Sentenza 05 gennaio 1999
Tribunale di Lecce. Prima Sezione Civile. Sentenza 5 gennaio 1999: “Edifici sacri destinati al culto cattolico”.
(Omissis)
PREMESSE IN FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto pubblico redatto dal notaio dr. B. il 26.08.1997 C. L., L. R. e A. P. hanno costituito un’associazione denominata «Chiesa Vetero-Cattolica Italiana» (denominazione assunta dalla «Chiesa sui juris, Missione Cristiana Cattolica Italiana») con
sede in M. di Lecce, della quale veniva nominato «Vicario e Presidente del Consiglio» L. R. ed alla quale a prevista la possibilità di aderire facendo apposita istanza di iscrizione e divenendo poi membri effettivi od aderenti (art. 7 dell’atto costitutivo in atti).
Con provvedimento n. 4742 del 22.10.1997 il sindaco del Comune di M. di Lecce, su richiesta del Vicario Rettorale dr. L., rilasciava un nulla-osta del seguente tenore letterale: «… rilascio Nulla Osta ai Ministro della Chiesa Vetero-Cattolica Italiana per l’utilizzo, alla pari degli altri ministri cattolici, dei luoghi di Culto Cimiteriali e non, di proprietà del Comune di M. di Lecce. Invito, pertanto, i Ministri Vetero-Cattolici e Romano-Cattolici, che mi leggeranno in copia, a prendere accordi personalmente fra di loro per quanto attiene agli orari di utilizzo dei medesimi Luoghi di Culto».
In data 05.11.1997 il Sindaco, in seguito alle rimostranze fatte da diversi parroci, in relazione al «nulla-osta» di cui innanzi, chiedeva un parere in proposito al Ministero per l’Interno – Direzione Generale per gli affari di Culto – che in data …12.1997 rispondeva dimostrando «apprezzamento per la sensibilità dimostrata al fine di realizzare in concreto l’eguale libertà di tutti i culti», segnalando tuttavia la presenza di «perplessità che potrebbero legittimare – sotto il profilo strettamente giuridico – le rimostranze dei Parroci Cattolici» ed invitando ad ulteriori accertamenti al fine di chiarire se i luoghi di culto di proprietà comunale «siano solo destinati (e stabilmente) alla finalità religiosa cattolica o se vi sia stata la dedicazione dei luoghi stessi da parte del Vescovo Diocesano», tale parere proseguiva evidenziando che «il vincolo di destinazione al culto […] a infatti tutelato anche dal nostro codice civile (secondo l’art. 831, 2° comma “gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione …”») sicchè effettivamente il Comune proprietario degli edifici sacri non può neanche parzialmente sottrarre gli stessi alle finalità del culto cattolico» e che «in virtù del codice di diritto canonico l’Ordinario diocesano può ammettere utilizzazioni particolari delle chiese col solo limite alla non contrarietà alla santità del luogo» e suggeriva pertanto «di prendere gli opportuni contatti con la Diocesi interessata», au¬spicando infine «una soluzione concordata tra i ministri dei due culti».
In seguito a quanto innanzi il Sindaco chiedeva a S.E. Arcivescovo di Otranto di far conoscere «se per i luoghi di culto di proprietà comunale esista o meno la «dedicazione»» e con data 16 maggio 1998 l’Arcivescovo di Otranto comunicava che dai documenti dell’archivio diocesano, ed in particolari dalle Visite Pastorali che decorrono dal 1922, risulta espressamente sia la originaria destinazione al culto cattolico dei singoli edifici sacri esistenti nell’ambito del territorio del Comune di M. di Lecce, sia che tale specifica destinazione a stabilmente perdurata nel tempo fino al presente.
Successivamente, e cioè in data 30.06.1998, il Vicario Rettorale della C.V.C.I. dr. L. informava il Sindaco che il suddetto «nulla-osta» sarebbe stato utilizzato il giorno 12.07.1998 «per celebrare la Santa Messa nella Chiesa di Sant’Antonio in M. di Lecce, in occasione della visita del Parroco D. K., in quanto la Comunita Minervinese di Rito Cattolico Antico ha la necessità di un luogo di Culto più grande», chiedeva pertanto copia delle chiavi di tale Chiesa di «Sant’Antonio», «possibilmente una settimana prima» ed informava di quanto innanzi il Parroco di M. «perchè non celebri nella stessa ora dello stesso giorno e nel medesimo Luogo di Culto altra Santa Messa».
