Sentenza 05 marzo 2004, n.17664
Corte di Cassazione. Sezione V penale. Sentenza 5 marzo 2004, n. 17664: “Fatto costituente reato commesso in danno di un ministro di culto e non contro di esso a causa delle sue funzioni”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. MARRONE FRANCO PRESIDENTE
1. Dott. CALABRESE RENATO LUIGI CONSIGLIERE
2. Dott. MARINI PIER FRANCESCO ”
3. Dott. COLONNESE ANDREA ”
4. Dott. FUM0 MAURIZIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) P. P. G. N. IL …omissis…
avverso SENTENZA del 24/04/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere FUMO MAURIZIO
udito il PG nella persona del sost. proc. gen. d.ssa Elisabetta Cesqui, la quale ha chiesto annullarsi senza rinvio per intervenuta prescrizione la sentenza quanto al delitto di ingiuria e rideterminarsi la pena con riferimento al delitto di percosse,
udito il difensore di PC. Avv.to Elena Baio, la quale ha chiesto rigettarsi il ricorso ed ha presentato conclusioni scritte e nota spese,
Fatto Diritto
P. P. G. è stato condannato in primo e secondo grado alla pena ritenuta di giustizia (oltre al risarcimento danno e refusione spese alla costituita PC), con la continuazione e con concessione di attenuanti, generiche equivalenti alle aggravanti, per i delitti ex artt. 581, 594 commi III e IV, 61 n. 10 cp, per avere aggredito con strattoni ed uno schiaffo al volto S. S., prete cattolico, e per averne offeso l’onore e il decoro (in presenza della P. e di altre persone).
Si apprende dalle sentenze di merito che tra P. e S. era in atto da tempo una controversia per l’uso di una strada che, costeggiando il castello del primo, conduceva alla parrocchia amministrata dal secondo.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e deduce violazione di legge e difetto di motivazione. Il ricorrente solleva anche eccezione di legittimità costituzionale dell’art 61 n. 10 cp in relazione agli artt. 3, 7, 8 della Carta fondamentale.
Argomenta come segue.
– L’aggravante contestata non ricorre in quanto essa dovrebbe presupporre che l’aggressione verbale e fisica al S. sia avvenuta nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni di ministro del culto cattolico. Così non è stato, in quanto l’origine del contrasto è legata unicamente al possesso ed all’utilizzo di una strada, della quale il P. rivendica la piena proprietà. La Corte di appello in sentenza afferma che S. intendeva tutelare l’interesse – fondato o meno – dei fedeli all’accesso alla chiesta attraverso la strada. Non si vede come tale intenzione possa conciliarsi con le prerogative e le funzioni di un ministro del culto, trattandosi, viceversa, di attività che l’ordinamento riserva alle autorità statali.
– In ogni caso, la particolare tutela che l’ordinamento penale riserva ai ministri dei culti riconosciuti contrasta con il principio di eguaglianza innanzi alla legge di tutti i cittadini, anche perché esclude da tale particolare tutela i cittadini di sesso femminile che non possono accedere alla carriera ecclesiastica. Lo status di ministro del culto, poi, non è definibile con quei requisiti di tassatività e determinatezza che devono contraddistinguere le norme incriminatici penali.
– Neanche ricorre l’aggravante della attribuzione di fatto determinato, atteso che la Corte bolognese ha in sentenza ritenuto di giustificare tale circostanza affermando che il P. avrebbe insultato il S. apostrofandolo con la frase “sei un ladro di strade!”. La frase non compare nel capo di imputazione. E comunque, di per sé, non è idonea ad integrare il reato di ingiuria, atteso che al destinatario viene attribuita una condotta impossibile, non essendo concepibile il furto di una cosa immobile. Per altro verso, si sarebbe verificato contrasto tra imputazione e fatto ritenuto in sentenza.
Ritiene questo Collegio opportuno subito chiarire che la dedotta eccezione di incostituzionalità è irrilevante perché il regime sanzionatorio (ipotizzato discriminante) non ha determinato, nemmeno in astratto, un deteriore trattamento del P.. In altre parole, il fatto che a sacerdoti di culti diversi da quelli riconosciuti dallo Stato italiano ed a tutti i soggetti di sesso femminile sia approntata, come si sostiene nel ricorso, una tutela meno incisiva è circostanza della quale potrebbero dolersi, appunto, tali persone, non l’attuale imputato. La “oggettiva” (ipotizzata) incostituzionalità della norma in questione non può essere rilevata e fatta, pertanto, valere in questa sede.
Tanto premesso, va detto che il ricorso è in parte fondato.
