Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Ottobre 2003

Sentenza 05 gennaio 1994, n.5

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Lecce). Sezione Prima. Sentenza 5 gennaio 1995, n. 5.

(Cavallari; Lundini)

Diritto

1. – Il ricorso è privo di fondamento e va respinto.

Il punto 2.7 dell’Intesa tra autorità scolastica italiana e Conferenza episcopale italiana, resa esecutiva in Italia con D.P.R. 16 dicembre 1985 n. 751, stabilisce che “Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica, fermo quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento”.

L’Intesa allegata al D.P.R. 23 giugno 1990 n. 202, nel modificare il precedente Accordo del dicembre 1985, ha aggiunto al punto suddetto il seguente periodo: “Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale”.

La normativa di cui sopra è riprodotta dall’art. 32 dell’O.M. 23 dicembre 1991 n. 395, contenente specifiche norme per lo svolgimento degli scrutini ed esami nelle scuole statali e non statali di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado.

Il ricorrente sostiene che, alla stregua delle disposizioni citate, il voto dell’insegnante di religione, ove determinante, perderebbe ogni connotazione decisionale vera e propria, ai fini della formazione della volontà della Commissione o del Consiglio di classe, e non potrebbe essere quindi conteggiato, com’è invece avvenuto nella specie, per il raggiungimento della maggioranza.

Secondo la ricostruzione dell’interessato il declassamento del giudizio di tale docente, da componente essenziale della volontà del Collegio a mero supporto valutativo per le decisioni di questo, troverebbe conferma e parallelo nell’art. 5 della legge n. 824 del 1930 il quale dispone che “per l’insegnamento religioso, in luogo di voti ed esami viene redatta a cura dell’insegnante e comunicata alla famiglia una speciale nota…, riguardante l’interesse col quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne trae”.

La ratio, anche della più recente normativa, sarebbe quindi quella di salvaguardare la laicità e l’indipendenza dello Stato e d’altro canto, rimarca il ricorrente, l’insegnamento in parola non è “curriculare”, vi si accede senza uno specifico titolo di studio, senza abilitazione e col semplice nulla osta dell’Ordine diocesano.

L’interpretazione proposta dalla parte ricorrente non è condivisa da questo Collegio.

In base all’art. 9 della L. 23 marzo 1985 n. 121, lo stato riconosce il valore della cultura religiosa; considera i princìpi” del cattolicesimo come parte del patrimonio storico del popolo italiano; afferma la continuità del proprio impegno nell’assicurare – come precedentemente all’Accordo ratificato con la legge predetta – nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione nelle scuole non universitarie.

Sebbene nel quadro del principio supremo di laicità dello Stato – ed anzi come manifestazione di esso – lo Stato garantisce dunque, a livello delle altre discipline impartite dalla Scuola, l’insegnamento della religione cattolica nel rispetto della libertà delle coscienze e della responsabilità educativa dei genitori, accogliendo e garantendo il diritto di avvalersi o meno di tale predisposto insegnamento.

Quest’ultimo è quindi compreso, tra gli altri insegnamenti del piano didattico, con pari dignità culturale, e l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo alla stregua di qualsiasi altra disciplina (vedi C. cost. n. 203 dell’11-12 aprile 1989 e n. 13 dell’11-14 gennaio 1991, in Cons. Stato 1989, II, 537, e 1991, II, 28).

Alla luce di tali considerazioni non sono pertinenti le osservazioni del ricorrente circa il carattere per così dire “secondario” dell’insegnamento religioso e dei suoi docenti. Quanto a questi ultimi, in particolare, lo stesso D.P.R. n. 751 del 1985 fissa rigorosi profili per la loro qualificazione professionale (cfr. art. 4), sicché, stante anche la premessa (punto 4.1) che l’insegnamento della religione cattolica… deve avere dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline”, non si può certo disconoscere che per gli insegnanti di religione sia comunque previsto il possesso di una spiccata e qualificata attitudine docente.