In tale contesto il Sindaco del Comune di M. di Lecce, premesso di non avere ancora completato l’esame della documentazione inviatagli da parte della Curia Arcivescovile di Otranto e da parte del Parroco e di avere intenzione di sottoporre la stessa ai competenti uffici del Ministero dell’Interno, comunicava al dr. L. la sospensione del «nulla-osta» rilasciato in data 22.10.1997.
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in cancelleria il 27.07.1998 la Chiesa Vetero-Cattolica Italiana, in persona del legale rappresentante protempore dr. L., adiva il Tribunale di Lecce «per l’accertamento e la tutela in via d’urgenza del diritto civico dei cittadini italiani, facenti parte della Chiesa Vetero-Cattolica Italiana e, quindi, della Comunità dei fedeli di questa, di usare degli immobili di proprietà del Comune di M. di Lecce destinati al culto cattolico (tra gli altri: il Cimitero, la Chiesa di Sant’Antonio, la Chiesa di Santa Croce), dell’insussistenza di alcuna servitù pubblica di permanente destinazione al Culto della Chiesa cattolica Romana su detti beni», chiedendo ordinarsi in via di urgenza al detto Comune «di consentire alla Chiesa Vetero-Cattolica Italiana di M. di Lecce ed ai suoi fedeli l’uso per il culto Vetero-Cattolico dei seguenti bei comunali: il Cimitero, la Chiesa di Sant’Antonio, la Chiesa di Santa Croce ed ogni altro bene comunale non consacrato, cioè non permanentemente destinato al culto della Chiesa cattolica romana».
Con decreto del 24.08.1998 il Giudice designato dal Presidente del Tribunale rigettava il suddetto ricorso, non ritenendo in particolare sussistente il «periculum di mora» risultando dagli atti che la C.V.C.I. ha una sua sede ecclesiale (Oratorio di Tutti i Santi in M. di Lecce) adibita a luogo di culto e che l’eventuale esigenza di avvalersi di un luogo di culto più grande di quello già a disposizione «sembrava avere un carattere del tutto eccezionale e sporadico, atteso che solo nel mese di luglio 1998 – e cioè oltre otto mesi dopo il rilascio del nulla-osta – poi revocato – da parte del Comune di M. di Lecce, risulta che la C.V.C.I. ha inteso avvalersi del nulla-osta stesso».
Avverso tale decreto la Chiesa Vetero-Cattolica Italiana di M. di Lecce ha proposto il presente reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. eccependo in via preliminare la violazione degli artt. 101, 112, 669 sexies e 669 septies per la mancata comparizione delle parti dinanzi al G.D., ritenendo in particolare la pronuncia di decreto nominativo «inaudita altera parte» solo in caso di accoglimento del ricorso e «quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento», nonchè dopo aver assunto «ove occorra sommarie informazioni». Sostiene ancora la difesa della C.V.C.I. di M. di Lecce:
a) la sussistenza del periculum in mora poichè il luogo e la disposizione dei Cristiani Vetero-Cattolici di M. non a idonea allo svolgimento delle funzioni religiose soprattutto nei giorni festivi, essendo costituito solo da un immobile di mq. 80 coperti e mq. 30 scoperti (come da perizia giurata dell’ing. G.O.R., prodotta in sede di reclamo al Collegio);
b) la necessità e l’urgenza di disporre in particolare della Cappella Cimiteriale, per poter ivi celebrare la messa prima della sepoltura dei loro defunti;
