Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 8 Dicembre 2004

Sentenza 02 dicembre 2004, n.372

Corte Costituzionale. Sentenza n. 372 del 2 dicembre 2004: “Statuto della Regione Toscana: inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate dal Governo”.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Valerio ONIDA Presidente
– Carlo MEZZANOTTE Giudice
– Guido NEPPI MODONA ”
– Piero Alberto CAPOTOSTI ”
– Annibale MARINI ”
– Franco BILE ”
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 9 agosto 2004, depositato in Cancelleria il 12 successivo ed iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2004.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avv. Stefano Grassi per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 9 agosto 2004, depositato il successivo 12 agosto 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, in riferimento agli articoli 2, 3, 5, 24, 29, 48, 97, 113, 114, 117, secondo comma, lettere e), f), i), l), p), s), terzo, quinto e sesto comma, 118, 121, 122, 123, 138 della Costituzione.

1.1. — L’art. 3, comma 6, dello statuto impugnato stabilisce che “la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati”.
Questa norma, secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale che riserva ai cittadini l’elettorato attivo (art. 48 della Costituzione) e non sarebbe finalisticamente rispettosa delle attribuzioni costituzionali dello Stato, in quanto il potere di revisione costituzionale è riservato al Parlamento nazionale (art. 138 della Costituzione). Inoltre, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere f) e p), della Costituzione, in virtù del quale spetta allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia elettorale concernente gli organi statali e degli enti locali, nonché l’art. 121, secondo comma, della Costituzione, poiché limiterebbe il potere di iniziativa legislativa del Consiglio regionale.

1.2. — L’art. 4, comma 1, lettera h), dello statuto in esame dispone che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il riconoscimento delle altre forme di convivenza” con previsione che, ad avviso della difesa erariale, potrebbe costituire la base statutaria di future norme regionali recanti una disciplina dei rapporti tra conviventi lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “cittadinanza, stato civile e anagrafi” e di “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma, lettere i) e l), Cost.)
La norma violerebbe, inoltre, l’art. 123 della Costituzione, ed il limite della “armonia con la Costituzione”, qualora con essa si “intenda affermare qualcosa di diverso dal semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignità” della convivenza tra uomo e donna fuori del vincolo matrimoniale, ovvero si “intenda affermare siffatti valori con riguardo ad unioni libere e relazioni tra soggetti del medesimo sesso”, in contrasto con i principi costituzionali, in relazione a situazioni divergenti dal modello del rapporto coniugale, estranee al contenuto delle garanzie fissate dall’art. 29 della Costituzione, non riconducibili alla sfera di protezione dell’art. 2 della Costituzione.
La norma si porrebbe in contrasto anche con l’art. 123 della Costituzione, in quanto avrebbe un contenuto estraneo ed eccedente rispetto a quello configurabile quale “contenuto necessario” dello statuto, non esprimerebbe un interesse proprio della comunità regionale e neppure avrebbe contenuto meramente programmatorio, violando altresì il principio fondamentale di unità (art. 5 della Costituzione) e realizzando una ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

1.3. — L’art. 4, comma 1, lettere l) e m), dello statuto in esame stabilisce che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali” (lettera l), nonché “la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico” (lettera m).
Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in quanto prevede la tutela dell’ambiente e la tutela dei beni culturali.
La lettera m) recherebbe vulnus anche all’art. 118, comma terzo, della Costituzione, che riserva alla legge statale la disciplina di forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

1.4. — L’art. 4, comma 1, lettere n), o) e p), dello statuto della Regione Toscana stabilisce quali finalità prioritarie: “la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità dell’ambiente” (lettera n); “la valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese” (lettera o); “la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei” (lettera p).
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, queste norme avrebbero lo scopo di offrire una base statutaria a future leggi regionali in contrasto con la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della “tutela della concorrenza” (art.117, secondo comma, lettera e), della Costituzione) e lesive, in riferimento al settore della cooperazione, “inteso come disciplina delle diverse forme e tipologie” di quest’ultima, della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art.117, secondo comma, lettera l), della Costituzione).

1.5. — L’art. 32, comma 2, dello statuto in esame, disponendo che “il programma di governo è approvato entro dieci giorni dalla sua illustrazione”, secondo la difesa erariale, non sarebbe coerente con l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, poiché l’approvazione consiliare del programma di governo – predisposto ed attuato dal Presidente ai sensi dell’art. 34 dello statuto – instaurerebbe, irragionevolmente e contraddittoriamente, tra Presidente e Consiglio regionale, un rapporto diverso rispetto a quello conseguente all’elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo prevista dal comma quinto dell’art. 122 della Costituzione.

