Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Dicembre 2003

Sentenza 04 luglio 1994, n.6301

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 4 luglio 1994, n. 6301.

(Montanari Visco; Sotgiu)

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene la violazione dell’art. 796 n. 1 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuto la natura concordataria del matrimonio “de quo”, pur avendolo qualificato come matrimonio celebrato all’estero. Detto matrimonio difettava invece di alcuni requisiti essenziali per essere ritenuto concordatario, quali la previa autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile, la mancata lettura degli artt. 143, 144 e 147 cod. civ., la mancata redazione del doppio originale dell’atto di matrimonio, di cui un esemplare da inviarsi all’Ufficiale di Stato Civile italiano: pertanto, sulla nullità di un tale vincolo matrimoniale, avrebbe dovuto pronunciarsi l’Autorità giudiziaria italiana, e non il Tribunale ecclesiastico, stante la “radicale inapplicabilità del regime di matrimoni concordatari e, per l’effetto, la carenza di competenza giurisdizionale dei tribunali ecclesiastici”.

Col secondo motivo di ricorso, adducendo la violazione dell’art. 797 n. 7 c.p.c., nonché difetto di motivazione, il ricorrente sostiene che, essendo stato il matrimonio celebrato all’estero, e, come tale trascritto in Italia, non ne poteva essere delibata la dichiarata nullità per difetto del consenso, atteso il divieto di cui all’art. 123, 2º c. cod. civ. che vieta l’azione di nullità per simulazione, nel caso di convivenza degli sposi, successiva alla celebrazione del matrimonio medesimo.

Il ricorso non è fondato, anche se la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica esaminata dalla Corte d’Appello va confermata per motivi parzialmente diversi da quelli esposti nella sentenza impugnata.

La Corte romana ha infatti correttamente premesso che il matrimonio oggetto di annullamento di parte dei giudici ecclesiastici, celebrato il 2 dicembre 1967 nella Basilica di San Pietro in Roma (ancorché previe pubblicazioni nel comune di residenza degli sposi su richiesta del competente parroco) è, sotto il profilo tecnico-giuridico, un matrimonio contratto all’estero, dinanzi ad un Ministro del culto cattolico.

Da una tale premessa, tuttavia, i giudici della delibazione non dovevano necessariamente inferire, ai fini della delibabilità della sentenza ecclesiastica che ha pronunciato la nullità del menzionato matrimonio, la natura concordataria del vincolo, in forza della complessiva portata dell’art. 34 del Concordato e dell’art. 8 dell’Accordo sottoscritto dall’Italia e dalla Santa Sede in Roma il 18 febbraio 1984.

E’ ben vero che un matrimonio siffatto è un matrimonio religioso, che, in quanto sacramento amministrato da un sacerdote del culto cattolico, è soggetto, quando si controverta della nullità del vincolo, ai giudici di quel culto. E che, correttamente, pertanto, la Corte d’appello, ha ritenuto la competenza dei giudici ecclesiastici dello Stato della Città del Vaticano, ed in particolare del giudice di ultima istanza – la Sacra Rota – a pronunciare la sentenza di nullità di cui il Cipriani ha chiesto la delibazione; ulteriormente accertando, senza contestazioni in proposito, che tale sentenza, ritualmente munita del decreto di esecutività da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, era stata resa all’esito di un procedimento nel quale appariva garantito il diritto delle parti al contraddittorio e alla difesa.

Ma ai fini del riconoscimento in Italia della natura concordataria di un matrimonio canonico debbono sussistere determinate condizioni e fra esse – con valore rilevante nella specie – la lettura da parte del parroco degli articoli del codice civile italiano riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi e la relazione dell’atto di matrimonio in doppio originale (art. 8, 1º comma, parte 2a dell’Accordo in cui alla L. 121/85). Tali formalità, necessariamente ignote al celebrante che amministra il sacramento del matrimonio dello Stato della Città del Vaticano, sono state a torto definite dalla Corte d’Appello ininfluenti, ai fini del riconoscimento della natura concordataria o meno del matrimonio in questione.

Non sembra si possa senz’altro affermare, come hanno fatto i giudici della delibazione, la natura concordataria del matrimonio in questione, solo perché celebrato avanti ad un ministro del culto cattolico, deducendo tale natura da argomentazioni di ordine generale di interpretazione del Concordato (come modificato dall’Accordo 18 febbraio 1984), considerato quale trattato internazionale, atto a conferire reciproca attribuzione, da parte dei due contraenti – la Santa Sede e l’Italia – degli effetti civili ai matrimoni canonici contratti nell’uno o nell’altro territorio.

Tale reciprocità non rientra, infatti, né nella lettera né nelle finalità dell’accordo modificativo del Concordato lateranense, esclusivamente rivolto a recepire nella sfera di applicazione della legge civile italiana (a certe ben precise condizioni), il matrimonio disciplinato dal diritto canonico contratto in Italia, senza alcuna ulteriore concessione in relazione a matrimoni canonici celebrati all’estero, aventi già di per sé gli effetti propri dell’ordinamento nel quale la celebrazione è avvenuta.

Se è vero infatti che il Concordato riguarda tutti i cittadini italiani, la estensione di un fenomeno giuridico quale il riconoscimento degli effetti civili non giunge fino ad attribuire tali effetti al matrimonio cattolico contratto da cittadini italiani in uno Stato estero, che abbia, per la legge di quello Stato, l’idoneità a produrre gli effetti propri di quell’ordinamento statuale, e appunto in forza di tale aspetto, e non già in forza del Concordato, anche effetti civili in Italia (Cass. 68/75; 557/79).

Tuttavia, anche se il matrimonio religioso di cui è causa, non può definirsi, per quanto fin qui argomentato, di natura concordataria, la sentenza ecclesiastica che lo ha annullato (sentenza della Sacra Rota, avente rilevanza diretta nell’ordinamento statale della Città del Vaticano) è egualmente suscettibile di delibazione, quale sentenza straniera a norma dell’art. 797 c.p.c., ricorrendo, ai fini della delibabilità, tutte le condizioni richieste da tale articolo e anche quella (contestata) prevista dal n. 7 del primo comma e cioè, l’assenza di “disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano”.

Infatti, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4700/88; 1018/90; 5026/90), si è da tempo attestata sul principio che la convivenza tra i coniugi, intervenuta (come nella specie), successivamente alla celebrazione del matrimonio, ostativa, secondo l’art. 123 c.c., alla impugnazione nel diritto interno del matrimonio civile, non può considerarsi contraria all’ordine pubblico, non costituendo tale norma interna espressione di un principio statuale, in base al quale la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio. E ha da ciò dedotto, che la sentenza ecclesiastica, che abbia dichiarato la nullità del matrimonio religioso per esclusione di uno dei “bona matrimonii” manifestata all’altro coniuge, non può dirsi contraria, malgrado la intervenuta convivenza fra i coniugi, all’ordine pubblico italiano, e può, quindi essere dichiarata esecutiva nella Repubblica.