c) nel merito «la violazione e falsa applicazione degli artt. 1205, 1206, 1207, 1208, 1209 del Codice di Diritto Canonico, in collegamento con l’art. 831 c.c. in relazione alle norme del Concordato Lateranense e relativo accordo di revisione, nonchè agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Cost. R.I. Eccesso di potere per carenza di motivazione e perplessità», in particolare per non aver il G.D. ritenuto che la mancanza di prova della «consacrazione o dedicazione» del Cimitero, della Chiesa di Sant’Antonio e della Chiesa di Santa Croce e di eventuali altri immobili di proprietà del Comune di M. di Lecce al culto cattolico esclude che essi siano gravati da servitù pubblica a favore della Chiesa Cattolica Romana», non ritenendo sufficiente a tal fine la sola «benedizione» quale «rito istituito dalla Chiesa con cui, in modo meno solenne e non definitivo, si destinano al culto divino persone, cose e luoghi»;
d) infine, l’«eccesso di potere per irragionevolezza, perplessità sotto altro profilo, carenza di motivazione, violazione dell’art. 831 2° comma c.c. in relazione ai canoni 204, 205, 206, 207, 208, 209 del Codice di Diritto Canonico. Violazione degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Cost. R.I.», ritenendo in particolare i fedeli Vetero-Cattolici comunque abilitati al’«esercizio del culto negli stessi luoghi in cui lo esercitano i cattolici aderenti alla gerarchia della Chiesa Romana», anche se per ipotesi consacrati a tale ultimo culto; chiedendo infine che – tenuto conto che il diritto di culto a costituzionalmente garantito e che gli appartenenti alla C.V.C.I. di M. sono cittadini italiani – ove si dovesse ritenere che l’art. 831 c.c. non consenta l’uso dei beni pubblici non «dedicati o consacrati» in particolare ai Vetero-Cattolici, vengano rimessi gli atti alla Corte costituzionale ritenendo non palesemente infondata l’eccezione si incostituzionalità in relazione agli articoli della Costituzione innanzi richiamati.
Si costituiva poi dinanzi al Tribunale il Comune di M. di Lecce in persona del Sindaco quale legale rappresentante pro-tempore, chiedendo il rigetto del reclamo e segnalando in particolare che «potrebbe esulare dai poteri del Giudice in forza della riserva di giurisdizione ecclesiastica» la valutazione di idoneità e ritualità di atti di consacrazione compiuti sulla base del diritto canonico e di testi liturgici.
Si costituiva altresì l’Arcidiocesi di Otranto in persona dell’Ordinario Diocesano, legale rappresentante P.T., contestando in primo luogo che la Chiesa di Sant’Antonio da Padova e quella di Santa Croce appartengano in proprietà al Comune di M. di Lecce, essendo in particolare la prima – adiacente al Vecchio Convento dei Padri Cappucccini – di provenienza monastica, trasferita poi solo in concessione agli enti pubblici locali in seguito alla legge 3036 del 07.07.1866, con l’esplicito obbligo della perenne apertura al culto cattolico romano; infine, pur ritenendo trattasi di valutazioni sottratte per competenza al Giudice adito, segnalava che la
destinazione al culto divino o alla sepoltura dei fedeli può avvenire «mediante la dedicazione o benedizione, a ciò prescritte dai testi liturgici» (can. 1205 C.I.C.), con conseguente sacralità dei luoghi destinati esclusivamente all’esercizio liturgico del Culto Cattolico; chiedeva pertanto il rigetto del reclamo.
Si costituiva infine la Parrocchia di M. di Lecce, in persona del legale rappresentante P.T., chiedendo il rigetto del reclamo e segnalando che la C.V.C.I. non e fra le confessioni religiose riconosciute dallo Stato Italiano, che non ha stabilito quindi con la stessa alcuna convenzione e che per le profonde differenze di credo esistenti deve essere esclusa qualsiasi identificazione della Chiesa Vetero-Cattolica di M. di Lecce con la Chiesa Cattolica Romana.
