Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Agosto 2003

Sentenza 08 marzo 1957, n.45

Corte costituzionale. Sentenza 8 marzo 1957, n. 45: “Obbligo di preavviso per le riunioni religiose in luoghi aperti al pubblico (R.D. 18 giugno 1931 n. 773, art. 25)”.

(De Nicola; Petrocelli)

LA CORTE COSTITUZ1ONALE

composta dai signori:

Presidente: avv. Enrico DE NICOLA;

Giudici: dott. Gaetano AZZARITI. avv. Giuseppe CAPPI, prof. Tomaso PERASSI, prof. Gaspare AMBROSINI, prof. Ernesto BATTAGLINI, dott. Mario COSATTI, prof. Francesco PANTALEO GABRIELI, prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO, prof. Antonino PAPALDO, prof. Mario BRACCI, prof. Nicola JAEGER, prof. Giovanni CASSANDRO, prof. Biagio PETROCELLI,

ha pronunziato la seguente

Sentenza

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell’art. 25 T.U. delle leggi di p. s., approvato con R. D. 18 giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:

1. – Ordinanza 17 aprile 1956 della Corte di cassazione, Sezioni unite penali, nel procedimento penale a carico di Lasco Umberto, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avvocati Giuseppe Sabatini, Arturo Carlo Jemolo e Leopoldo Piccardi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 9 giugno 1956 ed iscritta al n. 181 del Reg. ord. 1956;

2. – Ordinanza 16 novembre 1956 del Pretore di Leonforte nel procedimento penale a carico di Carosia Giovanni e Chiaramonte Pietro, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 316 del 15 dicembre 1956 ed iscritta al n. 338 del Reg. ord. 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udite nell’udienza pubblica del 20 febbraio 1957 le relazioni del Giudice Biagio Petrocelli;

uditi gli avvocati Giuseppe Sabatini, Arturo Carlo Jemolo e il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaele Bronzini.

(omissis)

Considerato in diritto:

La Corte ritiene opportuno di decidere con unica sentenza le questioni sollevate dalle due ordinanze di cui in epigrafe.

L’ordinanza della Corte di cassazione relativa a Lasco Umberto pone i termini del giudizio di costituzionalità sulla base del rapporto fra l’art. 25 del T.U. delle leggi di p. s. e l’art. 17 della Costituzione. Ciò si desume essenzialmente dalla parte dell’ordinanza in cui, dopo aver premesso che la situazione giuridica — in rapporto alla disciplina delle pubbliche riunioni — è profondamente modificata dopo l’entrata in vigore dell’art. 17 della Costituzione, che ha soppresso l’obbligo del preavviso per le riunioni private e per quelle tenute in luogo aperto al pubblico, si enuncia testualmente la questione “se la detta norma costituzionale abbia inteso di parzialmente abrogare soltanto la disposizione dell’art. 18 del T. U. delle leggi di p. s., che — come è noto — regola le pubbliche riunioni di ogni tipo, ovvero di abrogare anche l’art. 25 dello stesso T. U., che contempla quelle particolari riunioni qualificate dal compimento di cerimonie o pratiche religiose fuori dei luoghi destinati al culto, vale a dire extra ecclesiae ambitum”.

Entro tali limiti, che le richieste della difesa non possono nè modificare nè ampliare, deve mantenersi il giudizio di questa Corte.

Oggetto proprio del giudizio è pertanto il rapporto fra l’art. 25 del T. U. delle leggi di p. s. e l’art. 17 della Costituzione, e più precisamente lo stabilire se, avendo l’art. 17 limitato l’obbligo del preavviso alle riunioni in luogo pubblico, esplicitamente escludendolo, col secondo comma, per ogni altra specie di riunione, e quindi anche per quelle aperte al pubblico, l’art. 25 della legge di pubblica sicurezza possa sopravvivere nella parte che implica l’obbligo del preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose anche in luogo non pubblico.

L’Avvocatura dello Stato, al fine di dimostrare la legittimità costituzionale dell’art. 25 in ogni sua parte, si fonda su un criterio di specialità, sostenendo che la norma dell’art. 17 della Costituzione si riferisce alle riunioni di qualsiasi tipo, ed è pertanto di carattere generale. Come tale, essa troverebbe il suo riscontro nell’art. 18 della legge di p. s., laddove le riunioni per l’esercizio del culto costituirebbero una categoria speciale, soggetta a una sua propria disciplina, cioè a quella adottata dal R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, e dall’art. 25 della ripetuta legge di pubblica sicurezza. Per conseguenza, secondo la stessa Avvocatura dello Stato l’art. 25 sopravvive all’art. 17 della Costituzione “non potendo una norma di carattere generale derogare alle norme speciali anteriori”.