1.6. — Il ricorrente censura l’art. 54, commi 1 e 3, dello statuto della Regione Toscana nelle parti in cui dispone che “tutti hanno diritto di accedere senza obbligo di motivazione ai documenti amministrativi” (comma 1) ed esclude l’obbligo della motivazione per gli atti amministrativi “meramente esecutivi”, in quanto queste norme si porrebbero in contrasto: con i principi costituzionali di efficienza e trasparenza (art. 97 della Costituzione), permettendo un controllo non filtrato dell’attività dell’amministrazione, non giustificato dall’esigenza di protezione di interessi giuridicamente rilevanti; con il principio di effettività della tutela contro gli atti dell’amministrazione, poiché ostacolerebbero la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi da parte dei controinteressati, in violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione; con l’art. 3 della Costituzione, poiché dalla differenza di disciplina nelle diverse regioni deriverebbe una tutela non omogenea delle situazioni giuridiche soggettive.

1.7. — L’art. 63, comma 2, dello statuto in oggetto stabilisce che “la legge, nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, può disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni conferite per assicurare requisiti essenziali di uniformità”.
Secondo la difesa erariale, la norma vulnera sia l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che riserva alla potestà regolamentare degli enti locali la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni amministrative ad essi attribuite, sia l’art. 118 della Costituzione, in quanto eventuali esigenze di esercizio unitario delle funzioni, in virtù del principio di sussidiarietà, giustificherebbero esclusivamente il mantenimento di determinate funzioni legislative al livello di governo regionale, non già l’attribuzione delle predette all’ente locale e la contestuale espropriazione di quest’ultimo dei poteri allo stesso spettanti per regolamentarne l’organizzazione ed il funzionamento. Inoltre, la disposizione violerebbe l’art. 114 della Costituzione ed il principio di leale collaborazione nell’esercizio di compiti amministrativi che interessano più enti fra quelli considerati, in modo equiordinato, nella norma costituzionale.

1.8. — L’art. 64, comma 2, dello statuto della Regione Toscana, disponendo che “la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli enti di istituirli”, ad avviso del ricorrente, sottenderebbe margini di autonomia regionale più ampi di quelli stabiliti dall’art. 119 della Costituzione, i cui limiti non sono stati richiamati, prefigurando, “direttamente ed immediatamente”, relativamente alla disciplina dei tributi degli enti locali, “un determinato rapporto tra fonti normative (legge regionale, per la parte coperta da riserva di legge, e normativa locale, per quanto concerne l’istituzione e gli altri aspetti non coperti da riserva di legge) che è invece solo uno di quelli possibili, costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art. 119 Cost.”.

1.9. — L’art. 70, comma 1, dello statuto in esame stabilisce che “gli organi di governo e il consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette alla formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale”.
La difesa erariale sostiene che la norma violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, in virtù del quale la partecipazione delle Regioni alla formazione ed attuazione degli atti comunitari deve avvenire secondo le norme stabilite dalla legge statale.

1.10. — L’art. 75, comma 1, dello statuto della Regione Toscana disciplina il referendum abrogativo, disponendo, al comma 4, che “la proposta di abrogazione soggetta a referendum è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali e se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi”.
La norma, in questa parte, secondo il ricorrente, violerebbe il principio di ragionevolezza, in quanto la disciplina del principale strumento di democrazia diretta e la valutazione del suo esito non risulterebbero connessi alla consistenza effettiva del corpo elettorale, in base ad un corretto principio di democrazia partecipativa correlato a quello del suffragio universale, bensì ad un dato casuale e contingente, privo di significatività. Inoltre, non ragionevolmente la disposizione non terrebbe conto della differente natura della consultazione referendaria rispetto alle elezioni regionali e del diverso interesse che le due consultazioni popolari rivestono per il cittadino sia in relazione al loro diverso oggetto (scelta dei rappresentanti negli organi legislativi ovvero diretta decisione politica su problemi e discipline specifiche), sia in relazione alle diverse modalità di espressione e di computo del voto nell’una e nell’altra consultazione.
Queste considerazioni, ad avviso della difesa erariale, sarebbero confortate dalla constatazione che la linea di tendenza più recente dimostra che vi è un progressivo aumento dell’astensionismo elettorale, il quale “potrebbe portare, sulla base della censurata regola, all’inaccettabile ed antidemocratica conseguenza dell’abrogazione di un atto normativo in base al voto di un’esigua minoranza del corpo elettorale”.
Infine, la norma si porrebbe in contrasto con un principio costituzionale fondamentale, qualificante la forma stessa dello Stato democratico, che imporrebbe di correlare la validità della consultazione referendaria alla partecipazione ad essa della maggioranza degli aventi diritto di cui all’art. 75 della Costituzione.

