Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Luglio 2005

Sentenza 05 dicembre 2001, n.3793

Corte di Cassazione. Sezione I. Sentenza 5 dicembre 2001, n. 3793: “Inseminazione artificiale, fecondazione naturale e attribuzione della paternità”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Antonio SAGGIO – Presidente –
Dott. Giovanni LOSAVIO – Rel Consigliere –
Dott. Giammarco CAPPUCCIO – Consigliere –
Dott. Walter CELENTANO – Consigliere –
Dott. Francesco Maria FIORETTI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARSOTTI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE CAVE 17, presso l’avvocato MASSIMO CAMMAROTA, rappresentato e difeso da se medesimo;- ricorrente –

contro

GRANDI BARBARA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANTONELLI 47, presso l’avvocato NICOLA D’AGOSTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO PERFETTI, giusta procura a margine del controricorso;- controricorrente –

avverso la sentenza n. 807-00 della Corte d’Appello di GENOVA, depositata il 24-11-00;
udita la relazione della. causa svolta nella pubblica udienza del 05-12-2001 dal Consigliere Dott. Giovanni LOSAVIO;
udito per il ricorrente, l’Avvocato Barsotti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l’Avvocato D’Agostino, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Il Tribunale per i minorenni di Genova, con sentenza pubblicata il 30 novembre 1999, accogliendo le domande di Barbara Grandi, madre di Silvia Grandi (nata il 21 novembre 1991), dichiarava la paternità naturale di Paolo Barsotti in rapporto alla minore Grandi e condannava il Barsotti a corrispondere la somma mensile di lire 1.200.000 (dovuta dalla proposizione del ricorso introduttivo) come contributo al mantenimento della figlia.
La Corte d’appello di Genova, sezione specializzata per i minorenni, con sentenza 24 novembre 2000 (che non ha definito il giudizio), rigettava l’appello proposto dal Barsotti con riguardo al punto della decisione impugnata che ha accertato la sua paternità naturale (provvedendo con separata ordinanza in ordine ad accertamenti sulle condizioni economiche rispettive dei genitori). Giudicava la Corte di merito (condividendo il motivato convincimento del tribunale) che la persistenza della relazione tra Barbara Grandi e il Barsotti fino oltre il periodo di presunzione legale del concepimento era rimasta confermata dalla prova che la coppia aveva trascorso una notte in albergo alla fine del marzo 91, essendo stata cosi contraddetta la difesa del Barsotti nel senso che il loro rapporto era cessato nell’ottobre 1990. Valutava per altro significativi in funzione della dimostrazione della paternità naturale i comportamenti (testimoniati da persona estranea alla famiglia della attrice) del Barsotti che subito dopo la nascita della minore aveva fatto visita al “nido” del reparto ospedaliero ove era avvenuto il parto e, osservando la neonata, aveva affermato di ravvisare tratti di somiglianza con membri della propria famiglia.
La paternità biologica era rimasta infine accertata con elevatissimo grado di probabilità (pari al 99,97 per cento) attraverso la indagine immunoematologica dal Tribunale affidata a “valente specialista del settore”, che aveva esplicitamente indicato le ragioni per cui dovevano ritenersi superflui gli ulteriori approfondimenti richiesti dalla difesa del Barsotti.
La Corte condivideva per altro la valutazione del Tribunale in ordine alla sussistenza dell’interesse della minore alla dichiarazione della filiazione naturale, non valendo ad escluderlo la mera mancanza di sentimento paterno nel presunto genitore; e da ultimo motivava la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 269 c.c. là dove non attribuisce rilevanza preclusiva della dichiarazione giudiziale di paternità alla volontà contraria alla procreazione (riconosciuta invece alla madre attraverso la volontaria interruzione della gravidanza).
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione Paolo Barsotti con cinque motivi di impugnazione. Resiste Barbara Grandi con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 269 C.C. per avere la Corte di merito fondato la dichiarazione di paternità “sulla asseritamente riconosciuta esistenza di rapporti tra la madre della minore ed il presunto padre all’epoca del concepimento oltre che sui risultati della consulenza tecnica d’ufficio”.
La censura, così come è essa medesima testualmente formulata, si rivela infondata, poiché lo stesso ricorrente riconosce che non sulla “sola esistenza” di quei rapporti è stata fondata la “prova della paternità naturale”, avendo concorso a determinare il convincimento della Corte di merito la considerazione ulteriore (“…oltre che…”) dei “risultati della consulenza tecnica d’ufficio”.
E tanto basta ad escludere la denunciata violazione del disposto dell’art. 209, ultimo comma, C.C. che pone la regola della insufficienza probatoria così della “dichiarazione della madre” come della “esistenza di rapporti tra la madre e il presunto padre all’epoca del concepimento”, dovendo concorrere ulteriori e integrativi elementi di conoscenza a dare fondamento alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale. A tale regola si è attenuta la Corte di merito che (come espressamente riferisce lo stesso ricorrente) ha considerato i risultati della consulenza tecnica (essendo la prova ematologica concludente al 99,97 per cento per la paternità naturale del Barsotti) come significativo elemento integrativo del complessivo quadro probatorio (costituito, come dà atto la sentenza impugnata, pure da ulteriori riferimenti indiziari).
2. Benché con il secondo motivo di impugnazione si prospetti un vizio della sentenza riferito alla ipotesi di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente denuncia in realtà un difetto di motivazione (“omessa, insufficiente e contraddittoria”) là dove la Corte di merito ha argomentato il convincimento secondo cui la relazione tra la Grandi e il Barsotti si sarebbe protratta anche nel periodo di presunzione legale del concepimento.
La censura, così espressa, è infondata.