Si legge in sentenza, come già detto, che il P., rivolto al S., gli gridò, prima di schiaffeggiarlo: “sei un ladro di strade!” Orbene, l’espressione, per il contesto nel quale fu pronunziata (desumibile dal provvedimento impugnato), non integra gli estremi del delitto ex art 594 cp; e non perché, come sostiene il ricorrente, al sacerdote veniva addebitato un reato impossibile (quasi che possa costituire ingiuria solo la attribuzione di un comportamento penalmente rilevante), ma perché l’espressione “ladro” non poteva essere intesa (da tutti e dunque anche dallo stesso destinatario) altrimenti che in senso atecnico, in quanto (ed in questo ha ragione il ricorrente) le strade, come è ovvio, non si possono rubare. E’ evidente che, con frase immaginifica, il P. ha inteso contestare al S. il fatto di essere stato spogliato (ingiustamente, secondo lui) del possesso della strada; l’imputato intendeva, vale a dire, rimproverare il sacerdote per quello che egli riteneva l’uso illegittimo di un bene (immobile). Si tratta, evidentemente, di espressione, certamente non cortese, ma nemmeno oggettivamente insultante, di espressione vale a dire, senza dubbio, critica e censoria, ma comunque non gratuita, in quanto attinente ad un contenzioso – come si legge in sentenza – da tempo aperto tra i due soggetti.
E’ noto, d’altronde che, nel linguaggio corrente, il termine ladro viene spesso accostato a sostantivi che indicano “cose” che non possono – ad evidenza- essere oggetto di furto (ladro di verità, ladro di affetti ecc.) ed è pacifico che, nel valutare la effettiva portata offensiva di un espressione, il giudice (quello di merito, non meno di quello di legittimità) deve far riferimento al contesto, verbale e ambientale, in cui essa è inserita. Nel caso in esame, è chiaro che il P. stava rivendicando un (preteso) suo diritto: lo jus excludendi, che gli derivava, secondo lui, dal fatto di essere l’unico effettivo titolare dell’immobile. L’espressione adoperata, sicuramente piuttosto irriguardosa, non può ritenersi, tuttavia, per i motivi sopra specificati, integrare gli estremi dell’ingiuria.
Con riferimento dunque la reato di cui all’art. 594 cp, la sentenza va annullata senza rinvio per insussistenza del fatto.
Neanche sussiste la contestata aggravante (art. 61 n. 10 cp), con riferimento al residuo reato di percosse (sostanzialmente mai negato dal ricorrente). Dal contesto del provvedimento impugnato, infatti, non risulta che il S. sia stato colpito con uno schiaffo e “strattonato” in quanto ministro del culto, ma in quanto usurpatore (o ladro, nel senso sopra specificato) di strade. II fatto, poi, che la pretesa usurpazione sia avvenuta per il vantaggio dei parrocchiani è evidentemente circostanza che riguarda il S., non il P., né vi è traccia in sentenza del fatto che il P. abbia voluto colpire il S. (anche) in quanto prete. Invero, l’aggravante ex art 61 n. 10 cp si configura quando il reato è commesso contro il (non semplicemente in danno del) soggetto indicato nella predetta norma; deve, in altre parole, esser rimasto provato che la qualifica del soggetto passivo abbia determinato (o concorso a determinare) l’azione aggressiva del soggetto attivo.
Deve pertanto essere esclusa l’aggravante in questione.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato, in quanto infondato, non essendo stata validamente contraddetta la sentenza impugnata in ordine alle percosse riportate dal S. ad opera del P..
In conseguenza del parziale annullamento (senza rinvio), il trattamento sanzionatorio va ridimensionato, cosa che può esser fatta da questa stessa Corte di legittimità, avuto riguardo a quanto statuito, in proposito, dalla Corte di appello (foll. 4-5), la quale ha determinato in 250 l’aumento da apportare in continuazione per le percosse. Nella equivalente somma deve pertanto essere quantificata la multa per il residuo reato.
Segue condanna alla rifusione delle spese alla PC, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente: a) al delitto di cui all’art. 594 cp, perché il fatto non sussiste, b) alla aggravante di cui all’art. 61 n. 10 cp per il delitto di cui all’art. 581 cp perché non sussiste; rigetta nel resto il ricorso, rideterminando la pena in euro duecentocinquanta di multa; condanna il ricorrente a rifondere le spese sostenute dalla parte civile, che liquida in euro milleduecento, di cui euro novecento per onorario.
Autore:
Corte di Cassazione - Penale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Ministri di culto, Parrocchia, Sacerdoti, Chiese, Risarcimento danni, Culti riconosciuti, Diritto di proprietà, Delitti, Attenuanti, Ingiuria, Insussistenza fatto
Natura:
Sentenza