2 — La Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, si è costituita nel giudizio, chiedendo che la Corte dichiari il ricorso inammissibile e comunque infondato.

2.1. — La resistente, in linea generale, premette che la piena armonia delle disposizioni censurate con le norme costituzionali sarebbe comprovata sia dal richiamo, implicito o esplicito, che esse contengono ai principi costituzionali, indicati quali criteri per individuare la loro portata, sia dalle norme di principio pure contenute nello statuto, non considerate dal Governo e che invece costituirebbero il parametro ermeneutico da utilizzare per la loro corretta interpretazione. Siffatte norme dimostrerebbero, quindi, che lo statuto è conforme alla Costituzione ed ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, “nel quale si riconoscono le vocazioni e le tradizioni della comunità regionale, con il proprio tessuto civico e sociale, con la capacità di accoglienza e la vitalità solidale che accompagna lo sviluppo delle attività intellettuali e scientifiche”. Particolare importanza per la corretta interpretazione delle norme censurate avrebbe, inoltre, la risoluzione approvata dal Consiglio regionale nella stessa seduta in cui, per la seconda volta, è stato approvato lo statuto, in quanto essa ha chiarito la piena coerenza di dette norme con i principi ed i valori della Costituzione ed ha offerto una risposta ufficiale alle obiezioni informalmente sollevate dal Governo (risoluzione n. 51 del 19 luglio 2004).

2.2. — Relativamente alle prime quattro questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, aventi ad oggetto norme che stabiliscono principi programmatici e finalità prioritarie, la Regione sostiene che le stesse non implicherebbero una rivendicazione di competenze.
Peraltro già gli statuti delle regioni di diritto comune adottati all’inizio degli anni settanta contenevano norme recanti la fissazione di obiettivi e principi in base ai quali le istituzioni e gli organi regionali concorrevano alla realizzazione dei diritti costituzionali, positivamente scrutinate dalla Corte, in quanto giudicate espressive della “presenza politica” della Regione in rapporto allo Stato ed anche alle altre Regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale, anche in settori estranei alle materie di propria competenza ed al di là del proprio territorio (sentenze n. 829 e n. 921 del 1988; sentenza n. 171 del 1999).
Inoltre, sostiene la resistente, la Corte ha anche già riconosciuta la legittimità costituzionale di norme analoghe a quelle in esame, recate da uno statuto regionale approvato ai sensi del nuovo art. 123 della Costituzione (sentenza n. 2 del 2004). A suo avviso, le norme oggetto delle prime quattro questioni di legittimità costituzionale sono appunto qualificabili come meramente “programmatiche”, sicché le censure in esame sarebbero infondate e comunque inammissibili nella parte in cui prospettano la lesione di competenze legislative dello Stato che le norme impugnate, per la loro natura e per i loro contenuti, non potrebbero vulnerare.

2.3. — La Regione contesta la fondatezza delle censure concernenti l’art. 3, comma 6, dello statuto, sostenendo che la norma non violerebbe la riserva ai cittadini dell’elettorato attivo, poiché prevede soltanto la promozione dell’estensione del diritto di voto agli immigrati “nel rispetto dei principi costituzionali”, quindi in relazione a deliberazioni o ad elezioni non necessariamente riferibili alle elezioni degli organismi rappresentativi. D’altronde, lo stesso legislatore statale ha riconosciuto il diritto dello straniero, regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni e titolare di permesso di soggiorno rinnovabile, di “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento ed in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992” (art.9, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”). La Carta di Strasburgo, ratificata e recepita con la legge statale 8 marzo 1994, n. 203 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, limitatamente ai capitoli A) e B), prevede infatti l’impegno degli Stati aderenti a “concedere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ad ogni residente straniero, a condizione che questi soddisfi alle stesse condizioni di quelle prescritte per i cittadini ed inoltre che abbia risieduto legalmente ed abitualmente nello Stato in questione nei cinque anni precedenti le elezioni” (art. 6, capitolo C, Carta di Strasburgo).
Secondo la resistente, la norma in questione non implicherebbe peraltro alcuna rivendicazione di competenza in detta materia, e neppure vincolerebbe in alcun modo l’autonomia del Consiglio regionale nel proporre disegni di legge al Parlamento.

