Sentenza 06 aprile 2004, n.6759
Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 6 aprile 2004, n. 6759: “Programmi radiotelevisivi e tutela dei minori”.
(Omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ordinanza ingiunzione n. 469/3040 del 3 marzo 1998, notificata alla Rai Radiotelevisione italiana S.p.a. in pari data, il Garante per la radiodiffusione e l’editoria – a seguito di esposto presentato dall’on. M. S. il 25 novembre 1997 ed all’esito dei successivi accertamenti – irrogò, nei confronti della Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la sanzione amministrativa di L.25.000.000, per aver trasmesso su Rai Tre, in data 24 novembre 1997, alle ore 20,40, una puntata del programma televisivo “Un giorno in Pretura”, dedicato alla riproduzione dal dibattimento di un processo penale relativo all’omicidio di due bambini di Foligno da parte di un pedofilo, i cui contenuti integravano violazione dell’art.15 comma 10 della legge 6 agosto 1990 n.313 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato).
Nel provvedimento si precisava che “oggetto del dibattimento” era “la ricostruzione di delitti particolarmente aberranti per l’età delle vittime, per le modalità e le circostanze dei reati, suscettibili quindi di turbare la sensibilità dei minori e di incidere negativamente sulla loro sfera psichica ed emotiva” e che “la trasmissione …. è andata in onda, senza alcuna cautela, in prima serata e quindi in fascia oraria accessibile anche ai minori di anni quattordici”; e si concludeva che “l’idoneità in concreto del programma a turbare lo sviluppo psichico e morale dei minori risulta dalla notoria drammaticità dei fatti connotati da violenza e crudeltà in un contesto sadico sessuale.
Con ricorso al Pretore di Roma del 30 marco 1998, la società concessionaria si oppone al predetto provvedimento, chiedendone l’annullamento, contestando la sussistenza della violazione e deducendo, tra gli altri motivi di opposizione, la violazione e la falsa applicazione dell’art.15 commi 10 e 13 della legge n. 223 del 1990, nonché la violazione degli artt.3 e 21 della Costituzione.
In contraddittorio con il Garante – il quale instò per la reiezione del ricorso il Giudice unico del Tribunale di Roana, con sentenza n. 28229/99 del 27 dicembre 1999, respinse il ricorso.
(Omissis)
Avverso tale sentenza la Rai Radiotelevisione Italiana S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico, articolato motivo di censura, illustrato con memoria.
Resiste, con controricorso, l’autorità per le garanzie delle comunicazioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(Omissis)
Il ricorso deve essere respinto previe parziali correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell ‘ art .384 comma 2 cod. proc. civ., essendo il suo dispositivo conforme al diritto.
Come emerge chiaramente dalla motivazione stessa (cfr., supra, nn.1.1 e 1.2), la trasmissione televisiva del programma de quo è stata ritenuta meritevole di sanzione, ai sensi del combinato disposto degli artt.15 comma 10 e 31 comma 3 della legge 6 agosto 1990 n.223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), perché essa, in ragione sia del suo oggetto – riproduttivo del dibattimento di un processo penale, relativo all’ imputazione di un pedofilo per l’omicidio di due bambini di Foligno – sia del suo contenuto – con specifico riferimento alla minuziosa ricostruzione delle modalità particolarmente efferate del duplice delitto, “confessate”dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale – sia dell’orario della sua messa in onda (in prima serata: c.d. prime time), è stata considerata concretamente idonea a nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori. L’art.15 comma 10 della legge n.223 del 1990, applicato nella specie, dispone: E’ vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di Intolleranza basati su differenze di razza, sesso religione o nazionalità”.
La sanzione per la violazione di tali divieti è prevista dall’art.31 comma 3 della stessa legge, laddove si stabilisce, tra l’altro, che, “nei casi di inosservanza dei divieti… di cui ai commi da 8 a 15 dell’articolo 15, il Garante (per la radiodiffusione e l’editoria; oggi, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) delibera l’irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 10 milioni a lire 100 milioni e, nei casi più gravi, 1a sospensione dell’efficacia della concessione o dell’autorizzazione per un periodo da uno a dieci giorni”.
