Sentenza 03 dicembre 2009
Tribunale civile. Sentenza 3 dicembre 2009: "Enti ecclesiastici e svolgimento di attività imprenditoriali".
Tribunale di Paola – sentenza 3 dicembre 2009
Presidente Introcaso – Relatore Goggiamani
Premesso in fatto
Ha presentato richiesta per la dichiarazione di fallimento dell'Ente W il Pubblico Ministero allegando essere questo un ente ecclesiastico che gestisce attività sanitario-assistenziale, con dimensioni per indebitamento e patrimonio superiori a quelli previsti all'art. 1 l. fall., da tempo insolvente e con debiti scaduti e non pagati di circa euro 65.000.000.
Hanno, altresì, presentato ricorso ex art. 6 l. fall. X, Y e Z.
Sono state, infine, depositate istanze dei dipendenti dell'Ente omissis.
Disposta la riunione dei ricorsi e l'acquisizione di informazioni urgenti alla Guardia di Finanza, all'udienza del 22 settembre 2009, si è riscontrata la nullità della notifica del decreto di convocazione e se ne è disposto il rinnovo. Alla successiva udienza del 4 novembre 2009 si è costituita la Arcidiocesi XX eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva, stante la natura di ente autonomo di W, e nel merito sostenendo l'infondatezza dei ricorsi stante la natura del debitore di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.
Sentita nella stessa udienza la dott.ssa T, commissario straordinario dimissionario dell'Istituto, i ricorsi sono stati rimessi al Collegio per la decisione.
Considerato in diritto
È chiamato il Tribunale a verificare i presupposti per la declaratoria di fallimento dell'Ente W.
Stante le eccezioni spiegate dalla Arcidiocesi XX e la costituzione personale di taluni creditori il Tribunale è chiamato preliminarmente a risolvere talune questioni preliminari, mentre l'esame del merito richiede una riflessione specifica, stante la peculiarità del soggetto debitore.
1. La competenza del Tribunale di Paola.
Il Tribunale di Paola, è opportuno chiarire alla luce degli elementi istruttori raccolti, è stato correttamente individuato quale Giudice funzionalmente competente a conoscere delle istanze di fallimento dell'Ente W, tenuto conto, come prescritto dal secondo comma dell'art. 9 r.d. 267/1942, dell'esercizio dell'attività sino all'anno antecedente l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
L' Ente W ha, infatti, in … non solo la sede legale e gli immobili ove era esercitata la attività sanitario-assistenziale, ma anche la sede effettiva, essendovi lì il centro ove venivano prevalentemente svolte amministrazione e direzione.
Le circostanze che i commissari straordinari e prima di questi il Consiglio di amministrazione, incaricati della amministrazione dell'ente, risiedessero a … o lì deliberassero o avessero contatti con il Vescovo, in quanto organo di Vigilanza, non risulta rilevante come insegna la Suprema Corte (v. ex plurimis per l'irrilevanza della residenza dell'imprenditore Cass., 24.11.1983, n. 7029, per l'irrilevanza del luogo di riunione del consiglio di amministrazione 26/11/1999, n. 13182) essendo nella stessa sede della Casa di riposo che, per il tramite di uno staff amministrativo e sanitario, veniva organizzato e gestito il personale, venivano tenuti rapporti con i fornitori ed adottate le direttive sanitarie concernenti gli ospiti ricoverati (v. elementi desumibili dalla relazione della Guardia di Finanza, ricostruzione degli amministratori giudiziari nominati dal P.M. – rectius custodi giudiziari per la gestione economico – e documentazione allegata, nonché quella prodotta dai dipendenti).
2. Delimitazione dei soggetti del giudizio.
La presentazione di ricorsi presentati da taluni dipendenti dell'istituto personalmente nonché l'eccepito difetto di legittimazione passiva della Arcidiocesi di XX impongono un preliminare chiarimento sui “confini” soggettivi del presente procedimento.
Dal lato attivo, anzitutto, occorre dare atto della inammissibilità delle richieste presentate dai dipendenti personalmente omissis.
