Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 24 Agosto 2005

Sentenza 09 ottobre 1990, n.9928

Corte di Cassazione, Sezioni Unite. Sentenza 9 ottobre 1990, n. 9928: “Diritto al banco in chiesa: carenza di giurisdizione del giudice italiano”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILI

(Omissis)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10423-89 del R.G. AA.CC. proposto da COCCHI ARSENIO, nato a fumone il 12.10.1914, in proprio e quale erededel fratello Francesco, elettivamente domiciliato in Roma, Via Bancodi S. Spirito n. 48, presso lo studio D’Ottavi, rapresentato e difesodall’Avv.to Giulio Ritarossi, giusta delelga a margine del ricorso.
Ricorrente

contro

PARROCCHIA DELLA CHIESA COLLEGIATA DI S. MARIA ANNUNZIATA IN FUMONE,in persona del suo Parroco Rev. D’Amico Don Cristoforo, elettivamente domiciliata in Roma, Largo del Teatro Valle n. 6, presso lo studio dell’Avv.to Michele Roma, rappresentata e difesa dall’Avv. PiermariaDe Cesaris, giusta delega a margine del controricorso.
Controricorrente

Avverso la sentenza del tribunale di Frosinone dep. il 9.7.1986. Udita nella Pubblica Udienza, tenutasi il giorno 22.12.1989, la relazione della causa, svolta dal Cons. Rel. Dr. Giustiniani. Uditi gli Avv.ti Ritarossi e De Cesaris.Udito il P.M., nella persona del Dr. M. Di Renzo, Sostituto Procuratore Generale, presso la Corte Suprema di Cassazione, che ha concluso chiedendo il rigetto integrale del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Pretore di Alatri dell’8 luglio 1980 il germani Arsenio e Francesco Cocchi esponevano d’avere diritto al banco nella Chiesa Collegiale di Fumone, denominata della S. Maria Annunziata, quali discendenti dei sig.ri Cocchi, che tale diritto avevano acquisito con atti 31.8.1854, per notar Crescenzi di Veroli, ed 11.9.1911 per notar Fiorilli di Veroli, e di aver essi continuato a possedere tale diritto pubblicamente, pacificamente e tranquillamente, finché in data 21 febbraio 1980 il rev.do Don Cristoforo d’Amico, parroco della Chiesa Collegiale di Fumone, aveva rimosso il banco dal posto da oltre cento anni occupato, trasferendolo in altro luogo donde non era più possibile l’esercizio del “diritto di banco” in relazione alle sue finalità essenziali, consistenti nella possibilità di assistere con “praeminentia” alle sacre funzioni.
Soggiungevano che in data 10-04-1980 essi Cocchi, a mezzo del loro legale, avevano contestato al Reverendo Parroco l’attentato al possesso del “banco in Chiesa”, invitandolo a ripristinare la preesistente situazione; che, inutilmente, essi istanti erano rimasti in attesa della rimessione del banco nel posto sempre occupato; ciò premesso, chiedevano al Pretore, ex art. 1170 Cod. Civ. la manutenzione di essi ricorrenti nel possesso del “posto” dove era situato il banco, ordinando al Parroco di restituire al banco la primitiva posizione, con condanna del Parroco medesimo al risarcimento del danno ed altre spese.
Costituitosi in giudizio, il Parroco deduceva: 1) la inammissibilità ed improcedibilità della proposta azione per essere il resistente un ente morale, munito di personalità giuridica; 2) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; 3) la non titolarità del diritto preteso in capo ai ricorrenti; la inidoneità dei prodotti atti pubblici a qualificare la pretesa degli attori; la non tutelabilità della pretesa di assistere con “praeminentia” alle sacre funzioni.
Concludeva per il rigetto della domanda.
Con sentenza del 12-16 settembre 1980 i Pretore accoglieva la domanda ed ordinava al Parroco di ripristinare la posizione del banco nel posto precedentemente occupato nella Chiesa Collegiale, senza che i ricorrenti fossero ulteriormente molestati nel possesso e nell’esercizio del loro diritto.
Su appello della Parrocchia, in persona del Parroco, autorizzato dal Vescovo di Alatri, e resistendo i Cocchi, il Tribunale di Frosinone, con sentenza 16-5 – 9-7-86, in riforma integrale della decisione impugnata, rigettava la domanda di manutenzione proposta dai Cocchi.
Il Tribunale, precisato in fatto che il banco “de quo” era un banco mobile, non infisso stabilmente al suolo, escludeva che potesse nella fattispecie ravvisarsi un diritto di superficie o altro diritto di natura reale, cui corrispondesse un possesso reintegrabile o mantenibile e, richiamando il canone 1263 del Corpus Iuris Canonici, affermava che il diritto era effetto di una concessione dell’autorità ecclesiastica, non rapportabile a figura di natura civilistica; quindi revocabile dal concedente insindacabilmente ogni volta che fosse accertato che l’esercizio del diritto non era più compatibile con le esigenze del buon andamento del culto.