Tenuto conto della assoluta gravità della questioni sottoposte all’esame di questa Corte, al fine di pervenire ad una corretta interpretazione delle disposizioni precettive che prefigurano gli illeciti amministrativi previsti dall’art.15 comma 10 – e, in particolare, di quella applicata nella specie – appare indispensabile analizzarle, per un verso, nell’ambito dello specifico contesto normativo – internazionale, comunitario e nazionale – cui sono collegati la loro genesi ed il loro significato; e, per l’altro, alla luce dei parametri costituzionali che assumono rilievo immediato nella presente fattispecie: vale a dire, innanzitutto, l’art.21, che – nel garantire a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione – garantisce anche la libertà di informazione, che si esercita col mezzo radiotelevisivo e cha sta a fondamento della relativa disciplina (art.1 comma 2 della legge n.223 del 1990: “Il pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della presente legge”); e, in secondo luogo, l’art.31 comma 2, laddove viene stabilito che la Repubblica “protegge ….l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
L’indiscussa importanza che la protezione dei minori riveste nell’ambito dell’esercizio della libertà di informazione radiotelevisiva (v. il Messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere del 23 luglio 2002, in materia di pluralismo e imparzialità dell’informazione, dove si sottolinea che “nell’atteso testo normativo [l’auspicata “legge di sistema”] dovrà trovare coerente sistemazione la disciplina della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nella programmazione delle emittenti televisive”) ed il fatto che l’art.. 15 comma 10, nel vietare la trasmissione di determinati programmi radiotelevisivi, impone limiti evidenti alla libertà di informazione esercitata con questi mezzi, proprio con specifico riguardo alla tutela dei minori, richiedono un’indagine particolare sotto tale profilo, che si rivela decisiva per la corretta interpretazione ed applicazione della disposizione.
a. In tale prospettiva, importanza fondamentale assume, in primo luogo, la Convenzione sui diritti del “fanciullo” – per tale intendendosi “ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni” (cfr. art.1) – approvato dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 20 ottobre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991 n.176.
Tale Convenzione rappresenta il punto di approdo generale di più risalenti documenti internazionali sulla condizione dei minori, quali la “Dichiarazione dei diritti dal fanciullo”, approvata nel 1924 dalla Società delle Nazioni, dove, tra l’altro, è affermata l’esigenza che “il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente”, la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, approvata dall’O.N.U. a New York il 10 dicembre 1948, dove (art. 25 prf.2) è stabilito che “la maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza”; e la “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”, approvata dall’O.N.U. a New York il 2O novembre 1959, dove, “nel principio secondo”, si afferma: “Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione, e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e di dignità. Nell’adozione delle leggi rivolte a tal fine, la considerazione determinante deve essere il superiore interesse del fanciullo”.
In particolare, l’art.3 prf.1 della Convenzione del 1989 enuncia il principio generale dell’interesse superiore del fanciullo: “ln tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”; e il prf. 2 del medesimo articolo impegna gli Stati parti “ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale” e ad dottare, a tal fine, “tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati”.
A riprova del carattere “fondamentale” ed “espansivo” del principio stesso nelle più diverse discipline riguardanti i minori, possono ricordarsi, ad esempio, da un lato, le ampie ed incisive formulazioni legislative indirizzate, nell’ordinamento italiano, al giudice della separazione e del divorzio, il quale “adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole [minorenne], con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (cfr. artt.155 comma 1 cod. civ. e 6 comma 2 della legge n.898 del 1970, nel testo sostituito dall’art.11 della legge n.74 del 1987); e, dall’altro, sia la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000 – dove, nell’art.. 24, dedicato ai “diritti del bambino” , nel prf.2, si sancisce che “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente” – sia la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (resa esecutiva in Italia con la recente legge 2O marzo 2003 n.77), nel cui preambolo e nel cui art.. 1 viene ribadita la volontà degli Stati membri del Consiglio d’Europa di “promuovere” “i diritti e gli interessi superiori dei fanciulli” .
Con più specifico riferimento ai rapporti tra fanciulli e mass media, l’art.17 della Convenzione in esame prevede, tra l’altro: “Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass media e vigilano affinché il fanciullo passa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale, nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine gli Stati parti: a) incoraggiano i mass media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo …. ; …. e) favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere ….”.
Ed un ulteriore esempio – tra molteplici altri – di applicazione sul piano “negoziale-amministrativo” del predetto principio di superiorità nella materia in esame è rappresentato dall’art.5 del “Contratto di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a. per il triennio 2000/2OO2”, approvato con d.P.R. 8 febbraio 2001: la clausola – dedicata alla “programmazione televisiva per bambini e giovani” – prevede, tra l’altro, che, “nell’ambito del riconoscimento del diritto prevalente della tutela dello sviluppo fisico, psichico e morale dei minori, la concessionaria si impegna a realizzare, all’interno delle quote di programmazione televisiva…., con l’ausilio di esperti particolarmente qualificati, programmi per bambini e giovani che rispettino le esigenze e la sensibilità della prima infanzia e dell’età evolutiva, anche tenendo conto degli indirizzi degli organi istituzionalmente preposti in materia di tutela dei minori e del codice di autoregolamentazione relativo al rapporto tra televisione e minori approvato dalla concessionaria”; e che nel “riconoscimento del diritto prevalente di cui sopra, anche nelle fasce orarie di trasmissione non specificamente dedicate ai minori compresa la programmazione del prime time, la concessionaria dovrà dedicare particolare attenzione critica ai messaggi di violenza ed intolleranza veicolati direttamente ed indirettamente dal mezzo radiotelevisivo ed alla loro influenza sulle fasce deboli e sui minori”.
