Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Dicembre 2005

Sentenza 11 novembre 2005, n.21865

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 11 novembre 2005, n. 21865: “Matrimoni concordatari: la presunta lesione del diritto alla difesa non è rilevabile d’ufficio in sede di delibazione”.

LA Corte Suprema di Cassazione
Sezione Prima Civile

Composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:

Dott. M. Gabriella Luccioli Presidente
Dott. Giuseppe V.A. Magno Cons. rel.
Dott. Sergio Di Amato Consigliere
Dott. Bruno Spagna Musso Consigliere
Dott. Stefano Petitti Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

M.M.R.R. elettivamente domicilia¬ta in Roma, via D. Chelini, n. 5, presso l’Avvocato Fabio Veroni, rappresentata e difesa dall’Avvocato Oscar Graziani per procura speciale in calce al ricorso – ricorrente –

contro

T. G., elettivamente domiciliato in Roma, via della Farnesina, n. 322, presso l’Avvocato Francesco Colucci, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giuseppe Carandente Giarrusso, giusta procura speciale per atto Notaio Leonardo La. Porta, rep. n. 125919 del 28.1.2005, depositato il 25.2.2005 – controrícorrente –

– Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Napoli – intimato –

avverso la sentenza n. 1989/2002 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 12.6.2002.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10.10.2005 dal Relatore Cons. Giuseppe Vito Antonio Magno;
Udito, per il controricorrente, l’Avvocato Giuseppe Carandente Giarrusso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carlo Destro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con atto notificato il 4.6.2001, il signor G.T. convenne in giudizio davanti alla corte d’appello di Napoli la signora M.R.R.M. con la quale aveva contratto matrimonio concordatario il 1°.12.1990, per sentir dichiarare efficace nello Stato la sentenza pronunziata il 27.11.1996 dal tribunale ecclesiastico regionale campano, confermata il 21.9.2000 dal tribunale ecclesiastico d’appello del vícariato di Roma, resa esecutiva con decreto 23.3.2001 del supremo tribunale della segnatura apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio per esclusione, da parte di esso attore, della indissolubilità del vincolo (bonum sacramenti).

2.- Istituitosi il contraddittorio e compiuta l’istruzione della causa, l’attore ed il pubblico ministero conclusero per l’accoglimento della domanda; la convenuta, riportandosi alle conclusioni della comparsa di risposta, chiese “verificarsi i requisiti ed i presupposti della domanda”.

3.- Con sentenza depositata il 12.6.2002, la corte d’appello di Napoli, avendo riconosciuto sussistenti tutte le condizioni di legge, accolse la domanda e, pertanto, dichiarò efficace nello Stato la menzionata sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario celebrato dalle parti; impartí all’ufficiale di stato civile competente le disposizioni consequenziali e compensò interamente fra le parti le spese di giudizio.

4. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso R.R.M.M., con due motivi, illustrati, da memoria, cui resiste, mediante controricorso, G. T.
Il procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Napoli, intimato, non svolge difese in questo giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5.- Col primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360, 1° co., nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’articolo 8, co. 2, lett. b), legge 25 marzo 1985, n. 121 par. 1, e dell’articolo 797, n. 2, c.p.c..
5.1.- Sostiene, in proposito, che le dedotte violazioni di legge, impeditive della delibazione, consisterebbero nell’avere la corte napoletana – attestando erroneamente che entrambe le parti avevano partecipato al giudizio canonico; non rilevando d’ufficio che l’attore non aveva provato l’avvenuta regolare notifica alla controparte del decreto dì costituzione del tribunale ecclesiastico e del libello introduttivo del giudizio canonico, sicché ella si era trovata “nell’impossibilità di esercitare il diritto di resistere tempestivamente in [tale] giudizio, diritto che fa parte di fondamentali princìpi dell’Ordinamento Italiano” – ritenuto compatibile con tale ordinamento la pronunzia ecclesiastica di nullità del vincolo, emanata a seguito di procedura non rispettosa del principio del contraddittorio.
5.2.- La censura suesposta é inammissibile, perché del tutto “nuova”.
5.3.- Si premette che la critica contenuta in questo motivo è diretta a contestare essenzialmente alcune affermazioni, contenute nella sentenza qui impugnata, laddove la corte d’appello dà atto, nelle “conclusioni che “I procuratori delle parti ed il Pubblico Ministero concludono per l’accoglimento della domanda nella parte relativa allo svolgimento del processo, che “la convenuta non si opponeva all’accoglimento della domanda” e, in motivazione, che “Venne, inoltre, rispettato il principio del contraddittorio, avendo entrambi i ricorrenti partecipato al giudizio [canonico]”.
5.4.- Ora, fermo restando che l’interpretazione delle domande delle parti, sulla scorta delle loro complessive e rispettive condotte processuali, è riservata al giudice di merito (Cass. nn. 11922/2003, 1281/2003, 12482/2002, 12259/2002, ecc.), risulta dal ricorso (pag. 2) che la M. , convenuta nella causa di delibazione, non aveva affatto chiesto il rigetto della domanda, bensì soltanto “di verificarsi i requisiti ed i presupposti della domanda”; e che, all’atto di precisare le conclusioni definitive, ella “concluse riportandosi alla comparsa di costituzione” (pag. 9).
La ricorrente, pertanto, non lamentò affatto, davanti al giudice di merito, la presunta lesione di diritti della difesa nel corso dei giudizi ecclesiastici, ma, chiedendo la semplice e generica verifica della sussistenza dei requisiti per la delibazione (compito che il giudice avrebbe dovuto comunque assolvere), mostrò apertamente – secondo la corte d’appello, che perciò ritenne la convenuta non contraria all’accoglimento della domanda – di volerla accettare in caso di verifica positiva.
5.5.- La presunta lesione dei diritti di difesa nelle procedure ecclesiastiche non è, d’altra parte, rilevabile d’ufficio, perché attinente alle modalità di giudizi svoltisi davanti a tribunali diversi da quelli dello Stato, i cui eventuali vizi processuali debbono essere dedotti e provati ai sensi dei nn. 2 e 3, del 1° comma dell’articolo 797 c.p.c.: norma, questa, ormai abrogata (articolo 73, legge 31 maggio 1995, n. 218), ma connotata da ultrattività in subiecta materia perché espressamente richiamata dall’articolo 4, lett. b) del Protocollo addizionale all’Accordo 18 febbraio 1984 fra la Repubblica Italiana e la Santa sede, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121 (Cass. n. 8764/2003).
5.6.- La lagnanza relativa a tali presunti vizi è quindi inammissibile, perché proposta per la prima volta col ricorso per cassazione, non essendo compresa nel tema del decidere del giudizio d’appello e non essendo relativa a questione rilevabile d’ufficio (Cass. nn.5150/2003, 194/2002, 10902/2001).

