Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Settembre 2003

Sentenza 05 novembre 1992, n.467

Corte costituzionale. Sentenza 5 novembre 1992, n. 467: "Trattamento fiscale delle associazioni religiose (Dianetic) – autoqualificazione (art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598)".

(Corasaniti; Mirabelli)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: dott. Aldo CORASANITI;

Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) e dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche), promosso con ordinanza emessa il 12 giugno 1991 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Camerino Vincenzo ed altri, iscritta al n. 724 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione di Guadagnino Angelo nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi gli avvocati Giovanni Leale e Valerio Onida per Guadagnino Angelo e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3, 8 e 53 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) e dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche). Le due disposizioni, di analogo tenore letterale, disciplinano l'ambito di applicazione, rispettivamente, dell'imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) e dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (I.R.PE.G.), determinando quali cessioni di beni e prestazioni di servizi si considerano effettuate nell'esercizio di imprese e quali somme versate dagli associati concorrono a comporre il reddito imponibile delle associazioni.

2.- L'eccezione di inammissibilità formulata dall'Avvocatura dello Stato non ha fondamento.

Il Tribunale di Torino ha ritenuto, in base ad una valutazione preliminare non sindacabile, di dover fare applicazione delle norme la cui legittimità costituzionale è posta in dubbio. Non si può, in questa sede, valutare se "Dianetics Institute" sia da qualificare associazione religiosa ovvero organizzazione di natura diversa, né si può imporre al giudice del merito una differente sequenza logica nell'ordine degli accertamenti necessari per affermare che ricorrono gli elementi concreti per qualificare, in applicazione dell'astratta previsione della legge, una associazione come religiosa ovvero come organizzazione di natura diversa.

3. – La illegittimità costituzionale è stata prospettata, essenzialmente, sulla base di un duplice assunto:

a) che le disposizioni fiscali prese in considerazione non trovino applicazione per gli enti associativi riferibili alla Chiesa cattolica o alle confessioni religiose che hanno stipulato intese, di modo che ne deriverebbe una ingiustificata disparità di trattamento, per il maggior favore riservato alle associazioni non riconosciute rispetto alle confessioni religiose che hanno disciplinato bilateralmente le loro relazioni con lo Stato;

b) che le disposizioni fiscali in questione si applichino alle associazioni non riconosciute sulla base di una autoqualificazione religiosa delle stesse, mentre per le confessioni religiose esiste un controllo sullo statuto, in base all'art. 8 della Costituzione.

4. – L'ordinanza di rimessione non prospetta alcun dubbio in ordine ai criteri della legge di delega (9 ottobre 1971, n. 825), in forza della quale le disposizioni denunciate sono state adottate, né sul corretto rapporto tra le due fonti, sicché ogni osservazione formulata al riguardo dalla Avvocatura dello Stato si colloca fuori dal terreno di decisione.

5. – Per valutare la correttezza o meno della impostazione volta ad individuare nel trattamento che si assume diversificato (e deteriore) delle confessioni religiose con intesa l'elemento di comparazione di una irragionevole disparità di trattamento delle associazioni religiose, e per valutare se non sia verificabile la natura religiosa delle associazioni che si affermano come tali, determinando un ulteriore profilo di irragionevolezza, occorre preliminarmente precisare il contenuto delle prescrizioni normative prese in esame, con riferimento tanto alla disciplina fiscale quanto a quella di derivazione bilaterale adottata per regolamentare le relazioni tra lo Stato e le chiese e confessioni religiose che hanno stipulato accordi o intese.

6. – L'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 definisce l'"esercizio di imprese", i cui atti danno luogo ad operazioni imponibili ai fini dell'I.V.A., come esercizio per professione abituale, anche se non esclusiva, delle attività commerciali; considera inoltre effettuate nell'esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali; considera infine, per le altre associazioni, effettuate nell'esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciali, comprendendo in tale ambito anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare. Fanno eccezione a questa ultima regola, restando escluse dalla qualificazione di prestazione fatta nell'esercizio di attività commerciale, le cessioni di beni o le prestazioni di servizi "effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive".

Analogo è il contenuto normativo dell'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973, che, nel definire le componenti positive dell'imponibile degli enti non commerciali ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, stabilisce anzitutto che le quote associative ed i contributi degli associati non concorrono a formare il reddito imponibile, ad eccezione delle somme corrisposte per specifiche prestazioni rese nell'esercizio di attività commerciali. La stessa disposizione considera fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati verso pagamento di corrispettivi specifici, "ad eccezione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive".

Sia l'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 che l'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973 – inseriti, rispettivamente, tra le "disposizioni generali" della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto e nel contesto delle norme che regolano la posizione degli "enti non commerciali" quali soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche – enunciano una disciplina fiscale che nel rapporto tra norme utilizza lo schema della regola e della eccezione, ma nell'uno e nell'altro caso dettano disposizioni di diritto tributario comune, applicabili a tutte le associazioni che presentano i requisiti soggettivi previsti dalle norme e nei limiti oggettivi delle attività e finalità dalle stesse precisate, senza che sia rilevante l'eventuale rapporto delle associazioni con gli ordinamenti di chiese o di confessioni religiose.