b. Altrettanto importanti – e più specifici – riferimenti normativi si traggono dalla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, firmata a Strasburgo il 5 maggio 1989 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa o dagli altri Stati parti della Convenzione culturale europea a resa esecutiva in Italia con la legge 5 ottobre 1991 n.327.
In particolare, l’art.7 di tale Convenzione, inserito nel capitolo concernente la programmazione e che reca la significativa rubrica “Responsabilità dell’emittente televisiva” – dopo aver previsto che “tutti gli elementi dei servizi di programmi [per tali intendendosi “l’insieme degli elementi di un dato servizio, forniti da un’emittente televisiva”: cfr. art.2 lett.d], dal punto di vista sia del contenuto che della presentazione, debbono rispettare la dignità della persona umana ed i diritti fondamentali dell’uomo”; e che “in particolare essi non debbono: a) essere contrari alla decenza e tantomeno contenere pornografia; b) mettere in risalto la violenza oppure essere suscettibili di incitare all’odio razzista” (prf.1) – dedica specificamente il secondo paragrafo ai rapporti tra programmazione televisiva e minori: “Gli elementi dei servizi di programmi che sono suscettibili di pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico o morale dei fanciulli o degli adolescenti non devono essere trasmessi quando questi ultimi possono guardarli dato l’orario di trasmissione o di ricezione.
c. Nel solco internazionale pattizio ora delineato si inscrive anche la disciplina comunitaria rilevante in questa sede.
L’art. 22 della Direttiva 89/552/CEE del Consiglio dal 3 ottobre 1989 – relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive – fondato sulla necessità di “stabilire norme per la protezione dello sviluppo fisico, mentale e morale del minorenni nei programmi e nella pubblicità televisiva” (cfr. 30° “considerando” ), prevede: ” Per ciò che si riferisce alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, gli Stati membri adottano le misure atte e garantire che le loro trasmissioni non contengano programmi in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita [prf.1 primo periodo]. Questa disposizione si applica anche agli altri programmi che, pur non rientrando nella categoria precedente, possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni trovantisi nell’area di diffusione normalmente seguano tali programmi [prf.1 secondo periodo]. Gli Stati membri vigilano altresì a che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità [prf.21] .
Tale articolo è stato sostituito dall’art.. 1 nn.27 e 28 della Direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997, che modifica appunto la Direttiva del 1989 ed introduce un nuovo art.22-bis.
Nella “motivazione” di questo provvedimento si sottolinea “che é necessario chiarire le norme a tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minorenni; che l’istituzione di una netta distinzione tra i programmi soggetti a divieto assoluto e quelli che possono essere autorizzati in presenza di determinati accorgimenti tecnici dovrebbe rispondere alla preoccupazione in materia di pubblico interesse degli Stati membri e della Comunità” (40° “considerando”); e “che nessuna delle disposizioni della presente direttiva riguardante la tutela dei minori e l’ordine pubblico richiede che i provvedimenti in questione debbano necessariamente essere attuati attraverso il controllo preventivo delle trasmissioni televisive” (41° “considerando”).
Il nuovo testo dell’art.22 della Direttiva del 1989 recita, dunque: “Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolar programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita [prf.1]. I provvedimenti di cui al paragrafo 1 si applicano anche agli altri programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi [prf.2]. Inoltre, qualora tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri fanno sì che essi siano preceduti da un’avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione [prf . 3] ” .
E l’art.22-bis prevede: “Gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”.
d. Da ultimo, è opportuno rammentare che l’art.51 della legge 1 marzo 2002 n.39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001. Ecologia) – inserendo l’art.3-bis dopo l’art. 3 della legge 31 luglio 1997 n.249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) – ha dettato, in conformità alle richiamate Direttive del 1989 e del 1997 ed alla Convenziono sulla televisione transfrontaliera, i “principi generali sulle trasmissioni transfrontaliere”.
