Sentenza 02 febbraio 1993, n.79
Corte d’Appello Civile di Trieste. Sentenza 2 febbraio 1993, n. 79.
(Ambrosi; Bassi)
(omissis)
Motivi della decisione
Osserva la Corte che l’azione proposta dagli attori deve qualificarsi come azione di accertamento della validità e della efficacia del contratto “di affrancazione” del 10.1.1985 dei fondi serventi dal diritto di servitù intavolato a favore del fondo dominante (casa n. 64, P.T. 63 del Comune Catastale di Ugovizza), di proprietà delle convenute.
Qualora l’azione proposta e la conseguente domanda venisse accolta, il Fondo Edifici di Culto potrebbe richiedere, sulla base della relativa sentenza, l’intavolazione della cancellazione di detto diritto.
In sostanza il Giudice Tavolare, ed il Tribunale in sede di reclamo contro il decreto tavolare di quest’ultimo, hanno negato la richiesta cancellazione ritenendo nullo il contratto, avendo esso asseritamente per oggetto un diritto inalienabile, indivisibile e vincolato alle attività agro-silvo-pastorali e connesse secondo il disposto dell’art. 11 della legge 3/12/1971 n. 1102.
Poiché il procedimento per l’attuazione della pubblicità tavolare è un procedimento di volontaria giurisdizione, l’esaurimento dei gradi di detto procedimento non può pregiudicare la facoltà dell’interessato di agire in via contenziosa per far accertare il suo diritto (nella fattispecie in esame, alla liberazione del fondo servente dalla servitú) (Cass. 23/7/1983 n. 5079), tanto è vero che contro il decreto, in sede di reclamo, del Tribunale o della Corte d’Appello, emesso ai sensi degli artt. 126 e segg. Legge tavolare, non è ammesso ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.
Non è invece possibile ordinare al Giudice Tavolare, come richiedono gli appellanti, di provvedere alla negata intavolazione (della cancellazione), in quanto, sulla base del titolo costituito dal contratto e dalla sentenza emessa in questa sede contenziosa, il Giudice Tavolare dovrà provvedere sulla base di nuova domanda (che prenderà grado dalla data della domanda stessa), e sempre che lo stato tavolare lo consenta (art. 94 Legge Tav.), e che i documenti (titoli) a corredo della domanda presentino i requisiti voluti dalla legge e provengano dal c.d. predecessore tavolare ovvero (se giudiziali) si siano formati in contraddittorio con la parte a ciò legittimata (artt. 26 e 27 Legge Tav.; art. 94 Legge Tav.), che è pur sempre il predecessore tavolare (o i suoi successori).
Ciò premesso, la Corte osserva che la servitù poteva essere “affrancata” mediante un contratto di diritto privato concluso fra i proprietari del fondo dominante e di quello servente. Infatti, come risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione del 22/12/1938 (pubblicata il 13/3/1939), confermativa della sentenza della Corte d’Appello di Roma-Sezione speciale per la definizione delle controversie in materia di usi civici del 5/30 luglio 1937, parte delle servitù della Val Canale, come quella di cui è causa, già di carattere collettivo, per effetto della decisione del 27/12/1871, emessa dall’I.R. Governo provinciale della Carinzia, quale prima istanza in affari di affrancazione e regolazione degli oneri reali in relazione alla Patente Imperiale (ex A.U.) del 5/7/1853 B.L.I. n. 130, si sono trasformate in vere e proprie servitù prediali, di natura privatistica, disciplinate dal Codice Civile e attribuite non già ad una collettività, bensì a beneficio di fondi specificatamente individuati (quali fondi dominanti), con conseguente cessazione del precedente carattere collettivo del godimento. Non tutti i precedenti diritti di godimento collettivo sono stati trasformati in diritti di servitù prediali, ma alcuni sono rimasti in favore della collettività, amministrate da organi collettivi, chiamati “vicinie”. Solo per i diritti spettanti a dette collettività si applica la legge 3/12/1971 n. 1102 (artt. 10 e 11), che ha previsto per gli stessi l’intavolazione come diritto “inalienabile, indivisibile e vincolato alle attività agro-silvo-pastorali e connesse” (salva l’eventuale efficacia innovativa della legge n. 222/85 – artt. 63 e 64).
Questa affermazione trova chiara conferma nella lettera degli articoli citati, che si riferiscono solo alle “comunioni familiari” e non già ai singoli privati.
Ne consegue che il diritto di servitù oggetto della presente causa era ed è disponibile e suscettibile di estinzione per volontà dei proprietari dei fondi dominanti e serventi (“affrancazione”) ed il relativo contratto è valido ed efficace.
