Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 11 Luglio 2018

Sentenza 10 luglio 2018, n.C-25/17

«Rinvio pregiudiziale – Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali – Direttiva 95/46/CE – Ambito di applicazione di detta direttiva – Articolo 3 – Raccolta di dati personali da parte dei membri di una comunità religiosa nell’ambito della loro attività di predicazione porta a porta – Articolo 2, lettera c) – Nozione di “archivio di dati personali” – Articolo 2, lettera d) – Nozione di “responsabile del trattamento” – Articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 2, lettere c) e d), e 3, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31), letti alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento avviato dal tietosuojavaltuutettu (garante della protezione dei dati, Finlandia) in merito alla legittimità di una decisione della tietosuojalautakunta (commissione per la protezione dei dati, Finlandia) che vieta alla Jehovan todistajat – uskonnollinen yhdyskunta (comunità religiosa dei testimoni di Geova; in prosieguo: la «comunità dei testimoni di Geova») di raccogliere o di trattare dati personali nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta senza che siano rispettati i requisiti della normativa finlandese relativa al trattamento dei dati personali.

Contesto normativo
Diritto dell’Unione

3 I considerando 10, 12, 15, 26 e 27 della direttiva 95/46 sono così formulati:

«(10) considerando che le legislazioni nazionali relative al trattamento dei dati personali hanno lo scopo di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata, riconosciuto anche dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e dai principi generali del diritto comunitario; che pertanto il ravvicinamento di dette legislazioni non deve avere per effetto un indebolimento della tutela da esse assicurata ma deve anzi mirare a garantire un elevato grado di tutela nella Comunità;
(…)

(12) considerando che i principi di tutela si devono applicare a tutti i trattamenti di dati personali quando le attività del responsabile del trattamento rientrano nel campo d’applicazione del diritto comunitario; che deve essere escluso il trattamento di dati effettuato da una persona fisica nell’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico quali la corrispondenza e la compilazione di elenchi di indirizzi;
(…)

(15) considerando che il trattamento de[i] suddetti dati rientra nella presente direttiva soltanto se è automatizzato o se riguarda dati contenuti, o destinati ad essere contenuti, in un archivio strutturato secondo criteri specifici relativi alle persone, in modo da consentire un facile accesso ai dati personali di cui trattasi;
(…)

(26) considerando che i principi della tutela si devono applicare ad ogni informazione concernente una persona identificata o identificabile; che, per determinare se una persona è identificabile, è opportuno prendere in considerazione l’insieme dei mezzi che possono essere ragionevolmente utilizzati dal responsabile del trattamento o da altri per identificare detta persona; (…)

(27) considerando che la tutela delle persone fisiche deve essere applicata al trattamento dei dati sia automatizzato sia manuale; che la portata della tutela non deve infatti dipendere dalle tecniche impiegate poiché, in caso contrario, sussisterebbero gravi rischi di elusione delle disposizioni; che nondimeno, riguardo al trattamento manuale, la presente direttiva si applica soltanto agli archivi e non ai fascicoli non strutturati; che, in particolare, il contenuto di un archivio deve essere strutturato secondo criteri specifici relativi alle persone che consentano un facile accesso ai dati personali; che, in conformità alla definizione dell’articolo 2, lettera c), i diversi criteri che determinano gli elementi che costituiscono un insieme strutturato di dati personali, nonché i diversi criteri in virtù dei quali un siffatto insieme è accessibile, possono essere precisati dai singoli Stati membri; che i fascicoli o le serie di fascicoli, nonché le rispettive copertine, non strutturati secondo criteri specifici, non rientrano in nessun caso nel campo di applicazione della presente direttiva».

4 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 95/46 stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri garantiscono, conformemente alle disposizioni della presente direttiva, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali».

5 L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) “dati personali”: qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (“persona interessata”); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale;
b) “trattamento di dati personali” (“trattamento”): qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione;
c) “archivio di dati personali” (“archivio”): qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico;
d) “responsabile del trattamento”: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali. Quando le finalità e i mezzi del trattamento sono determinati da disposizioni legislative o regolamentari nazionali o comunitarie, il responsabile del trattamento o i criteri specifici per la sua designazione possono essere fissati dal diritto nazionale o comunitario;
(…)».

6 Ai sensi dell’articolo 3 di detta direttiva:

«1. Le disposizioni della presente direttiva si applicano al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi.
2. Le disposizioni della presente direttiva non si applicano ai trattamenti di dati personali:
– effettuati per l’esercizio di attività che non rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario, come quelle previste dai titoli V e VI del Trattato sull’Unione europea e comunque ai trattamenti aventi come oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato (compreso il benessere economico dello Stato, laddove tali trattamenti siano connessi a questioni di sicurezza dello Stato) e le attività dello Stato in materia di diritto penale;
– effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico».

Diritto finlandese

7 La direttiva 95/46 è stata trasposta nel diritto finlandese dalla Henkilötietolaki (523/1999) [legge sui dati personali (523/1999); in prosieguo: la «legge n. 523/1999»].