In particolare, il comma 3 del nuovo art.3-bis della legge n.249 del 1997 prevede: “L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni può disporre la sospensione provvisoria di ricezione o di ritrasmissione di trasmissioni provenienti da Stati dell’Unione Europea nei seguenti casi di violazioni, già commesse par almeno due volte nel corso dei dodici mesi precedenti: a) violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che possano nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare di programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita; b) violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale del minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi; c) violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che contengano incitamento all’odio basato su differenza di razza, sesso. religione o nazionalità”.
e. Deve essere precisato che la vigilanza sul rispetto della disciplina dettata in materia di rapporti tra minori e mass media è specificamente attribuita alla competenza di uno degli organi dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: infatti, l’art. 1 comma 6 lett. b) n.6 della citata legge n.249 del 1997 prevede che “la commissione per i servizi e i prodotti [che è, appunto, uno degli organi dell’Autorità] ….verifica li rispetto nel settore radiotelevisivo delle nome in materia di tutela dei minori anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e minori e degli indirizzi della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi” (per le relative sanzioni, irrogate dal Consiglio dell’Autorità, cfr. i commi 31 e 32 del medesimo articolo; il regolamento per le procedure sanzionatorie di propria competenza, non diversamente disciplinate dalla legge, è stato adottato dall’Autorità con deliberazione 7 novembre 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.294 del 19 dicembre 2001).
Sulla base della disciplina internazionale, comunitaria e nazionale finora analizzata, tra i molteplici “codici di autoregolamentazione” adottati nel corso del temo sui rapporti tra mass media e minori, un particolare rilievo assume, anche ratione temporis con riferimento alla trasmissione televisiva de qua, il “Codice di autoregolamentazione nei rapporti fra TV e minori (ex d.P.C.R. 5 febbraio 1997), stipulato a Roma, il 26 novembre 1997 tra la RAI-Radiotelevisione Italiana, Mediaset, Cecchi Gori Comunications, F.R.T.-Federazione Radio Televisioni ed A.E.R.- Associazione Editori Radiotelevisivi” . Buona parte della sua “Premessa” è dedicata alla riaffermazione dei principi espressi. dalla disciplina dianzi analizzata con uno specifico richiamo all’art.31 Cost. ed alla Convenzione dell’0.N.U. sui diritti dei fanciulli (cfr., supra, lett. A). Sotto la lett. B) della “Parte Prima” è presa in considerazione “La televisione per tutti dalle ore 7.00 alle ore 22.30”, relativamente alla quale le Aziende televisive si impegnano a trasmettere “programmi di informazione”, “film fiction e spettacoli vari” e “trasmissioni di intrattenimento” nel rispetto di precise regole. Per quanto riguarda, in particolare, i “programmi di informazione” tra cui è certamente annoverabile il programma “Un giorno in Pretura”, come correttamente affermato dal Giudice a quo (cfr., supra, n. 1.2 lett. B3) – le regole rilevanti in questa sede sono le seguenti: “Le Aziende televisive si impegnano a far sì che nei programmi di informazione si eviti la trasmissione di immagini gratuite di violenza o di sesso, ovvero che non siano effettivamente necessarie alla comprensione della notizia. Le Aziende televisive si impegnano a non diffondere nelle trasmissioni di informazione in onda dalle ore 7.00 alle ore 22.30: a) sequenze particolarmente crude e brutali o scene che, comunque, possano creare turbamento o forme imitative nello spettatore minorare; b) notizie che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori. Qualora, per casi di straordinario valore sociale o informativo, la trasmissione di notizie, immagini e parole particolarmente forti e impressionanti si renda comunque necessaria, il giornalista televisivo avviserà gli spettatori che le notizie, le immagini e le parole che verranno trasmesse non sono adatte ai minori. Nel caso in cui l’informazione giornalistica riguardi episodi in cui sono coinvolti i minori, le Aziende televisive si impegnano al pieno rispetto e all’attuazione delle norme indicate in questo Codice e nella “Carta dei doveri del giornalista” per la parte relativa ai `Minori e soggetti deboli ‘”.
Principi e regole sostanzialmente analoghi sono contenuti nel successivo, e vigente, Codice di autoregolamentazione TV e minori, approvato il 29 novembre 2002.
Tenendo ben presente questa articolata disciplina, può, a questo punto, procedersi alla interpretazione dei precetti dettati dall’art.15 comma 10 della legge n. 223 del 1990.
