Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Ottobre 2003

Sentenza 10 novembre 1993, n.809

Consiglio di Stato. Sezione VI. Sentenza 10 novembre 1993, n. 809.

(Imperatrice; Adamo)

Diritto

L’appellante ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, I Sezione, con la quale è stato accolto il ricorso prodotto dal sac. Sergio Simonetti, insegnante della religione cattolica presso la Scuola media statale “Traverso” di Busalla, inteso ad ottenere la condanna dell’Amministrazione scolastica al pagamento degli stipendi e dei ratei di tredicesima mensilità relativi ai mesi di luglio e agosto 1988 con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme dovute ed illegittimamente non corrisposte.

Essa assume che detta sentenza sarebbe errata sotto un duplice profilo.

In primo luogo, il Tribunale non avrebbe tenuto conto che il Preside della Scuola media “Traverso” aveva conferito al prof. Simonetti, con provvedimento del 16 settembre 1987, un “supplenza annuale” per l’insegnamento della religione con decorrenza dal 1 settembre precedente.

Ciò renderebbe inapplicabile all’ipotesi di specie la normativa prevista per gli insegnanti non di ruolo “essendo evidente che la valenza dell’atto di conferimento (della supplenza) è quella dell’incarico a tempo determinato, non suscettibile di conferma, se non attraverso emissione di nuovo provvedimento formale”.

L’appellante assume ancora, in subordine, che il Tribunale non avrebbe tenuto conto che, nel concreto caso di specie, non sussisterebbero gli estremi di cui all’art. 5, secondo comma, del R.D. L.vo 1 giugno 1946 n. 539, perché non sarebbe contestato che l’insegnante sarebbe rientrato in servizio dopo l’ultimazione delle operazioni di scrutinio.

La menzionata disposizione prevede, invero, che per poter fruire della retribuzione nel periodo estivo l’insegnante non di ruolo debba aver prestato servizio nell’anno scolastico per almeno sette mesi e debba trovarsi “in servizio al termine delle operazioni di scrutinio finale”.

Le censure mosse dall’appellante alla sentenza del Tribunale amministrativo non hanno fondamento.

Basta osservare che la questione in esame è del tutto peculiare, in quanto relativa alla posizione giuridica di un insegnante della religione cattolica ed al trattamento economico a lui spettante.

Come è stato precipuamente già rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (per primi: Cons. Stato, II Sez. par. 11 luglio 1984 n. 1244 del 1984; VI Sez., 21 settembre 1987 n. 745, in Cons. Stato 1987, I, 1306) gli insegnanti della religione cattolica costituiscono nell’ordinamento scolastico una categoria a parte, disciplinata dalle disposizioni della L. 5 giugno 1930 n. 834, che si configurano indubbiamente come sistema “speciale” a base pattizia caratterizzate non soltanto dalla necessità di previe intese tra le Autorità statale ed ecclesiastica, ai fini della determinazione dei programmi d’insegnamento e della scelta dei docenti, ma anche dalla sostanziale precarietà del rapporto d’impiego del personale preposto all’insegnamento religioso, dovendosi tale rapporto reggere, non solo nel momento genetico ma anche nel suo continuo svolgersi, sull’assenso dell’Autorità ecclesiastica. Di talché, al di là della qualificazione del rapporto che intercorre tra l’amministrazione scolastica e la categoria degli insegnanti della religione cattolica (qualificazione non vincolante per il giudice), a questa non si applicano le norme di formazione delle graduatorie annuali per le supplenze, ma appunto la normativa di cui alla predetta legge n. 834 del 1930.

A tale linea interpretativa si è sempre attenuto, peraltro, il Ministero della pubblica istruzione, il quale nelle numerose circolari emanate nel tempo ha ribadito che: dato il carattere speciale delle norme contenute nel concordato (tra lo Stato e la Santa Sede del 1929) e nella L. 5 giugno 1930 n. 834, non sono applicabili per la scelta degli incaricati di religione le preferenze fissate nelle norme comuni; l’insegnamento della religione è conferito per incarico annuale dal Capo dell’istituto scolastico, inteso l’ordinario diocesano, e l’incarico cessa, durante l’anno scolastico, o per revoca dell’approvazione o dell’autorizzazione da parte dell’ordinario diocesano o per revoca disposta dal Capo d’istituto d’accordo con l’Autorità ecclesiastica o nei casi previsti dagli artt. 21, primo comma, e 22, primo comma, della legge n. 160 del 1955 (Circ. n. 345 dell’8 agosto 1959); agli insegnanti di religione sono applicabili nel complesso le norme di stato giuridico vigenti per gli insegnanti incaricati a tempo indeterminato forniti di abilitazione, tale essendo il valore dell’approvazione o dell’attestato rilasciato dall’ordinario diocesano (Circ. n. 217 dell’11 settembre 1978 e Circ. n. 254 del 10 settembre 1980).

Se, dunque, come afferma anche la migliore dottrina, pur dopo l’entrata in vigore della legge n. 270 del 1982, per l’insegnamento religioso sono applicabili ancora esclusivamente le norme della legge numero 834 del 1930, è chiaro che all’insegnante di religione cattolica sono applicabili non già la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 5 del R.D.L.vo n. 539 del 1946 – come ritenuto dall’Amministrazione – secondo la quale il trattamento economico (intero) nel periodo estivo spetta al docente che abbia prestato servizio per almeno sette mesi, anche se non continuativi, e si trovi in servizio al termine delle operazioni di scrutinio, bensì quelle dell’art. 9 della successiva legge n. 160 del 1955, recante norme sullo stato giuridico del personale insegnante non di ruolo delle Scuole secondarie statali.

Nel caso di specie, non è contestata l’affermazione dell’appellato (pp. 3 e 4 della memoria data 5 ottobre 1992) che la situazione di fatto in esame integri l’ipotesi legislativa contemplata dalla lett. b) del menzionato art. 9 della legge n. 150 del 1955 – tant’è che il prof. Simonetti, stando alla relazione in atti – inviata dal Preside della scuola media “Traverso” all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova del 28 ottobre 1988, ha ripreso servizio il 13 giugno 1988 ed è stato, poi, trasferito presso l’istituto Vittorio Emanuele – a tenore della quale, nei casi di assenza per malattia accertata dall’Amministrazione, il rapporto d’impiego dei professori incaricati è mantenuto in via continuativa con il trattamento economico normale per 30 giorni e ridotto alla metà per altri 60 giorni.

Alla stregua delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere pertanto confermata, seppure con l’integrazione della suesposta motivazione. Il che comporta la reiezione dell’appello esaminato.

Quanto infine all’appello incidentale, debitamente notificato, lo stesso dev’essere accolto sul rilievo che le spese di giudizio seguono di regola la soccombenza, salvo naturalmente che ricorrano i giusti motivi per la compensazione tra le parti in causa, di cui agli artt. 68, terzo comma, del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, e 92, secondo comma, del Codice di procedura civile.

Il Tribunale pur avendo accolto integralmente la domanda del ricorrente e condannato l’Amministrazione al pagamento degli emolumenti da lui pretesi, ha disposto la compensazione delle spese di lite, senza specificare in alcun modo quali fossero i giusti motivi che l’hanno indotto ad adottare simile statuizione.

L’Amministrazione scolastica deve essere dunque condannata al pagamento delle spese processuali per i due gradi di giudizio.