2.4. — Le censure concernenti l’art. 4, comma 1, lettera h), dello statuto, ad avviso del Presidente della Giunta regionale, sarebbero inammissibili, in quanto frutto di una interpretazione in contrasto con la sua lettera e con la sua ratio e peraltro smentita dalla risoluzione consiliare del 19 luglio 2004. La contestata genericità della formulazione della disposizione sarebbe, infatti, giustificata dall’esigenza di rispettare i principi costituzionali, evitando qualsiasi equiparazione alla famiglia fondata sul matrimonio di convivenze prive della copertura costituzionale attribuita alla famiglia legittima, sicché la norma permetterebbe esclusivamente la tutela di quelle forme stabili di convivenza per le quali le leggi statali (ad esempio gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, ovvero l’art. 2 del decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, recante “Disposizioni correttive ed integrative del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 109 in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate”) e regionali prevedono il riconoscimento della fruizione dei diritti sociali, sempre che le norme sull’ordinamento costituzionale e quelle sull’ordinamento civile lo consentano.
Inoltre, secondo la Regione Toscana, il riconoscimento di altre forme di convivenza si collegherebbe con il riconoscimento della persona umana e della sua capacità di effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (artt. 2 e 3 della Costituzione).

2.5. — Ad avviso della resistente, l’art. 4, comma 1, lettere l) e m), dello statuto, individuando quali finalità prioritarie da perseguire quelle della “tutela dell’ambiente e del patrimonio naturale”, nonché della “tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico”, non farebbe altro che indicare un compito prioritario della Regione, nell’ambito delle competenze legislative ed amministrative attribuite alla Regione, senza rivendicare competenze legislative e regolamentari dello Stato. Le finalità fissate dalla lettera l) riguarderebbero materie trasversali rispetto a numerose competenze regionali e comunque –relativamente alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza del legislatore statale– presupporrebbero la collaborazione e la cooperazione di tutti i livelli di governo per il raggiungimento di risultati che definiscono lo spirito ed i valori fondamentali del nostro ordinamento.
Per analoghe considerazioni, secondo la Regione Toscana, sarebbero infondate le censure concernenti la lettera m), poiché la tutela del patrimonio storico ed artistico, spettante alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, deve essere ” attuata anche e soprattutto con la piena collaborazione delle Regioni”.

2.6. — Le finalità indicate nell’art. 4, comma 1, lettere n), o) e p), dello statuto non porrebbero in discussione la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza, ma, ad avviso del Presidente della Giunta regionale, riguarderebbero settori di competenza regionale quali la promozione delle attività economiche locali legate alle materie di competenza regionale concorrente e residuale di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione.
L’obiettivo della promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale sarebbe, inoltre, coerente con i principi relativi ai rapporti economici fissati dall’art. 45 della Costituzione, e non violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in quanto le leggi regionali possono perseguire le finalità indicate dalla norma statutaria nell’osservanza della disciplina civilistica e di quella comunque regolante le società cooperative contenuta nelle leggi dello Stato.

2.7. — L’impugnazione dell’art. 32, comma 2, dello statuto, secondo la Regione Toscana, sarebbe infondata, poiché l’assenza di conseguenze giuridiche nel caso di mancata approvazione del programma di governo da parte del Consiglio regionale sarebbe coerente con la forma di governo scelta dallo statuto, caratterizzata dall’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale.
L’approvazione del programma di governo da parte del Consiglio regionale non inciderebbe, infatti, sulla posizione e sul ruolo del Presidente, il quale potrebbe comunque nominare i membri della Giunta anche in mancanza dell’approvazione nel termine di dieci giorni del programma, mentre la Giunta regionale potrebbe essere obbligata alle dimissioni solo nel caso di approvazione della mozione di sfiducia prevista dall’art. 33, comma 3.

2.8. — Ad avviso della resistente, l’impugnazione dell’art. 54, commi 1 e 3, dello statuto sarebbe inammissibile in quanto con essa sono state censurate due distinte disposizioni, senza individuare con chiarezza le questioni a ciascuna riferibili. Nel merito, le censure sarebbero comunque infondate, in quanto il diritto di accesso ai documenti amministrativi senza motivazione costituirebbe un principio rispettoso delle norme costituzionali che impongono l’imparzialità e la trasparenza della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 della Costituzione), per alcuni casi già anche stabilito dal legislatore statale (art. 3 del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, recante “Attuazione della direttiva 20/313/CEE, concernente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente”), e sarebbe altresì coerente con i principi del diritto comunitario, nel cui ambito il diritto di accesso ai documenti è riconosciuto a tutti senza l’obbligo di dimostrare un interesse giuridicamente rilevante da tutelare.
Peraltro, la norma censurata prevedendo il diritto di accesso senza obbligo di motivazione, “nel rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati e nei modi previsti dalla legge”, permetterebbe alla legge regionale di disciplinare il diritto di accesso in maniera da assicurare l’osservanza dei principi che si assumono violati ed il rispetto dei diritti e degli interessi legittimi di eventuali controinteressati, senza ledere la tutela giurisdizionale di questi ultimi. Infine, la norma riguarderebbe i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione e, perciò, avrebbe ad oggetto una materia riservata allo statuto ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione.