Deve essere sottolineato, innanzitutto. che le disposizioni in esame rappresentano la sintesi evidente della precedente elaborazione normativa in materia effettuata in sede internazionale (cfr., supra, n. 2.2 lett. A e B) e comunitaria (cfr., supra, n. 2.2 lett. C, soprattutto con riferimento alla Direttiva del 1989, di cui la legge n. 223 del 1990 costituisce, per più versi, puntuale ed esplicita attuazione) e sono chiaramente volte alla tutela dello “sviluppo fisico, psichico e morale” del minore nei suoi rapporti con il medium radiotelevisivo ed alla protezione dello stesso da qualsiasi trasmissione o programma che sia idoneo ad arrecarvi pregiudizio. In altri termini, anche a fondamento delle disposizioni in esame come in moltissime altre discipline riguardanti la persona minorenne – sta il riconoscimento del legislatore che questa, in ragione della sua “mancanza di maturità fisica ed intellettuale”, ha bisogno “di una protezione e di cure particolari”, al fine “dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità” (tali espressioni sono contenute nel “preambolo” dalla Convenzione sui diritti del fanciullo dianzi richiamata): e che il particolare medium radiotelevisivo, per le sue note caratteristiche e per i suoi effetti, costituisca, da tempo e sempre più, insieme ad altri mezzi di comunicazione interpersonale e di massa (quale “Internet” in tutta le sue applicazioni), una delle componenti più importanti (“accanto”, ad esempio, alla famiglia ad alla scuola) nello “sviluppo psichico a morale” dal minore: vale a dire, nei processi di “svolgimento” e di “formazione” della personalità del minore stesso e, quindi, di “costruzione” dei suoi modelli di pensiero e di comportamento.
In secondo luogo – come correttamente osservato dal Giudice a quo (cfr., sopra, n. 1.2 lett. A) non può esservi dubbio che la struttura lessicale del comma 10 dell’art.15 mostra con chiarezza la prefigurazione di distinte e molteplici fattispecie di illecito amministrativamente sanzionato. Infatti, il divieto di trasmissione di programmi radiotelevisivi ivi previsto si riferisce partitamente: a) alla trasmissione di programmi “che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori”; b) alla trasmissione di programmi “che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche”; c) alla trasmissione di programmi “che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità” . A riprova di ciò, è sufficiente richiamare il testo dall’art.. 22 della Direttiva comunitaria del 1989, ove si distinguono nettamente le tre ipotesi (ed anzi, nel testo vigente, a seguito delle modificazioni apportate nel 1997, la terza fattispecie è stata inserita in un apposito art.. 22-bis: cfr., supra, n. 2.2 lett. C).
E’ appesa il caso di precisare che, mentre l’ipotesi sub a) si riferisce specificamente ed esclusivamente alla tutela dei minori, quelle sub b) e sub c), pur potendo essere riferite anche alle persone minorenni, sono volte ad escludere tout court la trasmissione di programmi, che, in quanto immediatamente collidenti con principi e valori riconosciuti e garantiti (anche) dalla Costituzione in relazione (non soltanto al singolo individuo, ma) a tutta la comunità nazionale, sono considerati nocivi per l’intera collettività (cfr., infra, n. 2.6).
In ogni caso, quella che rileva in questa sede, in quanto concretamente applicata nella specie (cfr., supra. n. 1.2 lett. B), è esclusivamente l’ipotesi normativa sub a).
V’è immediatamente da dire che essa configura, in ragione della congiunzione “disgiuntiva” utilizzata, due differenti fattispecie di illecito, in relazione ai due diversi ben protetti (sviluppo psichico o morale, appunto), e corrispondo letteralmente o, comunque, sostanzialmente – come mostra l’analisi normativa dianzi condotta (cfr., supra, n. 2.2) alle espressioni contenute nelle convenzioni internazionali e nelle direttive comunitarie. Deve aggiungersi che a differenza dell’ipotesi sub b). che è volta specificamente a proteggere (anche) il minore da programmi radiotelevisivi che abbiano (anche o solamente) contenuti determinati (scese di violenza gratuita o pornografiche), ritenuti immediatamente lesivi per lo sviluppo della sua personalità; e a differenza di quella sub c), che mira, altrettanto specificamente, a promuovere ed a salvaguardare, (anche) nello svolgimento della personalità del minore, i valori della tolleranza, del pluralismo (nelle sue varie dimensioni) e della “inclusione del diverso da sé” – le fattispecie prefigurate sub a) esprimono, per l’ampiezza della loro localizzazione, vere e proprie norme di chiusura” nella materia de qua: infatti, ove pure non fossero espressamente previste le altre due ipotesi, non potrebbe mettersi in dubbio che le fattispecie in queste specificamente considerate in quanto sicuramente pregiudizievoli per lo sviluppo psichico o morale del minore, secondo i principi ed i valori propri della cultura sociale, civile e politica, che stanno a fondamento di tutta la disciplina dianzi analizzata – sarebbero certamente integrabili nella ipotesi di illecito maggiormente “comprensivo”.
