Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Settembre 2005

Sentenza 10 maggio 2005, n.2234

Consiglio di Stato. Sezione Quarta. Sentenza 10 maggio 2005, n. 2234: “Provvedimenti espropriativi comunali e mancata prova della deputatio ad cultum”.

Primo grado di giudizio: TAR Campania. Sentenza 10 marzo 2004, n. 133.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4382 del 2004 proposto dalla Parrocchia […], in persona del suo legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Enzo Maria Marenghi presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Piazza di Pietra, n. 63;

contro

– il Comune di […], in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario D’Urso ed Antonio D’Urso e con gli stessi elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. M.T. D’Urso, in Roma, Via Ottorino Lazzarini, n. 19;
– la Provincia di […], in persona del Presidente della Giunta provinciale in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti F.A. Di Martino e L. Mannucci, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Largo Trionfale, n. 7;

per l’annullamento

della sentenza n. 133 del 10 marzo 2004 resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione di Salerno sul ricorso n. 450 del 2003 del registro generale di quel Tribunale;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di […] e della Provincia di […]
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Relatore alla pubblica udienza del 7 dicembre 2004 il Consigliere Dedi Rulli; uditi l’avv. Enzo Maria Marenghi per la Parrocchia appellante e gli avv.ti Mario D’Urso Luigi Mannucci per le parti appellate;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La Parrocchia appellante, quale proprietaria di un’area sita nel Comune di […]., frazione […], già occupata da due manufatti destinati all’educazione ed alla formazione religiosa, impugnava innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania tutti i provvedimenti della procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione della villa comunale, compresi gli atti di annullamento del titolo concessorio relativo ai detti manufatti, deducendo, anche con motivi aggiunti, i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto concorrenti e plurimi profili.
Il Tribunale adito, dopo aver premesso una breve ricostruzione della vicenda, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale ed ha respinto i motivi aggiunti con la relativa istanza risarcitoria.
Con atto notificato in data 28 aprile 2004, la Parrocchia di […]. ha impugnato la predetta decisione ritenendola erronea e lesiva dei propri interessi.
Dopo aver ricordato e puntualizzato lo svolgersi della vicenda anche sotto il profilo giudiziale, deduce, in particolare i seguenti motivi:
a) “Violazione della L. n. 1034/1971; violazione dell’art. 10 del testo concordatario tra la S.Sede e l’Italia. Violazione L. n.848/1929 e L. n. 121/85 (art. 5); violazione art. 831, comma 2, cod.civ.” atteso che, per la demolizione degli edifici aperti al culto, come quelli interessati dalla procedura espropriativa contestata, è necessario, secondo la normativa in rubrica, il previo accordo dell’autorità ecclesiastica, nella specie mai acquisito, essendo inconfutabile la destinazione al culto dei manufatti di proprietà della Parrocchia.
Non è vero che la destinazione al culto non sarebbe stata provata con il necessario atto scritto, come ha sostenuto il giudice di primo grado, perché è stato depositato in atti il Bollettino del Clero n. 16 dell’ottobre 1986 dal quale risulta la benedizione dei locali in questione da parte dell’Arcivescovo di Salerno, benedizione che concreta quella deputatio ad cultum pubblicum prevista dal canone 1208 del Codice Canonico; esisterebbero, poi, le dichiarazioni in tal senso dei fedeli;
b) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990” poiché l’ avviso di avvio del procedimento è intervenuto solo dopo l’approvazione del progetto preliminare dell’opera pubblica;