8 L’articolo 2 di tale legge, intitolato «Soveltamisala» (campo di applicazione), prevede, ai commi secondo e terzo, quanto segue:
«La presente legge si applica al trattamento automatizzato dei dati personali. La presente legge si applica anche agli altri trattamenti di dati personali quando questi costituiscono un archivio di dati personali o una parte di archivio di dati personali, o sono destinati a costituire un archivio di dati personali o una parte di archivio di dati personali.
La presente legge non è applicabile al trattamento di dati personali che effettuato da una persona fisica a fini esclusivamente personali, o per analoghe finalità ordinarie e private».

9 L’articolo 3, paragrafo 3, della legge n. 523/1999 definisce l’«archivio di dati personali» come una «raccolta di dati personali, composta di registrazioni correlate in base alle loro finalità, elaborate in parte o completamente con l’ausilio di processi automatizzati, o organizzati in schedari, elenchi o in maniera analoga che consenta di reperire facilmente i dati riguardanti determinate persone evitando costi sproporzionati».

10 Conformemente all’articolo 44 di tale legge, la commissione per la protezione dei dati, su richiesta del garante della protezione dei dati, può vietare il trattamento di dati personali in violazione di detta legge o di norme o disposizioni emanate sulla base della stessa e fissare agli interessati un termine per porre rimedio all’attività illecita o alla mancanza riscontrata.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

11 Il 17 settembre 2013, la commissione per la protezione dei dati ha adottato, su richiesta del garante della protezione dei dati, una decisione che vietava alla comunità dei testimoni di Geova di raccogliere o di trattare dati personali nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta effettuata dai suoi membri senza che fossero soddisfatti i requisiti legali per il trattamento di tali dati, di cui, in particolare, agli articoli 8 e 12 della legge n. 523/1999. Inoltre, la commissione per la protezione dei dati ha imposto a questa comunità, sulla base dell’articolo 44, paragrafo 2, di tale legge, di adoperarsi in modo che, entro il termine di sei mesi, nessun dato personale fosse più raccolto per le finalità di tale comunità senza che detti requisiti fossero rispettati.

12 Nella motivazione della sua decisione, la commissione per la protezione dei dati ha dichiarato che la raccolta dei dati in questione da parte dei membri della comunità dei testimoni di Geova costituiva un trattamento di dati personali, ai sensi di detta legge, e che tale comunità e i suoi membri erano congiuntamente responsabili di tale trattamento.

13 La comunità dei testimoni di Geova ha adito lo Helsingin hallinto-oikeus (tribunale amministrativo di Helsinki, Finlandia) con un ricorso contro tale decisione. Con sentenza del 18 dicembre 2014, detto giudice annullava la decisione summenzionata per il motivo, in particolare, che la comunità dei testimoni di Geova non era responsabile del trattamento di dati personali, ai sensi della legge n. 523/1999, e che l’attività di quest’ultima non costituiva un trattamento illecito di tali dati.

14 Il garante della protezione dei dati ha impugnato tale sentenza dinanzi al Korkein hallinto-oikeus (Corte amministrativa suprema, Finlandia).

15 Secondo quanto constatato da tale giudice, i membri della comunità dei testimoni di Geova, nell’ambito della loro attività di predicazione porta a porta, prendono appunti sulle visite effettuate a persone che essi stessi o detta comunità non conoscono. I dati raccolti potrebbero tra l’altro comprendere il nome e l’indirizzo delle persone contattate porta a porta e informazioni sul loro credo religioso e sulla loro situazione familiare. Tali dati sarebbero raccolti a titolo di promemoria, per poter essere consultati per un’eventuale visita successiva, senza che le persone interessate vi abbiano acconsentito o ne siano state informate.

16 Secondo quanto accertato dal giudice del rinvio, la comunità dei testimoni di Geova ha fornito ai suoi membri istruzioni in ordine alla redazione di tali appunti, che figurano in almeno una delle sue pubblicazioni riguardanti l’attività di predicazione. Tale comunità e le congregazioni che ne dipendono organizzerebbero e coordinerebbero l’attività di predicazione porta a porta dei loro membri, in particolare predisponendo mappe sulla cui base sarebbe realizzata una ripartizione in zone tra i membri che svolgono l’attività di predicazione e tenendo schedari sui predicatori e sul numero di pubblicazioni della comunità diffuse da questi ultimi. Inoltre, le congregazioni della comunità dei testimoni di Geova gestirebbero un elenco delle persone che hanno espresso la volontà di non ricevere più visite da parte dei membri predicatori e i dati personali che figurano in tale elenco, detto «elenco di divieto», sarebbero utilizzati dai membri di tale comunità. Infine, la comunità dei testimoni di Geova, in passato, avrebbe tenuto a disposizione dei suoi membri moduli per la raccolta di tali dati nel corso della loro attività di predicazione. L’uso di tali moduli, tuttavia, sarebbe stato abbandonato a seguito di una raccomandazione del garante europeo della protezione dei dati.

17 Il giudice del rinvio osserva che, secondo le indicazioni della comunità dei testimoni di Geova, quest’ultima non impone ai suoi membri predicatori di effettuare una raccolta di dati e che, qualora una tale raccolta abbia comunque luogo, essa non è a conoscenza né della natura degli appunti presi, i quali sono, del resto, soltanto note personali informali, né dell’identità dei membri predicatori che hanno proceduto alla raccolta.