All’udienza del 23.11.1998 il Collegio riserva la decisione. (Omissis)
Nel merito, rileva il Collegio che non risulta provato in atti che le Chiese di M. di Lecce in questione, ed in particolare le Chiesa di Sant’Antonio e la Chiesa di Santa Croce siano di proprietà del suddetto Comune. Non può in alcun modo sostenersi che l’avere in un primo momento il Sindaco rilasciato il «nulla-osta» in atti valga a provare la proprietà dell’ente locale in quanto innanzi, sia in quanto tale atto risulta in seguito «sospeso» proprio perchè emesso senza alcuna preventiva adeguata attività istruttoria in proposito (come attestato dai carteggi in atti), sia – e soprattutto – perchè il «nulla osta» in questione (come la richiesta che lo precede) e del tutto generico in proposito, non venendo in alcun modo indicate le Chiese alle quali si sarebbe dovuto riferire. Dalla documentazione in atti innanzi richiamata, emerge infatti che tra le parti si è sempre parlato genericamente di «luoghi di culto […] di proprietà comunale» senza alcuna specifica indicazione degli stessi (ved. richiesta della C.V.C.I., nulla-osta, richiesta di parere ai competenti uffici del Ministero dell’Interno e richiesta di informazione alla Curia Arcivescovile di Otranto), mentre l’indicazione della «Chiesa di Sant’Antonio in M. di Lecce» compare per la prima volta solo nella nota datata 30.6.1998 con la quale il Vicario Rettorale della C.V.C.I. dr. L. informava il Sindaco della propria intenzione di utilizzare il «nulla-osta» in questione per celebrare la Messa il 12.7.1998 in tale luogo.
Deve tuttavia rilevarsi che il presente reclamo non può trovare accoglimento sia, ovviamente, nel caso in cui le Chiese indicate nel ricorso ex art. 700 c.p.c siano di proprietà diversa da quella comunale, sia nel diverso caso in cui le stesse rientrino per ipotesi tra i beni di proprietà del Comune.
Ed invero, l’Ente pubblico può assumere le proprie determinazioni in ordine ai beni di sua proprietà e la C.V.C.I. non ha dedotto in proposito alcun proprio diritto reale sugli stessi, ne alcun diritto derivante da rap¬porti obbligatori in proposito.
Per completezza, deve aggiungersi che l’art. 831, comma 2, c.c., nel disciplinare il regime delle Chiese di proprietà di privati o di enti non ecclesiastici, dispone che gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartenenti a privati, non possono essere sottratti a tale destinazione (in via temporanea o definitiva, non consentendo la norma alcuna distinzione in proposito) neppure per effetto di alienazione,
fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardino. Nell’assenza di norme di legge in proposito, la giurisprudenza ha correttamente e pacificamente ritenuto che l’art. 831, 2° comma c.c. contenga un rinvio formale al Diritto Canonico, le cui norme in materia producono effetti nell’ordinamento civile e devono essere applicate da tutti gli organi dello Stato (in tal senso: Cass. 16 giugno 1951 n. 1572; Cass. 29 febbraio 1952 n. 576; Cass. 20 ottobre 1953 n. 3460; Cass. 27 novembre 1973 n. 3227).
Nella fattispecie in esame sulla base della documentazione in atti non può allo stato dubitarsi della destinazione delle Chiese in questione al culto cattolico, nè dell’attualità di tale presupposto, a nulla rilevando in proposito il maggiore o minore uso del luogo sacro in questione (ved. in particolare nota del 16 maggio 19998 dell’Arcivescovo di Otranto a nota prot. n. 17/98 del 27 maggio 1998 della C.E.I., ufficio nazionale per i problemi giuridici).
Occorre in proposito infine considerare che sulla base delle norme di diritto canonico sono luoghi sacri quelli che vengono destinati al tutto divino o alla sepoltura dei fedeli mediante la dedicazione o benedizione a ciò prescritte dai testi liturgici (can. 1205 del C.I.C.). Il canone 1217 prevede espressamente la possibilità di consacrare – destinandola così al culto divino (can. 1214) – una nuova Chiesa anche mediante la benedizione compiuta «osservando le leggi della sacra liturgia».