La Corte infatti ha valorizzato al riguardo la prova relativa a un significativo incontro tra le stesse parti (che trascorsero una notte nella medesima stanza di albergo in Bari “alla fine di marzo 1991″), in epoca giudicata compatibile con la nascita della minore verificatasi nel novembre 1991”; e se pure dovesse ritenersi fondata la deduzione del ricorrente secondo cui il concepimento sarebbe risultato “ex actis” avvenuto tra il 28 febbraio e il 3 marzo 1991″ (ma il ricorrente non indica, come sarebbe stato necessario, la fonte testuale di un tale accertamento), certo si è che quell’incontro smentisce l’affermazione del Barsotti sulla definitiva interruzione della relazione caduta nell’ottobre 1990 e conferma che invece il rapporto intimo si protrasse (quanto meno) fino all’intero mese di marzo 1991, per un periodo – dunque – ben più ampio,che comprende in ogni caso il tempo del concepimento. Sicché adeguata – logicamente ineccepibile – è la motivazione sul punto della sentenza impugnata, che resiste ai rilievi critici del secondo motivo di ricorso.
3. Con il terzo motivo il ricorrente in subordine deduce erronea interpretazione – dunque violazione – dell’art. 269 C.C. – in rapporto ai successivi artt. 273 e 274, per avere i giudici di merito fondato la dichiarazione di paternità naturale sul mero dato di verità biologica, negando rilievo all’elemento – che si vuole necessariamente concorrente – della responsabilità, come atteggiamento volitivo diretto alla procreazione.
La censura è palesemente infondata.
Già la Corte di appello, là dove ha esaminato, e valutato come inconsistente, un tale argomento, ha richiamato la decisione di questa Corte n. 12350 del 1992 – qui in tutto condivisa – che argomentò le ragioni per cui in fattispecie di fecondazione naturale la paternità è attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicchè è esclusivamente decisivo l’elemento biologico e, non occorrendo la cosciente volontà dì procreare, nessuna rilevanza può attribuirsi alla attitudine soggettiva, negativa al riguardo, del presunto padre. La pretesa valorizzazione dell’elemento volitivo comporterebbe, infatti, la agevole elusione (e anzi in pratica la generale inapplicabilità) della disciplina dettata dall’art. 269 C.C. in attuazione dei precetti di cui all’art. 30 della Costituzione, fondata sul principio della responsabilità che necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente procreativo.
4. Con il quarto motivo del ricorso il Barsotti ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 C.C. se interpretato nel senso che deve escludersi ogni rilevanza alla volontà contraria alla procreazione del presunto padre, questione che la Corte di merito ha giudicato manifestamente infondata richiamando la stessa sentenza di questa Corte n. 12350 del 1992.
Condivide il collegio le ragioni di manifesta infondatezza della questione, argomentate da quella sentenza anche in rapporto all’art. 3 della Costituzione. È appena il caso qui di ribadire che non sono in alcun modo comparabili le situazioni che a dire del ricorrente sarebbero normativamente discriminate con asserita violazione del principio di eguaglianza, là dove, da un lato, si escluda la rilevanza della volontà contraria alla procreazione rispetto alla dichiarazione giudiziale di paternità naturale e si riconosca invece, dall’altro, alla donna la responsabilità esclusiva di interrompere la gravidanza (ricorrendone le condizioni giustificative che attengono ai rischi incidenti sulla sua salute fisica e psichica).
L’interesse della donna alla interruzione della gravidanza che il legislatore ha riconosciuto (nell’esercizio della sua insindacabile discrezionalità) non può essere infatti assimilato, in funzione di una asserita esigenza di parità di trattamento, al presunto interesse di chi, rispetto alla nascita del figlio fuori del matrimonio, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale e alle conseguenti responsabilità (in palese contrasto con i principi di tutela della filiazione naturale posti dall’art. 30 Costituzione).
5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente, benché nella sintetica enunciazione del sommario inammissibilmente critichi la omessa nomina di un curatore speciale (che l’art. 274, ultimo comma, C.C. rimette alla determinazione discrezionale insindacabile del Tribunale), nel successivo sviluppo degli argomenti censura in realtà – come insufficiente – la motivazione, condivisa dalla Corte d’appello, posta a sostegno della valutazione positiva dell’interesse della minore alla dichiarazione di paternità naturale del Barsotti.
Dalla attitudine di rifiuto della paternità, non solo sotto il profilo biologico, ma in ogni caso “dal punto di vista affettivo, psicologico e spirituale” dimostrato dal Barsotti, il ricorrente fa discendere l’assenza di ogni interesse della minore all’accertamento del rapporto di filiazione naturale rispetto a chi, avendo subito la coercitiva dichiarazione di paternità naturale, “non potrà che riservarle – in ogni caso – che rancore e ostilità”.
La censura è palesemente infondata.
Ineccepibile infatti, sul punto, è la motivazione della Corte di merito che, richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte consolidata al riguardo, ha negato che il mero “difetto di affectio da parte del presunto padre” possa costituire quel concreto pregiudizio che elide l’interesse – e non soltanto d’ordine economico – del figlio nato fuori del matrimonio all’accertamento della paternità (come elemento che concorre a formare l’identità della persona), non potendo valere – in particolare – ad escludere un tale interesse la mera dichiarazione per così dire programmatica del convenuto (con l’azione ex art. 269 C.C.) nel senso che egli non adempirà in ogni caso ai doveri morali inerenti alla potestà di genitore.
6. Infondati essendo tutti i motivi dell’impugnazione, il ricorso deve essere rigettato.Soccombente, il Barsotti è tenuto e condannato al rimborso delle spese del giudizio a favore della resistente Barbara Grandi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio a favore della resistente, liquidate in complessive lire6.125.000 (pari ad euro 3.163,30) delle quali lire 6 milioni (pari ad euro.3.099,00) per onorari di avvocato.