18 Per quanto riguarda la necessità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il Korkein hallinto-oikeus (Corte amministrativa suprema) ritiene che l’esame della controversia nel procedimento principale esiga che si tenga conto, da un lato, dei diritti alla tutela della vita privata e alla protezione dei dati personali e, dall’altro, della libertà di religione e di associazione, garantiti sia dalla Carta e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sia dalla costituzione finlandese.

19 Il giudice del rinvio tende a considerare che l’attività di predicazione porta a porta praticata dai membri di una comunità religiosa, come la comunità dei testimoni di Geova, non ricade tra le attività escluse dal campo di applicazione della direttiva 95/46 in forza del suo articolo 3, paragrafo 2, primo trattino. Si pone invece la questione se tale attività presenti un carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino. A tale riguardo, si dovrebbe tenere conto del fatto che, nel caso di specie, i dati raccolti sono più di semplici appunti figuranti in una rubrica, dato che si riferiscono a sconosciuti e contengono informazioni sensibili relative alle loro convinzioni religiose. Dovrebbe inoltre essere preso in considerazione il fatto che l’attività di predicazione porta a porta è una forma di azione fondamentale della comunità dei testimoni di Geova, organizzata e coordinata da quest’ultima e dalle sue congregazioni.

20 Inoltre, nella misura in cui i dati raccolti controversi nel procedimento principale sono trattati in maniera non automatizzata, sarebbe necessario, alla luce dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 95/46, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), di detta direttiva, stabilire se l’insieme di tali dati costituisca un archivio ai sensi di tali disposizioni. Secondo le informazioni fornite dalla comunità dei testimoni di Geova, detti dati non le sono comunicati, cosicché non è possibile conoscere con certezza la natura e la portata dei dati raccolti. Tuttavia, sarebbe possibile considerare che la raccolta e il successivo trattamento dei dati controversi nel procedimento principale sono finalizzati a poter ritrovare facilmente i dati relativi a una persona o a un indirizzo determinato per un’utilizzazione successiva. I dati raccolti non sarebbero comunque strutturati in forma di schede.

21 Nel caso in cui il trattamento dei dati controversi nel procedimento principale rientrasse nell’ambito di applicazione della direttiva 95/46, il giudice del rinvio sottolinea che si porrebbe allora la questione se la comunità dei testimoni di Geova debba essere considerata responsabile di tale trattamento, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di tale direttiva. La giurisprudenza della Corte risultante dalla sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (C‑131/12, EU:C:2014:317), definirebbe in modo ampio la nozione di «responsabile del trattamento». Inoltre, dal parere 1/2010 del 16 febbraio 2010 sui concetti di «responsabile del trattamento» e «incaricato del trattamento», adottato dal gruppo di lavoro istituito ai sensi dell’articolo 29 della direttiva 95/46, risulterebbe che si deve prendere in considerazione, in particolare, il potere di controllo effettivo e la concezione che la persona i cui dati sono oggetto di trattamento si forma del responsabile del trattamento.

22 Orbene, nel caso di specie, occorrerebbe tener conto del fatto che la comunità dei testimoni di Geova organizza, coordina e promuove l’attività di predicazione porta a porta e che essa ha fornito, nelle sue pubblicazioni, istruzioni sulla raccolta dei dati nell’ambito di tale attività. Inoltre, il garante della protezione dei dati avrebbe constatato che tale comunità dispone effettivamente del potere di determinare i metodi di trattamento dei dati e di vietare o limitare tale trattamento, e che essa ha previamente definito la finalità e i mezzi di quest’ultimo fornendo istruzioni sulla raccolta. Inoltre, anche dai formulari utilizzati in precedenza emergerebbe il forte coinvolgimento della comunità nel trattamento dei dati.

23 Tuttavia, sarebbe necessario altresì considerare che i membri della comunità dei testimoni di Geova possono decidere essi stessi di raccogliere dati e stabilire le modalità di tale raccolta. Inoltre, tale comunità non raccoglierebbe direttamente dati e non avrebbe accesso ai dati raccolti dai suoi membri, ad eccezione di quelli che figurano nell’elenco, cosiddetto di «divieto». Tali circostanze non osterebbero tuttavia a che possano esistere più responsabili del trattamento, ciascuno con diverse missioni e responsabilità.