2.9. — Secondo la Regione Toscana, le censure concernenti l’art. 63, comma 2, dello statuto sarebbero infondate, in quanto l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, non recherebbe una riserva assoluta di potestà regolamentare in favore degli enti locali, dal momento che siffatta potestà deve essere esercitata nell’ambito delle leggi statali e regionali che ne assicurano i requisiti minimi di uniformità, conformemente a quanto previsto dalle norme costituzionali, come stabilito dall’art. 4, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nel rispetto dell’esigenza di una razionale applicazione del criterio flessibile della sussidiarietà enunciato dall’art. 118, primo comma, della Costituzione (sentenza n. 43 del 2004; sentenze n.69 e n. 73 del 2004).

2.10. — L’art. 64, comma 2, dello statuto, ad avviso del Presidente della Giunta regionale, non prefigurerebbe una disciplina dei tributi degli enti locali su due livelli che, di per sé, sia tale da escludere l’adozione di altre possibili impostazioni da parte della legislazione di coordinamento che il Parlamento dovrà approvare, ai sensi dell’art. 119, secondo comma, della Costituzione. La norma, con riferimento all’ipotesi di disciplina “a due livelli”, ammessa espressamente dalla Corte (sentenza n. 37 del 2004), prevederebbe esclusivamente il rispetto del principio di salvaguardia dell’autonomia degli enti locali, stabilendo che la legge regionale dovrà fare salva la potestà degli stessi enti locali di istituire i tributi ed intervenire soltanto nell’ambito delle materie oggetto di riserva di legge, con conseguente infondatezza dell’impugnazione della succitata norma.

2.11. — Secondo la Regione Toscana, l’art. 70, comma 1, dello statuto si limiterebbe a stabilire un principio di riserva di legge regionale in relazione alle procedure interne concernenti la disciplina della modalità di formazione della volontà degli organi regionali in ordine alla partecipazione alla formazione degli atti comunitari, nel rispetto delle norme di procedura dettate dallo Stato in conformità con l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, ed in coerenza con l’art. 5 della legge n. 131 del 2003. Pertanto, la norma impugnata non violerebbe né la lettera né lo spirito dei parametri costituzionali indicati dal ricorrente.

2.12. — Ad avviso della resistente, sarebbero infondate anche le censure concernenti l’art. 75 dello statuto, poiché l’individuazione di un quorum di partecipazione al referendum abrogativo riferito alle votazioni delle ultime elezioni regionali non sarebbe né irragionevole, né incoerente. Il referendum abrogativo costituisce, infatti, una forma di controllo del corpo elettorale sull’attività dei consiglieri regionali e, quindi, non sarebbe illogico stabilire il quorum di partecipazione facendo riferimento al corpo elettorale che ha eletto il Consiglio regionale, i cui atti sono oggetto dei quesiti referendari. Peraltro, per la partecipazione al referendum regionale neppure potrebbe ritenersi necessario un quorum più elevato, tenuto conto che le norme costituzionali, in riferimento a consultazioni su leggi di particolare importanza, quali le leggi di revisione costituzionale e gli stessi statuti regionali, escludono la necessità di un quorum minimo di partecipanti alla votazione (artt. 138, secondo comma, e 123, comma terzo, della Costituzione).
La Regione Toscana conclude, infine, sostenendo che dall’art. 75 della Costituzione, non è ricavabile un principio costituzionale fondamentale, vincolante per lo statuto regionale, in ordine al quorum di partecipazione al referendum abrogativo ivi indicato, e ciò sia in quanto le ipotesi di referendum sarebbero diverse e non equiparabili, sia in quanto l’art. 123, primo comma, della Costituzione, porrebbe una espressa riserva di disciplina del referendum in favore della fonte statutaria, mentre l’art. 117, comma quarto, della Costituzione, attribuirebbe alla Regione la competenza residuale in materia di referendum regionali.

3. — L’Avvocatura generale dello Stato, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria nella quale deduce l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 123 della Costituzione, avente ad oggetto norme programmatiche, qualora queste prefigurino scopi incompatibili con lo spirito e con i principi ricavabili dalla Costituzione, ovvero che richiedano l’esercizio di poteri che costituzionalmente non possono spettare alla Regione. Inoltre, il ricorrente ribadisce le censure concernenti le norme impugnate, insistendo nelle argomentazioni svolte per sostenerne l’illegittimità in riferimento ai parametri indicati nel ricorso.