Ritiene, infatti, il Collegio, al pari di altri Tribunali, che a seguito della novella di cui al d.lgs. 5 del 2006 non possano più ammettersi, come in passato, ricorsi presentati personalmente dai creditori in difetto di difesa tecnica. La previsione nella legge riformata dell'espresso rinvio per la trattazione del procedimento a quella propria dei procedimenti in camera di consiglio, della formalizzazione del contradditorio prefallimentare tra le parti, di un'istruttoria probatoria articolata e compiuta inducono univocamente alla applicazione della regola generale di cui all'art. 82 c.p.c.
Dal lato passivo è necessario, invece, chiarire che il ricorso non è stato notificato all'Arcidiocesi di XX quale soggetto autonomo, controllore dell'Ente W, bensì all'Arcivescovo di XX in qualità di rappresentante legale dell'Istituto.
Se è vero, infatti, che dal registro delle imprese risulta rappresentante legale ancora il commissario straordinario dott.ssa T, questa, con dichiarazione non contraddetta dalla difesa dell'Arcivescovo, ha affermato di avere rimesso le proprie dimissioni nelle mani del Vescovo, sicché trova spazio applicativo la suppletiva clausola statutaria a mente della quale nelle ipotesi del venir meno dell'organo di rappresentanza «al fine di garantire la continuità amministrativa e legale della fondazione … l'Arcivescovo … assume tutti i poteri legali e funzionali anche di rappresentanza».
La mancata pubblicizzazione della cessazione del commissario straordinario dalla sua carica, d'altro canto, non induce a diversa conclusione, non venendo in rilievo una questione di opponibilità ai terzi degli atti compiuti da chi appare rappresentante, bensì di esatta individuazione del contraddittore per il giudizio di fallimento.
Così superate le questioni preliminari, può il Collegio procedere alla disamina del merito delle istanze di fallimento, prendendo le mosse dall'esame della questione, controversa tra le parti, della fallibilità del resistente dal punto di vista soggettivo.
3. La natura dell'istituto e la questione della fallibilità.
L'Istituto Ente W ha la forma giuridica dell'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ai sensi dell'art. 29 lettera d) del Concordato tra Stato Italiano e Santa Sede dell'11.2.1929 per effetto del d.P.R. n. 311/1976, munito, in quanto tale, di personalità giuridica.
Avendo la normativa pattizia inteso tenere nettamente distinto il regime del soggetto ecclesiastico ed il regime delle attività da questo svolte (v. Relazione ai principi del Protocollo del 1984 elaborata dalla Commissione paritetica Stato Italiano e Santa Sede), tale tipologia di ente, è sottoposto, in relazione alle attività esercitate diverse da quelle di religione e culto alle leggi dello Stato e al regime tributario previste per le medesime (art. 7 n. 3 co. 2 dell'accordo tra Repubblica Italiana e Santa Sede del 18 febbraio 1984, art. 15 l. n. 222 del 1985).
Devono, dunque, applicarsi in toto le leggi civili alle attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, alle attività commerciali o a scopo di lucro poste in essere dagli enti ecclesiastici (art. 16 l. n. 222/1985).
La ora illustrata premessa normativa è di aiuto nel risolvere il quesito della fallibilità degli enti ecclesiastici, sul quale si fronteggiano una tesi che sostiene l'incompatibilità logica tra ente ecclesiastico ed impresa, in ragione dei rispettivi inconciliabili fini e forte della previsione dell'art. 149 dpr 917/1986 (testo unico delle imposte sui redditi a mente della quale ai fini tributari non sono considerati enti commerciali gli enti ecclesiastici), ed un opposto orientamento secondo il quale la natura ideale dell'ente non gli impedisce l'assunzione della veste di imprenditore ove l'attività esercitata abbia le caratteristiche dell'attività commerciale.