24 È alla luce di tali circostanze che il Korkein hallinto-oikeus (Corte amministrativa suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se le eccezioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo e secondo trattino, della direttiva [95/46], riguardanti il suo campo di applicazione, debbano essere interpretate nel senso che la raccolta e il trattamento dei dati personali eseguiti dai membri di una comunità religiosa in relazione all’attività di predicazione porta a porta da essi svolta non rientrino nel campo di applicazione della direttiva. Quale importanza rivesta ai fini di esaminare l’applicabilità della direttiva [95/46] il fatto che, da un lato, l’attività di predicazione nel cui ambito sono raccolti i dati venga organizzata dalla comunità religiosa e dalle sue congregazioni e, dall’altro, che si tratti nel contempo di una pratica religiosa individuale dei membri della comunità religiosa.
2) Se la definizione della nozione di “archivio” di cui all’articolo 2, lettera c), della direttiva [95/46], tenuto conto dei considerando 26 e 27 della medesima direttiva, debba essere interpretata nel senso che l’insieme dei dati personali che non vengano raccolti in modo automatizzato nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta sopra descritta (nome e indirizzo ed eventuali altri dati personali ed elementi caratteristici)
a) non costituisca un archivio in tal senso, in quanto non si tratta di specifici schedari o elenchi o di analoghi sistemi di classificazione che facilitino la ricerca ai sensi della definizione di cui alla legge [n. 523/1999], oppure
b) costituisca un archivio in tal senso, in quanto dai dati raccolti, tenuto conto della relativa finalità, possono essere effettivamente recuperate con facilità e senza costi sproporzionati le informazioni richieste per un successivo impiego, come previsto espressamente dalla legge [n. 523/1999].
3) Se l’espressione di cui all’articolo 2, lettera d), della direttiva [95/46] “che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali (…)” debba essere interpretata nel senso che una comunità religiosa che organizzi un’attività con la quale vengono raccolti dati personali (tra l’altro con una ripartizione del raggio d’azione dei predicatori, con il monitoraggio dell’attività di predicazione e la tenuta di registri su persone che non gradiscono la visita dei predicatori) possa essere considerata responsabile del trattamento dei dati personali in riferimento a tale attività dei suoi membri, anche se la comunità religiosa fa valere che solo i singoli predicatori hanno accesso alle informazioni registrate.
4) Se l’articolo 2, lettera d), della direttiva [95/46] debba essere interpretato nel senso che la comunità religiosa possa essere qualificata come responsabile del trattamento solo se adotta altre misure specifiche, quali conferimenti di incarichi o istruzioni scritte con cui guidi la raccolta dei dati, o se sia sufficiente che la comunità religiosa svolga un ruolo effettivo nel dirigere l’attività dei suoi membri».
Occorre rispondere alle questioni terza e quarta solo nel caso in cui, dalle risposte alle questioni prima e seconda, la direttiva [95/46] sia applicabile. Occorre rispondere alla quarta questione solo se dalla risposta alla terza questione emerga che non si può escludere l’applicabilità dell’articolo 2, lettera d), della direttiva [95/46] a una comunità religiosa».

Sulle domande di riapertura della fase orale del procedimento

25 Con due atti depositati presso la cancelleria della Corte rispettivamente in data 12 dicembre 2017 e 15 febbraio 2018, la comunità dei testimoni di Geova ha chiesto che venga disposta la riapertura della fase orale del procedimento, in applicazione dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte. A sostegno della prima di tali domande, la comunità dei testimoni di Geova fa segnatamente valere che essa non ha avuto la possibilità di replicare in udienza alle osservazioni presentate dalle altre parti, alcune delle quali non corrispondono ai fatti del procedimento principale. Per quanto riguarda la seconda di tali domande, detta comunità deduce, in sostanza, che le conclusioni dell’avvocato generale si fondano su elementi di fatto imprecisi o potenzialmente fuorvianti, alcuni dei quali non erano inclusi nella domanda di pronuncia pregiudiziale.

26 Ai sensi dell’articolo 83 del proprio regolamento di procedura, la Corte, sentito l’avvocato generale, può disporre in qualsiasi momento la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo determinante la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

27 Ebbene, tali ipotesi non è riscontrabile nel caso in esame. In particolare, le domande con cui la comunità dei testimoni di Geova chiede che sia disposta la riapertura della fase orale del procedimento non contengono alcun argomento nuovo in base al quale la presente causa dovrebbe essere decisa. Inoltre, tale parte e gli altri interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea hanno presentato, sia nella fase scritta sia nella fase orale del procedimento, le loro osservazioni sull’interpretazione dell’articolo 2, lettere c) e d), e dell’articolo 3 della direttiva 95/46, letti alla luce dell’articolo 10 della Carta, oggetto delle questioni pregiudiziali.

28 Per quanto riguarda i fatti del procedimento principale, occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cui all’articolo 267 TFUE, è compito del solo giudice del rinvio definire il contesto di fatto in cui si inseriscono le questioni che ha sottoposto alla Corte. Ne consegue che un soggetto parte del procedimento principale non può asserire che talune premesse di fatto su cui si basano gli argomenti dedotti dagli altri interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, o anche l’analisi dell’avvocato generale, siano inesatte, per giustificare la riapertura della fase orale in base all’articolo 83 del regolamento di procedura (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2008, Burda, C‑284/06, EU:C:2008:365, punti 44, 45 e 47).

29 In tale contesto, la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di disporre di tutti gli elementi necessari per rispondere alle questioni proposte dal giudice del rinvio e considera che la presente causa non necessita di essere definita sulla base di argomenti che non sarebbero stati discussi. Le domande di riapertura della fase orale del procedimento devono pertanto essere respinte.

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

30 La comunità dei testimoni di Geova sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile. Contestando i principali fatti sui quali la domanda è fondata, essa sostiene che quest’ultima si riferisce al comportamento di alcuni dei suoi membri, che non sarebbero parti nel procedimento principale. Pertanto, detta domanda riguarderebbe un problema di natura ipotetica.