Questa tesi non può essere accolta. L’art. 17 della Costituzione contiene una netta riaffermazione della libertà di riunionione; e la norma si ispira a così elevate e fondamentali esigenze della vita sociale da assumere necessariamente una portata ed efficacia generalissima, tali da non consentire la possibilità di regimi speciali. Circa le riunioni a catattere religioso, si deve rilevare che dagli artt. 8, primo comma, e 19 della Costituzione è sancita la piena libertà nell’esercizio del culto per tutte le confessioni religiose; ma quando l’esercizio del culto ha luogo in forma associata, tali norme devono ritenersi con l’art. 17 in un rapporto evidente di coordinazione, nel senso che le riunioni a carattere religioso non si sottraggono alla disciplina generale di tutte le riunioni, per quanto riguarda e la libertà delle riunioni stesse e i limiti cui essa nel superiore interesse della convivenza sociale, è sottoposta.

Tuttavia, sempre al fine di dimostrare la piena legittimità del l’art. 25 della legge di pubblica sicurezza, l’Avvocatura dello Stato trae argomento dall’art. 19 della Costituzione; e poichè questo dispone che ” tutti hanno diritto di professare la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitanne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume “, ne deduce che l’obbligo del preavviso debba intendersi preordinato ad accertare se nei singoli casi le funzioni e pratiche religiose che si intendono compiere nei luoghi a ciò destinati, e quindi anche semplicemente aperti al pubblico, prevedano o meno riti contrari al buon costume, e ciò ai fini della facoltà conferita alla autorità di pubblica sicurezza di vietarne il compimento.

In contrario bisogna osservare che la regola che si vorrebbe dedurre da siffatta interpretazione, cioè che ad ogni limitazione posta ad una libertà costituzionale debba implicitamente corrispondere il potere di un controllo preventivo dell’autorità di pubblica sicurezza, non sussiste nel nostro ordinamento giuridico. Il trasgredire alla limitazione sancita dall’art. 19 potrà costituire un illecito giuridico, anche penale; e in tal caso il divieto sarà garantito dalla corrispondente sanzione; ma, al di fuori di questa ipotesi, l’attività di prevenzione della polizia, se ed in quanto importi una restrizione della sfera giuridica del cittadino, in ordine ai suoi possibili futuri comportamenti, potrà esercitarsi soltanto nei casi e nei modi espressamente indicati dalla legge.

In conclusione, stabilito il carattere generale della norma dell’art. 17 e la sua riferibilità ad ogni specie di riunione, comprese quelle a carattere religioso, risulta evidente il contrasto fra la detta norma e l’art. 25 della legge di pubblica sicurezza, nella parte in cui questo implica l’obbligo del preavviso anche per le riunioni non pubbliche.

Posta e risoluta in questi termini la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, ne risulta che restano estranee alla indagine di questa Corte le altre norme alle quali, per opposta finalità, fanno riferimento le parti. L’art. 18 della legge di p. s., infatti, è dalla stessa ordinanza posto fuori dell’ambito della questione, col fatto stesso di ridurre questa a una valutazione del rapporto fra l’art. 17 della Costituzione e l’art. 25 della legge di p. s. L’art. 3 della legge 24 giugno 1929, n. 1159, e gli artt. 1 e 2 del R. D. 28 febbraio 1930, n. 289, cui la difesa del Lasco chiede che si estenda il giudizio di legittimità costituzionale, riguardano la nomina dei ministri di culto e l’apertura di templi ed oratorî per i culti ammessi, e quindi ben altro e diverso oggetto da quello che è specificamente proprio dell’ordinanza e del procedimento penale che vi ha dato luogo.

In relazione all’art. 26 della legge di pubblica sicurezza, è evidente che questa norma, nell’attribuire al questore il potere di vietare, in date circostanze, le funzioni, cerimonie e pratiche religiose e le processioni ecclesiastiche o civili, ricollega tale potere all’obbligo del preavviso sancito dalla norma dell’art. 25, e ne limita pertanto l’esercizio ai casi in cui l’obbligo del preavviso permane.

Circa infine la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 della legge di pubblica sicurezza, sollevata dal Pretore di Leonforte, in relazione ai tre pubblici cortei promossi da Carosia Giovanni e al corteo promosso da Chiaramonte Pietro, trattandosi, com’è ovvio, di riunioni in luogo pubblico, esse rientrano nel novero delle riunioni per le quali l’obbligo del preavviso sussiste, con la conseguente legittimità, per questa parte, della norma dell’art. 25.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti come in epigrafe:

dichiara la illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 25 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza del 18 giugno 1931, n. 773, nella parte che implica l’obbligo del preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose in luoghi aperti al pubblico, in riferimento all’art. 17 della Costituzione.

(omissis)