Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 24 Maggio 2004

Sentenza 05 marzo 2003, n.6759

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile.
Sentenza 3 marzo 2003, n. 6759.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza-ingiunzione n. 469/3040 del 3 marzo 1998, notificata alla Rai- Radiotelevisione Italiana S.p.a. in pari data, il Garante per la radiodiffusione e l’editoria, a seguito di esposto presentato dall’on. M. S. il 25 novembre 1997 ed all’esito dei successivi accertamenti, irrogò, nei confronti della Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la sanzione amministrativa di £. 25.000.000, per aver trasmesso su Rai Tre, in data 24 novembre 1997, alle ore 20,40, una puntata del programma televisivo Un giorno in Pretura, dedicato alla riproduzione del dibattimento di un processo penale relativo all’omicidio di due bambini di Foligno da parte di un pedofilo, i cui contenuti integravano violazione dell’art. 15 comma 10 della legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato).
Nel provvedimento si precisava che oggetto del dibattimento era la ricostruzione dei delitti particolarmente aberrati per l’età delle vittime, per le modalità e le circostanze dei reati, suscettibili quindi di turbare la sensibilità dei minori e di incidere negativamente sulla loro sfera psichica ed emotiva e che la trasmissione…è andata in onda, senza alcuna cautela, in prima serata e quindi in fascia oraria accessibile anche ai minori di anni quattordici; e si concludeva che l’idoneità in concreto del programma a turbare lo sviluppo psichico e morale dei minori risulta dalla notoria drammaticità dei fatti connotati da violenza e crudeltà in un contesto sadico sessuale.
Con ricorso al Pretore di Roma del 30 marzo 1998, la Società concessionaria si oppose al predetto provvedimento, chiedendone l’annullamento, contestando la sussistenza della violazione e deducendo, tra gli altri motivi di opposizione, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15 commi 10 e 13 della legge n. 223 del 1990, nonché la violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione.
In contraddittorio con il Garante, il quale instò per la reiezione del ricorso, il Giudice unico del Tribunale di Roma, con sentenza n. 28229/99 del 27 dicembre 1999, respinse il ricorso.
In particolare e per quanto in questa sede ancora rileva, il Tribunale ha così, testualmente, motivato: per quanto attiene alla asserita violazione dell’art. 15 comma 10 legge n. 223/90, va preliminarmente evidenziato che, dal dettato della norma, le diverse tipologie di programmi dei quali è vietata la trasmissione appaiono ipotesi distinte e non invece presupposti di un’unica fattispecie.
L’art. 15 comma 10 dove dispone il divieto di trasmettere programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità, evidentemente, secondo il dato letterale e teleologico della norma, si riferisce non ad un’unica fattispecie ma ad ipotesi distinte atte a configurare, in via generale, programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori ed in via esplicativa, programmi di un determinato tipo, quali programmi contenenti scene di violenza gratuita o pornografiche, programmi che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
Siffatta interpretazione più si attaglia allo spirito della normativa in esame e consente, senza dubbio, di raccordare appieno la garanzia costituzionale della libertà di espressione, sancita dall’art. 21 della Costituzione, con altrettanti valori di rilevanza costituzionale, degni anch’essi di apposita protezione.
L’intervento del Garante non può e non deve essere inteso quale limitazione della libertà di espressione e manifestazione delle idee, ma, al contrario, quale forma di tutela, espressamente prevista dalla legge, di interessi di pari dignità e costituzionalmente rilevanti, quali la tutela dell’infanzia e la protezione della stesa da qualsivoglia forma di aggressione fisica e/o psichica.
In tal senso si pongono la legge Mammì, che in varie norme interviene a tutela dell’infanzia, gli indirizzi elaborati dalla Commissione di Vigilanza e dal Codice di autoregolamentazione tra TV e minori sottoscritto anche dalla Rai il 26/11/97.
Particolare rilievo in materia riveste infine la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia predisposta nell’ambito delle Nazioni Unite nel 1989, nella quale, oltre al riconoscimento della libertà di informazione del minore, si dettano principi volti a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale, nonché la sua salute fisica e mentale, incoraggiando in tal senso ogni iniziativa idonea a prevenire tali lesioni alla personalità dei minori.
Tanto premesso, la narrazione di fatti particolarmente drammatici fatta dall’omicida nel corso del processo può certamente rientrare, come ipotizzato dal Garante, nella previsione di carattere generale riguardante i programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori.
Occorre infatti rilevare che le argomentazioni di parte ricorrente non trovano riscontro nella normativa in esame e nello svolgimento dei fatti.
L’asserita inapplicabilità della predetta norma alla trasmissione Un giorno in Pretura viene, da parte ricorrente, fatta discendere dal carattere essenzialmente informativo della trasmissione in oggetto, in cui la rappresentazione della violenza non è visiva, ossia contenuta in scene o immagini, bensì verbale, in quanto inserita nella narrazione nell’ambito di un procedimento giudiziario e, per il linguaggio utilizzato, insuscettibile di incidere negativamente sulla sfera psichica ed emotiva del minore.
Va però considerato che la norma non opera distinzioni circa il tipo di trasmissione o tra le modalità di rappresentazione (visive, sonore, verbali).
Così pure può ritenersi che anche il linguaggio utilizzato nell’ambito di un processo penale non è lontano dalla terminologia usata nella vita quotidiana (in particolar modo avuto riguardo a certi tipi di reati e come tale è astrattamente in grado di incidere negativamente sulla sfera emotiva e psichica dei minori).
Si sottolinea, inoltre, che la qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo della Rai ed il carattere informativo della trasmissione non valgono ad impedire l’operatività del divieto di cui all’art. 15 comma 10 della legge 223/1990.
Tale ultima circostanza è stata giustamente considerata dal Garante come una sorta di circostanza attenuante, che ha portato ad una riduzione della sanzione.
Ancora, non si condivide l’assunto dell’opponente secondo cui la valutazione circa la dannosità del programma sulla sfera psichica dei minori avrebbe dovuto essere effettuata da uno psicoterapeuta infantile.
La trasmissione di cui si discute aveva ad oggetto l’omicidio di due bambini di Foligno per mano di un pedofilo, che, nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi alla Corte d’Assise, riferiva le modalità dei delitti particolarmente cruenti (trattavasi dell’omicidio di un bambino di quattro anni con sevizie ed atti di libidine sulla vittima e dell’omicidio predeterminato, ad opera della stessa persona, di un bambino di tredici anni, colpito con spiedo a due punte e finito a ripetuti colpi di coltello dopo un tentativo di soffocamento, in entrambi i casi con occultamento dei cadaveri, gettati in una discarica).
Orbene, la descrizione, da parte dell’omicida, di tali crudeltà e sevizie non necessita del parere di uno psicoterapeuta infantile per valutare l’impatto, sia pure a livello astratto, sulla sfera psichica ed emotiva dei minori.
Occorre considerare poi, come giustamente evidenziato nel provvedimento del Garante, che non ogni minore ha la cura e l’attenzione dei genitori e vive in un ambiente moralmente sano e culturalmente elevato, sicchè compito del servizio informativo pubblico è quello di considerare anche tali esigenze e far si che l’informazione televisiva possa diventare uno strumento di crescita anche per i ragazzi in una delicata fase evolutiva.
Va, da ultimo, rilevato che il richiamo della ricorrente all’art. 471 c.p.p. non merita di essere condiviso, in quanto trattasi di norma che è volta ad autorizzare esclusivamente la presenza fisica dei minori in aula e non può essere estesa ai sistemi informativi e radiotelevisivi, con la conseguenza di ritenere autorizzata l’audizione da parte di minori di determinate fasi processuali per mezzo del sistema radiotelevisivo.
Per quanto riguarda l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui denuncia la violazione del comma 13 dell’art. 15 della legge n. 223/90, va rilevato che la predetta norma non è richiamata quale presupposto del provvedimento, ma come indice del recepimento, anche a livello legislativo, del criterio consolidato della nozione di televisione per tutti in base al quale, fino alle ore 22,30 e dopo le ore 7,00 tra il pubblico sono presenti, ed anche in numero elevato, soggetti di età inferiore di quattordici anni.
Avverso tale sentenza la Rai- Radiotelevisione Italiana S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico, articolato motivo di censura, illustrato con memoria.
Resiste, con controricorso, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo (con cui deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 15 comma 10 della legge n. 223/1990 [1], nonché difetto di motivazione su punti decisivi della controversia), la Società ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione, per molteplici versi: rileva, in primo luogo, che il dato letterale dell’art. 15 comma 10 della legge n. 223 del 1990 conferma chiaramente che l’intenzione del legislatore è stata proprio quella di prevedere l’applicabilità della norma in tutti quei casi in cui fossero ravvisabili forme rappresentative della violenza non solo di immediata percezione e comprensione per un pubblico non adulto…, ma concretamente idonee a turbare lo sviluppo psichico e morale dei minori e, in ogni caso, assolutamente gratuite.
Aggiunge che nel bilanciamento di interessi che comunque sottende alla scelta di censure un programma la legge ha ritenuto… di dover sacrificare il diritto costituzionalmente garantito alla manifestazione del pensiero solo di fronte a forme comunicative tali da suscitare chiaramente ed immediatamente impressione ed emozione nello spettatore; evidentemente ha presunto che il minore di 14 anni non possa subire da una narrazione di un evento, anche spiacevole, lo stesso impatto emotivo che invece provoca la sua rappresentazione visiva; che, comunque, occorre valutare se la semplice narrazione di un evento sia tale da poter eguagliare, quanto a capacità di incidere negativamente sulla sfera psichica ed emotiva del minore, la sua rappresentazione visiva; che una valutazione siffatta non può che essere affidata a personale altamente specializzato e che tanto il Garante nell’adozione del provvedimento sanzionatorio, quanto il giudice nell’impugnata sentenza hanno viceversa espresso un giudizio di valore sulla base di mere supposizioni e soprattutto in assenza della necessaria competenza in materia (cfr. Ricorso, pagg. 5- 7).