A questo punto deve rilevarsi che non è del tutto chiaro se il diritto di servitù spettante al fondo dominante costituito dalla casa n. 64 di Ugovizza, iscritta nella P.T. 63 del C.C. di Ugovizza, sia stato intavolato, a peso dei fondi costituiti dal corpo tavolare 2º della P.T. 115 del C.C. di Ugovizza (di proprietà del Fondo Edifici Culto), appunto come inalienabile, indivisibile e vincolato alle attività agro-silvo-pastorali e connesse. Infatti agli atti vi è bensì il decreto tavolare del Giudice Tavolare di Pontebba del 30/3/1976 GN. 56/78 di intavolazione di una servitù con le limitazioni e i vincoli di cui sopra, ma il decreto non riguarda la servitù oggetto della presente causa, atteso che i fondi dominanti sono quelli compresi nella P.T. 118 del C.C. di Ugovizza, non di proprietà delle convenute, ma di proprietà del “Consorzio Vicinale di Ugovizza”.
Qualora il diritto di servitù di cui alla presente causa fosse stato a suo tempo intavolato come inalienabile, indivisibile e vincolato (ai sensi dell’art. 11 della L. 3/12/1971 n. 1102), la domanda proposta dagli odierni attori, così come formulata nelle sue varie articolazioni, può essere qualificata anche come azione in cancellazione (impugnazione in via contenziosa di una intavolazione) di cui agli artt. 61 e ss. Legge Tav., e in particolare in quella disciplinata dall’art. 62 della legge citata. In sostanza gli attori mirano ad ottenere una sentenza che possa porre in essere le condizioni per ottenere l’intavolazione della cancellazione del diritto di servitù, per cui, oltre all’accertamento della validità ed efficacia del contratto di “affrancazione”, l’eliminazione dell’iscrizione della servitù come inalienabile, indivisibile e vincolata, erroneamente intavolato con dette caratteristiche, pronuncia che gli odierni attori potevano eventualmente ottenere in sede di reclamo tavolare ex artt. 126 e segg. Legge Tav., ma che possono ottenere altresì in via contenziosa, atteso che l’impugnazione in via contenziosa, come è stato esattamente osservato dalla dottrina, significa non soltanto impugnazione del titolo sulla cui base l’intavolazione stessa è stata accordata, ma anche impugnazione fondata su un vizio dello stesso decreto tavolare, e in tal caso l’azione di cancellazione concorre con il rimedio del reclamo (eventualmente non più esperibile per decorso dei termini).
Poiché nella fattispecie in esame non viene impugnato il titolo in base al quale la servitù è stata intavolata come inalienabile, indivisibile e vincolata, bensì il decreto stesso in forza del quale l’intavolazione medesima è stata eseguita, non potrebbe opporsi alcuna prescrizione (l’art. 62 Legge Tav. si riferisce alla prescrizione prevista per l’impugnazione del titolo), a parte la circostanza che, nella presente causa, non è stata sollevata alcuna eccezione di prescrizione.
In conclusione, qualora il diritto di servitù fosse stato intavolato come inalienabile, indivisibile e vincolato, ciò non sarebbe di ostacolo ad una futura intavolazione della cancellazione della servitù in forza del contratto di “affrancazione” (con la presente pronuncia dichiarato valido ed efficace), atteso che l’intavolazione della servitù con le caratteristiche di cui sopra andrebbe dichiarata illegittima e cancellata in accoglimento della domanda ex art. 62 Legge Tav.
In effetti la Corte ritiene che possa e debba essere emessa detta pronuncia in quanto dal decreto tavolare GN. 295/37 del 28.5.1988 del Giudice Tavolare di Pontebba si ricava indirettamente che il diritto di servitù è stato a suo tempo intavolato come “inalienabile, indivisibile e vincolato alle attività agro-silvo-pastorali e connesse”.
Le spese di lite vanno integralmente compensate fra le parti atteso che le convenute non si sono opposte alle domande e non si sono costituite.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente giudicando sull’appello proposto con atto di citazione notificato il 27/9/1991 dagli attori Fondo Edifici di Culto e Ministero dell’Interno avverso la sentenza del Tribunale di Trieste in data 21/11/1990, in riforma dell’impugnata sentenza, così provvede:
1. – dispone l’intavolazione della cancellazione della iscrizione della qualificazione del diritto di servitú come “inalienabile, indivisibile e vincolato alle attività agro-silvo-pastorali e connesse” intavolato a peso del c.t. 2º della P.T. 115 del C.C. di Ugovizza di proprietà del Fondo Edifici di Culto e a favore della casa n. 64 di Ugovizza, iscritta nella P.T. 63 del C.C. di Ugovizza, di proprietà di Scheider Maria e Scheider Erminia;
2. – dichiara valido ed efficace il contratto stipulato in data 10/1/1985 n. 5669, reg.to a Udine l’11/1/1985 al n. 413 Serie 1 – Atti Pubblici;
(omissis)
Autore:
Corte d'Appello - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Fondo edifici di culto, Beni, Proprietà, Cancellazione, Iscrizione, Foresta di Tarvisio, Legnatico, Servitù, Trasformazione, Prediale, Vincolo agro-silvo-pastorale
Natura:
Sentenza