Quanto, poi, alle censure prospettate avverso gli atti della procedura espropriativa in concreto eseguita quelli pianificatori presupposti, dichiarate improcedibili perché tardive si afferma che la lesione dagli stessi derivante è divenuta effettiva ed attuale solo al momento in cui inizia il procedimento ablatorio così che gli atti presupposti possono essere impugnati, senza incorrere in alcuna preclusione, all’atto della materiale ablazione del fondo da parte dell’Amministrazione.
In relazione a detti atti ribadisce le censure già prospettate in primo grado; in particolare:
c) “Violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 194, con successive modificazioni ed integrazioni e della L.n. 1150 del 1942. Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta. Sviamento” poiché l’opera da realizzare si pone in contrasto con l’ordine di priorità delle opere pubbliche contenuto nel programma triennale del periodo 2002/2004 ed in quello ancora in itinere per il successivo triennio 2003/2005;
d) “radicale mancanza (o mera apparenza) della motivazione” profilo sul quale il Tribunale adito ha omesso del tutto di pronunciarsi;
“Violazione e falsa applicazione art. 14 L.n.109/94, in particolare il comma 6” mancando l’elenco annuale delle opere pubbliche essendo stato quest’ultimo soltanto predisposto;
e) “Violazione della medesima normativa” essendo lo schema di elenco ancora all’esame del Consiglio comunale;
f) “Violazione dell’art. 3 della L. n. 241del 7 agosto 1990. Difetto di istruttoria e di motivazione. Illogicità e contraddittorietà” poiché l’opera da realizzare non risponde ad alcuna esigenza istituzionale né ad alcun interesse pubblico;
g) “Violazione normativa del P.R.G; dell’art. 3 della L. n.241 del 199°. Difetto di istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per mancata comparazione degli interessi” atteso che i manufatti in questione preesistevano allo strumento urbanistico entrato in vigore nel 1998 e di ciò l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto tener conto;
h) “Violazione L. n. 1150/1942; L.n./78; l. n. 10/77; L. n. 847/1864. Omessa comparazione interessi pubblici e privati. Sviamento” per contrasto del progetto dell’opera con una situazione di fatto preesistente e consolidata;
i) “Violazione art. 107 del D.Lgs n. 267/2000. Incompetenza” atteso che il progetto esecutivo dell’opera, in quanto atto di gestione, è di competenza dell’organo burocratico;
l) “Violazione L.R. per la Campania n. 9/90 (art. 1). Violazione del D.M. 2 aprile 1968 (art. 3)” atteso che la ricordata normativa regionale obbliga i Comuni a prevedere, in sede di pianifica urbanistica, alle attrezzature religiose;
m) “Violazione art. 13 L.n. 865/71” mancando nella delibera di approvazione del progetto, l’indicazione di tutti i termini previsti sia per la procedura espropriativa sia per i lavori;
n) “Sviamento di potere” essendo chiaro l’intento persecutorio dell’Amministrazione comunale.
Si ribadisce, infine, la richiesta risarcitoria per il danno subito a seguito della procedura contestata che si assume illegittima e si conclude perché l’appello sia accolto e la sentenza impugnata sia annullata.
Si sono costituiti in giudizio il comune di […]. e la Provincia di […] i quali, dopo aver precisato alcune circostanze in punto di fatto soprattutto in relazione alla disciplina urbanistica della zona ed alla circostanza che ormai quegli edifici, mai destinati a culto, non esistono più, affermano che mancavano, nella specie, i presupposti per ritenere quei manufatti sottoposti alla speciale disciplina del Codice di Diritto Canonico, atteso che i documenti a tal fine depositati dalla Parrocchia appellante darebbero adito a dubbi.
Ribadiscono, poi, la correttezza delle argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado in relazione alle rimanenti censure che sono in parte inammissibili (relativamente alla previsione contenuta nel P.R.G. del Comune, della delibera di approvazione del progetto preliminare dell’opera pubblica e di tutti i successivi atti del procedimento ablatorio fino al primo decreto di occupazione) ed in parte infondate.
Le Amministrazioni intimate concludono chiedendo che l’appello sia respinto con la conferma della statuizione impugnata.
Tutte le parti hanno depositato memorie difensive insistendo nella rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2004, uditi i difensori delle parti, la controversia è passata in decisione.