Sottolinea, in secondo luogo, che la Costituzione non consente… che la libertà di espressione del pensiero e di informazione (di informare e di essere informati) vengano sottoposte a forme indeterminate di censura e che dove tale restrizione appaia indispensabile per la tutela di un diritto di pari rango, è necessario che questo avvenga entro limiti di certezza e tassatività idonei a giustificare questa menomazione in funzione di un rilevante e congruo interesse pubblico; sicchè, una limitazione della libertà di esercizio di tali diritti, senza dubbio appartenenti al patrimonio indefettibile di una civiltà, può essere concepita solo a condizioni tassative: la prima è che deve sussistere il concreto rischio che una illimitata tutela della libertà di manifestazione del pensiero possa comportare la violazione di un bene, anch’esso costituzionalmente tutelato; la seconda è che, in ogni caso, la compressione delle libertà fondamentali non può ricollegarsi a comportamenti assolutamente indeterminati nel contenuto; ciò posto, nessuna di tali condizioni ricorrerebbe nel caso di specie: non i requisiti di esteriorità dell’atto previsti dalla norma, trattandosi… di un programma avente ad oggetto la registrazione delle principali fasi di un dibattimento penale, dunque la narrazione dei fatti avvenuta nel corso del processo da parte dello stesso imputato; non a capacità di incidere negativamente sulla sfera emotiva dei minori; l’inidoneità della trasmissione a turbare un pubblico giovanile derivava oltre che dal linguaggio adottato nel corso degli interrogatori svolti durante la fase dibattimentale, dal target stesso del programma incapace per tipologia, contenuti e modalità di svolgimento di catturare l’interesse dei telespettatori più giovani (cfr. Ricorso, pagg. 7- 8).
In terzo luogo, la società concessionaria pone in evidenza che lungi dall’essere suscettibile di nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, la trasmissione Un giorno in Pretura assolve piuttosto ad un intento formativo ed informativo, trattandosi chiaramente di un programma nel quale la rappresentazione della violenza non è mai gratuita o fine a se stessa ma sempre funzionale al contenuto della trasmissione; e che obiettivo della trasmissione era portare a conoscenza del pubblico… le fasi principali di un processo (di un evento pubblico per eccellenza dunque) che, per mesi, ha monopolizzato l’interesse generale, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul grave problema della pedofilia (cfr. Ricorso, pagg. 8- 9).
In quarto luogo, la Rai puntualizza che la funzione informativa svolta dalla trasmissione ne imponeva la messa in onda nella fascia di maggior ascolto anche per un pubblico adulto e che la registrazione del programma è andata in onda previa adozione di una cautela specifica: il contenuto della puntata è stato infatti anticipato dalla conduttrice la quale ha avvisato il pubblico della delicatezza del caso trattato e dell’opportunità di far affiancare i minori da un pubblico adulto.
Continuare a fondare, come fa il giudice di prime cure, l’applicazione della sanzione sul rilievo che la puntata di cui si discute è in una fascia oraria di programmazione accessibile ai minori di quattordici anni, vuol dire… non solo sminuire il ruolo della famiglia cui viene riconosciuto un elevato grado di autonomia anche in relazione al diritto dovere costituzionalmente garantito di istruire ed educare i figli, ma, cosa ancor più grave, pretendere di applicare al caso di specie un divieto che la legge nazionale ha recepito a livello normativo solo con riferimento a determinare tipologie di programmi, i film vietati ai minori, per i quali esiste, già prima della programmazione, una valutazione di idoneità nella visione da parte di un pubblico minorenne espressa da competenti organi ministeriali, mentre compito dello Stato, e della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo in particolare, non è infatti quello di sostituirsi alle famiglie assenti o non diligenti, ma semplicemente di creare le condizioni per impedire che la visione di un programma possa essere nociva per il loro sviluppo psichico e morale, condizioni che nella specie risultano ampiamente garantite dalla Rai attraverso l’adozione di cautele preventive e l’astensione da qualsiasi rappresentazione meramente gratuita della violenza (cfr. Ricorso, pagg. 9- 11).
A ben vedere, conclude la Società ricorrente, nessuna parola è stata spesa dal giudice di prime cure in ordine alla concreta idoneità della trasmissione a nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori ne, tantomeno, in ordine al carattere gratuito della violenza in esso rappresentata; e ciò, tenuto presente che nello stabilire che è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, che contengono scene di violenza gratuita.
Il legislatore ha lasciato chiaramente intendere che non è la violenza in se a provocare nocumento ed a legittimare l’applicazione della sanzione, ma è solo quella che si risolve in una esaltazione assolutamente gratuita della stessa, in una violenza che ha cioè come unico fine quello di suscitare disgusto e ripugnanza, ha, in altri termini, inteso limitare l’applicazione della sanzione e, dunque, della censura televisiva, alle sole ipotesi in cui la rappresentazione della violenza sia priva di qualsiasi fondamento o giustificazione, e l’ha viceversa esclusa in tutti i casi in cui tale rappresentazione assolva ad un intento formativo o informativo per i ragazzi in età evolutiva (cfr. Ricorso pag. 12).
Il ricorso deve essere respinto previe parziali correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 comma 2 cod. proc. civ., essendo il suo dispositivo conforme al diritto.
Come emerge chiaramente dalla motivazione stessa (cfr., supra, nn. 1.1 e 1.2), la trasmissione televisiva del programma de quo è stata ritenuta meritevole di sanzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 15 comma 10 e 31 comma 3 della legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), perché essa, in ragione sia del suo oggetto, riproduttivo del dibattimento di un processo penale, relativo all’impugnazione di un pedofilo per l’omicidio di due bambini di Foligno, sia del suo contenuto, con specifico riferimento alla minuziosa ricostruzione delle modalità particolarmente efferate del duplice delitto, confessate dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale, sia dell’orario della sua messa in onda (in prima serata: c.d. prime time), è stata considerata concretamente idonea a nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori.
L’art. 15 comma 10 della legge n. 223 del 1990, applicato nella specie, dispone: è vietata la trasmissione di programmi che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengono scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
La sanzione per la violazione di tal divieti è prevista dall’art. 31 comma 3 della stessa legge, laddove si stabilisce, tra l’altro, che, nei casi di inosservanza dei divieti… di cui ai commi da 8 a 15 dell’articolo 15, il Garante (per la radiodiffusione e l’editoria; oggi, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) delibera l’irrogazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da £ 10 milioni a £ 100 milioni e, nei casi più gravi, la sospensione dell’efficacia della concessione o dell’autorizzazione per un periodo da uno a dieci giorni.
Tenuto conto della assoluta novità delle questioni sottoposte all’esame di questa Corte, al fine di pervenire ad una corretta interpretazione delle disposizioni precettive che prefigurano gli illeciti amministrativi previsti dall’art. 15 comma 10, e, in particolare, di quella applicata nella specie, appare indispensabile analizzarle, per un verso, nell’ambito dello specifico contesto normativo, internazionale, comunitario e nazionale, cui sono collegati la loro genesi ed il loro significato; e, per l’altro, alla luce dei parametri costituzionali che assumono rilievo immediato nella presente fattispecie: vale a dire, innanzitutto, l’art. 21, che, nel garantire a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, garantisce anche la libertà di informazione, che si esercita col mezzo radiotelevisivo e che sta a fondamento della relativa disciplina (art. 1 comma 2 della legge n. 223 del 1990: il pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della perente legge); e, in secondo luogo, l’art. 31 comma 2, laddove viene stabilito che la Repubblica protegge… l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
L’indiscussa importanza che la protezione dei minori riveste nell’ambito dell’esercizio della libertà di informazione radiotelevisiva (v. il Messaggio del Presidente della Repubblica alla Camere del 23 luglio 2002, in materia di pluralismo e imparzialità dell’informazione, dove si sottolinea che nell’atteso testo normativo [l’auspicata legge di sistema] dovrà trovare coerente sistemazione la disciplina della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nella programmazione delle emittenti televisive) ed il fatto che l’art. 15 comma 10, nel vietare la trasmissione di determinati programmi radiotelevisivi, impone limiti evidenti alla libertà di informazione esercitata con questi mezzi, proprio con specifico riguardo alla tutela dei minori, richiedono un’indagine particolare sotto tale profilo, che si rivela decisiva per la corretta interpretazione ed applicazione della disposizione.
In tale prospettiva, importanza fondamentale assume, in primo luogo, la Convenzione sui diritti del fanciullo, per tale intendendosi ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni (cfr. art. 1), approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 ottobre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176.
Tale Convenzione rappresenta il punto di approdo generale di più risalenti documenti internazionali sulla condizione dei minori, quali la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata nel 1924 dalla Società delle Nazioni, dove, tra l’altro, è affermata l’esigenza che il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’ONU a New York il 10 dicembre 1948, dove (art. 25 prf. 2) è stabilito che la maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza; e la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall’ONU a New York il 20 novembre 1959, dove, nel principio secondo, si afferma: il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione, e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale, i condizioni di libertà e di dignità.
Nell’adozione delle leggi rivolte a tal fine, la considerazione determinante deve essere il superiore interesse del fanciullo.
In particolare, l’art. 3 prf. 1 della Convenzione del 1989 enuncia il principio generale dell’interesse superiore del fanciullo: in tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere considerato preminente; e il prf. 2 del medesimo articolo impegna gli Stati parti ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale e ad adottare, a tal fine, tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati.
A riprova del carattere fondamentale ed espansivo del principio stesso nelle più diverse discipline riguardanti i minori, possono ricordarsi, ad esempio, da un lato, le ampie ed incisive formulazioni legislative indirizzate, nell’ordinamento italiano, al giudice della separazione e del divorzio, il quale adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole [minorenne], con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa (cfr. artt. 155 comma 1 cod. civ. e 6 comma 2 della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall’art. 11 della legge n. 74 del 1987); e, dall’altro, sia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, dove, nell’art. 24, dedicato ai diritti del bambino, nel prf. 2, si sancisce che in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente, sia la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (resa esecutiva in Italia con la recente legge 20 marzo 2003 n. 77), nel cui preambolo e nel cui art. 1 viene ribadita la volontà degli Stati membri del Consiglio d’Europa di promuovere i diritti e gli interessi superiori dei fanciulli.
Con più specifico riferimento ai rapporti tra fanciulli e mas media, l’art. 17 della Convenzione in esame prevede, tra l’altro: gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale, nonché la sua salute fisica e mentale.