31 Si deve rilevare a questo proposito che spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte. (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, C‑74/16, EU:C:2017:496, punti 24 e 25 e giurisprudenza citata).

32 Nella fattispecie, la decisione di rinvio contiene gli elementi di fatto e di diritto sufficienti per la comprensione delle questioni pregiudiziali e della loro portata. Inoltre, e soprattutto, nessun elemento del fascicolo consente di ritenere che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non avrebbe alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale o sarebbe di natura ipotetica, in particolare in considerazione del fatto che i membri della comunità dei testimoni di Geova, la cui attività di raccolta di dati personali è alla base delle questioni pregiudiziali, non sono parti del procedimento principale. Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che le questioni pregiudiziali mirano a consentire al giudice del rinvio di stabilire se tale comunità possa, essa stessa, essere ritenuta responsabile, ai sensi della direttiva 95/46, della raccolta dei dati personali effettuata dai suoi membri nell’ambito della loro attività di predicazione porta a porta.

33 In tali circostanze, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

34 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, debba essere interpretato nel senso che la raccolta di dati personali da parte dei membri di una comunità religiosa nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta e i trattamenti successivi dei dati costituiscono trattamenti di dati personali effettuati per l’esercizio di attività di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, di tale direttiva, o trattamenti di dati personali effettuati da persone fisiche per l’esercizio di un’attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, di detta direttiva.

35 Per rispondere a tale questione, occorre anzitutto ricordare che, come risulta dal suo articolo 1, paragrafo 1, e dal suo considerando 10, la direttiva 95/46 è volta a garantire un elevato grado di tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, in particolare della loro vita privata, riguardo al trattamento dei dati personali (sentenze del 13 maggio 2014, Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punto 66, e del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein, C‑210/16, EU:C:2018:388, punto 26).

36 L’articolo 3 della direttiva 95/46, che ne definisce il campo di applicazione, stabilisce al paragrafo 1 che essa si applica al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi.

37 Detto articolo 3 prevede tuttavia, al paragrafo 2, due eccezioni al campo di applicazione della medesima direttiva, che devono essere interpretate in modo restrittivo (v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2014, Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punto 29, e del 27 settembre 2017, Puškár, C‑73/16, EU:C:2017:725, punto 38). Peraltro, la direttiva 95/46 non prevede alcuna ulteriore limitazione al suo ambito di applicazione. (sentenza del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 46).

38 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’eccezione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, della direttiva 95/46, è stato dichiarato che le attività menzionate a titolo esemplificativo in tale trattino sono, in tutti i casi, attività proprie degli Stati o delle autorità statali, estranee ai settori di attività dei singoli. Tali attività sono destinate a definire la portata dell’eccezione prevista in detta disposizione, di modo che detta eccezione si applica solo alle attività che vi sono espressamente menzionate e che possono essere ascritte alla stessa categoria (sentenze del 6 novembre 2003, Lindqvist, C‑101/01, EU:C:2003:596, punti 43 e 44; del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 41, nonché del 27 settembre 2017, Puškár, C‑73/16, EU:C:2017:725, punti 36 e 37).

39 Orbene, nel caso di specie, la raccolta di dati personali da parte dei membri della comunità dei testimoni di Geova, nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta, rientra esclusivamente nell’ambito di un’iniziativa religiosa di singoli. Ne consegue che una siffatta attività non costituisce un’attività propria delle autorità statali e che, pertanto, non può essere equiparata a quelle di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, della direttiva 95/46.

40 Con riferimento, in secondo luogo, all’eccezione che figura all’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46, tale disposizione sottrae all’ambito di applicazione di quest’ultima il trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività non semplicemente personali o domestiche, bensì «esclusivamente» personali o domestiche (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punto 30).

41 I termini «personale o domestico», ai sensi di detta disposizione, si riferiscono all’attività della persona che effettua il trattamento dei dati personali e non alla persona i cui dati sono trattati (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punti 31 e 33).

42 Come ha dichiarato la Corte, l’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46 dev’essere interpretato nel senso che comprende unicamente le attività che rientrano nell’ambito della vita privata o familiare dei singoli. A tale riguardo, un’attività non può essere considerata a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione, se il suo scopo è quello di rendere i dati personali accessibili a un numero indefinito di persone, ovvero se tale attività si estende, anche se solo parzialmente, allo spazio pubblico, e pertanto è diretta verso l’esterno della sfera privata della persona che procede al trattamento dei dati (v., in tal senso, sentenze del 6 novembre 2003, Lindqvist, C‑101/01, EU:C:2003:596, punto 47; del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, C‑73/07, EU:C:2008:727, punto 44, nonché dell’11 dicembre 2014, Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punti 31 e 33).

43 Dal momento che risulta che i trattamenti di dati personali controversi nel procedimento principale sono effettuati nell’ambito dell’esercizio dell’attività di predicazione porta a porta dei membri della comunità dei testimoni di Geova, occorre determinare se tale attività abbia carattere esclusivamente personale o domestico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46.

