Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Luglio 2006

Sentenza 04 giugno 1969

Corte di Cassazione. Sezione VI penale. Sentenza 4 giugno 1969: “Vilipendio della religione dello Stato e divieto di discriminazione tra cittadini appartenenti a diverse confessioni”

Pres. Restaino, Est.Albanesi, P.M. Vaccaro (conf.) – ric. C,. Conferma Trib, Viterbo 29 novembre 1968.

(Omissis).

C. L., con sentenza del pretore di Civitacastellana veniva dichiarato colpevole dei reati di minacce aggravate continuate e di bestemmia e veniva assolto per insufficienza di prove dall’imputazione di ubriachezza. Avverso tale pronuncia proponeva appello e il tribunale di Viterbo accoglieva in parte l’impugnazione, perché concedeva le attenuati generiche, riducendo, con sentenza del 29 novembre iq6S, la pena complessiva inflitta dal primo giudice.
Nel ricorso per cassazione l’imputato denuncia col primo motivo inosservanza o erronea applicazione della legge penale in quanto le bestemmie non sarebbero state pronunciate pubblicamente; e col secondo motivo denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 724 c. p. e si duole che, in relazione a tale denuncia, proposta avanti i giudici di merito non si sia sospeso il giudizio, con rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
Ha carattere preliminare la denuncia dì incostituzionalità dell’ari. 724 c.p.
Nelle note aggiunte al motivi di ricorso si insiste nella denuncia sostenendo che con la configurazione del reato di bestemmia viene riservata ai credenti di fede cattolica una posizione privilegiata rispetto alle minoranze di altra confessione e ciò in violazione dell’art. 3 della Costi¬tuzione, che sancisce il principio che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica e di condizioni personali e sociali”.
La questione proposta è manifestamente infondata.
Invero, dalla legislazione giustinianea, che per prima previde e puri tale reato, ai tempi moderni, la configurazione del reato di bestemmia ha subito una profonda evoluzione. In passato la ragione della punizione fu ravvisata nell’offesa alla divinità, mentre, nella legislazione più recente, è considerata e punita l’offesa al sentimento religioso dei credenti.
Sotto questo profilo, la questione potrebbe inquadrarsi nel più ampio problema se la religione, che è in definitiva un’ideologia che accoglie le persone che professano un certo complesso di credenze, sia meritevole di una tutela particolare rispetto ad altre forme associative costituite anch’esse dalla fede in altre ideologie di natura politica, sociologica, ecc.
Problema di grande vastità e delicatezza, poiché l’organizzazione di ogni Stato è fondata sull’osservanza di un insieme di regole di costume, di tradizioni, di vincoli morali e sociali di indole varie e nella scala dei valori, che ciascuno di tali elementi può assumere nei diversi periodi di evoluzione sociale, il legislatore sceglie quelli che ritiene meritevoli di tutela penale.
E’, questa, una valutazione dì ordine politico che in questa sede non può essere posta in discussione.
Del resto la questione di incostituzionalità viene posta non sotto il profilo che la professione di credenze religiose non sia meritevole di tutela, ma sotto quello della violazione della par condicio dei credenti, in quanto la tutela è limitata preferenzialmente alla religione cattolica e non e estesa alle religioni minoritarie.
A parte il problema se una siffatta estensione sarebbe possibile, poiché le fedi religiose si frazionano in innumerevoli e non sempre ben definiti rivoli fino a perdersi nelle credenze superstiziose e bar¬bariche, sono da tenere presenti nella specifica questione da risolvere, le argomentazioni desumibili dalla sentenza n. 79 del 1958 della Corte costituzionale.
La denuncia dì incostituzionalità era stata proposta sostenendo che l’art. 724 c.p. è in contrasto con l’art. 7 della Costituzione che rimette ai Patti lateranensi la regolamentazione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica e con l’art. 2 che sancisce uguale libertà a tutte le confessioni religiose.
Osservava, allora, la Corte Costituzionale, richiamando e confermando la precedente pronuncia n. 125 del 1957 che la religione cattolica è la religione di Stato in virtù dei patti predetti i quali hanno, in definitiva, dato atto di un’antica ininterrotta tradizione del popolo italiano che nella quasi totalità appartiene a tale religione
E’ ovvia l’osservazione che se è la Costituzione a richiamarsi ai Patti lateranensi, che riguardano la religione cattolica, a tale religione è riservata una Posizione preminente dalla Costituzione stessa e non può fondatamente sostenersi che il riconoscimento di tale posizione sia incostituzionale.
Del resto, l’art. 3 della Costituzione, secondo l’interpretazione che in numerose sentenze ne ha dato la Corte costituzionale, non sopprime ogni differenziazione fra le varie possibili situazioni, ma esige che a situazioni eguali sia riservato uguale trattamento. La stessa Corte, esaminando l’eccezione di incostituzionalità riguardante l’ari. 402 c.p., ha osservato (sent. n. 39 del 31 maggio 1965) che la maggiore ampiezza ed intensità della tutela penale della religione cattolica corrisponde alla maggiore ampiezza ed intensità delle reazioni sociali che suscitano le offese ad essa.
Giova infine osservare che tale tutela non influisce sulla libertà sancita a favore delle altre religioni né sul libero svolgimento delle attività delle altre confessioni.
Va quindi dichiarata la manifesta infondatezza della questione d’illegittimità dell’art. 724 c.p.
Anche l’altro motivo di ricorso con il quale si sostiene che il reato non sussiste perché manca l’estremo della pubblicità del luogo dove le bestemmie furono pronunciate, è infondato.
Questa Corte in altre occasioni ha esaminato in termini la questione (sent. 13 dicembre 1940, ric. Costa) rilevando che la caserma dei Carabinieri è un pubblico ufficio e sussiste il reato quando la bestemmia sia preferita in presenza di qualche persona.
Non vi sono motivi per discostarsi da tale giurisprudenza.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

(Omissis).