Ebbene, stante la chiara previsione dell'art. 16 della l. n. 222/1985 di soggezione alle leggi civili delle attività degli enti ecclesiastici diverse dalla religione ed il culto, la ricordata voluntas legis di distinguere il regime dei soggetti ed il regime delle attività con negazione di uno statuto speciale per siffatti enti, l'insensibilità della natura oggettivamente commerciale di una attività rispetto agli scopi ultimi perseguiti (v. in giurisprudenza, Cass., sez. III, 26 settembre 2006, n. 20815; sez. III, 5 marzo 2004, n. 4573; Cass., sez. lav., 12 ottobre 1995, n. 10636 e 19 dicembre 1990, n. secondo cui «il fine spirituale o comunque altruistico perseguito non pregiudica l'attribuzione del carattere dell'imprenditorialità, ove la prestazione sia oggettivamente organizzata in modo che essa sia resa previo compenso adeguato al costo del servizi»), la espressa considerazione normativa della possibilità di svolgimento da parte dell'ente ecclesiastico di attività commerciali o a scopo di lucro (art. 16 l. n. 222/1985 e art. 1 d.lgs. n. 155/2006) e la osservazione che la disposizione del Tuir ha portata limitata alla previsione di esenzioni fiscali e non una valenza generale nell'ambito civilistico (v. Cass. Sez. 1, del 20/06/2000, n. 8374) non ha dubbi il Collegio ad aderire all'orientamento per cui ove l'ente ecclesiastico svolga stabilmente attività organizzata di produzione o scambio di beni e servizi con metodo economico sia imprenditore (per la riconosciuta qualifica di imprenditore a enti ecclesiastici in materia lavoristica v. Cass. Sez. Lav., 12/10/1995, n. 10636 e 19/12/1990 n. 12039 con riguardo alla Congregazione delle suore di S. Carlo di Nancy; 20.10.2000/5.1.2001, n. 97 relativa all'Istituto Scolastico Beata Maria De Mattias; Sez. Un., 29/10/1982, n. 5658 e Sez. Lav., 15/2/1980 con riguardo alla Casa sollievo della sofferenza di S. Giovanni Rotondo; Sez. Lav., 9/2/1989, n. 819 relativa al Piccolo Cottolengo don Orione; 14/06/1994, n. 5766, riguardante l'Ospedale del Bambino Gesù).
Ove l'ente ecclesiastico si faccia imprenditore dovrà, dunque, applicarsi la relativa disciplina ivi compresa quella fallimentare.
Tale finale assunto di inconfigurabilità di deroghe per gli enti ecclesiastici-imprenditori nella specifica applicazione della legge fallimentare risulta confortato da due elementi normativi, l'uno diretto, l'altro indiretto.
In primo luogo, la limitazione soggettiva alla regola generale della fallibilità dell'imprenditore commerciale prevista dall'art. 1 l. fall., per i soli casi “nominati” degli enti pubblici e del modesto imprenditore, proprio per la sua natura di eccezione, non tollera estensioni analogiche, mentre la diversità ontologica tra ente pubblico ed ente ecclesiastico impedisce la possibilità di una annessione per la via dell'interpretazione estensiva del secondo ente al primo. La legge fallimentare, dunque, sottopone l'ente ecclesiastico-imprenditore insolvente alla regola generale del fallimento.
In secondo luogo, il legislatore di recente ha in via implicita rafforzato l'applicazione della regola generale di fallibilità degli enti ecclesiastici insolventi con la normativa sull'impresa sociale di cui al d.lgs. n. 155 del 2006. Tale disciplina prevede, infatti, in via generale per le organizzazioni che esercitano impresa sociale la responsabilità limitata ai beni destinati all'impresa sociale (art. 6) e la sottoposizione di tali soggetti alla liquidazione coatta amministrativa in caso di insolvenza (art. 15), ma eccettua dall'applicazione di tale “statuto di responsabilità” proprio agli enti ecclesiastici sul presupposto di una mancanza di distinzione tra beni destinati all'esercizio dell'impresa sociale e beni dell'ente (così espressamente la relazione al decreto sub art. 6). La normativa intende, quindi, assoggettare alle regole generali della responsabilità e della fallibilità gli enti ecclesiastici-imprenditori.
Adottata, dunque, l'opzione esegetica della fallibilità in astratto dell'ente ecclesiastico-imprenditore, la verifica della fallibilità si sposta, allora e piuttosto, sul piano concreto del riscontro dell'effettivo svolgimento dell'attività di impresa da parte della persona ecclesiastica.
Ebbene, senza dubbio l'istituto Ente W esercita stabilmente attività di produzione di un servigio in via organizzata, in quanto sin dal 1992 eroga servizi sanitari-assistenziali in regime di convenzionamento tramite una complessa organizzazione di mezzi e persone (circa 600 dipendenti e struttura immobiliare valutata milioni di euro), ma il punto critico per la verifica dello svolgimento della attività imprenditoriale ai sensi degli artt. 2082 e 2195 c.c. sta nello stabilire se tale attività sia anche improntata alla obiettiva economicità, intesa nell'attitudine a rimborsare i fattori della produzione impiegati mediante il corrispettivo ricavato dai beni e dai servizi prodotti o scambiati.