44 A tale riguardo dalla decisione di rinvio risulta che l’attività di predicazione porta a porta, nel cui ambito i membri della comunità dei testimoni di Geova raccolgono dati personali, ha, per sua stessa natura, la finalità di diffondere il credo della comunità dei testimoni di Geova presso persone che, come ha rilevato in sostanza l’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, non appartengono al nucleo familiare dei membri predicatori. Tale attività è diretta quindi verso l’esterno della sfera privata dei membri predicatori.

45 Inoltre, risulta altresì dalla decisione di rinvio che alcuni dei dati raccolti dai membri predicatori di tale comunità sono da loro trasmessi alle congregazioni di tale comunità, le quali conservano elenchi, compilati in base a questi dati, di persone che non desiderano più ricevere visite da parte di detti membri. Nell’ambito della loro attività di predicazione, questi ultimi pertanto rendono, quanto meno alcuni dei dati rilevati, accessibili a un numero potenzialmente illimitato di persone.

46 Quanto alla questione se la circostanza che il trattamento di dati personali avviene nell’ambito di un’attività relativa a una pratica religiosa possa conferire un carattere esclusivamente personale o domestico all’attività di predicazione porta a porta, occorre ricordare che il diritto alla libertà di coscienza e di religione sancito all’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, implica, in particolare, la libertà di ciascuno di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

47 La Carta attribuisce un’ampia portata alla nozione di «religione» contenuta in tale disposizione, che può comprendere sia il forum internum, ossia il fatto di avere convinzioni, sia il forum externum, ossia la manifestazione pubblica della fede religiosa (sentenza del 29 maggio 2018, Liga van Moskeeën en Islamitische Organisaties Provincie Antwerpen e a., C‑426/16, EU:C:2018:335, punto 44 e giurisprudenza citata).

48 Inoltre, la libertà di manifestare la propria religione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, che può assumere diverse forme quali, ad esempio, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti, include anche il diritto di cercare di convincere altre persone, ad esempio mediante una predicazione (Corte EDU, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, CE:ECHR:1993:0525JUD001430788, § 31, e Corte EDU, 8 novembre 2007, Perry c. Lettonia, CE:ECHR:2007:1108JUD003027303, § 52).

49 Tuttavia, anche se l’attività di predicazione porta a porta dei membri di una comunità religiosa è tutelata dall’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, in quanto espressione della fede del o dei predicatori, tale circostanza non ha l’effetto di conferire alla suddetta attività un carattere esclusivamente personale o domestico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46.

50 Infatti, l’attività di predicazione va oltre, tenuto conto di quanto esposto ai punti 44 e 45 della presente sentenza, la sfera privata di un membro predicatore di una comunità religiosa.

51 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, dev’essere interpretato nel senso che la raccolta di dati personali da parte dei membri di una comunità religiosa nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta e i trattamenti successivi di tali dati non costituiscono né trattamenti di dati personali effettuati per l’esercizio di attività di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, di tale direttiva, né trattamenti di dati personali effettuati da persone fisiche per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, di detta direttiva.

Sulla seconda questione

52 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera c), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «archivio» figurante in tale disposizione comprende un insieme di dati personali raccolti nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta, con nomi, indirizzi e altre informazioni riguardanti le persone contattate porta a porta, allorché questi dati possono, in pratica, essere reperibili agevolmente ai fini di un utilizzo successivo, o se il suddetto insieme di dati, per rientrare in tale nozione, debba comprendere schedari, elenchi specifici o altri sistemi di ricerca.

53 Come risulta dall’articolo 3, paragrafo 1, e dai considerando 15 e 27 della direttiva 95/46, quest’ultima riguarda sia il trattamento automatizzato dei dati personali sia il trattamento manuale di tali dati, al fine di non far dipendere la tutela che essa attribuisce alle persone i cui dati sono oggetto di trattamento dalle tecniche impiegate e di evitare il rischio di elusione di tale tutela. Tuttavia, ne consegue altresì che tale direttiva si applica ai trattamenti manuali di dati personali solo se i dati trattati sono contenuti o destinati a figurare in un archivio.

54 Nel caso di specie, dal momento che i trattamenti di dati personali controversi nel procedimento principale sono effettuati in modo non automatizzato, la questione che si pone è se i dati trattati in tal modo siano contenuti o destinati a figurare in un archivio, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), e dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 95/46.

55 Al riguardo, dall’articolo 2, lettera c), della direttiva 95/46 risulta che la nozione di «archivio» comprende «qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico».

56 Conformemente all’obiettivo ricordato al punto 52 della presente sentenza, tale disposizione definisce estensivamente la nozione di «archivio», in particolare indicando «qualsiasi» insieme strutturato di dati personali.

57 Come risulta dai considerando 15 e 27 della direttiva 95/46, il contenuto di un archivio deve essere strutturato in modo da consentire un facile accesso ai dati personali. Inoltre, sebbene l’articolo 2, lettera c), di tale direttiva non precisi i criteri secondo i quali tale archivio dev’essere strutturato, da questi stessi considerando risulta che tali criteri devono essere «relativi alle persone». Risulta pertanto che il requisito secondo cui l’insieme di dati personali deve avere un carattere «strutturato secondo criteri specifici» mira unicamente a consentire che i dati relativi a una persona possano essere individuati facilmente.