A tal fine gli Stati parti: incoraggiano i mass media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo…; …favoriscono l’elaborazione dei principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere…
Ed un ulteriore esempio, tra molteplici altri, di applicazione sul piano negoziale – amministrativo del predetto principio di superiorità nella materia in esame è rappresentato dall’art. 5 del Contratto di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la Rai – Radiotelevisione italiana S.p.a. per il triennio 2000/2002, approvato con d.P.R. 8 febbraio 2001: la clausola, dedicata alla programmazione televisiva per bambini e giovani, prevede, tra l’altro, che, nell’ambito del riconoscimento del diritto prevalente della tutela dello sviluppo fisico, psichico e morale dei minori, la concessionaria si impegna a realizzare, all’interno delle quote di programmazione televisiva…, con l’ausilio si esperti particolarmente qualificati, programmi per bambini e giovani che rispettino le esigenze e la sensibilità della prima infanzia e dell’età evolutiva, anche tenendo conto degli indirizzi degli organi istituzionalmente preposti in materia di tutela dei minori e del codice di autoregolamentazione relativo al rapporto tra televisione e minori approvato dalla concessionaria; e che nel riconoscimento del diritto prevalente di cui sopra, anche nelle fasce orarie di trasmissione non specificamente dedicate ai minori compresa la programmazione del prime time, la concessionaria dovrà dedicare particolare attenzione critica ai messaggi di violenza ed intolleranza veicolati direttamente ed indirettamente dal mezzo radiotelevisivo ed alla loro influenza sulle fasce deboli e su minori.
Altrettanto importanti, e più specifici, riferimenti normativi si traggono dalla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, firmata a Strasburgo il 5 maggio 1989 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e dagli Stati parti della Convenzione culturale europea e resa esecutiva in Italia con la legge 5 ottobre 1991 n. 327.
In particolare, l’art. 7 di tale Convenzione, inserito nel capitolo concernente la programmazione e che reca la significativa rubrica Responsabilità dell’emittente televisiva, dopo aver previsto che tutti gli elementi dei servizi di programmi [per tali intendendosi l’insieme degli elementi di un dato servizio, forniti da un’emittente televisiva: cfr. art. 2 lett. d] , dal punto di vista sia del contenuto che della presentazione, debbono rispettare la dignità della persona umana ed i diritti fondamentali dell’uomo; e che in particolare essi non debbono: essere contrari alla decenza e tantomeno contenere pornografia; mettere in risalto la violenza oppure essere suscettibili di incitare all’odio razzista (prf. 1), dedica specificamente il secondo paragrafo ai rapporti tra programmazione televisiva e minori: gli elementi dei servizi di programmi che sono suscettibili di pregiudicare lo sviluppo fisico, psichico o morale dei fanciulli o degli adolescenti non devono essere trasmessi quando questi ultimi possono guardarli dato l’orario di trasmissione o di ricezione.
Nel solco internazionale pattizio ora delineato si inscrive anche la disciplina comunitaria rilevante in questa sede.
L’art. 22 della Direttiva 89/552/CEE del Consiglio del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, fondato sulla necessità di stabilire norme per la protezione dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minorenni nei programmi e nella pubblicità televisiva (cfr. 30° considerando), prevede: per ciò che si riferisce alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le loro trasmissioni non contengano programmi in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita [prf. 1 primo periodo].
Questa disposizione si applica anche agli altri programmi che, pur non rientrando nella categoria precedente, possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni trovatisi nell’area di diffusione normalmente seguano ali programmi [prf. 1 secondo periodo].
Gli Stati membri vigilano altresì a che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità [prf. 2].
Tale articolo è stato sostituito dall’art. 1 nn. 27 e 28 della Direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997, che modifica appunto la Direttiva del 1989 ed introduce un nuovo art. 22- bis.
Nella motivazione di questo provvedimento si sottolinea che è necessario chiarire le norme a tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minorenni; che l’istituzione di una netta distinzione tra i programmi soggetti a divieto assoluto e quelli che possono essere autorizzati in presenza di determinati accorgimenti tecnici dovrebbe rispondere alla preoccupazione in materia di pubblico interesse degli Stati membri e della Comunità (40° considerando); e che nessuna delle disposizioni della presente direttiva riguardante la tutela dei minori e l’ordine pubblico richiede che i provvedimenti in questione debbano necessariamente essere attuati attraverso il controllo preventivo delle trasmissioni televisive (41° considerando).
Il nuovo testo dell’art. 22 della Direttiva del 1989 recita, dunque: gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita [prf. 1].
I provvedimenti di cui al paragrafo 1 si applicano anche agli altri programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi [prf. 2].
Inoltre, qualora tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri fanno si che essi siano preceduti da un’avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione [prf. 3].
E l’art. 22- bis prevede: gli Stati membri fanno si che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
Da ultimo, è opportuno rammentare che l’art. 51 della legge 1 marzo 2002 n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, Legge comunitaria 2001. Ecologia), inserendo l’art. 3- bis dopo l’art. 3 della legge 31 luglio 1997 n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e radiotelevisivo), ha dettato, in conformità alle richiamate Direttive del 1989 e del 1997 ed alla Convenzione sulla televisione transfrontaliera, i principi generali sulle trasmissioni transfrontaliere.
In particolare, il comma 3 del nuovo art. 3- bis della legge n. 249 del 1997 prevede: l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni può disporre la sospensione provvisoria di ricezione o di ritrasmisssione di trasmissioni provenienti da Stati dell’Unione Europea nei seguenti casi di violazione: violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che possano nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare di programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita; violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi; violazione manifesta, seria e grave, del divieto di trasmissione di programmi che contengono incitamento all’odio basato su differenza di razza, sesso, religione o nazionalità.
Deve essere precisato che la vigilanza sul rispetto della disciplina dettata in materia di rapporti tra minori e mass media è specificamente attribuita alla competenza di uno degli organi dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: infatti, l’art. 1 comma 6 lett. b) n. 6 della citata legge n. 249 del 1997 prevede che la commissione per i servizi e i prodotti [che è, appunto, uno degli organi dell’Autorità] …verifica il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei minori anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e minori e degli indirizzi della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (per le relative sanzioni, irrogate dal Consiglio dell’Autorità, cfr. i commi 31 e 32 del medesimo articolo; il regolamento per le procedure sanzionatorie di propria competenza, non diversamente disciplinate dalla legge, è stato adottato dall’Autorità con deliberazione 7 novembre 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 294 del 19 dicembre 2001).
Sulla base della disciplina internazionale, comunitaria e nazionale finora analizzata, tra i molteplici codici di autoregolamentazione adottati nel corso del tempo sui rapporti tra mass media e minori, un particolare rilievo assume, anche ratione temporis con riferimento alla trasmissione televisiva de qua, il Codice di autoregolamentazione nei rapporti fra TV e minori (ex d.P.C.M. 5 febbraio 1997), stipulato a Roma il 26 novembre 1997 tra la RAI – Radiotelevisione Italiana, Mediaset, Cecchi Gori Communications, F.R.T., Federazione Radiotelevisioni ed A.E.R., Associazione Editori Radiotelevisivi.
Buona parte della sua Premessa è dedicata alla riaffermazione dei principi espressi dalla disciplina dinanzi analizzata con uno specifico richiamo all’art. 31 Cost. ed alla Convenzione dell’ONU sui diritti dei fanciulli (cfr., supra, lett. A).
Sotto la lett. B) della Parte Prima è presa in considerazione La televisione per tutti dalle ore 7,00 alle ore 22,30, relativamente alla quale le Aziende televisive di impegnano a trasmettere programmi di informazione, film fiction e spettacoli vari e trasmissioni di intrattenimento nel rispetto di precise regole.
Per quanto riguarda, in particolare, i programmi di informazione, tra cui è certamente annoverabile il programma Un giorno in Pretura, come correttamente affermato dal Giudice a quo (cfr., supra n. 1.2 lett. B3), le regole rilevanti in questa sede sono le seguenti; Le Aziende televisive si impegnano a far si che nei programmi di informazione si eviti la trasmissione di immagini gratuite di violenza o di sesso, ovvero che non siano effettivamente necessarie alla comprensione della notizia.
Le Aziende televisive si impegnano a non diffondere nelle trasmissioni di informazione in onda dalle ore 7,00 alle ore 22,30: sequenze particolarmente crude e brutali o scene che, comunque, possano creare turbamento o forme imitative nello spettatore minore; notizie che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori.
Qualora, per casi di straordinario valore sociale o informativo, la trasmissione di notizie, immagini e parole particolarmente forti e impressionanti si renda comunque necessaria, il giornalista televisivo avviserà gli spettatori che le notizie, le immagini e le parole che verranno trasmesse non sono adatte ai minori.
Nel caso in cui l’informazione giornalistica riguardi episodi in cui sono coinvolti i minori, le Aziende televisive si impegnano al pieno rispetto e all’attuazione delle norme indicate in questo Codice e nella Carta dei doveri del giornalista per la parte relativa ai Minori e soggetti deboli.
Principi e regole sostanzialmente analoghi sono contenuti nel successivo, e vigente, Codice di autoregolamentazione TV e minori, approvato il 29 novembre 2002.
Tenendo ben presente questa articolata disciplina, può, a questo punto, procedersi alla interpretazione dei precetti dettati dall’art. 15 comma 10 della legge n. 223 del 1990.
Deve essere sottolineato, innanzitutto, che le disposizioni in esame rappresentano la sintesi evidente della precedente elaborazione normativa in materia, effettuata in sede internazionale (cfr., supra, n. 2.2. lett. A e B) e comunitaria (cfr., supra, n. 2.2 lett. C, soprattutto con riferimento alla Direttiva del 1989, di cui la legge n. 223 del 1990 costituisce, per più versi, puntuale ed esplicita attuazione), e sono chiaramente volte alla tutela dello sviluppo fisico, psichico e morale del minore nei suoi rapporti con il medium radiotelevisivo ed alla protezione dello stesso da qualsiasi trasmissione o programma che sia idoneo a arrecarvi pregiudizio.
In altri termini, anche a fondamento delle disposizioni in esame, come in moltissime altre discipline riguardanti la persona minorenne, sta il riconoscimento del legislatore che questa, in ragione della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale, ha bisogno di una protezione e di cure particolari, al fine dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità (tali espressioni sono contenute nel preambolo della Convenzione sui diritti del fanciullo dinanzi richiamati); e che il particolare medium radiotelevisivo, per le sue note caratteristiche e per i suoi effetti, costituisce, da tempo e sempre più, insieme ad altri mezzi di comunicazione interpersonale e di massa (quale Internet in tutte le sue applicazioni), una delle componenti più importanti (accanto, ad esempio, alla famiglia ed alla scuola) nello sviluppo psichico e morale del minore: vale a dire, nei processi di svolgimento e di formazione della personalità del minore stesso e, quindi, di costruzione dei suoi modelli di pensiero e di comportamento.
In secondo luogo, come correttamente osservato dal Giudice a quo (cfr., supra, n. 1.2. lett. A), non può esservi dubbio che la struttura lessicale del comma 10 dell’art. 15 mostra con chiarezza la prefigurazione di distinte e molteplici fattispecie di illecito amministrativo sanzionato.
