era inquadrabile nel reato previsto da tale norma, che peraltro era stato parzialmente abolito dalla successiva L. n. 308 del 2004, sicchè doveva applicarsi l’art. 2 c.p.;

2.2.2 – inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (che peraltro non specifica) in relazione al tempus commissi delicti;

2.2.3 – mancanza o manifesta illogicità di motivazione sul punto del dovere di sorveglianza, giacchè nessun dovere di tal fatta incombeva sul direttore dei lavori, e comunque era contraddittorio affermare che la sorveglianza spettava soltanto all’appaltatore;

2.2.4 – erronea applicazione dell’art. 113 c.p. in ordine all’affermato concorso colposo. Sostiene che il M., quale direttore dei lavori, non avrebbe potuto prevedere la condotta anormale ed eccezionale degli operai che eseguirono la sabbiatura;

2.2.5 – inosservanza dell’art. 420 ter c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), laddove la corte perugina ha respinto la richiesta di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento del difensore, perchè presentata a mezzo fax solo tre giorni prima della udienza. Sostiene che la conseguente nullità non era sanata dalla presenza in udienza del sostituto, incaricato soltanto di insistere nella istanza di rinvio;

2.2.6 – violazione dell’art. 129 c.p.p.. Sostiene che deve essere dichiarala la estinzione del reato per prescrizione, maturata qualche giorno dopo la lettura del dispositivo della sentenza.

2.3 – Il Mi. deduce tre motivi a sostegno del suo ricorso. In particolare:

2.3.1 – denuncia erronea valutazione delle prove, difetto di motivazione su punti decisivi e travisamento dei fatti, laddove la sentenza impugnata non ha considerato che la sabbiatura era stata un’erronea iniziativa di alcuni operatori e che il teste P., funzionario della Soprintendenza, ha dichiarato a dibattimento che per fortuna erano “arrivati in tempo” per bloccare l’errore;

2.3.2 – lamenta erronea applicazione di legge e illogicità della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato. Sostiene che gli unici autori del reato erano gli operai e che egli era stato ritenuto colpevole solo perchè titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori;

2.3.3 – chiede in subordine che venga dichiarata la estinzione del reato per prescrizione.

3 – Va anzitutto respinta l’eccezione processuale formulata dal difensore del M. (n. 2.2.5).

Secondo la giurisprudenza costante di questa corte, correttamente il giudice d’appello ha respinto l’istanza di rinvio della udienza del 1.7.2005 formulata a mezzo fax del 28.6.2005 dal suddetto difensore per altro concomitante impegno professionale. L’istanza infatti non poteva ritenersi tempestiva per la semplice ragione che il difensore conosceva sin dal 18.5.2005 del suo concomitante impegno professionale.

E’ inoltre manifestamente infondato il motivo di ricorso n. 2.2.1, con cui lo stesso difensore sostiene l’inquadrabilità del fatto contestato nel D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 nonchè la parziale abolizione di questo reato.

Infatti, da una parte e incontestabile la perfetta sussumibilità del fatto contestato nella ipotesi contravvenzionale del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169 (che ha sostituito il precedente D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 118); dall’altra la L. n. 308 del 2004 non ha abolito il reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, ma ha solo aggiunto la previsione di una nuova fattispecie delittuosa (art. 181, comma 1 bis), e ha previsto per la ipotesi contravvenzionale una causa di non punibilità a seguito di un certificato postumo di compatibilità paesaggistica – che non ricorre nel caso presente (art. 181, comma 1 ter) e una causa di estinzione del reato a seguito di remissione in pristino da parte del trasgressore – che pure non ricorre nella presente vicenda.

Parimenti infondato è il motivo n. 2.1.2 del ricorso R., che contesta la qualità di rappresentante dell’Arcivescovo di Spoleto in capo al R. medesimo. Sul punto, infatti, i giudici di merito hanno motivato in modo logico e congruo, incensurabile in sede di legittimità.

4 – Non possono invece ritenersi manifestamente infondati altri motivi di ricorso che riguardano il ruolo dell’Arcivescovo (o del suo delegato) per la presentazione del progetto di restauro del bene culturale ecclesiastico e per la committenza dei relativi lavori, ovvero la possibilità del committente, del direttore e dell’assuntore dei lavori di sorvegliare l’operazione di sabbiatura effettuata dagli operai (anche se è poco verosimile che i dipendenti del Mi. prendessero autonomamente l’iniziativa di procedere alla sabbiatura stessa). Ne deriva che, non potendo i ricorsi ritenersi inammissibili, si è validamente radicato il rapporto di impugnazione, con la ulteriore conseguenza che questa corte, come giudice della impugnazione, a norma dell’art. 129 c.p.p., deve immediatamente dichiarare la estinzione del residuo reato, posto che il reato stesso è stato accertato il 10.1.2001, e la relativa prescrizione è maturata il 10.7.2005.

Per le ragioni su accennate non ricorrono le condizioni per un proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, nè nei confronti del R., nè nei confronti degli altri coimputati ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2006