Sentenza 08 luglio 1988, n.925
Corte costituzionale. Sentenza 8 luglio 1988, n. 925: “Bestemmia (art. 724, primo comma, c.p.)”.
(Saja; Conso)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 724 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 novembre 1985 dal Pretore di Trento nel procedimento penale a carico di Deiana Attilio, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 1986;
2) ordinanza emessa il 4 aprile 1986 dal Pretore di Sestri Ponente nel procedimento penale a carico di Camberini Franco, iscritta al n. 369 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1986;
3) ordinanza emessa il 29 aprile 1986 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Bonino Emma, iscritta al n. 545 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1986;
4) ordinanza emessa il 17 giugno 1986 dal Pretore di La Spezia nel procedimento penale a carico di Vezzoli Giovanni, iscritta al n. 686 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57, prima serie speciale, dell’anno 1986;
5) ordinanza emessa il 25 maggio 1987 dal Pretore di Monfalcone nel procedimento penale a carico di Danieli Gianni Luca, iscritta al n. 698 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1987.
Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso.
(omissis)
Considerato in diritto
1. – Le cinque ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale in tutto o in parte coincidenti: i relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
2. – Oggetto di censura è sempre l’art. 724 del codice penale, con particolare riguardo al suo primo comma (“Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato, è punito con l’ammenda da lire ventimila a seicentomila”), come l’ordinanza del Pretore di Roma sottolinea nel dispositivo e le altre lasciano evincere dalla motivazione, conformemente, del resto, all’addebito di volta in volta contestato nei procedimenti a quibus. In ciascuno di essi l’imputazione ha, infatti, per oggetto il reato di bestemmia, senza che venga mai considerata la fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 724 (manifestazioni oltraggiose verso i defunti).
Numerosi sono, invece, i parametri costituzionali invocati, talora isolatamente, più spesso in varia combinazione: così il Pretore di La Spezia si richiama all’art. 7; il Pretore di Roma all’art. 25, secondo comma, e, in subordine, all’art. 3; i Pretori di Trento e Monfalcone agli artt. 3, 7 e 8; il Pretore di Sestri Ponente agli artt. 2, 3, 8 e 19, con espressa esclusione dell’art. 21, che la difesa dell’imputato aveva pur coinvolto nell’eccezione di legittimità da essa prospettata.
4. – Come puntualmente ricordato dal Pretore di Sestri Ponente e dal Pretore di Monfalcone, già in altre due occasioni questa Corte è stata chiamata ad occuparsi della legittimità costituzionale dell’art. 724, primo comma, del codice penale, sempre concludendo per la non fondatezza delle questioni rispettivamente proposte: la prima volta (v. la sentenza n. 79 del 1958) in riferimento agli artt. 7 e 8, la seconda (v. la sentenza n. 14 del 1973) in riferimento agli artt. 3, 8, 19 e 21 della Costituzione.
5. – Nel rimettere in discussione la legittimità costituzionale della norma che incrimina la bestemmia, le attuali ordinanze muovono tutte dall’innovazione insita nel punto 1 del Protocollo addizionale all’Accordo di modificazioni al Concordato lateranense del 1929, Accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e recepito nel nostro ordinamento attraverso la legge di ratifica ed esecuzione 25 marzo 1985, n. 121. Si tratta del punto in cui la Santa Sede e la Repubblica italiana dichiarano di considerare “non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato”, svuotando così di ogni contenuto l’art. 1 del Trattato del 1929, alla cui stregua l’Italia riconosceva e riaffermava “il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”.
6. – L’incidenza di un così importante mutamento sulla configurazione del reato di bestemmia non viene valutata allo stesso modo dai giudici a quibus, pur concordi nel respingere, analogamente a quanto emerge dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la tesi secondo cui, come vorrebbero altri giudici di merito, ci si troverebbe addirittura di fronte all’abrogazione di tutte le norme facenti richiamo alla “religione dello Stato”. Mentre, infatti, i Pretori di Trento, di Sestri Ponente, di La Spezia e di Monfalcone esprimono l’avviso che, ai fini dell’art. 724, primo comma, del codice penale, per “religione dello Stato” deve continuare ad intendersi la religione cattolica, il Pretore di Roma sostiene in via principale che il venir meno del “principio della religione cattolica come religione di Stato” non consentirebbe più di “individuare in astratto quale sia la “religione di Stato”, per cui la fattispecie di cui all’art.724 c.p., essendo incerto il significato di un suo elemento costitutivo, non può ritenersi, attualmente, sufficientemente determinata”, donde l’ipotizzata violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione.
7. – La carica di novità, che, non solo a causa del parametro invocato, una questione così impostata presenta rispetto a tutte le altre, appare evidente. Ciò’ anche perché, con il loro aderire all’ottica interpretativa che ravvisa nell’art. 724, primo comma, del codice penale un persistente, sottinteso, richiamo alla religione cattolica, le questioni proposte dai Pretori di Trento, di Sestri Ponente, di La Spezia e di Monfalcone (come quella proposta in via subordinata dal Pretore di Roma) – se si eccettua il riferimento all’art. 2 della Costituzione, che, peraltro, il Pretore di Sestri Ponente strettamente collega con l’art. 3, all’unico scopo di sottolineare come “i cittadini” non possano essere assoggettati a discriminazioni religiose, non soltanto singolarmente, ma neppure “nelle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità” aggiungono ben poco agli argomenti già disattesi con le sentenze n. 79 del 1958 e n. 14 del 1973, fatta salva, ovviamente, la necessità di valutare l’incidenza del punto 1 del Protocollo addizionale del 1984.