Infatti, il divieto di trasmissione di programmi che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori; alla trasmissione di programmi che contengano scene di violenza gratuita o pornografia; alla trasmissione di programmi che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
A riprova di ciò, è sufficiente richiamare il testo dell’art. 22 della Direttiva comunitaria del 1989, ove si distinguono nettamente le tre ipotesi (ed anzi, nel testo vigente, a seguito delle modificazioni apportate nel 1997, la terza fattispecie è stata inserita in un apposito art. 22- bis; cfr., supra, n. 2.2 lett. C).
È appena il caso di precisare che, mentre l’ipotesi sub a) si riferisce specificamente ed esclusivamente alla tutela dei minori, quelle sub b) e sub c), pur potendo essere riferite anche alle persone minorenni, sono volte ad escludere tout court la trasmissione di programmi, che, in quanto immediatamente collidenti con i principi e valori riconosciuti e garantiti (anche) dalla Costituzione in relazione (non soltanto al singolo individuo, ma) a tutta la comunità nazionale, sono considerati nocivi per l’intera collettività (cfr., infra, n. 2.6=).
In ogni caso, quella che rileva in questa sede, in quanto concretamente applicata nella specie (cfr., supra, n.1.2 lett. B), è esclusivamente l’ipotesi normativa sub a).
V’è immediatamente da dire che essa configura, in ragione della congiunzione disgiuntiva utilizzata, due differenti fattispecie di illecito, in relazione ai due diversi beni protetti (sviluppo psichico o morale, appunto), e corrisponde letteralmente o, comunque, sostanzialmente, come mostra l’analisi normativa dinanzi condotta (cfr., supra, n. 2.2), alle espressioni contenute nelle convenzioni internazionali e nelle direttive comunitarie.
Deve aggiungersi che, a differenza dell’ipotesi sub b), che è volta specificamente a proteggere (anche) il minore da programmi radiotelevisivi che abbiano (anche o solamente) contenuti determinati (scene di violenza gratuita o pornografia), ritenuti immediatamente lesivi per lo sviluppo della sua personalità; e a differenza di quella sub c), che mira, altrettanto specificamente, a promuovere ed a salvaguardare, (anche) nello svolgimento della personalità del minore, i valori della tolleranza, del pluralismo (nelle sue varie dimensioni) e della inclusione del diverso da sé, le fattispecie prefigurate sub a) esprimono, per l’ampiezza della loro formulazione, vere e proprie norme di chiusura nella materia de qua: infatti, ove pure non fossero espressamente previste le altre due ipotesi, non potrebbe mettersi in dubbio che le fattispecie in queste specificamente considerate, in quanto sicuramente pregiudizievoli per lo sviluppo psichico o morale del minore, secondo i principi ed i valori propri della cultura sociale, civile e politica, che stanno a fondamento di tutta la disciplina dinanzi analizzata, sarebbero certamente integrabili nella ipotesi di illecito maggiormente comprensiva.
Tenuto conto che, secondo il costante orientamento di questa Corte, anche nella materia de qua, come, del resto, in tutta la materia sanzionatoria amministrativa, vigono i principi di legalità, irretroattività, tassatività ed inestensibilità analogica della fattispecie (cfr. artt. 1 e 12 della legge 24 novembre 1981 n. 689; cfr. anche, tra gli esempi più recenti, l’art. 3 del D.Lgs 18 dicembre 1997 n. 472, in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, e l’art. 1 della legge 7 novembre 2000 n. 326, in materia di illeciti valutari), potrebbe dubitarsi, come prospetta la Società ricorrente (cfr., supra, n. 2.1 lett. B), che la disposizione in esame, proprio in ragione dell’ampiezza della sua formulazione (è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori), sia carente sotto il profilo della sufficiente determinatezza delle fattispecie tipiche di illecito amministrativo in essa prefigurate.
Ma tale dubbio non ha motivo di sussistere.
Le considerazione che precedono mostrano chiaramente che i beni tutelati dal divieto imposto dal primo periodo del comma 10 dell’art. 15, come, del resto, anche da quelli previsti dai successivi commi 11 e 13, sono lo sviluppo psichico e lo sviluppo morale della persona minorenne.
Con siffatte espressioni, che evocano quella del pieno sviluppo della persona umana, quale meta da raggiungere (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 215 del 1987), proposta dall’art. 3 comma 2, Cost., e che riproducono identiche o analoghe espressioni contenute nei documenti normativi internazionali, comunitari e nazionali dinanzi esaminati (si pensi allo sviluppo armonioso e completo della personalità del minore, preconizzata dalla Convenzione sui diritti del fanciullo), il legislatore, sulla base del presupposto della mancanza di maturità fisica, psichica ed intellettuale del minore, allude, con evidenza, come già accennato, agli essenziali, complessi e graduali processi di svolgimento e di formazione della personalità del minore stesso (dalla prima infanzia all’adolescenza) nelle sue molteplici dimensioni (emotiva, intellettiva e morale) e ne fa oggetto di una specifica protezione, rispetto alla trasmissione di programmi radiotelevisivi che possano arrecarvi pregiudizio o comprometterli, consistente nel divieto di trasmissione di programmi siffatti e nell’assoggettamento a sanzione amministrativa delle violazioni relative.
In tale prospettiva ed in questo senso, anche la previsione dell’illecito amministrativo in esame si pone, dunque, insieme a molti altri, tra gli istituti, che, secondo il dettato dell’art. 31 comma 2 Cost., la Repubblica favorisce, allo scopo di proteggere appunto, l’infanzia e la gioventù (cfr., ad es., Corte costituzionale, sent. n. 149 del 1983).
Il concetto di protezione, espresso raramente dal Costituente (cfr., ad es., anche l’art. 37 comma 1 secondo periodo, secondo cui le condizioni di lavoro [della donna lavoratrice] debbono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione); e che si rinviene costantemente in tutti i predetti documenti normativi internazionali e comunitari dinanzi analizzati (cfr., supra, n. 2.2), richiama sia il significato di copertura e di difesa da pericoli esterni; sia quello di tutela degli interessi della persona protetta e, in particolare, della multiforme attività di aiuto in favore di chi si trova in situazione di inferiorità o di debolezza; sia i mezzi idonei a realizzarle.
Questa ampiezza semantica, riferita alla persona minorenne, si giustifica essenzialmente con la constatazione delle particolari condizioni di debolezza in cui la stessa si trova e delle cure particolari di cui ha bisogno, al fine dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità.
Ed allora, quella che potrebbe apparire, a prima vista, una insufficiente determinazione della fattispecie di illecito amministrativo in esame corrisponde, invece, alla sua descrizione in una forma necessariamente aperta: infatti, dal momento che il minore ha bisogno, per lo sviluppo delle diverse dimensioni della sua personalità, di cure e protezioni particolari e molteplici, l’oggetto ed il contenuto dei programmi radiotelevisivi, idonei a pregiudicarle, non possono essere, tutti prefigurati puntualmente dal legislatore; il quale, come già dinanzi osservato, accanto a specifiche fattispecie di illecito (ipotesi sub b e sub c), ha giustamente previsto una norma di chiusura a fattispecie aperta (ipotesi sub a: cfr., supra, n. 2.3).
E tuttavia, questa necessaria ampiezza semantica non esime dall’analisi ermeneutica, che conduce ad una sufficiente determinabilità delle fattispecie prefigurate dalla disposizione in esame.
Infatti, il legislatore, nel vietare la trasmissione di programmi radiotelevisivi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, intende riferirsi specificamente a quei programmi, che, tenuto conto del loro oggetto, del loro contenuto, del tempo e/o delle modalità della loro trasmissione o di altri, connessi elementi rilevanti nel caso specifico, possano risultare concretamente idonei a turbare, pregiudicare o danneggiare i delicati e complessi processi di apprendimento dall’esperienza e di discernimento tra valori diversi od opposti (ad es., bene- male, buono- cattivo, giusto- ingiusto), nei quali si sostanziano lo svolgimento e la formazione della personalità del minore sia come individuo sia come cittadino, e che devono essere adeguatamente supportati sul piano emotivo, intellettivo e morale: a tale ultimo proposito, per esempio, la mera narrazione o rappresentazione di un evento particolarmente traumatico o di un crimine efferato non possono che ritenersi nocivi per lo sviluppo del minore, proprio perché, sotto tale profilo, il medium radiotelevisivo, di per se solo, è strutturalmente idoneo a fornire un supporto siffatto (v., infra, n. 2.6).
Del resto, i medesimi e consolidati orientamenti, elaborati da tempo dalla Corte costituzionale sul principio di determinatezza (o di tassatività) delle fattispecie di reato, quale limite imposto al legislatore penale dall’art. 25 comma 2 Cost., con riferimento ai reati c.d. a forma libera, ovvero a quelli che mirano a tutelare beni immateriali (quali, ad es., onore, decoro, decenza, pudore ed onore sessuale etc.), cui appartengono certamente quelli protetti dalla disposizione in esame (sviluppo psichico e morale del minore, appunto), possono essere agevolmente applicati anche alla fattispecie che prefigurano illeciti amministrativamente sanzionati, sia per la comune appartenenza di entrambi alla più generale categoria del diritto c.d. punitivo, sia, e soprattutto, in forza del generale principio di legalità, sub specie del principio di tassatività, legislativamente imposto anche per la previsione degli illeciti amministrativi (cfr. artt. 1 e 12 della legge n. 689 del 1981 citt.).
E così, ripercorrendo la giurisprudenza costituzionale su tali temi, può affermarsi che la necessaria tassatività della fattispecie non si risolve ne si identifica nella (più o meno completa) descrittività della stessa (cfr. sent. n. 88 del 1975); che non contraddice al principio di legalità della pena il fatto che il legislatore, anziché procedere ad una rigorosa e tassativa descrizione di un fatto – reato, ricorra per la sua individuazione a concetti extragiuridici diffusi e generalmente compresi nella collettività in cui il giudice opera (cfr. sent. n. 42 del 1972, nonché, e pluribus, sentt. Nn. 133 del 1973 20 del 1974, 169 del 1983; ord. N. 5 del 1984), ovvero ad un dato di comune esperienza (cfr. sent. n. 125 del 1971; ord. N. 5 del 1984 cit.), a nozioni proprie del linguaggio e della intelligenza comuni (cfr. sent. n. 191 del 1970), a valori etico – sociali oggettivamente accertabili dall’interprete (cfr. sent. n. 188 del 1975), o, sinteticamente, ad espressioni, che non impongano al giudice alcun onere esorbitante dal normale compito di interpretazione (cfr. sent. n. 156 del 1988; ord. N. 36 del 1990).