La circostanza che l’Arcivescovo di Bari abbia dato il «permesso» ai Vetero-Cattolici per la celebrazione di una Messa presso un oratorio sito in Bari – pure segnalata dalla difesa del reclamante – non è idonea ad incidere su quanto innanzi ritenuto. In proposito va comunque evidenziato che in tal caso la richiesta di ospitalità fu opportunamente rivolta alla competente autorità ecclesiastica, peraltro nella nota 03.12.1997 del Ministero per l’Interno – Direzione Generale per gli affari di Culto – indicato quale autorità competente al rilascio di autorizzazioni per l’uso dei luoghi destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico a prescindere dalla proprietà sull’edificio (in tale nota si legge infatti testualmente che «effettivamente il Comune proprietario degli edifici sacri non può neanche parzialmente sottrarre gli stessi alle finalità del culto cattolico» e che «in virtù del codice di Diritto Canonico l’Ordinario Diocesano può ammettere utilizzazioni particolari delle chiese col solo limite della non contrarietà alla santità del luogo», suggerendosi infine «di prendere gli opportuni contatti direttamente con la Diocesi interessata»).
A conferma di quanto innanzi va detto che l’art. 5 della legge 25.03.1985, n. 121 stabilisce che gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti od occupati (ovviamente neanche in via temporanea, non ponendo la norma alcuna distinzione in proposito) […] «se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica».
L’eccezione di incostituzionalità prospettata dal reclamante ad avviso del Collegio è palesemente infondata. Sostiene in proposito la difesa del ricorrente che – tenuto conto che il diritto di culto è costituzionalmente garantito e che gli appartenenti alla C.V.C.I. di M. sono cittadini italiani – ove si dovesse ritenere che l’art. 831 c.c. non consenta l’uso dei beni pubblici non «dedicati o consacrati» in particolare ai Vetero-Cattolici, vengano rimessi gli atti alla Corte Costituzionale ritenendo non manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità della suddetta norma per «violazione degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Cost. R.I.».
Tale questione è ininfluente in considerazione di quanto innanzi detto, trattandosi in concreto di Chiese la cui destinazione all’esercizio pubblico del culto cattolico risulta essere attuale. Tale eccezione è inoltre, ad avviso del Collegio, manifestamente infondata, atteso che nella fattispecie in esame non viene in alcun modo posto in discussione, ne limitato il diritto dei Vetero-cattolici di professare la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto (artt. 19 e 20 della Cost. R.I.), mentre nessuna norma costituzionale riconosce il diritto di utilizzare beni di altrui proprietà, pubblica o privata, per un migliore e più agevole perseguimento delle proprie finalità. Inoltre la Chiesa Vetero-Cattolica non risulta tra le confessioni religiose riconosciute dallo Stato Italiano e non ha inteso allo stato esercitare la facoltà di disciplinare i propri rapporti con lo stesso sulla base di intese con le relative rappresentanze (art. 8 comma 3 Cost. R.I.).
Deve infine aggiungersi che di eventuale disparità di trattamento da parte di leggi (artt. 2 e 3 Cost. R.I.) può discutersi solo in presenza di eguali situazioni, ossia solo per l’ipotesi – non attuale – in cui in sede di regolamentazione dei rapporti con Vetero-Cattolici (cit. art. 8 3° comma Cost.) lo Stato preveda la possibilità che altre confessioni religiose utilizzino luoghi da tempo destinati al culto Vetero-Cattolico senza il consenso dei Vetero-Cattolici stessi.
Ritiene infine il Collegio di condividere quanto ritenuto nell’impugnato decreto (al quale in proposito si rinvia al fine di evitare inutili ripetizioni) in ordine all’assenza di periculum in mora atteso che la comunità Vetero-Cattolica di M. Lecce dispone, per l’esercizio del proprio culto, dell’Oratorio di Tutti i Santi, edificio le cui dimensioni sono attestate dalla perizia giurata in atti.
In considerazione, infine, della complessità e della novità della questione trattata, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di questa fase.
P.Q.M.
Il Tribunale, pronunciando sul reclamo proposto ai sensi dell’art. 669 terdecias c.p.c. a Filoni Carmela, così provvede:
– rigetta il reclamo e per l’effetto conferma i decreto, emesso in data 25.08.1998 e comunicato il 25.08.1998, con cui il G.D. dal Presidente del Tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 27.07.1998 nell’interesse della C.V.C.I. di M. di Lecce;
– dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Autore:
Tribunale Civile
Dossier:
Italia, Edifici di culto
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Parrocchie, Chiesa cattolica, Consenso, Culto, Ordinario diocesano, Luoghi sacri, Celebrazioni liturgiche
Natura:
Sentenza