La giurisprudenza formatasi in materia lavoristica sulla configurabilità degli enti ecclesiatici-impresa non a caso si concentra proprio su tale delicato e dirimente riscontro.
Ebbene, mentre è facile, in proposito, affermare che non vi è attività imprenditoriale nel caso di cessioni di beni o erogazione di servizi in modo del tutto gratuito (v. Cass. 5766/1994) problematica può essere l'analisi di quelle attività svolte sotto costo, per essere oggetto di una qualche remunerazione, ma senza aspirazione alla copertura dei costi.
L'analisi, in verità, diviene meno difficoltosa evitando di sovrapporre il piano del riscontro della sussistenza di una remunerazione dell'attività in modo tendenzialmente adeguato al costo del servizio con il piano del risultato della gestione del servizio (cfr. per la distinzione dei due aspetti, Cass. Sez. Lav., 1138/1980 e 10636/1995), con distinguo tra il momento di scelta a monte di chi si appresti ad erogare un servizio se farlo dentro o fuori il mercato e momento di valutazione a valle dei risultati di chi abbia erogato servizi ponendosi nel mercato.
In termini ancor più concreti, nel riscontro dell'adozione del metodo economico deve tenersi presente che una cosa è la prestazione resa senza curarsi della remunerazione dei fattori di produzione proprio per gli intenti ideali dell'ente, e cosa ben diversa è la prestazione resa sul mercato con incapacità a ricoprire i costi per inefficienza o per scorretta analisi economica con accumulo di passività. È, d'altronde, precipuamente per tale seconda evenienza che è pensata la procedura fallimentare.
Calate queste considerazioni alla fattispecie in esame, nell'analisi della attività svolta dall'Istituto resistente deve soffermarsi l'attenzione sul finanziamento del costo del servizio e sugli strumenti adoperati per erogarlo e non sull'ingentissimo passivo registratosi nei bilanci di tutti gli ultimi anni.
Ebbene, sotto il primo punto di vista risulta dagli atti dell'istruttoria pre-fallimentare che l'Ente W svolgeva l'attività di assistenza socio-sanitaria inserito nel sistema integrato del servizio socio-assistenziale (v. d.lgs. 502/1992 e l. 328/2000) con conseguente ottenimento per le prestazioni rese di rette giornaliere per ciascun ospite a carico, a secondo della tipologia di prestazione, totalmente pubblico o in parte pubblico ed in parte dell'ospite con un certo reddito, rette la cui misura viene definita dalle Regioni per tutti gli operatori socio-assistenziali sulla base dei costi diretti, indiretti, amministrativi e generali proprie delle prestazioni socio-assistenziali (per personale, mantenimento ed ammortamento delle strutture, forniture, organizzazione).
Sotto il profilo organizzativo, poi, l'ente al fine di erogare tali prestazioni si era dotato di un ingente numero di personale dipendente (405 figure professionali e 133 addetti ai servizi, v. prospetto n. 160 documenti depositati dal P.M.) medico, infermieristico e professionale richiesto in considerazione della tipologia di prestazioni erogate (v. legislazione settoriale e delibere regionali in materia) nonché di addetti ai servizi per la gestione dei servizi non esternalizzati.
La attività del resistente, in considerazione, dunque, della remunerazione ottenuta commisurata ai costi medi necessari e pari a quella ottenuta da tutti i privati operanti nel sistema integrato socio-assistenziale e della organizzazione specifica approntata, è ben lontana da un complesso di prestazioni sostenuto con ricorso alla beneficenza o a generici contributi pubblici ed approntato con organizzazione non in toto professionale e dunque reso fuori dal mercato con intento (in tutto o in parte) gratuito.
L'istituto, piuttosto, dalla sua originaria veste di soggetto erogatore di assistenza benefica ai bisognosi, nel tempo è divenuto erogatore professionale di attività socio-assistenziale con l'obiettivo della remunerazione dei fattori di produzione.