Dal momento che, in tal modo, al giudice, chiamato a qualificare le singole fattispecie concrete, viene indubbiamente attribuita un maggiore discrezionalità, la stessa Corte ha specificato che limiti ben precisi ad essa derivano dalla stessa correlazione, interna alla norma incriminatrice, tra condotta vietata ed il bene protetto: da rapportarsi, a sua volta, ai principi costituzionali che, garantendo l’esercizio di determinati diritti di libertà, si traducono necessariamente in altrettanti limiti (esterni alla norma, ma interni al sistema) alla individuazione di quel bene e pertanto alla configurazione dell’illecito consistente nella sua violazione (cfr. sent. n. 88 del 1975 cit.); ed inoltre, che deve essere, comunque, possibile verificare in sede giudiziaria i fatti concreti da assumere nella fattispecie astratta, la quale risulta incompatibile con il principio di tassatività, quando prefigura un’ipotesi non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato, non essendo nè individuabili nè accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per integrarla, vale a dire quando emerga l’impossibilità di attribuire ad essa un contenuto oggettivo, coerente e razionale e pertanto l’assoluta arbitrarietà della sua concreta applicazione (cfr. sent. n. 96 del 1981, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il delitto di plagio).
Anche sotto tali profili, dunque, il divieto di trasmettere programmi radiotelevisivi che possano nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori si sottrae ai dubbi prospettati dalla Società ricorrente.
È indispensabile, in proposito ribadire che il bene tutelato dalla norma in esame forma oggetto di specifica ed ampia tutela sia sul piano internazionale e comunitario, sia su quello costituzionale (art. 31 comma 2, in relazione all’art. 3 comma 2); sottolineare che i concetti – valori di corretto, pieno, armonioso sviluppo fisico, psichico e morale del minore ed i criteri per le relative valutazioni appartengono, ormai, oltreché alla comune esperienza individuale e sociale, alla cultura tendenzialmente universale, fondata sulla considerazione del minore come persona e supportata dalle progressive e specifiche ricerche ed acquisizioni delle scienze sociologiche e pedagogiche; precisare, infine, che, in tale contesto, il giudice, chiamato a qualificare le singole fattispecie concrete sussumibili nelle previsioni dell’art. 15 comma 10 primo periodo della legge n. 223 del 1990, non appare certamente gravato da oneri esorbitanti dalle normali attività di accertamento dei fatti e di interpretazione ed applicazione della legge: lo stesso, infatti, per verificare la possibilità di nocumento allo sviluppo del minore, potrà riferirsi alla predetta comune esperienza, eventualmente giovandosi, nei casi di maggiore o particolare complessità, del parere di idonei consulenti tecnici, sia a valori etico – sociali oggettivamente accertabili, vale a dire ai principi ed ai valori propri della cultura sociale, civile e politica, che stanno a fondamento di tutta la disciplina internazionale, comunitaria e nazionale dinanzi analizzata.
E ciò, del resto, non diversamente da quanto si verifica negli interventi giurisdizionali, relativi a molteplici altri settori della vita sociale, in cui risultino coinvolti diritti ed interessi di persone minorenni (si pensi, ad es., all’art. 147 cod. civ., che, nel disporre che il matrimonio impone ad ambedue i coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli, attribuisce al giudice, in caso di controversia familiare, il potere di dare concreto contenuto giuridico a siffatte, ampie formulazioni, al fine di adottare i relativi ed innominati provvedimenti; ovvero all’ampia previsione contenuta nel già ricordato art. 155 comma 1 cod. civ.: v. supra, n. 2.2. lett. A).
Non è inulte soggiungere, infine, che, come per tutti gli illeciti amministrativi, così anche per le violazioni all’art. 15 comma 10 è previsto (art. 31 commi 1- 3), e, comunque, seguito nella prassi, come nel caso di specie, uno speciale procedimento amministrativo contenzioso, scandito dall’accertamento e dalla contestazione della violazione, dall’instaurazione del contraddittorio con il suo ritenuto autore, il quale può presentare le proprie giustificazioni, e che può concludersi o con l’archiviazione, ovvero con l’irrogazione della sanzione prevista (v., ora, la già citata Deliberazione 7 novembre 2001 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la quale è stato adottato il regolamento in materia di procedure sanzionatorie, che risulta estremamente dettagliato e giustamente garantistico nei confronti del soggetto ritenuto autore della violazione: cfr., supra, n. 2.2. lett. E).
Orbene, tenuto conto della difficoltà e della delicatezza della materia, anche la previsione di tale procedimento può contribuire, oltreché alla garanzia del ritenuto autore della violazione sotto il profilo di una corretta applicazione della legge, anche a far emergere con precisione tutti gli elementi della fattispecie contestata, in tal modo agevolando, in caso di irrogazione della sanzione, l’eventuale compito del giudice nella qualificazione concreta della fattispecie stessa.
Tuttavia, ferme le considerazioni che precedono, la comparazione tra le fattispecie di illecito amministrativo prefigurate dall’art. 15 comma 10 (cfr., supra, n. 2.3) e le disposizioni contenute nell’art. 22 della Direttiva 89/552/CEE, anche nel testo sostituito dalla Direttiva 97/36/CE (cfr., supra, n. 2.2 lett. C), impone qualche ulteriore precisazione: che si rende necessaria sia nella prospettiva della massima determinatezza possibile delle fattispecie stese (prescindendo, per il momento, da quella che pone il divieto di trasmissione di programmi che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità); sia, e soprattutto, nella consapevolezza che la disciplina della materia de qua pone limiti evidenti, come già sottolineato, alla libertà dell’informazione radiotelevisiva, costituzionalmente garantita dall’art. 21.
Il primo paragrafo dell’art. 22 della Direttiva del 1989, nel testo sostituito dalla Direttiva del 1997, nel disporre che gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita, impone un divieto assoluto (cfr. 40° considerando della Direttiva del 1997) di trasmissioni di programmi televisivi, aventi contenuti tali da poter arrecare grave nocumento allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni ed annovera tout court tra gli stessi, in quanto ritenuti immediatamente e gravemente lesivi del bene protetto, in particolare quelli contenenti scene pornografiche o di violenza gratuita. Sembra evidente, alla luce della struttura lessicale della disposizione, che la menzione espressa di questi ultimi, salva, ovviamente, la qualificazione dei predetti contenuti (scene pornografiche, scene di violenza gratuita), costituisca soltanto una esemplificazione non esaustiva di fattispecie particolari nell’ambito della più ampia categoria di programmi radiotelevisivi con contenuti gravemente nocivi per lo sviluppo dei minori.
A sua volta, il secondo paragrafo, nel disporre che i provvedimenti di cui al paragrafo 1 si applicano anche agli altri programmi che posano nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi, impone si, in linea di principio, un divieto di trasmissione di altri programmi (non annoverabili, cioè, nella categoria precedente, che si riferisce specificamente, come ora detto, alla possibilità di grave nocumento allo sviluppo del minore in relazione al contenuto del programma), che, comunque, siano idonei a pregiudicare lo sviluppo dei minori; ma prevede, altresì, alcune ipotesi di deroga al divieto, subordinando la trasmissibilità di programmi siffatti alla rigorosa e complessa condizione che l’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico facciano ragionevolmente escludere, secondo il criterio prognostico dell’id quod plerumque accidit (normalmente), che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione vi assistano.
Ed è del tutto evidente la ratio della previsione di tali deroghe al divieto di trasmissione: infatti, posto che le disposizioni comunitarie ora esaminate sono stabilite a tutela dei minori, una volta che si siano verificate le condizioni della deroga e vengano, quindi, a mancare le ragioni della tutela, si espande nuovamente il diritto riconosciuto alla diffusione e distribuzione di servizi di televisione, che rappresenta anche una specifica manifestazione, nel diritto comunitario, del principio più generale della libertà di espressione…(cfr. 8° considerando della Direttiva del 1989).
La consapevolezza, nel legislatore comunitario, del coinvolgimento di tale libertà è confermata anche dal rilievo, espresso nella motivazione della Direttiva del 1997, secondo cui nessuna delle disposizioni della presente direttiva riguardante la tutela dei minori e l’ordine pubblico richiede che i provvedimenti in questione debbano necessariamente essere attuati attraverso il controllo preventivo delle trasmissioni televisive (41° considerando), vale a dire, ad esempio, mediante autorizzazioni o censure (cfr. art. 21 comma 2 Cost.).
Orbene, mentre le predette ipotesi esemplificative i programmi assolutamente vietati, in ragione del loro specifico contenuto, sono state attuate nell’ordinamento italiano con la previsione di cui al secondo periodo dell’ar. 15 comma 10 (è vietata la trasmissione di programmi… che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche…), le fattispecie considerate dal primo periodo di tale disposizione (è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori…) danno attuazione alle altre ipotesi prefigurate nel secondo paragrafo della Direttiva, senza prevedere, però, alcuna deroga ai divieti nelle stesse stabiliti (si noti anche, incidentalmente, che il legislatore italiano non ha ancora compiutamente attuato la Direttiva del 1997, individuando le altre ipotesi di divieto assoluto di trasmissione di programmi nazionali che possano nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, così come, invece, ha fatto per le trasmissioni transfrontaliere: cfr., supra, n. 2.2. lett. D, nonché infra).
Eppure, il riferimento all’ora di trasmissione del programma ed a qualsiasi altro accorgimento tecnico ad esso applicato, quali elementi che, potando ad escludere normalmente la sua visione da parte del minore, costituiscono il discrimine fra trasmissioni lecite ed illecite, è contenuto in alcune disposizioni dell’ordinamento italiano, legislative e non, contemporanee e successive all’art. 15 comma 10.
Infatti, lo stesso art. 15 della legge 223 del 1990, nel comma 13, la cui violazione è sanzionata dal successivo art. 31 comma 3, stabilisce che i film vietati ai minori di anni quattordici non possono essere trasmessi ne integralmente ne parzialmente prima delle ore 22,30 e dopo le 7,00.
Ancora, l’art. 7 prf. 2 della menzionata Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera fa dipendere il divieto di trasmissione di programmi pregiudizievoli per lo sviluppo del minore dall’orario di trasmissione o di ricezione (cfr., supra, n. 2.2. lett. B).
L’art. 3 comma 4 del D.L. 29 marzo 1995 n. 97 (Riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport), conv., con dodif., nella legge 309 maggio 1995 n. 203, prevede che la trasmissione di opere a soggetto o film prodotti per la televisione che contengano immagini di sesso o di violenza tali da poter incidere negativamente sulla sensibilità dei minori, è ammessa, salo restando quanto disposto dall’articolo 15, commi 10, 11 e 12 e dall’art. 30 della legge 6 agosto 1990 n. 223, solo nella fascia oraria fra le 23 e le 7.