4. — La Regione Toscana, nella memoria difensiva depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ribadisce l’ammissibilità di norme statutarie di contenuto programmatico, recanti indicazioni di obiettivi dell’azione regionale, esamina nuovamente le censure concernenti le disposizioni impugnate, deducendone l’infondatezza sulla scorta delle argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione.

5. — All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. — Il Governo ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, in riferimento agli articoli 2, 3, 5, 24, 29, 48, 97, 113, 114, 117, secondo comma, lettere e), f), i), l), p), s), terzo, quinto e sesto comma, 118, 121, 122, 123, 138 della Costituzione.
L’art. 3, comma 6, stabilisce che “la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati” e, ad avviso del ricorrente, violerebbe: l’art. 48 della Costituzione, che riserva ai cittadini l’elettorato attivo; l’art. 138 della Costituzione, in quanto il potere di revisione costituzionale è riservato al Parlamento nazionale; l’art. 117, secondo comma, lettere f) e p), della Costituzione, spettando allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia elettorale concernente gli organi statali e gli enti locali, nonché l’art. 121, secondo comma, della Costituzione, poiché limiterebbe il potere di iniziativa legislativa del Consiglio regionale.
Secondo la difesa erariale, l’art. 4, comma 1, lettera h), disponendo che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il riconoscimento delle altre forme di convivenza”, potrebbe costituire la base statutaria di future norme regionali recanti una disciplina dei rapporti fra conviventi lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “cittadinanza, stato civile e anagrafi” e di “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma, lettere i) e l), della Costituzione). La norma si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 123, primo comma, della Costituzione, sia perché avrebbe un contenuto estraneo ed eccedente rispetto a quello configurabile come contenuto necessario dello statuto, sia perché potrebbe esprimere “qualcosa di diverso dal semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignità”, nei limiti previsti da leggi dello Stato, della convivenza tra uomo e donna fuori del vincolo matrimoniale, in riferimento a situazioni divergenti dal modello del rapporto coniugale, estranee al contenuto delle garanzie fissate dall’art. 29 Costituzione, e non riconducibili alla sfera di protezione dell’art. 2 della Costituzione. La disposizione violerebbe, infine, il principio fondamentale di unità ed il principio di eguaglianza (artt. 3 e 5 della Costituzione), dato che permetterebbe alla comunità regionale di riconoscersi in valori diversi e contrastanti rispetto a quelli di altre comunità regionali.
L’art. 4, comma 1, lettere l) e m), nello stabilire che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali” (lettera l), nonché “la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico” (lettera m), violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva nelle succitate materie. La lettera m) recherebbe, inoltre, vulnus anche all’art. 118, comma terzo, della Costituzione, essendo riservata alla legge statale la disciplina di forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
L’art. 4, comma 1, lettere n), o) e p), prevede quali finalità prioritarie della Regione Toscana: “la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità dell’ambiente” (lettera n); “la valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese” (lettera o); “la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei” (lettera p). Queste norme, secondo il ricorrente, potrebbero costituire la base statutaria di future leggi regionali in contrasto con la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della “tutela della concorrenza” (art.117, secondo comma, lettera e), della Costituzione) e lesive, in riferimento al settore della cooperazione, della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art.117, secondo comma, lettera l), della Costituzione).
L’art. 32, comma 2, dispone che “il programma di governo è approvato entro dieci giorni dalla sua illustrazione” e, perciò, ad avviso del Governo, in contrasto con gli artt. 122, quinto comma, e 3 della Costituzione, instaurerebbe “irragionevolmente e contraddittoriamente” tra Presidente e Consiglio regionale un rapporto diverso rispetto a quello conseguente all’elezione a suffragio universale e diretto.
L’art. 54, commi 1 e 3, è impugnato nelle parti in cui disciplina il diritto di accesso senza obbligo di motivazione ai documenti amministrativi (comma 1) ed esclude l’obbligo della motivazione per gli atti amministrativi “meramente esecutivi”, in riferimento ai principi costituzionali di efficienza e trasparenza (art. 97 della Costituzione), nonché al principio di effettività della tutela contro gli atti dell’amministrazione (artt. 24 e 113 della Costituzione) ed al principio di eguaglianza tra cittadini residenti in diverse regioni (art. 3 della Costituzione).
Il ricorrente censura l’art. 63, comma 2, nelle parti in cui, prevedendo che, qualora ricorrano specifiche esigenze unitarie, l’organizzazione delle funzioni amministrative conferite agli enti locali possa essere disciplinata con legge regionale, per assicurare requisiti essenziali di uniformità, violerebbe la riserva di potestà regolamentare attribuita agli enti locali (art. 117, sesto comma, della Costituzione), espropriandoli del potere di regolamentare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni ad essi attribuite, in violazione degli artt. 118 e 114 della Costituzione.
L’art. 64, comma 2, disponendo che “la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli enti di istituirli” si porrebbe in contrasto con l’art. 119 della Costituzione, stabilendo un rapporto tra fonti normative “che è invece solo uno di quelli possibili, costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art.119 Cost.”.
L’art. 70, comma 1, dispone che “gli organi di governo e il consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette alla formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale” e perciò, secondo la difesa erariale, violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, che riserva alla legge statale la disciplina della partecipazione delle Regioni alla formazione ed attuazione degli atti comunitari.
L’art. 75, nel disciplinare il referendum abrogativo, siccome stabilisce, al comma 4, che “la proposta di abrogazione soggetta a referendum è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali e se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi”, ad avviso del ricorrente, lederebbe il principio di ragionevolezza, in quanto prevederebbe un quorum calcolato sulla scorta di un criterio casuale e contingente, irrazionale ed in contrasto anche con l’art. 75 della Costituzione.

