Sentenza 11 agosto 1995, n.C-453/1993
Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Sezione Seconda. Sentenza 11 agosto 1995, n. C-453/1993.
(omissis)
11. Il Gerechtshot di Amsterdam rileva che l’esenzione istituita dall’art. 11, lett. f), della legge del 1968 si fonda sull’art. 13, punto A, n. 1, lett. g), della sesta direttiva, che dispone quanto segue: "Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso;
(omissis)
g) "le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l’assistenza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da organismi di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti come enti aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato".
12. Esso osserva, altresì, che, subordinando la concessione dell’esenzione al presupposto che l’ente interessato non abbia come finalità la ricerca sistematica del profitto, il legislatore si è avvalso della possibilità – attribuita agli Stati membri dall’art. 13, punto A, n. 2, lett. a), della sesta direttiva – di sottoporre a talune condizioni la concessione di alcune delle esenzioni previste al n. 1.
13. L’art. 13 punto A, n. 2, lett. a), dispone infatti che: "gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, a enti diversi da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lett. b), g), h), i), l), m) e n) all’osservanza di una o piú delle seguenti condizioni:
– gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti, ma dovranno essere destinati al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
(omissis)
– le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni di concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’imposta sul valore aggiunto".
14. Secondo il Gerechtshof di Amsterdam, il presupposto della mancanza del fine di lucro contenuto nell’art. 11, n. 1, lett. f), della legge del 1968 deve avere lo stesso significato di quello contenuto nell’art. 13, punto A, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, secondo il quale "gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto".
15. Esso ha, perciò, sospeso il procedimento, invitando la Corte a pronunciarsi sulla seguente questione pregiudiziale: "Se il fatto che un imprenditore, persona fisica, cerchi di ottenere sul piano strutturale un utile di gestione tale che l’importo delle entrate superi quello delle spese sostenute senza che l’eccedenza giunga a superare l’equivalente di una congrua retribuzione dei lavori effettuati dall’imprenditore stesso, costituisca "ricerca sistematica del profitto", ai sensi dell’art. 13, punto A, n. 2, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme".
16. Con la citata questione, il giudice a equo chiede alla Corte di interpretare il presupposto della mancanza di ricerca sistematica del profitto, dettato dall’art. 13, punto A, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, al quale gli Stati membri possono subordinare l’applicazione, in favore di enti diversi da quelli di diritto pubblico, dell’esenzione prevista dal n. 1, lett. g), dello stesso articolo.
17. Per fornire al giudice a equo una soluzione utile a dirimere la controversia nella causa principale, occorre preliminarmente accertare se, in un caso quale quello di specie, ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, punto A, n. 1, lett. g). Considerato che tale disposizione istituisce un’esenzione in favore delle prestazioni di servizi strettamente connessi con l’assistenza sociale e la sicurezza sociale, effettuate da organismi di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato, si deve, quindi, determinare se un imprenditore come la signora B.G. possa essere considerato come un organismo del genere.
18. Per giurisprudenza costante, le esenzioni previste dall’art. 13 della sesta direttiva costituiscono nozioni autonome di diritto comunitario (v. sentenza 15 giugno 1989, causa 348/1987).
Ciò vale anche con riferimento agli specifici requisiti imposti per poter fruire di tali esenzioni e, in particolare, in relazione a quelli riguardanti la qualità o identità dell’operatore economico che effettui prestazioni coperte dall’esenzione.
19. Occorre ricordare altresì che, nella stessa sentenza (punto 13), la Corte ha dichiarato che i termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui all’art. 13 della sesta direttiva devono essere interpretati restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’imposta sulla cifra d’affari è riscossa per ogni prestatore di servizi effettuati a titolo oneroso da un soggetto passivo.
20. Tra le varie esenzioni, previste dall’art. 13, punto A, n. 1, della sesta direttiva, talune – ivi compresa quella di cui al punto g) del detto articolo – fanno espresso riferimento alla nozione di organismo, mentre manca una precisazione del genere per altre esenzioni. Se ne desume che, nel primo caso, il beneficio dell’esenzione può essere invocato soltanto dalle persone giuridiche, laddove, nel secondo caso, se ne possono avvalere anche le persone fisiche, tra le quali gli imprenditori.
21. Di conseguenza, un imprenditore quale la signora B.G., che è persona fisica, non rientra nell’ambito d’applicazione ratione personae dell’art. 13, punto A, n. 1, lett. g), della sesta direttiva.
22. Questa circostanza è sufficiente ad escludere la possibilità, per tale imprenditore, di avvalersi di un’esenzione, ai sensi dell’art. 13, punto A), n. 1, lett. g), della sesta direttiva.
23. Alla luce di quanto sopra, diviene irrilevante per la soluzione della controversia nella causa principale accertare se il fatto che tale imprenditore cerchi sul piano strutturale di ottenere un utile di gestione, tale che l’importo delle entrate superi quello delle spese sostenute senza che l’eccedenza giunga a superare l’equivalente di una congrua retribuzione dei lavori effettuati dall’imprenditore stesso, costituisca "ricerca sistematica del profitto", ai sensi dell’art. 13, punto A, n. 2, lett. a), della sesta direttiva.
24. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata dal giudice di rinvio nel modo che segue: l’art. 13, punto A, n. 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che un imprenditore, persona fisica, non può avvalersi di un esenzione ai sensi della lett. g) di tale disposizione, esenzione espressamente riservata agli organismi di diritto pubblico e agli altri organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato
P.Q.M.
La corte (seconda Sezione), pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Gerechtshof di Amsterdam con ordinanza 21 luglio 1993, dichiara:
L’art. 13, punto A, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretata nel senso che un imprenditore, persona fisica, non può avvalersi di un’esenzione ai sensi della lett. g) di tale disposizione, esenzione espressamente riservata agli organismi di diritto pubblico e agli altri organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato.
Autore:
Corte di Giustizia delle Comunità Europee
Dossier:
Enti religiosi, Unione europea
Parole chiave:
Iva, Esclusione, Esenzione, Carattere sociale, Prestazioni, Tasse, Imposte, Imprenditore privato, Possibilità
Natura:
Sentenza