Come già rilevato, sia il Codice di autoregolamentazione nei rapporti tra TV e minori del 1997 (cfr., supra, n. 2.2. lett. E), sia il Contratto di servizio tra Ministero delle comunicazioni e AI del 2001 (cfr., supra, n. 2.2 lett. A) contengono, con riferimento alla tutela dei minori, specifiche e diversificate regole di comportamento delle emittenti televisive in relazione agli orari di trasmissione dei programmi.
Infine, la più completa e puntuale attuazione delle due Direttive del 1989 e del 1997 è contenuta nell’art. 51 della già ricordata legge comunitaria n. 39 del 2002, che, nel dettare i principi generali sulle trasmissioni transfrontaliere, ha recepito, quasi letteralmente, le disposizioni dei primi due paragrafi dell’art. 22 della Direttiva del 1989 e, comunque, letteralmente, le ipotesi derogatorie in esame (cfr., supra, n. 2.2 lett. D).
Ciò posto, costituiscono da tempo principi consolidati dell’ordinamento giuridico comunitario, più volte affermati dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, e recepiti costantemente anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr., e pluribus, sent. n. 168 del 1991, n. 5 del Considerato in diritto) e dal quella di questa Corte (cfr., e pluribus e tra le ultime, sentt. Nn. 1099 del 2000, 752 del 2001, 18642 del 2003), quelli, secondo cui le direttive (segnatamente quelle c.d. dettagliate o particolareggiate), in presenza di determinati requisiti, e cioè: l’obbligo imposto agli Stati deve essere sufficientemente chiaro e preciso; la norma che lo impone deve essere incondizionata; il contenuto della norma stessa deve essere tale da poter produrre effetti nei confronti dei singoli senza necessità di alcuna azione ulteriore da parte delle istituzioni comunitarie o degli Stati membri; non deve esservi concessione a questi ultimi di alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo; lo Stato destinatario deve risultare inadempiente, per essere inutilmente decorso il termine previsto per dare attuazione alla direttiva medesima, hanno efficacia diretta in ciascuno degli ordinamenti degli Stati membri (cfr., e pluribus, Corte di Giustizia CE, sentt. 22 giugno 1989 in causa 103/88, 20 settembre 1988 in causa 31/87, 8 ottobre 1987 in causa 80/86, 24 marzo 1987 in causa 286 del 1985); e, secondo cui, in presenza di tali requisiti, (anche) i giudici nazionali sono tenuti ad applicarle nei rapporti (c.d. verticali) tra singolo e Stato membro (cfr., e pluribus, Corte di Giustizia CE, sent. 22 giugno 1989, in causa 103/88 cit.).
E ciò, anche nelle ipotesi in cui, nell’ambito di una direttiva, la quale implichi incontestabilmente, a favore degli Stati membri, un argine di discrezionalità più o meno ampio per l’attuazione di talune delle sue disposizioni, altre disposizioni, in ragione del loro specifico oggetto, siano isolabili dal contesto ed applicabili come tali nei predetti rapporti (cfr., e pluribus, Corte di Giustizia CE, sentt. 19 gennaio 1982 in causa 8/81 e19 novembre 1991 in cause riunite C- 6/90 e C- 9/90).
Alla luce di tali principi e di tutte le considerazioni che precedono, non può esservi dubbio, allora, che le deroghe contenute nel secondo paragrafo dell’art. 22 della Direttiva del 1989, sostanzialmente identico sia nel testo originario che in quello sostituito nel 1997, costituiscono disposizioni che presentano tutte le caratteristiche, per avere efficacia diretta nell’ordinamento italiano: in particolare, infatti, esse, in ragione della loro compiuta e chiara formulazione; della già rilevata ratio posta a loro fondamento, che contempera le esigenze di tutela dei minori con quelle della libertà della informazione (televisiva); e, quindi, del nesso inscindibile tra precetto e deroghe allo stesso, contribuiscono a fissare, come già detto, il discrimine tra trasmissioni lecite ed illecite e prefigurano, a favore dell’emittente (televisiva), le condizioni, in presenza delle quali quest’ultima può far valere la liceità della trasmissione del programma e, quindi, il legittimo esercizio della propria libertà di informazione.
Ne consegue che, tenuto anche conto del più generale principio dell’interpretazione delle norme nazionali in senso conforme al diritto comunitario, affermato esplicitamente dalla Corte di Lussemburgo a partire dalla sentenza del 13 novembre 1990 nella causa C- 106/89, la disposizione dell’art. 15 comma 10 primo periodo (ferme restando le altre ipotesi, previste nel secondo e nel terzo periodo) dalla legge n. 223 del 1990 deve essere integrata con le previsioni derogatorie stabilite dall’art. 22 della Direttiva del 1989, risultandone, in tal modo, la seguente formulazione: è vietata la trasmissione di programmi che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi.
Siffatta integrazione della fattispecie di illecito amministrativo in esame, oltreché conformare la disposizione nazionale al diritto comunitario, rende anche la disposizione stessa compatibile, sotto i profili considerati, con la nostra Costituzione: diversamente opinando, infatti, la disposizione stessa colliderebbe sia con l’art. 3 comma 1, sia con l’art. 21.
Con il primo, perché, in mancanza delle predette disposizioni derogatorie, verrebbe a determinarsi una ingiustificata disparità di trattamento giuridico tra situazioni palesemente omogenee: vale a dire, tra le ipotesi di illecito prefigurate, per le trasmissioni transfrontaliere, dall’art. 3- bis comma 3 lett. b) della legge n. 249 del 1997 (introdotto dall’art. 51 della legge n. 39 del 2002), che, attuando compiutamente la Direttiva del 1989, prevede le deroghe in questione (cfr., supra, n. 2.2 lett. D), e quelle di illecito amministrativo considerate dall’art. 15 comma 10 primo periodo della legge n. 223 del 1990, che, non prevedendole esplicitamente, priva l’emittente di trasmissioni nazionali della possibilità di far valere la concreta inidoneità della trasmissione ad arrecare pregiudizio allo sviluppo dei minori.
Con il secondo, perché l’omessa previsione delle deroghe in esame pregiudicherebbe la libertà ed i diritti garantiti dall’art. 21 Cost., proprio nelle ipotesi in cui il legislatore comunitario prima e quello nazionale poi hanno ragionevolmente previsto che, in presenza di determinate condizioni di orario della trasmissione o di accorgimenti tecnici adeguati, le ragioni di protezione dei minori sono normalmente insussistenti.
Ne, infine, all’integrazione stessa ad opera di disposizione contenuta in una direttiva comunitaria, è d’ostacolo il rilievo, secondo cui, trattandosi, nella specie, di disposizione legislativa nazionale che prefigura un illecito amministrativo sanzionato, il principio di legalità, cui la materia è assoggetta (artt. 1 e 12 della legge n. 689 del 1981), la impedirebbe.
In proposito, infatti, anche al di la della affermata efficacia diretta della predetta disposizione comunitaria integratrice, è, comunque, sufficiente richiamare i più recenti orientamenti della Corte costituzionale (cfr., sentt. N. 383 del 1998, n. 4.3 del Considerato in diritto: affinché… il principio di riserva di legge… possa dirsi rispettato, occorre che… il potere dell’amministrazione sia circoscritto secondo limiti e indirizzo ascrivibili al legislatore).
Analoga funzione nella composizione di tale contesto, e quindi di delimitazione della discrezionalità dell’amministrazione, deve essere riconosciuta alle norme comunitarie dalle quali derivino obblighi per lo Stato.
Ed è, principalmente e particolarmente, a queste norme che, nella specie, in carenza di un quadro organicamente predisposto dal legislatore nazionale deve farsi riferimento; (cfr. sent. N. 425 del 1999, n. 5.3.2 del Considerato in diritto: anche nell’adozione della normativa di attuazione comunitaria, il regolamento statale, al di là dei casi di riserva di legge previsti dalla Costituzione, incontra il limite del principio di legalità. Dunque il regolamento… deve potersi basare su un fondamento legislativo che vincoli e diriga la scelta del Governo…, fondamento che, ben s’intende, l stesse direttive comunitarie… contribuiscono a determinare): dai quali si evince, a fortiori, il più generale principio, secondo cui le norme comunitarie, in ragione del regime giuridico alle stesse complessivamente riservato (in forza dei principi del primato, della diretta applicabilità e degli effetti diretti), possono legittimamente integrare, ovvero sostituirsi a, gli atti legislativi interni sia in materie che la Costituzione italiana riserva alla legge, sia sotto il profilo dell’osservanza del principio di legalità.
Così integrato il primo periodo dell’art. 15 comma 10, si differenziano ancor più nettamente le fattispecie di illecito ivi prefigurate da quelle previste nel secondo periodo: mentre questo, come già osservato, impone, anche in conformità all’intentio del legislatore comunitario, il divieto assoluto di trasmissione di programmi che contengano (anche o esclusivamente) scene di violenza gratuita o pornografiche, il primo periodo pone, invece, un divieto soltanto relativo, temperato, cioè, dalla previsione delle predette ipotesi derogatorie.
Analizzando più specificamente le fattispecie di illecito previste nel primo periodo dell’art. 15 comma 10, deve osservarsi, in primo luogo, che il divieto di trasmissione ivi stabilito si riferisce sia ai programmi radiofonici che a quelli televisivi: e ciò, alla luce dell’espresso criterio interpretativo dettato dall’art. 2 comma 4 della legge n. 223 del 1990, secondo cui nei titoli II, IV [nei quali sono, rispettivamente, inseriti gli artt. 15 e 31 della legge] e V della presente legge le espressioni trasmissioni e programmi riportate senza specificazioni si intendono riferire a trasmissioni o programmi sia radiofonici che televisivi.
Da questa osservazione discende, come esattamente rilevato dal Giudice a quo (cfr., supra, n. 1.2 lett. B1), che, ai fini dell’integrazione dell’illecito amministrativi in esame, non rilevano nel il mezzo di comunicazione (radio o televisione), nè il mezzo espressivo utilizzati per confezionare un programma vietato, sia esso costituito da parole e/o suoni, propri della comunicazione radiofonica, ovvero da immagini e/o parole e/o suoni, propri del medium televisivo (cfr., in tal senso, il Codice di autoregolamentazione TV- minori del 1997 cit., supra, al n. 2.2 lett. E, laddove si prevede, con riferimento alle trasmissioni [televisive] di informazione in onda dalle ore 7,00 alle ore 22,30, che qualora, per casi di straordinario valore sociale o informativo, la trasmissione di notizie, immagini e parole particolarmente forti e impressionanti si renda comunque necessaria, il giornalista televisivo…).