2. — Le censure formulate dal ricorrente nei confronti dello statuto della Regione Toscana si possono suddividere in due gruppi: quelle aventi ad oggetto proposizioni che rientrano tra i “Principi generali” e le “Finalità principali” e quelle che invece riguardano norme specifiche dello statuto.
Ai fini delle questioni di legittimità costituzionale inerenti al primo gruppo di censure, appare necessario innanzi tutto precisare la natura e la portata di queste proposizioni. Al riguardo va ricordato che negli statuti regionali entrati in vigore nel 1971 – ivi compreso quello della Toscana – si rinvengono assai spesso indicazioni di obiettivi prioritari dell’attività regionale ed anche in quel tempo si posero problemi di costituzionalità di tali indicazioni, sotto il profilo della competenza della fonte statutaria ad incidere su materie anche eccedenti la sfera di attribuzione regionale. Al riguardo, dopo avere riconosciuto la possibilità di distinguere tra un contenuto “necessario” ed un contenuto “eventuale” dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del 1972), si è ritenuto che la formulazione di proposizioni statutarie del tipo predetto avesse principalmente la funzione di legittimare la Regione come ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi ed aspettative. Tali interessi possono essere adeguatamente perseguiti non soltanto attraverso l’esercizio della competenza legislativa ed amministrativa, ma anche avvalendosi dei vari poteri, conferiti alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione, di consultazione, di proposta, e così via, esercitabili, in via formale ed informale, al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle esigenze della collettività stessa. In questo senso si è espressa questa Corte, affermando che l’adempimento di una serie di compiti fondamentali <> (sentenza n. 829 del 1988).
Il ruolo delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prevalente dottrina – e, per quanto riguarda la Regione Toscana, dall’art. 1 dello statuto in esame – è dunque rilevante, anche nel momento presente, ai fini <> (sentenza n. 2 del 2004); contenuti che talora si esprimono attraverso proclamazioni di finalità da perseguire. Ma la citata sentenza ha rilevato come sia opinabile la “misura dell’efficacia giuridica” di tali proclamazioni; tale dubbio va sciolto considerando che alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto, come, del resto, sostanzialmente riconosce la risoluzione n. 51 del Consiglio regionale della Toscana, deliberata contestualmente all’approvazione definitiva dello statuto.
D’altra parte, tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione” (sentenza n. 196 del 2003).
Se dunque si accolgono le premesse già formulate sul carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa. Nel caso in esame, enunciazioni siffatte si rinvengono nei diversi commi – tra cui in particolare quelli censurati – degli artt. 3 e 4 che non comportano né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato e neppure fondano esercizio di poteri regionali. E’ quindi inammissibile, per carenza di lesività, il ricorso governativo avverso le denunciate proposizioni dei predetti articoli, anche tenendo conto delle esplicite richieste in tal senso della difesa regionale.
Pertanto vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni dello statuto della Regione Toscana: art. 3, comma 6, secondo il quale “la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati”; art. 4 comma 1, lettera h), il quale dispone che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il riconoscimento delle altre forme di convivenza”; art. 4 comma 1, lettere l) e m), che, rispettivamente, stabiliscono quali finalità prioritarie della Regione “il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali”, nonché “la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico artistico e paesaggistico”; art. 4 comma 1, lettere n), o) e p), che stabiliscono, quali finalità prioritarie della Regione, “la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità dell’ambiente”, “la valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese”, “la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei”.