DIRITTO

1. Con la decisione impugnata, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, dopo aver premesso una puntuale ricostruzione della vicenda in esame, ha ritenuto che, nella specie, non sussistessero i presupposti per l’applicazione della speciale disciplina dettata dal Codice canonico per gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico che prevede il necessario accordo dell’autorità ecclesiastica per qualsiasi modifica della detta destinazione. Ha, quindi respinto, per questa parte, il ricorso.
Ha, poi, dichiarato inammissibile l’impugnativa rivolta a censurare sia le previsioni del vigente strumento urbanistico recante tipizzazione delle particelle catastali di proprietà dell’originaria ricorrente, sia le delibere di approvazione del progetto preliminare e quelle di approvazione del programma delle opere pubbliche per il triennio 2002/2004.
Infine ha ritenuto infondate le rimanenti censure (punto X dei motivi aggiunti e VIII° motivo aggiunto).
2. Il Collegio ritiene che le tesi argomentative su cui regge la decisione in esame siano condivisibili, non essendo idonee per giungere ad una soluzione di segno opposto le censure sviluppate nell’atto di appello.
Queste ultime, peraltro già proposte nel ricorso di primo grado e ribadite in questa sede, si articolano in due segmenti: alcune finalizzate a confermare la deputatio ad cultum dei manufatti oggetto della procedura espropriativa, altre finalizzate a contestare la destinazione urbanistica delle aree interessate e la conseguente procedura espropriativa, dai provvedimenti progettuali fino al decreto di occupazione d’urgenza.
3. Quanto alle prime il Collegio ritiene che il giudice di primo grado abbia correttamente interpretato la specifica normativa di settore escludendo, anche alla luce della documentazione versata in atti che, nella specie, sussistessero i presupposti per farne concreta applicazione.
In punto di fatto va, intanto, ricordato che, nell’anno 1981, fu assentita al legale rappresentante della Parrocchia appellante, apposita concessione edilizia “per la costruzione di due prefabbricati da destinare a centro sociale di educazione religiosa” (concessione n. 774 del 10 agosto 1981).
Occorre, a questo punto, verificare, come ha fatto il Giudice di primo grado, se i manufatti in questione abbiano nel tempo mutato l’originaria destinazione quale risultante dalla predetta concessione edilizia (centro sociale di educazione religiosa) per assumere quella sostenuta da parte appellante di beni assoggettati al particolare regime giuridico dei beni ecclesiastici.
Sul punto parte appellante invoca l’art. 5, comma 1, dell’Accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato con la L. 25 marzo 1985 n. 121; la norma stabilisce che “gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità eccesiastica”.
Ora, poiché la qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma assume rilevanza nell’ordinamento statale perché introduce una disciplina derogatoria speciale, la verifica dei presupposti va fatta alla luce del Codice di Diritto Canonico, essendo la deputatio ad cultum un atto proprio dell’Autorità ecclesiastica.
A tal fine il giudice di primo grado ha correttamente individuato le norme del diritto canonico valide a regolare la fattispecie.
Vengono, quindi, in rilievo i canoni n. 1205, 1206, 1207, 1208, 1214, 1215 e 1223 del libro quarto dove è chiaramente individuata la disciplina di riferimento .
Le dette norme, dopo aver precisato quali sono i luoghi da ritenere sacri (quelli che vengono destinati al culto divino…mediante la dedicazione o benedizione di competenza del Vescovo diocesano) stabilisce, nel canone 1208, che “della compiuta dedicazione o benedizione della Chiesa si rediga un documento e se ne conservi una copia nella Curia diocesana ed un’altra nell’archivio della Chiesa”.
Il canone 1215 precisa ancora che “non si costruisca alcuna Chiesa senza il consenso scritto del Vescovo Diocesano”.
Occorre, a questo punto, accertare se la documentazione versata in atti dalla Parrocchia a sostegno della asserita dedicatio ad cultum dei manufatti in questione sia idonea ad integrare i requisiti previsti dalle norme surriportate e cioè l’atto scritto attestante l’avvenuta dedicatio o benedizione ed il consenso scritto del Vescovo diocesano alla posa in essere degli stessi.
Parte appellante ha infatti depositato un primo attestato dell’Arcidiocesi, redatto in data 30 maggio 2003, in cui si dichiara che i prefabbricati “erano destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico ed opere di educazione religiosa da oltre un ventennio fino ad oggi”. Una seconda dichiarazione precisa che gli stessi “furono destinati il 26.10.1986…in virtù della benedizione dell’Arcivescovo pro tempore”. Viene poi allegato uno stralcio del Bollettino del clero che dà atto di quest’ultimo accadimento, riferendosi, comunque all’Arcivescovo diocesano.
In ordine ai predetti atti il Collegio rileva che gli stessi non integrano completamente l’apposito documento, da redigere contestualmente alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, come previsto e richiesto dal canone n. 1208, documento che non ammette equipollenti.
Oltre a mancare poi, il consenso scritto del vescovo diocesano una prima lettura degli attestati in esame consente di rilevare alcune contraddittorietà.