In questa prospettiva, legislativamente imposta, ma non senza consistenti ragioni giustificative, supportate dalle acquisizioni delle scienze psicologiche e della comunicazione, la narrazione (ad es., radiofonica) o la rappresentazione (televisiva) di fatti, avvenimenti o notizie, che risultino potenzialmente nocivi per lo sviluppo del minore, possono considerarsi, ai predetti fini, equivalenti.
In secondo luogo, deve essere del pari sottolineato, insieme al Giudice romano, che, ai fini dell’integrazione dell’illecito de quo, non rileva nemmeno il tipo di programma: infatti, tutti i divieti imposti dall’art. 15 comma 10 si riferiscono, in mancanza di precise specificazioni legislative, a qualsivoglia programma, qualunque sia il genere cui lo stesso sia riconducibile secondo le classificazioni correnti (informazione, svago, intrattenimento, sport, cultura, fiction etc); e ciò, del resto, in conformità alla più volte richiamata disciplina internazionale e comunitaria, la quale, anche per la trasmissione di programmi televisivi, non contiene alcuna loro distinzione per generi, che risulti giuridicamente rilevante ai predetti fini.
In terzo luogo, non può esservi dubbio che l’illecito in questione sia da qualificare, applicando ad esso la nota classificazione penalistica, siccome di pericolo.
A questa conclusione conducono concorrenti rilievi: innanzitutto, per le ragioni già ampiamente argomentate (cfr., supra, n. 2.4), la natura immateriale (sviluppo psichico o morale) e la specifica considerazione (anche) costituzionale, protezione dei minori, del bene giuridico assunto ad oggetto di tutela; poi, la stretta correlazione, istituita dalla previsione dell’illecito de quo, tra natura del bene protetto e tecnica di tutela prescelta dal legislatore, il quale, mediante l’imposizione del divieto di trasmissione di determinati programmi, prende in considerazione proprio le mere situazioni di rischio di lesione, cui il bene stesso è esposto il ragione delle caratteristiche e degli effetti propri dei mezzi di comunicazione di massa radiotelevisivi, avuto anche riguardo alla loro incessante evoluzione tecnologica; infine, ed a riprova, la stessa struttura lessicale della disposizione, che assoggetta a sanzione la possibilità di nocumento del bene medesimo con riferimento (non già al singolo, ma) ad una serie indeterminata di individui (i minori, appunto).
Precisando maggiormente, mentre le fattispecie di illecito amministrativo prefigurate dal secondo e dal terzo periodo dell’art. 15 comma 10 debbono essere qualificate siccome di pericolo presunto o astratto, quelle previste dal primo periodo, anche nel testo risultante dalla integrazione di cui al punto precedente (cfr., supra, n. 2.5), rilevante nella specie, debbono essere qualificate siccome di pericolo concreto o effettivo.
Nelle prime, infatti, il pericolo non risulta inserito tra gli elementi costitutivi della fattispecie stesse: in queste ci si limita a tipizzare la condotta vietata in base alla valutazione, fondata sull’esperienza, secondo cui alla sua realizzazione si accompagna, tipicamente o generalmente appunto, la messa in pericolo dei beni protetti.
E la lettura delle relative disposizioni rende evidente che il legislatore, in questi casi, tenendo conto della natura e delle caratteristiche del mezzo radiotelevisivo e dei possibili effetti dei sui messaggi sul pubblico indeterminato ed indeterminabile dei destinatari, ha scelto, mediante il divieto assoluto di trasmissione di programmi radiotelevisivi aventi i contenuti vietati, di tutelare incondizionatamente, vale a dire, senza prevedere eccezioni, principi, valori ed interessi ritenuti primari per la stessa convivenza sociale e civile, quali il ripudio della violenza come modello di comportamento sociale, il buon costume, la tolleranza, il pluralismo nelle sue molteplici dimensioni, e di sacrificare perciò, previo bilanciamento dei valori in gioco, la libertà di informazione radiotelevisiva (cfr., ad es., Corte costituzionale, sent. 333 del 1991).
È appena il caso di sottolineare che restano, ovviamente, impregiudicate, proprio in considerazione dell’importanza dei valori in gioco, le delicate e complesse questioni (che qui non rilevano), relative all’interpretazione ed applicazione delle corrispondenti fattispecie nei casi concreti: vale a dire, rispettivamente, l’esistenza, nel programma, di scene che possano qualificarsi siccome di violenza gratuita o pornografiche, ovvero la presenza di contenuti del programma, tali da indurre ad atteggiamenti di intolleranza razziale, sessuale, religiosa o etnica.
Nelle seconde, invece, come emerge inequivocabilmente dalla stessa littera legis (… programmi che possano nuocere..), il pericolo, inteso come rilevante possibilità che al compimento della condotta vietata (trasmissione del programma) consegua la lesione (nocumento) dei beni protetti (sviluppo psichico o morale dei minori), rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie: ciò comporta che, ai fini dell’integrazione dell’illecito, è richiesta la effettiva sussistenza del pericolo stesso, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze della fattispecie concreta (ad es., oggetto, contenuto, orario e/o modalità di trasmissione del programma, etc.).
In tale prospettiva, dunque, anche l’accertamento specifico della ricorrenza delle condizioni per l’applicazione delle più volte menzionate ipotesi derogatorie (cfr., supra, n. 2.5) non rappresenta altro che un aspetto del più ampio accertamento, avente ad oggetto la sussistenza del pericolo nella concreta fattispecie.
La stessa configurazione dell’illecito previsto dal primo periodo dell’art. 15 comma 10, nel testo risultante dalla più volte richiamata integrazione, mostra, dunque, chiaramente che essa è stata scelta dal legislatore previo bilanciamento dei due beni in gioco, entrambi costituzionalmente garantiti: la libertà dell’informazione radiotelevisiva (art. 21) e la protezione dei minori (art. 31 comma 2).
Infatti, il legislatore ha ritenuto prevalente l’interesse della persona minorenne nel solo caso in cui la trasmissione del programma radiotelevisivo esponga i beni specificamente protetti (sviluppo psichico o morale dei minori, appunto) al rischio concreto di nocumento, restando, in ogni altro caso, pienamente garantita la libertà dell’informazione radiotelevisiva (salva, ovviamente, l’eventuale operatività di limiti diversi).
E la correttezza di una scelta siffatta si coglie appieno dalla lettura dell’art. 31 comma 2 Cost. alla luce degli obblighi enunciati dalle ricordate convenzioni internazionali e, in particolare, del principio generale, nelle stesse espresso, dall’interesse superiore del fanciullo (cfr., supra, n 2.2 lett. A), del resto, anche a prescindere dal problema della natura dei vincoli oggi posti al legislatore dal nuovo testo dell’art. 117 comma 1 Cost. (come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001), secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, la stesa Corte costituzionale ha, da tempo, affermato il principio, secondo cui, soprattutto in materia di convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate e rese esecutive dall’Italia, le norme pattizie possono valere come ausilio nell’interpretazione delle norme della Costituzione ad esse correlate (cfr., e pluribus, per il suo carattere emblematico di tale orientamento, Corte costituzionale, sent. n. 168 del 1994, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 cod. pen., nella parte in cui non escludono l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile, per violazione dell’art. 31 comma 2, in relazione all’art. 27 comma 3 Cost., specialmente nn. 3 e 5.1 del Considerato in diritto, laddove si afferma che si ritiene opportuno, al fine di chiarire il significato degli altri parametri costituzionali, analizzare e verificare la conformità della nostra legislazione agli obblighi assunti su piano internazionale; e che questa diversificazione [del trattamento del minore rispetto alla disciplina punitiva generale], imposta dall’art. 31 Cost., letto anche alla luce degli obblighi enunciati nelle ricordate convenzioni internazionali [tra le quali, proprio la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo], le quali impegnano gli Stati nel caso della particolare protezione dei minori…).
In conclusione, una volta chiarito il significato normativo da attribuire alle espressioni sviluppo psichico o morale del minore e possibilità di nocumento ad essi (cfr., supra, nn. 2.3 e 2.4); precisati il contenuto e la ratio delle ipotesi derogatorie (cfr., supra, 2.5); ed analizzati specificamente la natura e gli elementi costitutivi dell’illecito de quo, appaiono sufficientemente individuate tutte le componenti della fattispecie prefigurata dall’art. 15 comma 10 primo periodo della legge n. 233 del 1990, ai fini della sua concreta qualificazione (anche) da parte del giudice.
Tenuto conto di tutte le argomentazioni che precedono, può ora procedersi all’analisi specifica dei motivi del ricorso (cfr., supra, n. 2.1) appaiono, innanzitutto, inconferenti le censure (cfr., supra, n. 2.1 lett. A, C, E) rivolte alla sentenza impugnata, che si fondano sulla evidente ed indebita commistione tra le due ipotesi di illecito amministrativo prefigurate dai primi due periodi dell’art. 15 comma 10, divieto di trasmissione di programmi nocivi per lo sviluppo psichico o morale dei minori, ovvero di quelli che contengono scene di violenza gratuita o pornografiche, che, invece, come si è mostrato (cfr., supra, nn. 2.3 e 2.6), il legislatore del 1990 ha inteso mantenere distinte e diversamente configurate quanto a natura ed elementi costitutivi.
Infatti, anche a voler prescindere dai consistenti motivi di inammissibilità delle critiche, basate sull’affermazione della applicabilità di una disposizione (il secondo periodo dell’art. 15 comma 10, appunto) ad una fattispecie diversamente qualificata dal Giudice a quo con motivazione sufficiente ed immune da errori logico – giuridici (cfr., supra, n. 1.2 lett. B), le argomentazioni precedentemente svolte (segnatamente sub 2.3) non risultano scalfite per la decisiva ragione che le critiche stesse, se condivise, si risolverebbero nella negazione di qualsiasi autonomia normativa e di qualsivoglia significato percettivo alla disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 15 comma 10: e ciò, come emerge inequivocabilmente dalla memoria della RAI del 26 febbraio 2003 (… il legislatore, anche ammesso… che abbia inteso disegnare non una fattispecie unitaria vietata, ma una pluralità di distinte fattispecie vietate, ha comunque tipizzato le ipotesi di possibile nocumento allo sviluppo psichico e [recte: o] morale dei minori, che tipicamente… si verificano quando vi è stata una rappresentazione gratuita della violenza o della pornografia…:pag. 8), in insanabile contrasto, non che con la littera legis, con tutta la disciplina internazionale, comunitaria e nazionale ampiamente analizzata.