(Omissis)
Tenuto conto di tutte le argomentazioni che precedono, può ora procedersi all’analisi specifica dei motivi del ricorso (cfr., supra, n.2.1).
Appaiono innanzitutto, inconferenti le censure (cfr., supra, n. 2.l1 lett. A, C, E) rivolte alla sentenza impugnata, che si fondano sulla evidente ed indebita commistione tra le due ipotesi di illecito amministrativo prefigurato dai primi due periodi dell’art. 15 comma 10 divieto di trasmissione di programmi nocivi per lo sviluppo psichico o morale dei minori, ovvero di quelli “che contengono scene di violenza gratuita o pornografiche” – che, invece, come si è mostrato (cfr., supra, n. 2.3 e 2.6), il legislatore del 1990 ha inteso mantenere distinte e diversamente configurare quanto a natura ed elementi costitutivi. Infatti anche a voler prescindere dai consistenti motivi di inammissibilità delle critiche, basate sull’affermazione della applicabilità di una disposizione (il secondo periodo dell’art.15 comma 10, appunto) ad una fattispecie diversamente qualificata dal Giudice a quo con motivazione sufficiente ed immune da errori logico giuridici (cfr., supra n.1.2 lett. B) le argomentazioni precedentemente svolte (segnatamente a sub 2.3) non risultano scalfite per la decisiva ragione che le critiche stesse, se condivise, si risolverebbero nella negazione di qualsiasi autonomia normativa e di qualsivoglia significato precettivo alla disposizione contenuta nel primo periodo dell’art.15 comma 10: e ciò – come emerge inequivocabilmente dalla memoria della R.A.I. del 26 febbraio 2003 (” ….il legislatore, anche ammesso ….che abbia inteso disegnare non una fattispecie unitaria vietata, ma una pluralità di distinte fattispecie vietate, ha comunque tipizzato le ipotesi di possibile nocumento allo “sviluppo psichico e (recte: o) morale dei minori”, che tipicamente …. si verificano quando vi è stata una rappresentazione gratuita della violenza o dalla pornografia ….”: pag. 8) – in insanabile contrasto, non che con la littera legis, con tutta la disciplina internazionale, comunitaria e nazionale ampiamente analizzata. Sotto tale profilo, perciò, le molteplici riflessioni sull’assoluta mancanza, nel programma televisivo sanzionato, di “scene” qualificabili siccome di “violenza gratuita” e, conseguentemente, sulla liceità della relativa trasmissione sono del tutto inconferenti.
In secondo luogo, considerazioni in gran parte analoghe valgono per escludere ogni rilevanza, ai fini del l’integrazione dell’illecito di cui al primo periodo dell’art. 15 comma 10, applicato nella specie, alla insistita distinzione tra “narrazione” (o “riproduzione” di una narrazione, quale sarebbe, nella specie, la trasmissione della registrazione dell’esame dibattimentale dell’imputato “confesso”) e “rappresentazione” di un crimine efferato (cfr., supra, n.1.2 lett. A). Senza necessità di ulteriori approfondimenti, è agevole osservare, in limine, che la prospettata distinzione – mentre, con riferimento all’illecito da quo, è certamente impedita, come già detto (cfr., sopra, n. 2.6), dall’applicazione del criterio ermeneutico dettato dall’art. 2 comma 4 della legge n. 233 del 1990 potrebbe, semmai, rilevare nell’interpretazione ed applicazione della fattispecie di illecito prefigurata dal secondo periodo, sulla base del rilievo, secondo cui nel divieto di trasmissione di programmi “che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche il termine “scene” alluderebbe necessariamente ad una “rappresentazione (tele)visiva”. Ma – deve ribadirsi – non è questa la disposizione applicabile od applicata nella specie.
In terzo luogo, per ritenere infondata la tesi – secondo la quale la previsione legislativa dell’illecito in questione sarebbe carente sotto il profilo della necessaria “tassatività” della relativa fattispecie – è sufficiente il semplice rinvio alle considerazioni dianzi svolte sub 2.4.