6.- La censura contenuta nel secondo motivo, con cui la ricorrente rilevata l’illegittimità della pronunzia di delibazione, a causa del preteso contrasto della sentenza ecclesiastica con l’ordine pubblico italiano – pretesa violazione degli articoli 797, n. 7, c.p.c.; 314 “preleggi”; violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 1° co., 116, 2° co., ult. p., c.p.c.; 2697, 2729, 2730, 2733 c.c.; vizi di motivazione – in relazione al principio di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, stante la riserva mentale unilaterale dello sposo circa l’indissolubilità del vincolo, riserva ignorata senza propria colpa da essa ricorrente, è infondata.
6.1.- Con questo motivo di censura, infatti, è sottoposto a critica il principio, affermato dalla corte d’appello, per cui “la causa che ha dato luogo alla pronuncia di nullità, costituita dalla esclusione, da parte di uno solo dei coniugi, dei ‘bona matrimonii’, può trovare ostacolo nell’ordine pubblico… soltanto quando il coniuge incolpevole si opponga alla declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica”; non essendo sufficiente, a tal fine, un atteggiamento processuale come quello tenuto dall’odierna ricorrente, convenuta nel giudizio di delibazione, di non opposizione a simile pronunzia, essendosi limitata a chiedere la verifica di sussistenza delle condizioni poste dalla legge a tal fine.
6.2.- Esattamente, invero, la corte di merito annota che i1 rispetto della buona fede del coniuge incolpevole della nullità è subordinato, comunque, al suo potere di decidere nel senso di non opporsi, e quindi di accettare la riconosciuta nullità di un rapporto viziato per fatto dell’altro coniuge.
Nel senso che la “non opposizione” dei coniuge incolpevole è sufficiente a consentire la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii, è infatti la costante giurisprudenza di questa suprema corte (S.U., n. 6128/1985; Cass. nn. 4457/2001, 5548/1995, 142/1987, 1202/1986).
6.3.- E’ vero, peraltro, che la non opposizione, da parte dell’incolpevole, alla richiesta di delibazione avanzata dall’altro coniuge deve risultare da un comportamento processuale inequivoco e che non può ritenersi sufficiente allo scopo il semplice silenzio dell’interessato o, ancor meno, la sua contumacia nel corso del giudizio di merito (Cass. n. 4457/2001 cit.); ma è anche vero che il comportamento processuale del coniuge incolpevole, se possa e debba essere considerato non oppositivo all’istanza di delibazione, è oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, non di quello di legittimità; e, nel caso di specie, la corte d’appello ha coerentemente giudicato (sopra, par. 5.3 e 5.4) che la convenuta abbia esercitato il suo diritto di non opporsi alla domanda.

7.- Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P. Q. M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.300,00 (milletrecento), di cui Euro 1.200,00 (milleduecento) per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.