D'altra parte negli anni l'Istituto spese espressamente la qualifica di imprenditore, come si ricava dalla circostanza che chiese ed ottenne sgravi contributivi riservati alle imprese industriali del mezzogiorno di cui al decreto n. 918/1968 (v. pag. 4 sentenza fascicolo X ove si riporta decisione passata in giudicato che riconobbe lo sgravio al richiedente ENTE W) e fu considerato implicitamente tale ai fini dell'assoggettabilità alla disciplina sui licenziamenti collettivi (L. 223/1991) (v. Cass. Sez. lavoro 11/4/2003, n. 2003; e sez. Un. 2/4/1990, n. 2656).
4. I presupposti dimensionali ed oggettivo.
Al contrario che per quanto osservato per il presupposto soggettivo per la fallibilità dell'essere imprenditore, è agevole riscontrare la sussistenza degli ulteriori presupposti per la dichiarazione di fallimento.
L'ente, infatti, secondo la documentazione contabile acquisita, è imprenditore che supera di gran lunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 1 l. fall., con ammontare di scaduti e non pagati notevolmente superiore alla soglia di euro 30.000 stabilita dall'ultimo comma dell'art. 15 l. fall. e si trova in palese stato di insolvenza.
L'emersione di plurimi e consistenti inadempimenti verso l'erario, i fornitori e l'Inps, di plurimi decreti ingiuntivi, di molteplici azioni esecutive pendenti, della chiusura della sede, della avviata procedura di licenziamento collettivo, delle enorme passività riscontrabili in bilancio (perdita di esercizio euro 4.213.523,42 per il 2008 ed oscillante tra i 3.000.000 e gli 8.000.000 negli anni precedenti), dimostrano chiaramente come l'imprenditore non abbia più credito di terzi e mezzi finanziari per soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni.
Per tutte le argomentazioni espresse va, allora, dichiarato il fallimento Ente W.
È appena il caso di ricordare, con riguardo alla ultima prospettazione difensiva dell'Arcidiocesi, che il fallimento non implica l'estinzione dell'ente ecclesiastico (cfr. art. 118 l. fall., 2484 c.c., art. 20 l. n. 222/1985), nel pieno rispetto del principio di separazione tra soggetto ecclesiastico e regime delle attività da questo svolte.
5. Considerato, infine, che dal procedimento emergono condotte in astratto penalmente rilevanti per le quali già pende procedimento penale (v. decreto di rinvio a giudizio) e sul quale l'odierna sentenza potrebbe incidere, dispone la trasmissione degli atti al P.M. in sede, per le valutazioni di competenza.
P.Q.M.
Il Tribunale sui ricorsi di cui in epigrafe così provvede:
1) Dichiara inammissibili i ricorsi presentati da omissis;
2) Dichiara il fallimento dell'Ente W, con sede in …;
3) Nomina Giudice Delegato la Dott.ssa Francesca Goggiamani;
4) Nomina curatore il Dott. omissis;
5) Ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, entro tre giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza;
6) Ordina che il curatore proceda, secondo gli artt. 752 ss. c.p.c. e 84 l. fall. all'immediata apposizione dei sigilli su tutti i beni mobili che si trovino presso la sede principale dell'impresa nonché su tutti gli altri beni del debitore, ovunque essi si trovino, autorizzandolo a richiedere l'ausilio della forza pubblica;
7) Fissa l'adunanza per l'esame dello stato passivo il giorno … ore … davanti al Giudice Delegato (presso il palazzo di Giustizia, piano primo), avvertendo il fallito che può chiedere di essere sentito ai sensi dell'art. 95 l. fall., e che può intervenire nella predetta udienza, per essere sentito del pari sulle domande di ammissione al passivo;
8) Assegna ai creditori ed ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito il termine perentorio di giorni 30 prima dell'adunanza come sopra fissata per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione, avvertendoli che le domande depositate oltre il predetto termine saranno considerate tardive ai sensi e per gli effetti dell'art. 101 l. fall.;
9) Ordina che ai sensi dell'art. 17 l. fall., la presente sentenza sia notificata al debitore, comunicata per estratto al curatore, al Pubblico Ministero ed ai creditori istanti, nonché trasmessa per estratto all'ufficio del registro delle imprese per l'annotazione;
10) Dispone la trasmissione degli atti al P.M. in sede per quanto di competenza.
Autore:
Tribunale Civile
Dossier:
Enti religiosi, Italia, CESEN
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Enti ecclesiastici, Attività imprenditoriale, Attivitià commerciali, Fallimento, Servizi sanitari ed assistenziali
Natura:
Sentenza