Sotto tale profilo, perciò, le molteplici riflessioni sull’assoluta mancanza, nel programma televisivo sanzionato, di scene qualificabili siccome di violenza gratuita e, conseguentemente, sulla liceità della relativa trasmissione sono del tutto inconferenti.
In secondo luogo, considerazioni in gran parte analoghe valgono per escludere ogni rilevanza, ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui al primo periodo dell’art. 15 comma 10, applicato nella specie, alla insistita distinzione tra narrazione (o riproduzione di una narrazione, quale sarebbe, nella specie, la trasmissione della registrazione dell’esame dibattimentale dell’imputato confesso) e rappresentazione di crimine efferato (cfr., supra, n. 1.2 lett. A ).
Senza necessità di ulteriori approfondimenti, è agevole osservare, in limine, che la prospettata distinzione, mentre, con riferimento all’illecito de quo, è certamente impedita, come già detto (cfr., supra, n.2.6), dall’applicazione del criterio ermeneutico dettato dall’art. 2 comma 4 della legge n. 223 del 1990, potrebbe, semmai, rilevare nell’interpretazione ed applicazione della fattispecie di illecito prefigurata dal secondo periodo, sulla base del rilievo, secondo cui nel divieto di trasmissione di programmi che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche il termine scene alluderebbe necessariamente ad una rappresentazione (tele)visiva.
Ma, deve ribadirsi, non è questa la disposizione applicabile ed applicata nella specie.
In terzo luogo, per ritenere infondata la tesi, secondo la quale la previsione legislativa dell’illecito in questione sarebbe carente sotto il profilo della necessaria tassatività della relativa fattispecie, è sufficiente il semplice rinvio alle considerazioni dinanzi svolte sub 2.4
In quarto luogo, debbono essere prese in esame le critiche, formulate dalla Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia nel ricorso (cfr., supra, n. 2.1 lett. C e D), sia nella memoria (pag. 3 e segg.), che si fondano essenzialmente sul carattere informativo del programma televisivo Un giorno in Pretura e della puntata de qua: si sostiene, i particolare, tenuto conto che la stesa era dedicata alla oggettiva ed asettica riproduzione del dibattimento di un processo penale e preordinata a comunicare al pubblico un avvenimento di cronaca di interesse nazionale (il c.d. processo Chiatti); e che il predetto carattere informativo del programma, se non sottrae, in linea di principio, la relativa trasmissione televisiva all’applicabilità dell’art. 15 comma 10, impone la specifica considerazione del paradigma del bilanciamento tra valore dell’informazione e valore (tra l’altro) della protezione dei minori; sicchè, un’interpretazione della disposizione precettiva, per risultare rispettosa della libertà di informazione, richiederebbe: che il rischi per lo sviluppo psichico dei minori deve essere oggetto di specifica valutazione, considerata la (molto) minore insidiosità dei programmi di informazione rispetto a quelli di intrattenimento, i quali ultimi attivano i noti meccanismi di suggestione e di identificazione, soprattutto in un pubblico più giovane; che lo sviluppo psichico e morale del minore è favorito, non compromesso, da un’informazione asettica, obiettiva e che non si compiace nel dar contezza di fatti violenti; che il limite alla libertà di informazione deve essere strettamente funzionale alla tutela del contrapposto valore, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non eccessività (cfr. Memoria, pag. 4).
A siffatte critiche sono strettamente correlate quelle che attengono in modo specifico alla motivazione della sentenza impugnata, che risulterebbe erronea ed insufficiente, soprattutto in relazione all’accertamento ed alla valutazione relativi al requisito della necessaria concretezza del pericolo per lo sviluppo dei minori, che l’illecito richiede (cfr., supra, n. 2.1 lett. A, B ed E).
Anche queste critiche non meritano accoglimento.
V’è, innanzitutto, da ribadire (cfr., supra, n. 2.6) che, secondo il chiaro dettato della disposizione de qua ed ai fini dell’integrazione dell’illecito in essa prefigurato, la trasmissione di programmi radiotelevisivi di carattere informativo non gode di una particolare e differenziata garanzia rispetto ad altri programmi riconducibili a generi diversi: come già rilevato, il legislatore ha correttamente bilanciato i due interessi costituzionali in gioco, accordando la prevalenza a quello preordinato alla tutela dei minori, e limitando, perciò, l’esercizio della libertà di informazione radiotelevisiva, secondo criteri di proporzionalità e non eccessività, alle sole ipotesi di pericolo affettivo di nocumento allo sviluppo psichico o morale dei minori stessi.
Inoltre, contrariamente a quanto opinato dalla Società ricorrente, il Giudice del Tribunale romano, nel qualificarla concreta fattispecie sottopostagli, si è sostanzialmente uniformato, nella interpretazione ed applicazione della cornice costituzionale e legislativa, nonché nella effettuazione del giudizio di merito, ai principi affermati nella presente decisione.
In particolare, il vero e proprio nucleo del giudizio di merito (cfr., supra, n. 1.2 lett. B4 e C) è chiaro ed immune da vizi logico – giuridici.
Esso si apre con l’affermazione di non condivisione della tesi della Società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, secondo cui la valutazione circa la dannosità del programma sulla sfera psichica dei minori avrebbe dovuto essere effettuata da uno psicoterapeuta infantile.
Si sta, dunque, discutendo della dannosità del programma, vale a dire della possibilità di danno alla sfera psichica dei minori, e cioè del pericolo di lesione allo sviluppo psichico degli stessi.
Il giudizio prosegue con la descrizione dell efferate modalità del duplice omicidio, confessate dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale, riprodotto nella trasmissione: la trasmissione di cui si discute aveva ad oggetto l’omicidio di due bambini di Foligno per mano di un pedofilo, che, nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi alla Corte d’Assise, riferiva le modalità dei delitti particolarmente cruenti (trattavasi dell’omicidio di un bambino di 4 anni con sevizie ed atti di libidine sulla vittima e dell’omicidio premeditato, ad opera della stessa persona, di un bambino di 13 anni, colpito con spiedo a due punte e finito a ripetuti colpi di coltello dopo un tentativo di soffocamento, in entrambi i casi con occultamento dei cadaveri, gettati in una discarica).
È evidente che siffatta descrizione da conto di quella parte di contenuto del programma trasmesso ritenuto contrastante con il divieto imposto dalla norma applicata e, perciò, meritevole di sanzione.
Il giudizio stesso si chiude con la valutazione: orbene, la descrizione, da parte dell’omicida, di tali crudeltà e sevizie non necessità del parere di uno psicoterapeuta infantile per valutare l’impatto, sia pure a livello astratto, sulla sfera psichica ed emotiva dei minori.
Infine, in forza della incontestata circostanza, secondo, cui il programma era andato in onda alle ore 20,40, viene sottolineato il criterio consolidato della nozione televisione per tutti, in base al quale, fino alle ore 22,30 e dopo le ore 7,00, tra il pubblico sono presenti, ed anche in numero elevato, soggetti di età inferiore ai quattordici anni.
Orbene, in questo contesto, caratterizzato dal predetto, specifico contenuto del programma e dall’ora della sua trasmissione, non può esservi dubbio che il Giudice a quo ha valutato la concreta sussistenza del pericolo di nocumento allo sviluppo psichico dei minori, suoi potenziali (avuto riguardo, appunto, all’ora di trasmissione) spettatori; e che l’espressione sia pure a livello astratto, letteralmente errata, non può che essere intesa nel senso sia pure a livello potenziale, nel che si sostanzia, appunto, la natura del pericolo della fattispecie di illecito amministrativo applicata.
In altre parole, la asserita non necessità del parere di un consulente tecnico d’ufficio circa la dannosità per i minori del contenuto del programma, legittimamente ritenuta in relazione allo specifico contenuto del programma medesimo, puntualmente descritto, e l’ora della sua trasmissione, implicante la normale presenza (anche) di un pubblico minorenne, costituiscono altrettanti elementi espressamente e correttamente valutati dal Giudice, per affermare la concreta esposizione a rischio del bene protetto quale effetto tipico della realizzazione della condotta vietata.
Resta, infine, da esaminare la critica rivolta alla Società ricorrente alla sentenza impugnata, laddove ha valorizzato, ai fini della decisione, la circostanza della trasmissione del programma in prima serata (cfr., supra, n. 1.2 lett. C), e fondata sulla deduzione, secondo cui la registrazione del programma è andata comunque in onda previa assunzione di alcune cautele, in quanto il contenuto della puntata è stato… anticipato dalla conduttrice la quale ha avvisato il pubblico della delicatezza del caso trattato e dell’opportunità di far affiancare i minori da un pubblico adulto (cfr. Ricorso, pag. 9).
Tenuto conto che la dedotta cautela non è certamente sufficiente, di per se sola, ad integrare una delle ipotesi derogatorie al divieto di trasmissione di programmi radiotelevisivi pericolosi per lo sviluppo dei minori, vale a dire quella che esige l’adozione, da parte dell’emittente, di accorgimenti tecnici, tali da far ragionevolmente escludere, secondo un criterio di normalità, la visione del programma dal pubblico minorenne (cfr., supra, n. 2.5), ed a prescindere da altre possibili considerazioni, non può esservi alcun dubbio, come giustamente affermato dal Giudice a quo, che la trasmissione di programmi siffatti in prime time (nella specie, alle ore 20,40), in assenza di cautele adeguate, fa presumere, invece, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, la opposta circostanza che ad essi assiste, normalmente, anche il pubblico dei minori.
E la categoria della televisione per tutti dalle ore 7,00 alle ore 22,30, adottata dalle emittenti televisive nel Codice di autoregolamentazione TV- minori del 1997 al fine di dettare particolari cautele a tutela del pubblico minorenne (cfr., supra, n. 2.2 lett. E), non rappresenta altro che un aspetto dell’applicazione del predetto criterio.
È bensì vero che tale Codice prevede anche l’ipotesi, secondo cui, qualora, per casi di straordinario valore sociale o informativo, la trasmissione di notizie, immagini e parole particolarmente forti e impressionanti si renda comunque necessaria, il giornalista televisivo avviserà gli spettatori che le notizie, le immagini e le parole che verranno trasmesse non sono adatte ai minori; ma, a parte le considerazioni che precedono, è anche vero che, ad oggi, le regole di selz restraint previste dal Codice stesso non hanno certo la forza giuridica per integrare (o derogare a) norma sanzionatorie di rango legislativo, ove non siano, come non sono, da queste espressamente richiamate ed a ciò abilitate.
Ogni altra censura deve ritenersi assorbita.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 5100,00, ivi compresi Euro 5000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Roma, 5 marzo 2003.
Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2004.