Concludeva, pertanto, il Tribunale che “di fronte alla pura ed insindacabile discrezionalità dell’autorità ecclesiastica di mantenere, modificare o revocare la concessione, nessuna possibilità di intervento è data all’autorità giudiziaria, ordinaria o speciale”.
Propone ricorso in Cassazione Cocchi Arsenio, anche quale erede del fratello Francesco, deducendo tre motivi di censura.
Resiste, con controricorso, la Parrocchia della Chiesa Collegiata di S. Maria Annunziata in Fumone, in persona del Parroco, che ha anche presentato memoria.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso Cocchi Arsenio denunzia: “Violazione degli artt. 9, 37 e 360 n. 1 C.P.C., per aver il Tribunale negato il sindacato dell’Autorità Giudiziaria dei provvedimento emessi da quella ecclesiastica in questa materia oggetto di concessione”.
IL ricorrente contesta il riconosciuto difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia “de qua”, e osservando che il diritto di banco in Chiesa sarebbe un diritto reale “sui generis” gravante l’area della Chiesa ove il banco insiste, la cui lesione, pur di fronte all’ampia discrezionalità in materia dell’Autorità Ecclesiastica, sarebbe tutelabile davanti al Giudice Ordinario proprio in virtù della natura di diritto subiettivo perfetto, riconosciuta al diritto di banco.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della “violazione dell’art. 832 Cod. Civ. in relazione all’art. 360 n. 3 Cod. proc. Civ., nonché di difetto di motivazione della sentenza”.
Secondo il ricorrente, il Tribunale, nel negare tutela all’interesse dedotto, avrebbe violato la norma sul contenuto del diritto di proprietà, analogicamente applicabile al diritto di banco in chiesa, atteso che il parroco convenuto, spostando il banco in altro punto della chiesa, avrebbe vanificato il contenuto del diritto (assistere alle funzioni sacre “cum praeminentia” ed in modo tale da vedere, comunque, l’altare ed il sacerdote celebrante) e reso impossibile il suo esercizio.
Con i terzo motivo, infine, il ricorrente lamenta: “Violazione dell’art. 100 C.P.C:, nonché degli artt. 1168 e 1170 Cod. Civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 C.P.C.”.
Eccepisce il difetto di legittimazione della Parrocchia all’impugnazione della sentenza pretorile, atteso che l’azione possessoria era stata esperita nei confronti del Parroco e la domanda accolta nei confronti di quest’ultimo autore materiale dello spoglio.
All’uopo sostiene che, ai sensi dei canoni 519 e 523 del Codice di diritto canonico, l’Ente parrocchiale è amministrato dal parroco, il quale è nominato dal Vescovo diocesano, il solo legittimato alla revoca del privilegio, sicché completamente estranea alla vicenda era da ritenersi la Parrocchia come tale.
Osserva la Corte che i tre motivi di doglianza possono essere trattati congiuntamente, attesa la loro intima connessione.
Essi sono infondati e vanno respinti.
Va, innanzi tutto, premesso che non merita accoglimento l’eccezione preliminare, contenuta nel terzo motivo di ricorso di carenza del diritto all’impugnazione da parte della Parrocchia della S. M. Annunziata, in quanto autore materiale del presunto spoglio era stato – personalmente – il Parroco, don Cristoforo d’Amico.
è di tutta evidenza – ed emerge chiaramente dagli atti del giudizio – che il Parroco, nello spostare il banco, oggetto della contestazione, ebbe a agire non a titolo personale, bensì quale titolare della Parrocchia, tant’è che la stessa sentenza di primo grado è stata emessa tra Cocchi Arsenio e Cocchi Francesco da una parte e la Chiesa collegiata di S. Maria Annunziata di Fumone, in persona del Parroco p.t., don Cristoforo d’Amico, dall’altra.
Ne discende che nella fattispecie in esame non è dato separare la persona fisica del Parroco dalla sua qualità di titolare della Parrocchia e legale rappresentante di un tale Ente morale.
Al riguardo va rilevato che la legge 20-5-1985 n. 222 ha riconosciuto a tali Enti personalità giuridica, per cui l’eccezione sollevata, del tutto infondata, va respinta.
Passando all’esame delle altre doglianze, è dato rilevare che esse presuppongono la soluzione della questione di giurisdizione, se cioè il giudice italiano abbia o meno giurisdizione in relazione al c.d. diritto di banco in chiesa.
