Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Gennaio 2010

Sentenza 05 novembre 1985

Pretura di San Donà di Piave Sentenza 5 novembre 1985: “Bestemmia contro la divinità”
 
(Omissis)
 
Svolgimento del processo
 
Con sentenza 22 giugno 1985 del Pretore di Viareggio, L.M. è stato assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato” dalla contravvenzione di cui all’art. 724 del codice penale (perché pubblicamente, diceva “fa quel che porco…gli piace a lui”) in Lido di Camaiore il 22 gennaio 1984.
Il pubblico ministero ricorrente deduce violazione di legge e chiede che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio.
 
Motivi della decisione
 
Il 22 gennaio 1984, nel corso di una trasmissione televisiva in diretta in collegamento col teatro tenda “Bussola Domani” di lido di Camaiore, M., sottoposto a domande provocatorie da parte del pubblico con allusioni alle sue tendenze omosessuali, imbarazzato ed indispettito pronunciava frasi scurrili, lasciandosi sfuggire una bestemmia. La reazione sociale è stata immediata, manifestandosi con proteste e denunzie in seguito alle quali M. veniva tratto a giudizio davanti al Pretore di Viareggio per rispondere della contravvenzione di cui all'articolo 724 del codice penale.
Il Pretore, partendo dalla premessa che alcune contravvenzioni, come quella in esame, sono strutturalmente dolose, ha ritenuto che nella specie manca l'elemento psicologico del reato, poiché l'imputato usò l'espressione incriminata non per offendere la divinità, ma come “neutro rafforzativo” nel contesto di un discorso, volendo significare in sostanza che nel privato ognuno fa quel che gli pare e piace.
Il Pretore si è posto anche il problema della compatibilità dell'articolo 724 del codice penale con i nuovi accordi intervenuti fra la Santa Sede e l'Italia in forza dei quali “si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano” (punto 1 Protocollo addizionale 18 febbraio 1984) ed ha espresso l'opinione che detta norma penale, in quanto fa riferimento alla religione di Stato trattata in modo privilegiato rispetto alle altre religioni, non è più applicabile.
Tuttavia, il primo giudice, manifestando al momento di decidere qualche perplessità “su quest'ultimo problema del tutto nuovo”, ha preferito adottare la formula di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” (per mancanza dell'elemento psicologico) in luogo di quella “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.
Il pubblico ministero ricorrente ha osservato che l'elemento psicologico della bestemmia, reato di natura contravvenzionale, si esaurisce nella volontarietà della condotta, sia essa dolosa o colposa, e non occorre neppure l'intenzione di oltraggiare, essendo sufficiente l'intrinseca qualità offensiva delle parole pronunciate anche se il soggetto attivo non le ritenga tali.
Il ricorrente ha quindi rilevato che con protocollo addizionale all'accordo modificativo del Concordato 18 febbraio 1984 si è inteso superare il principio dell'assoluta supremazia della religione cattolica, ma con la riaffermazione della laicità dello Stato non è venuto meno il bene giuridico tutelato dall'articolo 724 del codice penale che è il sentimento religioso della collettività.
Il ricorso è fondato.
La nuova disciplina dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica doveva necessariamente tenere conto dell'inesistenza delle ragioni di ordine politico che avevano portato ad un trattamento diversificato, in materia religiosa, ad esclusivo vantaggio della religione cattolica.
Lo Stato italiano attua una “concezione democratica della laicità”, nel senso che garantisce la libertà di non credere, ma riconosce il valore della religione in generale come mezzo di perfezionamento morale e la rilevanza del fenomeno sociale rappresentato dalla grande diffusione del cattolicesimo i cui principi appartengono al patrimonio storico del popolo italiano (articoli 7 e 8 della Costituzione).
La religione cattolica non è più la religione ufficiale dello Stato, ma resta sempre il culto più largamente praticato in Italia, sicché non sarebbe coerente rispetto alle linee fondamentali della Costituzione l'abolizione di qualsiasi tutela.
La Corte costituzionale, con sentenza 27 febbraio 1973, n. 14, dichiarando non fondata la questione di legittimità dell'articolo 724 del codice penale con riferimento agli articoli 3, 8, 19 e 21 della Costituzione, ha precisato che “la limitazione della previsione legislativa alle offese contro la religione cattolica corrisponde alla valutazione fatta dal legislatore dell'ampiezza delle reazioni sociali determinate dalle offese contro il sentimento religioso della maggior parte della popolazione italiana” e, per una piena attuazione del principio costituzionale della libertà di religione, ha segnalato al legislatore l'opportunità di “provvedere ad una revisione della norma nel senso di estendere la tutela penale contro le offese del sentimento religioso di individui appartenenti a confessioni diverse da quella cattolica”.
La dottrina e la giurisprudenza hanno, d'altra parte, chiarito che con la norma dell'articolo 724 del codice penale si è inteso tutelare principalmente il sentimento nutrito dai consociati nei confronti della religione (cattolica) e dei suoi simboli e sono colpite soltanto quelle modalità di condotta, di per sé lesive di tale sentimento, che esorbitano dal mero dissenso.
Non è configurabile un “diritto alla bestemmia costituzionalmente garantito” (tesi da qualche parte prospettata), poiché l'articolo 21 della Costituzione tutela la libertà di opinione o di critica, ma non il turpiloquio e riafferma l'esigenza del rispetto per i sentimenti e le opinioni altrui come valore irrinunciabile per una società civile.
La frase pronunciata in pubblico da M. è blasfema (anche se usata come un inciso nel contesto di un discorso di contenuto “neutro”) ed in quanto obiettivamente offensiva della sensibilità dei credenti realizza l'ipotesi di reato prevista dall'articolo 724 del codice penale – compresa tra le contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi.
Il ragionamento in base al quale il Pretore ha ritenuto insussistente nella specie l'elemento psicologico del reato non è corretto sotto il profilo giuridico.
È vero che la distinzione tra dolo e colpa stabilita per i delitti “si applica altresì alle contravvenzioni ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico” (art. 43, secondo comma del codice penale). Ma nel caso in esame vale la regola generale per cui 2nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa (art. 42, quarto comma del codice penale).
Del resto, proprio per la constatazione che la bestemmia è dovuta più spesso a deplorevole abitudine che all'intenzione di oltraggiare la divinità o la religione, il legislatore ha, per deliberata scelta, attribuito al fatto il carattere contravvenzionale (… “per tale motivo e per rendere la repressione del fatto indipendente dal dolo, indagine assai difficile, ha creduto di mantenere al reato il carattere contravvenzionale. Ciò non esclude … che nei congrui casi la bestemmia possa, concorrendo il dolo, essere punita come delitto”).
Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per violazione di legge.
 
(Omissis)

Autore: Pretura
Dossier: Italia, Tutela penale
Nazione: Italia
Parole chiave: Bestemmia, Religione dello Stato
Natura: Sentenza