In primo luogo il riferimento temporale che nella dichiarazione del maggio 2003 fa riferimento ad oltre un ventennio, quindi ad epoca anteriore al 1983, nel secondo indica una data precisa, quella del 26.10.1986.
Quanto alla benedizione della nuova cappella avvenuta in località […], la stessa si riferisce ad un unico manufatto e non ai due di cui si discute; ed inoltre la nuova cappella benedetta dall’Arcivescovo non è quella indicata dalla Parrocchia, bensì una Cappella gentilizia, appartenente alla famiglia Montone ed aperta all’esercizio pubblico del culto cattolico; di tali elementi il Comune intimato ha fornito prove adeguate.
E non vale il richiamo alla previsione del canone 1209 che, ai fini che qui interessano, ritiene sufficientemente provata la benedizione di un luogo anche da un solo testimone al di sopra di ogni sospetto, purchè non torni a danno di alcuno, essendo a ciò di ostacolo quest’ultimo inciso.
In difetto del documento richiesto che deve avere il contenuto sopraillustrato, per i manufatti in questione non può ritenersi sussistente la dedicatio ad cultum pubblicum, necessaria a subordinare il procedimento ablatorio all’accordo con l’autorità ecclesiastica.
Per questa parte, dunque, l’appello non merita accoglimento.
4. Rimangono, a questo punto, da esaminare le censure prospettate avverso quella parte della sentenza impugnata che ha ritenuto in parte inammissibili (o improcedibili) ed in parte infondate le doglianze volte a censurare le previsioni dello strumento urbanistico, la progettazione dell’opera pubblica.
Le tesi difensive svolte in proposito non possono essere condivise essendo corretto l’impianto motivazionale seguito dal giudice di primo grado.
5. Deve, intanto, essere confermata la dichiarata inammissibilità delle censure rivolte nei confronti delle previsioni del Piano Regolatore Generale, recante tipizzazione delle particelle di proprietà della Parrocchia (zona omogenea F: aree per spazi pubblici attrezzati a parchi per il gioco e lo sport con specifica destinazione a verde di quartiere, destinazione, quindi, preordinata all’esproprio ed immediatamente lesiva), atteso che il Piano era stato ritualmente pubblicato in data 22 giugno 1998, il legale rappresentante della Parrocchia era a conoscenza del suo contenuto e si era attivato per ottenerne la modifica.
E ciò anche alla luce della giurisprudenza consolidata sul punto (a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del 9 marzo 1983 n. 1) in base alla quale, sia per il Piano regolatore adottato, sia per quello approvato, la lesione degli interessi legittimi incisi si produce, non nel momento in cui viene adottato l’atto applicativo, ma in quello in cui viene emanata la prescrizione che identifica, per ciascun terreno, le opere permesse e quelle vietate, come si è in concreto verificato, ed è da tale momento che decorre il termine per impugnare la prescrizione lesiva.
6. Analogamente da confermare deve ritenersi l’ulteriore declaratoria di inammissibilità sia delle doglianze prospettate avverso la delibera della Giunta comunale n. 273 del 23 ottobre 2002 di adozione del progetto preliminare dell’opera pubblica, sia di quelle relative ai successivi atti della procedura (fino al primo decreto di occupazione d’urgenza n. 317 dell’8 gennaio 2003) perché di detti atti è stato comunicato rituale avviso al legale rappresentante della Parrocchia con note, rispettivamente, n.18930 del 31 ottobre 2002 (avviso di avvio del procedimento) e n. 21404 del 5 dicembre dello stesso anno, notificata il giorno successivo (avviso di avvenuto deposito di tutti gli atti del procedimento espropriativo). E, d’altra parte, come si è già precisato, l’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio risale alla programmazione urbanistica generale del Comune.
7. Dalla mancata prospettazione di vizi propri dei decreti di occupazione di urgenza (in particolare del decreto 10649 del 23 maggio 2003, essendo il precedente decaduto per decorrenza de termine trimestrale di efficacia), vizi tutti collegati agli atti presupposti consegue ancora una declaratoria di inammissibilità dell’impugnativa proposta nei loro confronti, atteso che gli stessi traggono la loro legittimità dai detti atti presupposti non invalidati dalla pronuncia dl giudice di primo grado.
8. Nel merito rimangono a questo punto da esaminare i motivi di cui ai punti XII e XIII dell’atto di appello e relativi alla mancata previsione della realizzazione di strutture religiose, come imposto dalla normativa regionale ed alla mancata indicazione dei termini di inizio e conclusione della procedura espropriativa e dei lavori.
Sul primo profilo è agevole rilevare, oltre ad una assoluta genericità della censura, che, una volta conclusi i lavori di restauro dell’edificio della Parrocchia appellante, non vi è più alcuna necessità di sopperire alla sua temporanea inagibilità con altra sede.
Il secondo profilo appare infondato in punto di fatto atteso che nella delibera della Giunta comunale di approvazione del progetto definitivo dell’opera sono chiaramente indicati i temini previsti dall’art. 13 della L. n. 2359 del 1865.
9. Per le considerazioni svolte l’appello proposto non merita accoglimento e la sentenza impugnata va confermata.
Dalla particolare complessità della vicenda consegue la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Spese compensate.