Neanche il diritto speciale posto da fonti di derivazione bilaterale, che disciplinano la condizione giuridica degli enti di singole confessioni religiose, consente di affermare che le disposizioni tributarie in questione, nei limiti dalle stesse previste, non trovano applicazione agli enti associativi delle confessioni con intesa.

Nelle leggi adottate sulla base di intese non mancano disposizioni che, per il regime fiscale, rinviano espressamente al diritto comune; comunque le attività diverse da quelle di religione o di culto (le quali ultime rimangono equiparate a quelle di beneficenza o di istruzione) sono assoggettate al regime tributario previsto dalle leggi dello Stato per tali attività (cfr. art. 7, terzo comma, dell'Accordo ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121; art. 23, terzo comma, della legge 22 novembre 1988, n. 516; art. 27, secondo comma, della legge 8 marzo 1989, n. 101). Infine il diritto speciale non sarebbe, comunque, utile elemento di comparazione.

Manca, quindi, il presupposto della diversità di trattamento, ipotizzata come lesiva delle disposizioni costituzionali indicate nell'ordinanza di rimessione.

7. – La questione di legittimità costituzionale è stata prospettata anche sotto un altro profilo, deducendo la irragionevolezza della non controllabilità della natura religiosa della associazione, sulla base dell'assunto che sia sufficiente o vincolante la "autoqualificazione" che l'associazione stessa faccia di se medesima: con l'effetto che risulterebbero automaticamente applicabili i benefici previsti dalle disposizioni denunciate, senza una verifica degli "statuti", prevista per le confessioni religiose.

La disciplina tributaria dettata dalle disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale, quale risulta anche dagli orientamenti della prassi amministrativa e dalla interpretazione data ad esse dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, esclude gli esiti irragionevoli di una incontrollabile autoqualificazione (meramente potestativa) delle associazioni, come pure esclude una latitudine di atti non assoggettati ad imposta, al di là dell'ambito della ratio esoneratrice.

L'agevolazione prevista dall'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, con una disposizione da interpretare rigorosamente in ragione del rapporto di eccezione che la lega ad una regola più generale, è ancorata ad un triplice e concorrente presupposto: che la cessione di beni o la prestazione di servizi (non assoggettabili ad I.V.A.) sia effettuata da una associazione che sia stata qualificata come religiosa; che la prestazione sia resa a propri associati; che la stessa sia effettuata in conformità alle finalità istituzionali dell'associazione. Analoga è l'articolazione della disciplina dettata dall'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973.

Il primo dei requisiti indicati riguarda l'ente che sarebbe, altrimenti, soggetto all'imposta. Come per tutti gli altri tipi di associazione sottoposti alla medesima disciplina (associazioni politiche, sindacali, assistenziali, culturali o sportive) manca nello stesso testo legislativo una esplicita definizione di ciascun tipo di associazione. Ciò non significa che non si possa, e anzi non si debba, desumere dall'insieme dell'ordinamento il significato della locuzione "associazione religiosa" (come delle altre e distinte espressioni: associazione politica, sindacale, e così via). La qualificazione dell'ente non è sottratta alla valutazione della sua reale natura, secondo i criteri desumibili dall'insieme delle norme dell'ordinamento.

Le associazioni a carattere religioso che non siano già state civilmente riconosciute come tali (secondo le regole poste sulla base di intese o secondo la disciplina, che ancora sopravvive, della legge 24 giugno 1929, n. 1159) devono comprovare la natura e la caratteristica religiosa dell'organizzazione, secondo i criteri che qualificano nell'ordinamento dello Stato i fini di religione e di culto. Ciò dovrà essere fatto alla stregua della reale natura dell'ente e dell'attività in concreto esercitata, non potendosi ritenere, in conformità al principio già enunciato dalla Cassazione per altri tipi di enti non commerciali, che una associazione sia arbitra della propria tassabilità.

Parimenti rigorosa è la delimitazione normativa degli altri requisiti richiesti perché la cessione di beni o la prestazione di servizi non sia assoggettata ad imposta: deve avvenire esclusivamente nei confronti di soggetti pienamente titolari dei diritti e degli obblighi derivanti dalla qualità di associati; deve essere inoltre effettuata in conformità alle finalità istituzionali, vale a dire alle finalità che caratterizzano come essenzialmente religiosa l'associazione. La presenza di tutti questi requisiti riguarda tanto le associazioni riferibili all'ordinamento di confessioni religiose con intese, quanto le altre associazioni che, indipendentemente dal raccordo con ordinamenti di confessioni religiose, presentino le caratteristiche previste dalle norme in esame.

Neanche la seconda prospettazione della questione di legittimità costituzionale proposta dal Tribunale di Torino è, pertanto, fondata.

Per questi motivi

La Corte costituzionale

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) e dell'art. 20 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche), in riferimento agli art. 3, 8 e 53 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza emessa il 12 giugno 1991.

(omissis)