In quarto luogo, debbono essere prese in esame le critiche formulate dalla Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia nel ricorso (cfr., supra, n. 2.1 lett.C e D), sia nella memoria (pag. 3 e segg.) che si fondano essenzialmente sul carattere “informativo” del programma televisivo “Un giorno in Pretura” e della puntata de qua: si sostiene, in particolare, che questa sarebbe stata ingiustamente sanzionata, tenuto conto che la stessa era dedicata alla oggettiva ed asettica riproduzione del dibattimento di un processo penale e preordinata a comunicare al pubblico un avvenimento di cronaca di interesse nazionale (il c.d. “processo Chiatti”); e che il predetto carattere informativo del programma – se non sottrae, in linea di principio, la relativa trasmissione televisiva all’applicabilità dell’art. 15 comma 10 – “impone la specifica considerazione del paradigma del bilanciamento tra valore dell’informazione e valore (tra l’altro) della protezione dei minori”, sicché, un’interpretazione della disposizione precettiva, per risultare rispettosa della libertà di informazione, richiederebbe: “a) che il rischio per lo sviluppo psichico dei minori deve essere oggetto di specifica valutazione, considerata la (molto) minore insidiosità dei programmi di informazione rispetto a quelli di intrattenimento, i quali ultimi attivano i noti meccanismi di suggestiono e di identificazione, soprattutto in un pubblico più giovane; b) che lo sviluppo psichico e morale del minore è favorito, non compromesso, da un’informazione asettica, obiettiva e che non si compiace nel dar contezza di fatti violenti; c) che il limite alla libertà di informazione deve essere strettamente funzionale alla tutela del contrapposto valore, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non eccessività” (cfr. memoria, pag. 4). A siffatte critiche sono strettamente correlate quelle che attengono in modo specifico alla motivazione della sentenza impugnata, che risulterebbe erronea ed insufficiente, soprattutto in relazione all’accertamento ed alla valutazione relativi al requisito dalla necessaria “concretezza” dal pericolo par lo sviluppo dei minori, che l’illecito richiede (cfr., supra, n. 2.1 lett. A, B ed E).
Anche queste critiche non meritano accoglimento.
V’è, innanzitutto, da ribadire (cfr., supra, n. 2.6) che, secondo il chiaro dettato della disposizione de qua ed ai fini dall’integrazione dell’illecito in essa prefigurato, la trasmissione di programmi radiotelevisivi di carattere “informativo” non gode di una particolare e differenziata garanzia rispetto ad altri programmi riconducibili a generi diversi: come già rilevato, il legislatore ha correttamente “bilanciato” i due interessi costituzionali in gioco, accordando la prevalenza a quello preordinato alla tutela dei minori – e limitando, perciò, l’esercizio della libertà di informazione radiotelevisiva, secondo criteri di proporzionalità e non eccessività – alle sole ipotesi di pericolo effettivo di nocumento allo sviluppo psichico o morale dei minori stessi.
Inoltre, contrariamente a quanto opinato dalla società ricorrente, il giudice del Tribunale romano, nel qualificare la concreta fattispecie sottopostagli, si è sostanzialmente uniformato, nella interpretazione ed applicazione della cornice costituzionale e legislativa, nonché nella effettuazione del giudizio di merito, ai principi affermati nella presente decisione.
In particolare, il vero e proprio nucleo del giudizio di merito (cfr., supra n. 1.1 lett. B4 e C) è chiaro ed immune da vizi logico-giuridici.
Esso si apre con l’affermazione di non condivisione della tesi della Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, “secondo cui la valutazione circa la dannosità del programma sulla sfera psichica dei minori avrebbe dovuto essere effettuata da uno psicoterapeuta infantile”. Si sta, dunque, discutendo della “dannosità dal programma”. vale a dire della possibilità di danno alla “sfera psichica” dei minori, e cioè del “pericolo” di lesione allo sviluppo psichico degli stessi. Il giudizio prosegue con la descrizione delle efferate modalità del duplice omicidio, “confessate” dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale, “riprodotto” nella trasmissione: “La trasmissione di cui si discute aveva ad oggetto l’omicidio di due bambini di Foligno per mano di un pedofilo, che, nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi alla Corte d’assise, riferiva la modalità dei delitti particolarmente cruenti (trattavasi dell’omicidio di un bambino di quattro anni con sevizie ed atti di libidine sulla vittima e dell’omicidio premeditato, ad opera della stessa persona, di un bambino di tredici anni, colpito con spiedo a due punte e finito a ripetuti colpi di coltello dopo un tentativo di soffocamento, in entrambi i casi con occultamento dei cadaveri, gettati in una discarica) . E’ evidente che siffatta descrizione dà conto di quella parte del “contenuto” del programma trasmesso ritenuto contrastante con il divieto imposto dalla norma applicata e, perciò, meritevole di sanzione. Il giudizio stesso si chiude con la valutazione: “Orbene, la descrizione, da parte dell’omicida, di tali crudeltà e sevizie non necessita del parere di uno psicoterapeuta infantile per valutare l’impatto, sia pure a livello astratto, sulla sfera psichica ed emotiva dei minori. Infine – in forza della incontestata circostanza, secondo cui il programma era andato in onda alle ore 20,40 – viene sottolineato “il criterio consolidato della nozione ‘televisione per tutti’, in base al quale, fino allo ore 22,30 e dopo le ore 7, 00, tra il pubblico sono presenti, ed anche in numero elevato, soggetti di età inferiore ai quattordici anni.