58 A parte tale requisito, l’articolo 2, lettera c), della direttiva 95/46 non prescrive né le modalità secondo le quali un archivio deve essere strutturato né la forma che deve presentare. In particolare, non risulta da tale disposizione né da nessun’altra disposizione di tale direttiva, che i dati personali in questione dovrebbero figurare in schede o elenchi specifici o in un altro sistema di ricerca, al fine di poter accertare l’esistenza di un archivio ai sensi di detta direttiva.

59 Nel caso di specie, dalle constatazioni del giudice del rinvio risulta che, nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta in questione nel procedimento principale, i dati vengono raccolti a titolo di promemoria, sulla base di una ripartizione per area geografica, per agevolare l’organizzazione di visite successive a persone già contattate porta a porta. Essi comprendono non solo informazioni sul contenuto delle conversazioni riguardanti le convinzioni personali della persona visitata, ma anche il nome e l’indirizzo. Inoltre, tali informazioni, almeno alcune di esse, sono utilizzate per elaborare elenchi gestiti dalle congregazioni della comunità dei testimoni di Geova, riguardanti le persone che non desiderano più ricevere visite da parte di predicatori membri di tale comunità.

60 Risulta inoltre che i dati personali raccolti nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta di cui al procedimento principale sono strutturati secondo criteri in funzione dell’obiettivo perseguito da tale raccolta, che è quello di preparare visite successive e gestire gli elenchi di persone che non desiderano più ricevere visite. Come risulta dalla decisione di rinvio, tali criteri, tra cui figurano in particolare il nome e l’indirizzo delle persone contattate porta a porta, le loro convinzioni o il loro desiderio di non ricevere più visite, sono individuati in modo che possano consentire di recuperare facilmente i dati relativi a determinate persone.

61 Al riguardo, la questione di sapere secondo quale preciso criterio e in che modo esattamente l’insieme dei dati personali raccolti da ciascuno dei membri predicatori sia effettivamente strutturato è irrilevante, nei limiti in cui tale insieme consenta di reperire facilmente i dati relativi a una determinata persona contattata porta a porta, fatto che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare, alla luce del complesso delle circostanze del procedimento principale.

62 Occorre quindi rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, lettera c), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «archivio», di cui a tale disposizione, include l’insieme di dati personali raccolti nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta, contenente nomi, indirizzi e altre informazioni riguardanti le persone contattate porta a porta, allorché tali dati sono strutturati secondo criteri specifici che consentono, in pratica, di recuperarli facilmente per un successivo impiego. Affinché il suddetto insieme rientri in tale nozione, non è necessario che esso comprenda schedari, elenchi specifici o altri sistemi di ricerca.
Sulle questioni terza e quarta

63 Con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso consente di considerare una comunità religiosa quale responsabile, congiuntamente con i suoi membri predicatori, dei trattamenti di dati personali effettuati da questi ultimi nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta organizzata, coordinata e sostenuta da tale comunità, e se a tal fine sia necessario che detta comunità abbia accesso a tali dati o si dimostri che essa ha fornito ai propri membri istruzioni scritte o incarichi relativamente a tali trattamenti.

64 Nel caso di specie, la commissione per la protezione dei dati, nella decisione di cui trattasi nel procedimento principale, ha considerato la comunità dei testimoni di Geova responsabile, congiuntamente con i suoi membri predicatori, dei trattamenti di dati personali effettuati da questi ultimi nell’ambito dell’attività di predicazione porta a porta. Nella misura in cui solo la responsabilità di tale comunità è contestata, quella dei predicatori non risulta rimessa in discussione.

65 Come prevede espressamente l’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, la nozione di «responsabile del trattamento» si riferisce alla persona fisica o giuridica che «da sol[a] o insieme ad altri» determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali. Tale nozione non rinvia, pertanto, necessariamente a una persona fisica o giuridica unica e può riguardare più soggetti che partecipano al trattamento, ognuno dei quali deve essere pertanto assoggettato alle disposizioni applicabili in materia di protezione dei dati (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein, C‑210/16, EU:C:2018:388, punto 29).

66 L’obiettivo di tale disposizione è di garantire, mediante un’ampia definizione della nozione di «responsabile», una tutela efficace e completa delle persone interessate, pertanto l’esistenza di una responsabilità congiunta non implica necessariamente una responsabilità equivalente, per un medesimo trattamento di dati personali, dei diversi soggetti che vi partecipano. Al contrario, tali soggetti possono essere coinvolti in fasi diverse di tale trattamento e a diversi livelli, di modo che il grado di responsabilità di ciascuno di essi deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie (v., in questo senso, sentenza del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein, C‑210/16, EU:C:2018:388, punti 28, 43 e 44).

67 A tal riguardo, né il tenore letterale dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 né altre disposizioni di tale direttiva consentono di ritenere che la determinazione delle finalità e dei mezzi del trattamento debba essere effettuata mediante istruzioni scritte o incarichi da parte del responsabile del trattamento.

