Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Maggio 2008

Sentenza 03 maggio 2008, n.16850

Cassazione penale sez. III, 28 febbraio – 3 maggio 2007, n. 16850: "Tutela della riservatezza e trattamento illecito di dati".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITALONE Claudio – Presidente –
Dott. DE MAIO Guido – Consigliere –
Dott. MARMO Margherita – Consigliere –
Dott. SENSINI Maria Silvia – Consigliere –
Dott. SARNO Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
1) I.G., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 2 9/09/2005 CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. PIOPPA Maurizio (Palermo).

MOTIVAZIONE

I.G. fu rinviato al giudizio del giudice monocratico del Tribunale di Marsala, sez. distacc. di Mazara del Vallo, perchè rispondesse dei reati di cui agli artt.: a) 404 – 406 c.p. ("perchè, in aula sita presso (OMISSIS), rimuoveva il crocifisso e lo sostituiva con un calendario riproducente immagini della (OMISSIS)"; B) 528 c.p. ("perchè, con la condotta di cui al capo A, esponeva pubblicamente immagini oscene");
C) L. n. 675 del 1996, art. 35 ("perchè, al fine di recare danno ad A.G., divulgava via Internet i dati personali dello stesso, in violazione degli artt. 11, 20, 27 della predetta legge";
D) 684 c.p. ("perchè diffondeva via internet il contenuto della querela sporta dallo stesso nei confronti di A.G."), in (OMISSIS) tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS);
Con sentenza in data 15.11.2004 del menzionato giudice l' I. – mentre fu assolto dal reato di cui al capo A) perchè il fatto non costituisce reato e da quello di cui al capo B) perchè il fatto non sussiste – fu condannato alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni in favore della P.C., perchè riconosciuto colpevole del reati, unificati a titolo di continuazione, di cui ai capi C) e D).
A seguito di impugnazione dell'imputato, la Corte d'Appello di Palermo, con sentenza del 29.9.2005 in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all'art. 684 c.p., ridusse la pena inflitta e confermò nel resto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale deduce una censura formalmente unica di vizio di motivazione e violazione della L. n. 675 del 1996, art. 35 e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, innanzi tutto perchè il reato contestato, previsto all'epoca dei fatti dalla L. n. 675 del 1996, art. 35, sarebbe stato abrogato dal D.Lgs. n. 196 del 2003. Il motivo è infondato, essendo evidente che tra le due norme esiste continuità normativa, dovendosi solo precisare che mentre il reato di cui alla previgente L. n. 675 del 1996, art. 35, era a pericolo presunto perchè prevedeva solo come circostanza aggravante il nocumento per la persona alla quale i dati illecitamente trattati si riferiscono, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, ha tipizzato il citato nocumento, da intendersi riferito sia al soggetto stesso che al suo patrimonio, come condizione obiettiva di punibilità e ha introdotto anche un dolo specifico di danno; nelle due fattispecie sono, pertanto, identici sia l'elemento soggettivo caratterizzato dal dolo specifico, sia gli elementi oggettivi, in quanto le condotte di comunicazione e diffusione dei dati sensibili sono ora ricomprese nella più ampia dizione di trattamento dei dati sensibili (Cass. Sez. 3^, 28.5.2004 n. 30134, rv. 229472 e 1.7.2004 n. 28680, rv. 229465). Su tale ultimo punto, peraltro, non esiste contestazione alcuna, non avendone il ricorrente fatto oggetto di ricorso, mentre sul resto la sentenza impugnata non soffre censura alcuna avendo persuasivamente ed esattamente dimostrato l'esistenza degli elementi: a) del fine di trarre profitto (esattamente desunto dalle "stesse spiegazioni dell'imputato… avendo egli dichiarato di avere inserito la querela nel sito internet per difendersi dalle accuse mosse nei suoi confronti dall' A. e, quindi, per una utilità personale"); b)del nocumento ("costituito dal nocumento all'immagine del minore causato dalla notizia che era stata presentata contro di lui una querela, in cui gli venivano attribuiti dei comportamenti illeciti per i quali si chiedeva la punizione, nonchè per essere stato indicato, anche se indirettamente come maniaco sessuale").
Il ricorrente deduce anche che i giudici di merito "hanno errato nella valutazione del documento relativo alla vicenda processuale…, palesandosi un'erronea applicazione della legge penale per quanto attiene le norme che regolano la materia delle prove", perchè sarebbe emerso "senza ombra di dubbio che l'imputato ha inserito nel proprio sito internet la querela sporta da A.G., omettendo di scrivere il nome dello stesso alla scopo di tutelarne la privacy", mentre "la pagina web allegata all'atto querelatorio sarebbe stata ricavata, in buona fede, dallo stesso floppy disk che come tale non fornisce la garanzia della riproduzione fedele della schermata grafica presente sul sito internet in uso al prof. I."; ne deriva che non sarebbe stato dimostrato "che l' A. abbia subito un danno dall'inserimento della querela nella pagina web del sito internet del prof. I.". Anche tale motivo è infondato, in quanto i giudici di merito hanno univocamente dimostrato – "in base alla documentazione in a tti e, segnatamente dalla copia della querela inviata dal Preside dell'(OMISSIS) all'organo superiore (che risulta stampata dal Preside autonomamente rispetto a quella stampata da A.A., padre di G.) – l'infondatezza della tesi difensiva secondo cui l'imputato "avrebbe provveduto ad eliminare il nominativo dell' A. dal suo sito, in quanto dalla documentazione suindicata vi risulta invece indicato espressamente il nome A.G.". Trattasi di accertamento di fatto che, in quanto sorretto da logica ed adeguata motivazione, basata anche sulle dichiarazioni dei testi esaminati, è incensurabile in sede di legittimità e giustifica pienamente la conclusione che "il documento divulgato sul sito internet dall'imputato conteneva dati personali relativi al minore p.o". Le ulteriori deduzioni del ricorrente su tale specifico punto (comprese quelle relative alla richiesta di perizia) attengono a una diversa valutazione delle risultanze processuali, non consentita in questa sede. E, comunque, persuasivi e insuperabili sono anche gli ulteriori rilievi della sentenza impugnata secondo cui "l' A. era comunque pienamente identificabile, anche a prescindere dal suo espresso nominativo".
Sulla base dei rilievi esposti il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2007.
Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2007