Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 9 Ottobre 2003

Sentenza 08 marzo 1993, n.53

Pretura di Como. Sentenza 8 marzo 1993, n. 53.

Diritto

1) Qualificazione giuridico-economica della Congregazione. Il diritto alla esenzione dei contributi CUAF della Congregazione è riconosciuto dall’INPS.
Invero, la procuratrice dell’Istituto ha esplicitamente ammesso in dibattimento: "avv. Mogavero… l’INPS riconosce alla Congregazione il diritto all’esenzione ai contributi CUAF per il periodo dal 15.3.80 al 31.12.85".
Tuttavia, l’INPS riconosce il diritto vantato dalla Congregazione: "a condizione che la Congregazione accetti la qualificazione di Ente Ecclesiastico senza finalità di lucro e in conseguenza non abbia diritto alla fiscalizzazione che si è autoriconosciuta dall’1.2.83 al 31.3.87 e che presuppone la qualifica di impresa commerciale".
Orbene, la quaestio decidendi consiste nell’accertare se la Congregazione, per l’attività che svolge attraverso ospedali e case di cura, abbia natura commerciale o meno; parte ricorrente lo sostiene sulla base della interpretazione sistematica-teleologica dell’art 23 D.L. 30.12.79 n. 633 con riferimento all’art. 1 comma 7º L. 29.2.88 n. 48.
Pare al decidente che nessuna valutazione ermeneuticamente nomofilattica possa condurre ad una interpretazione irrazionale ed illogica: la legge è fatta per gli uomini e non gli uomini per la legge. Nessuna argomentazione interpretativa, perciò può violare il buon senso e la logica.
Nel caso in esame la Congregazione sostiene di essere impresa commerciale e pertanto di aver diritto al rimborso preteso. E però sostiene vigorosamente di essere ente senza fine di lucro.
Ora, le imprese commerciali hanno per definizione finalità di lucro ai sensi dell’art. 2195 c.c.
Pertanto, un’impresa commerciale senza fine di lucro è un vero proprio iato logico che offende la ragione. In effetti, se l’impresa commerciale è retta da un "imprenditore" e l’imprenditore persegue il profitto, non può, perciò stesso, non avere fine di lucro, vale a dire non perseguire il profitto.
Per contro, qualora la Congregazione non avesse fine di lucro, ciò la espungerebbe de iure dal novero delle imprese commerciali. In tal caso avrebbe sì diritto alla fiscalizzazione degli oneri sociali; ma non già all’esenzione dei contributi CUAF, che pure esige (e che gli sono stati riconosciuti dall’INPS).
Insomma, esclusa la contradictio in terminis dell’"impresa commerciale senza fini di lucro", rimane il seguente dilemma. O la Congregazione non ha fine di lucro e allora non è un’impresa commerciale. In tal caso ha sì diritto all’esenzione CUAF ma non già alla fiscalizzazione. Ovvero, la Congregazione è impresa commerciale con diritto alla fiscalizzazione; ma non può avere fini di lucro, né pertanto fruire dell’esenzione CUAF.
Poiché, l’esistenza o meno della finalità del lucro non è stata posta in discussione tra le parti, non pare più opportuno approfondire l’argomento. Ma una volta ammessa la inesistenza del fine di lucro si deve "pel contrasto che nol consente" escludere l’appartenenza della Congregazione al settore commercio. Da qui, la indebita fiscalizzazione autoapplicatasi dalla ricorrente per periodi incontroversi. Ne consegue, che la pretesa della Congregazione va rigettata.
L’INPS, a buon diritto, ha compensato il proprio credito della fiscalizzazione con il credito della Congregazione per l’esenzione CUAF.
2) Qualificazione giuridica del rapporto suore-Congregazione. L’ente attore esclude la natura di locatio operarum delle religiose che prestano la loro opera infermieristica presso gli ospedali e le case di cura della Congregazione. Il fondamento di siffatta prospettazione è il perseguimento degli scopi religiosi ed umanitari della Congregazione.
Il Pretore ritiene che la natura giuridica di un rapporto vada individuata non già in base alle finalità perseguite dalle personae che pongono in essere il negozio; bensì dalla causa del negozio giuridico posto in essere. Le finalità perseguite dalle parti costituiscono i motivi del negozio che, salvo espressa deroga legale, sono irrilevanti.
Nella fattispecie dalla deposizione della caposala Cantoni Maria Fausta risulta che l’attività sua e delle altre religiose in nulla si distingue quanto a mansioni, orario, dipendenza gerarchica, inserimento nella organizzazione, dalle infermiere laiche, indiscussamente lavoratrici subordinate.
La teste ha detto: "ci sono 4 caposale laiche e 8 caposale suore… dò ordini agli infermieri professionali laici e al personale ausiliario. Alcune suore operano negli uffici amministrativi. A livello sanitario come caposala dipendiamo dai primari. Altre suore sono in cucina (4) altre in guardaroba (2) in stireria (2) altre suore in portineria, magazzino".
Le suore inoltre, hanno il loro riposo annuo come ogni altro lavoratore. La teste in proposito ha detto: durante l’anno abbiamo una settimana di riposo e preghiera.
Esse hanno anche una retribuzione sia pure in natura consistente nel vitto e alloggio. Inoltre come ha detto suor Cantoni: "quando ho bisogno di soldi li domando alla superiora, che valuta le nostre esigenze. Chiedo i soldi per i bisogni: come acquisto scarpe, biglietto del treno".
Pertanto, la remunerazione delle suore oltre che essere in natura è parzialmente anche pecuniaria.
A tale argomentazione, che indica la locatio operarum se ne aggiunge altra di natura pratica: le suore come tutte le altre lavoratrici subordinate godono dell’assistenza sanitaria e previdenziale. La teste a riguardo ha detto: "credo che esse percepiscano la pensione sociale. Abbiamo il medico di fiducia della USL".
Ora ritenere il rapporto Congregazione-suore fuori dallo schema locatio operarum sarebbe sommamente ingiusto per il confronto suore-infermiere/infermiere-laiche. Invero, il datore di lavoro delle infermiere laiche paga regolarmente i contributi per le proprie dipendenti, laddove la congregazione le cui suore-infermiere fruiscono delle medesime prestazioni pubbliche riservate alle altre lavoratrici, non pagherebbe i contributi all’INPS. Tale stridente proposizione non può essere accolta.
In definitiva, anche la domanda di accertamento negativo deve essere rigettata. Alla soccombenza segue l’obbligo delle spese processuali; le quali tenuto conto, del congruo petitum vengono liquidate in maniera contenuta (£. 2.000.000) valutata la natura pubblica e umanitaria del servizio reso dalle strutture della Congregazione.

(omissis)