Muovendo, invece, dall’opposto convincimento che non sia più possibile continuare ad intendere la religione cattolica come entità sottostante alla nozione di “religione dello Stato”, la questione sollevata in via principale dal Pretore di Roma viene a rivestire connotati del tutto inediti.
8. – L’”insufficiente determinatezza” – che, in seguito all’abrogazione dell’art. 1 del Trattato lateranense, caratterizzerebbe il precetto dell’art. 724, primo comma, del codice penale, così da renderlo illegittimo, ai sensi dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione – deriverebbe dal fatto che, non essendo “più possibile, sulla base del nuovo sistema normativo, individuare in astratto quale sia la “‘religione dello Stato”, sarebbe divenuto “incerto il significato” dell’elemento costitutivo contrassegnato, appunto, dall’espressione “religione dello Stato”, “che delimita l’ambito di applicazione della norma”. L’espressione, “di origine politica” e “non usuale al linguaggio comune”, è “un’espressione tecnica, il cui significato va desunto solo ed esclusivamente dal sistema normativo”. Non potendosi più desumere “tale significato” dal sistema normativo vigente, data “l’abrogazione del principio della religione cattolica come religione di Stato, la fattispecie risulterebbe attualmente indeterminata, non potendosi predeterminare quali siano i comportamenti riconducibili ad essa”.
9. – La questione non è fondata.
A differenza di quanto mostra di ritenere il Pretore di Roma, l’innegabile venir meno del significato originario dell’espressione “religione dello Stato” non esclude che, entro il contesto dell’art. 724 del codice penale, essa ne abbia acquistato uno diverso, ma sempre sufficientemente determinabile, quello, appunto, riconosciutole, in conformità ad analoghe prese di posizione della Corte di cassazione, dagli altri giudici a quibus: cioè, il significato di “religione cattolica”, in quanto già religione dello Stato, qualificazione il cui superamento risulta formalmente sancito con l’entrata in vigore della legge 25 marzo 1985, n.121, che, con il ratificare e rendere esecutivi l’Accordo di modificazioni al Concordato lateranense ed il relativo Protocollo addizionale, ha dato operatività nel nostro ordinamento alla dichiarazione contenuta nel punto 1 di quel Protocollo.
10. – Da ciò consegue che, anche per quanto riguarda le altre questioni riproposte dai giudici a quibus, l’incidenza del punto 1 del Protocollo addizionale, da essi assunto a decisivo elemento di novità, non risulta così determinante da modificare nella sostanza i termini delle questioni stesse e, quindi, le risposte di non fondatezza già fornite da questa Corte nelle precedenti occasioni. né con la sentenza n.79 del 1958 né con la sentenza n.14 del 1973 si era, infatti, posto l’accento sul fatto che la lettera dell’art.724, primo comma, del codice penale dà rilievo ad “una qualificazione formale della religione cattolica”, bensì si era messa in risalto la circostanza che la norma riguarda più propriamente la religione cattolica in quanto mera confessione religiosa diffusa nel Paese, tant’è vero che l’infondatezza delle questioni allora sollevate era stata motivata con argomenti imperniati sull'”antica ininterrotta tradizione del popolo italiano” (v. pure la sentenza n.125 del 1957), sull’ampiezza e sull’intensità delle “reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese dirette” a quella religione.
D’altro canto, “la limitazione della previsione legislativa alle offese contro la religione cattolica” non può continuare a giustificarsi con l’appartenenza ad essa della “quasi totalità” dei cittadini italiani (v. la sentenza n. 79 del 1958) e nemmeno con l’esigenza di tutelare il sentimento religioso della “maggior parte della popolazione italiana” (v. la sentenza n.14 del 1973): non tanto vi si oppongono ragioni di ordine statistico (comunque sia, la religione cattolica resta la più seguita in Italia), quanto ragioni di ordine normativo. Il superamento della contrapposizione fra la religione cattolica, “sola religione dello Stato”, e gli altri culti “ammessi”, sancito dal punto 1 del Protocollo del 1984, renderebbe, infatti, ormai inaccettabile ogni tipo di discriminazione che si basasse soltanto sul maggiore o minore numero degli appartenenti alle varie confessioni religiose.
Ciò non toglie che la perdurante limitazione insita nel dettato dell’art. 724, primo comma, del codice penale possa trovare tuttora un qualche fondamento nella constatazione, sociologicamente rilevante, che il tipo di comportamento vietato dalla norma impugnata concerne un fenomeno di malcostume divenuto da gran tempo cattiva abitudine per molti, anche se al legislatore incombe l’obbligo di addivenire ad una revisione della fattispecie, così da ovviare alla disparità di disciplina con le altre religioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 724, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Roma con ordinanza del 29 aprile 1986;
b) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 724, primo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 7, 8 e 19 della Costituzione, dal Pretore di Trento con ordinanza del 26 novembre 1985, dal Pretore di Sestri Ponente con ordinanza del 4 aprile 1986, dal Pretore di Roma con ordinanza del 29 aprile 1986, dal Pretore di La Spezia con ordinanza del 17 giugno 1986 e dal Pretore di Monfalcone con ordinanza del 25 maggio 1987.
(omissis)
Autore:
Corte Costituzionale
Dossier:
Tutela penale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Discriminazione, Religione Cattolica, Religione dello Stato, Numero, Appartenenti
Natura:
Sentenza