Orbene, in questo contesto – caratterizzato dal predetto, specifico contenuto del programma e dall’ora della sua trasmissione non può esservi dubbio che il Giudice a quo ha valutato la concreta sussistenza del pericolo di nocumento allo sviluppo psichico dei minori, suoi potenziali (avuto riguardo, appunto, all’ora di trasmissione) spettatori; e che l’espressione “sia pura a livello astratto” – letteralmente errata – non può che essere intesa nel senso “sia pure a livello potenziale”, nel che si sostanzia, appunto, la natura di “pericolo” della fattispecie di illecito amministrativo applicata. In altre parole, la asserita non necessità dal parere di un consulente tecnico d’ufficio circa la “dannosità” per i minori del contenuto del programma – legittimamente ritenuta in relazione allo specifico contenuto dal programma medesimo, puntualmente descritto – e l’ora dalla sua trasmissione, implicante la normale presenza (anche) di un pubblico minorenne, costituiscono altrettanti elementi espressamente e correttamente valutati dai Giudice, per affermare la concreta esposizione a rischio del bene protetto quale effetto tipico dalla realizzazione della condotta vietata.
Resta, infine, da esaminare la critica rivolta della Società ricorrente alla sentenza impugnata laddove ha valorizzato, ai fini della decisione, la circostanza della trasmissione del programma in “prima serata” (cfr., sopra, n. 1.2 lett. C) e fondata sulla deduzione, secondo cui “la registrazione del programma è andata comunque in onda previa assunzione di alcune cautele”, in quanto “il contenuto della puntata e stato …. anticipato dalla conduttrice la quale ha avvisato il pubblico della delicatezza del caso trattato e dell’opportunità di far affiancare i minori da un pubblico adulto” (cfr. Ricorso, pag. 9).
Tenuto conto che la dedotta “cautela” non è certamente sufficiente, di per se sola, ad integrare una delle ipotesi derogatorie al divieto di trasmissione di programmi radiotelevisivi pericolosi per lo sviluppo dei minori – vale a dire quella che esige l’adozione, da parte dell’emittente, di “accorgimenti tecnici”, tali da fare ragionevolmente escludere, secondo un criterio di normalità , la visione del programma dal pubblico minorenne (cfr., supra, n. 2.5) – ed a prescindere da altre possibili considerazioni, non può esservi alcun dubbio, come giustamente affermato dal Giudica a quo, che la trasmissione di programmi siffatti in prime time (nella specie, alle ore 20,40), in assenza di cautele adeguate, fa presumere, invece, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, la opposta circostanza che ad essi assiste, “normalmente”, anche il pubblico dei minori. E la categoria della “televisione” per tutti dalle ore 7.00 alle ore 22,30″, adottata dalle emittenti televisive nel Codice di autoregolamentazione TV-minori del 1997 al fine di dettare particolari cautele a tutela del pubblico minorenne (cfr., supra, n. 2.2 lett. E), non rappresenta altro che un aspetto dell’applicazione del predetto criterio. E’ bensì vero che tale Codice prevede anche l’ipotesi, secondo cui, “qualora, per casi di straordinario valore sociale o informativo, la trasmissione di notizie, immagini e parole particolarmente forti e impressionanti si renda comunque necessaria, il giornalista televisivo avviserà gli spettatori cha la notizie, le immagini e le parole che verranno trasmesse non sano adatte ai minori”; ma, a parte le considerazioni che precedono, è anche vero che, ad oggi, le regole di self restraint previste dal Codice stesso non hanno certo la forza giuridica per integrare (o derogare a) norme sanzionatorie di rango legislativo, ove non siano – come non sono – da questa espressamente richiamate ed a ciò abilitate.
Ogni altra censura deve ritenersi assorbita.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente allo spese, che liquida in complessivi Euro 5100,00, ivi compresi Euro 5000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Presidente G. Losavio
Relatore S. Di Palma
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Mass-media, Garante, Violenza, Informazione, Sviluppo psichico, Prima serata, Infanzia, Programmazione radiotelevisiva, Pedofilia
Natura:
Sentenza