Certamente la peculiarità della materia giustifica, quando si tratti di valutare e formalizzare il profitto in essa conseguito dai singoli discenti, l’esclusione di voti ed esami (art. 4 R.D. n. 824 del 1930), ma non ritiene il Collegio che tale specifica normativa possa essere addotta a valido supporto argomentativo per escludere altresì la partecipazione piena, effettiva ed incondizionata dell’insegnante di religione alle valutazioni di competenza dei docenti, da adottarsi a maggioranza, in sede di esami e di scrutini.

Il punto 2.7. del D.P.R. n. 202 del 1990 va quindi semplicemente inteso, secondo questo Tribunale, nel senso che il voto del docente di religione, ove determinante, si trasforma bensì in giudizio motivato, ma senza per ciò perdere il suo carattere decisionale e costitutivo della maggioranza.

D’altro canto se l’intenzione espressa con la disposizione in questione fosse stata effettivamente quella di esautorare il docente di religione da ogni potere decisionale determinante, essa sarebbe stata precisata espressamente, stante l’evidente dissonanza con il principio d’ordine generale affermato nel primo periodo del punto 2.7, in base al quale, come già ricordato, gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti.

In altre parole, nella norma che se ne occupa non si dice affatto (e sarebbe stato facile precisarlo) che “… il voto dell’insegnante di religione se potenzialmente determinante perde tale valore in seno al deliberato collegiale…” oppure che “… il voto dell’insegnante di religione se determinante non si conteggia nella maggioranza…”. Al contrario la ripetuta norma prevede proprio la possibilità che il voto dell’insegnante di religione possa essere determinante e semplicemente stabilisce che, in questo caso, esso si trasforma in giudizio motivato.

La finalità di quest’ultima disposizione è evidentemente collegata alla peculiare figura del docente di religione ed alla specifica prospettiva ed angolatura psicologiche e spirituali dalle quali l’insegnamento curato lo porta a valutare l’alunno in termini tutt’affatto diversi da quelli degli altri docenti, a volte mirati al mero riscontro del profitto reso dall’alunno stesso; sicché a detto insegnante particolarmente si addice un giudizio articolato e motivato che esplichi adeguatamente la problematica presa in considerazione.

Né è senza spiegazione logica il fatto che l’insegnante di religione, il quale non ha potere di voto e di esame nella sua materia, possa poi partecipare con apporto decisivo alle deliberazioni da adottarsi a maggioranza, atteso che in sede di scrutini finali emergono spesso profili ed aspetti della personalità complessiva dell’alunno, alla valutazione dei quali non v’è ragione di escludere l’apporto decisivo (ed anzi al riguardo particolarmente autorevole e significativo) del docente di religione (si pensi, ad esempio, al giudizio del Consiglio di classe in sede di ammissione o meno agli esami di maturità).

Infine non sembra che la partecipazione determinante del docente di religione cattolica agli scrutini finali possa costituire lesione del principio di laicità dello Stato, una volta che di tale insegnamento lo Stato semplicemente consente (non obbliga) di avvalersi attraverso un atto di libera scelta ed in presenza altresì della garanzia che la scelta stessa, comunque operata, non dà luogo a forma alcuna di discriminazione (C. cost. sent. citata n. 203 del 1989).

Nella specie dunque, sebbene col voto determinante del docente di religione, la decisione del Consiglio di classe, adottata nella sessione autunnale degli esami di riparazione, di non ammettere il ricorrente alla classe successiva (III liceo classico), deve ritenersi, sotto il profilo esaminato, legittima.

Né ritiene il collegio che sia mancato, come lamenta l’interessato, il “giudizio motivato iscritto a verbale”, atteso che tale giudizio, sebbene perfettamente conforme a quello degli altri insegnanti che hanno votato per la “non promozione” del ricorrente, è stato sicuramente formulato dal docente di religione ed è enucleabile nella motivazione, iscritta appunto a verbale, che “dai dati oggettivi delle prove è emerso che il candidato ha fatto un esame estremamente negativo sia in Greco che in Storia”.

(omissis)