La sentenza resa dal tribunale di Frosinone, in sede di appello, non merita censura. Essa è, invero, immune da errori di diritto, atteso che, esattamente, fa risalire ed interpreta un tale diritto alla luce dei principi del Codex juris canonici, che, al canone 1263, paragrafo secondo, testualmente recita: “Sine expresso Ordinarii loci consensu nemo fidelis locum habeat in ecclesia sibi suisque reservatum” ed al terzo paragrafo soggiunge: “Ea semper factis in concessionibus inert tacita conditio, ut Ordinarius possit, ex iusta causa, concessionem revocare, non obstante qualibet temporis decursu”. La natura del diritto al banco in chiesa riviene, quindi, da una concessione, meramente discrezionale, dell’Autorità ecclesiastica, ed in particolare dell’Ordinario del luogo, il quale può sempre revocare la concessione. Il diritto “di banco”, ovvero “al banco”, è, cioè, effetto di una concessione, che, a volte, è gratuita, connessa a benemerenze verso la Chiesa, o genericamente verso la religione, della persona cui la concessione viene fatta, altre volte è a pagamento, a seguito di una offerta alla chiesa medesima.
Per un più approfondito esame della questione, va osservato che il problema se si possa o meno, in qualche modo, rivendicare il c.d. diritto id banco in chiesa, è stato posto dalla dottrina sotto il duplice profilo dei rapporti tra il fedele e l’autorità ecclesiastica, da un lato, ed i rapporti tra fedele, titolare del diritto di banco, ed altri fedeli, dall’altro.
Orbene, mentre nei rapporti tra il titolare del diritto di banco ed i terzi, è controverso in dottrina se il titolare abbia un vero e proprio diritto tutelabile sia in sede di petitorio che di possessorio, la più recente dottrina in genere esclude che, nei rapporti con l’autorità ecclesiastica il titolare del diritto abbia la possibilità di esperire una qualsiasi azione nei confronti di quest’ultima, in quanto, in tale ipotesi, il diritto di banco non attiene all’ambito del diritto privato, bensì a quello del diritto pubblico, atteso che il fedele non viene, nella specie, in considerazione come individuo, ma come membro della “societas fidelium”, con la conseguenza che l’Ordinario – giusta le norme canoniche avanti menzionate – può sempre revocare o modificare la concessione, nonostante qualsiasi decorso del tempo.
In altri termini, nei confronti dell’Autorità Ecclesiastica – come è nel caso in esame – non può parlarsi dell’esistenza di un diritto soggettivo all’uso del banco da parte del fedele, in quanto esso dipende dall’interesse pubblico corrispondente alla generale destinazione dell’edificio al culto.
Ne consegue che, implicando una controversia sul punto la valutazione dell’esercizio del potere discrezionale dell’Autorità ecclesiastica in ordine al “culto” ed alle modalità di esso, (praeminentia nell’assistere alle funzioni religiose), difetti al riguardo la giurisdizione del giudice italiano.
E ciò perché l’art. 7 della Costituzione della Repubblica, al primo comma, sancisce che: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” e l’arti 1 della legge 25 marzo 1985 n. 121, di ratifica del nuovo concordato, ribadisce: “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Ed ancora, all’art. 5, coma secondo, leggesi: “Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”.
Tali norme (la seconda afferente la possibilità di esecuzione dell’ordine dell’AGO), poste in relazione con quanto affermato nella seconda parte del comma n. 1 dell’art. 2 del Concordato medesimo: “In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”, escludono che la questione in esame competa alla giurisdizione del giudice italiano, atteso che la risoluzione della controversia, implicando un sindacato sull’esercizio del potere sovrano e discrezionale dell’autorità ecclesiastica in materia, non può non arrestarsi di fronte ai dettati costituzionale e concordatario sul punto, come avanti menzionati.
Con la conseguenza che prevalendo l’aspetto pubblicistico (internazionale), ogni questione civilistica sulla natura del diritto di banco in chiesa, secondo l’ordinamento statuale vigente (se diritto d’uso, ovvero diritto di superficie, se diritto reintegrabile o mantenibile ecc.) resta talvolta.
In riferimento alle prerogative avanti indicate, l’Autorità Ecclesiastica può sempre fare venir meno il “diritto di banco”, quante volte “insindacabilmente” accerti che il suo protratto esercizio non è più compatibile con le esigenze del buono andamento del culto.
Il diritto di banco nato con il limite del suo possibile sacrificio (come “concessione ecclesiastica”), può essere, dunque, in qualsiasi momento revocato – giusta le norme canoniche in materia – esclusivamente ed insindacabilmente dall’Autorità Ecclesiastica.
In tali sensi la sentenza del Tribunale di Frosinone non merita censura ed il ricorso proposto va respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno, pertanto, poste a carico del ricorrente Cocchi Arsenio, liquidate – in favore della Parrocchia Chiesa Collegiata S. Maria Annunziata di Fumone, in persona del Parroco pro tempore – come in dispositivo.

P.Q.M

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in L. 31.400= oltre lire 1.800.000 (unmilioneottocentomila) di onorario.