68 Può essere invece considerata responsabile del trattamento, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, una persona fisica o giuridica che, a scopi che le sono propri, influisca sul trattamento di dati personali e partecipi pertanto alla determinazione delle finalità e dei mezzi di tale trattamento.

69 Inoltre, la responsabilità congiunta di vari soggetti per un medesimo trattamento, ai sensi di tale disposizione, non presuppone che ciascuno di essi abbia accesso ai dati personali in questione (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie Schleswig-Holstein, C‑210/16, EU:C:2018:388, punto 38).

70 Nel caso di specie, come risulta dalla decisione di rinvio, spetta certamente ai membri predicatori della comunità dei testimoni di Geova valutare in quali circostanze concrete essi raccolgono dati personali relativi alle persone contattate porta a porta, quali precisi dati sono oggetto di tale raccolta e in che modo essi procedono al loro ulteriore trattamento. Tuttavia, come ricordato ai punti 43 e 44 della presente sentenza, la raccolta dei dati personali avviene nell’ambito dell’esercizio dell’attività di predicazione porta a porta, con la quale i membri predicatori della comunità dei testimoni di Geova diffondono il credo della loro comunità. Tale attività di predicazione costituisce, come risulta dalla decisione di rinvio, una forma di azione essenziale di tale comunità, azione che è organizzata, coordinata e sostenuta dalla comunità stessa. In questo contesto, i dati sono raccolti a titolo di promemoria ai fini di un utilizzo e di una eventuale nuova visita successivi. Infine, le congregazioni della comunità dei testimoni di Geova tengono elenchi di persone che non desiderano più ricevere la visita di tali membri, redatti a partire dai dati trasmessi loro dai membri predicatori.

71 Risulta quindi che la raccolta di dati personali relativi alle persone contattate porta a porta e il loro trattamento ulteriore sono strumentali al perseguimento dell’obiettivo della comunità dei testimoni di Geova consistente nel diffondere il credo di quest’ultima e sono perciò, effettuati dai suoi membri predicatori a fini propri di detta comunità. Inoltre, non solo la comunità dei testimoni di Geova ha, in generale, conoscenza del fatto che tali trattamenti hanno luogo ai fini della diffusione del proprio credo, ma essa organizza e coordina l’attività di predicazione dei suoi membri, in particolare ripartendo i settori di attività dei diversi predicatori.

72 Tali circostanze consentono di ritenere che la comunità dei testimoni di Geova incoraggi i suoi membri predicatori a procedere, nell’ambito della loro attività di predicazione, a trattamenti di dati personali.

73 Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta pertanto che la comunità dei testimoni di Geova, organizzando, coordinando e promuovendo l’attività di predicazione dei suoi membri volta alla diffusione del suo credo, partecipa, insieme ai suoi membri predicatori, a determinare le finalità e i mezzi dei trattamenti di dati personali delle persone che sono contattate porta a porta, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare alla luce di tutte le circostanze del caso di specie.

74 Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dal principio dell’autonomia organizzativa delle comunità religiose, derivante dall’articolo 17 TFUE. Infatti, l’obbligo di ogni persona di conformarsi alle norme del diritto dell’Unione relative alla protezione dei dati personali non può essere ritenuta un’ingerenza nell’autonomia organizzativa di dette comunità (v., per analogia, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 58).

75 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni terza e quarta, dichiarando che l’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta, dev’essere interpretato nel senso che esso consente di considerare una comunità religiosa, congiuntamente ai suoi membri predicatori, quale responsabile dei trattamenti di dati personali effettuati da questi ultimi nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta organizzata, coordinata e incoraggiata da tale comunità, senza che sia necessario che detta comunità abbia accesso a tali dati o che si debba dimostrare che essa ha fornito ai propri membri istruzioni scritte o incarichi relativamente a tali trattamenti.

Sulle spese

76 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi,
la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) L’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che la raccolta di dati personali da parte dei membri di una comunità religiosa nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta e i trattamenti successivi di tali dati non costituiscono né trattamenti di dati personali effettuati per l’esercizio di attività di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, di tale direttiva, né trattamenti di dati personali effettuati da persone fisiche per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, di detta direttiva.
2) L’articolo 2, lettera c), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «archivio», di cui a tale disposizione, include l’insieme di dati personali raccolti nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta, contenente nomi, indirizzi e altre informazioni riguardanti le persone contattate porta a porta, allorché tali dati sono strutturati secondo criteri specifici che consentono, in pratica, di recuperarli facilmente per un successivo impiego. Affinché il suddetto insieme rientri in tale nozione, non è necessario che esso comprenda schedari, elenchi specifici o altri sistemi di ricerca.
3) L’articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46, letto alla luce dell’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, dev’essere interpretato nel senso che esso consente di considerare una comunità religiosa, congiuntamente ai suoi membri predicatori, quale responsabile dei trattamenti di dati personali effettuati da questi ultimi nell’ambito di un’attività di predicazione porta a porta organizzata, coordinata e incoraggiata da tale comunità, senza che sia necessario che detta comunità abbia accesso a tali dati o che si debba dimostrare che essa ha fornito ai propri membri istruzioni scritte o incarichi relativamente a tali trattamenti.