3. — Tutto ciò premesso, in punto di merito occorre esaminare per prima la censura relativa all’art. 32, comma 2 dello statuto, nella parte in cui stabilisce che “il programma di governo è approvato entro 10 giorni dalla sua illustrazione”, in quanto, secondo il ricorrente, la predetta approvazione instaurerebbe irragionevolmente, in violazione degli artt. 3 e 122, quinto comma, della Costituzione, tra Presidente e Consiglio regionale un rapporto diverso rispetto a quello che dovrebbe conseguire all’elezione a suffragio universale e diretto.
La questione non è fondata.
La formazione della Giunta regionale toscana si svolge secondo il seguente schema procedimentale: 1) il presidente della giunta entra direttamente in carica all’atto della proclamazione; 2) l’illustrazione del programma e la designazione dei componenti della giunta avvengono nella prima seduta del consiglio; 3) l’approvazione del programma avviene entro 10 giorni dalla sua illustrazione, ma il presidente nomina “comunque”, decorso lo stesso termine, i componenti la giunta.
In questo quadro, la previsione dell’approvazione consiliare del programma di governo non appare affatto incoerente rispetto allo schema elettorale “normale” accolto dall’art. 122, quinto comma, della Costituzione, giacché la eventuale mancata approvazione consiliare può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun effetto giuridicamente rilevante sulla permanenza in carica del Presidente, della giunta, ovvero sulla composizione di questa ultima. Non si può peraltro escludere che a questa situazione possano seguire, ai sensi dell’art. 33 dello statuto, la approvazione di una mozione di sfiducia o anche le dimissioni spontanee del presidente, ma in entrambe le ipotesi si verifica lo scioglimento anticipato del consiglio, nel pieno rispetto del vincolo costituzionale del simul stabunt simul cadent (cfr. sentenze n. 304 del 2002 e n. 2 del 2004), il quale, oltre ad essere un profilo caratterizzante questo assetto di governo, è indice della maggiore forza politica del Presidente, conseguente alla sua elezione a suffragio universale e diretto. Sotto questo profilo quindi la norma denunciata non introduce alcuna significativa variazione rispetto alla forma di governo “normale” prefigurata in Costituzione.

4. — Una seconda censura ha ad oggetto l’art. 54, commi 1 e 3, dello statuto nelle parti in cui rispettivamente prevedono il diritto di accesso ai documenti amministrativi regionali senza obbligo di motivazione ed escludono l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi “meramente esecutivi”. Secondo il ricorrente, infatti, tali norme violerebbero i principi di buon andamento dell’Amministrazione, di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, oltre che di eguaglianza.
Le questioni non sono fondate.
La disposizione che stabilisce il diritto di accesso, senza obbligo di motivazione, ai documenti amministrativi si conforma al principio costituzionale di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa ed è altresì del tutto coerente con l’evoluzione del diritto comunitario. Inoltre va considerato che la norma in esame, in quanto attinente ai principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della Regione, rientra strettamente tra gli oggetti di disciplina statutaria e che anche nella legislazione statale, ad esempio in materia di tutela ambientale, sono previste ipotesi di accesso ai documenti amministrativi senza obbligo di motivazione.
In ogni caso va sottolineato che il comma 1 della disposizione in esame, contenendo un esplicito riferimento al rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati ed a modi di disciplina previsti dalla legge, deve essere interpretato nel senso che la emananda legge di attuazione dovrà farsi carico di prefigurare un procedimento che, nell’assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, preveda, oltre ad ipotesi di esclusione dell’ostensibilità di documenti amministrativi per ragioni di tutela di situazioni costituzionalmente garantite, anche criteri e modi in base ai quali l’interesse personale e concreto del richiedente si contempera con l’interesse pubblico al buon andamento dell’Amministrazione, nonché con l’esigenza di non vanificare in concreto la tutela giurisdizionale delle posizioni di eventuali soggetti terzi interessati.
Parimenti infondata è la questione di costituzionalità del terzo comma dello stesso articolo, giacché negli atti amministrativi che non abbiano natura provvedimentale in quanto “meramente esecutivi”, ai fini della motivazione è ritenuto sufficiente dalla prevalente giurisprudenza il semplice richiamo, nelle premesse dell’atto, ai presupposti di fatto ed alle disposizioni di legge da applicare, la cui enunciazione rende pienamente comprensibili le ragioni dell’atto stesso.

5. — Un’altra censura riguarda l’art. 63, comma 2, dello statuto, nella parte in cui prevede che l’organizzazione delle funzioni amministrative conferite agli enti locali, nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, possa essere disciplinata con legge regionale per assicurare requisiti essenziali di uniformità. La predetta norma, secondo il ricorrente, lederebbe la riserva di potestà regolamentare attribuita dall’art. 117, sesto comma, della Costituzione agli enti locali, “espropriandoli”, in violazione anche degli artt. 118 e 114 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, del potere di regolamentare organizzazione e svolgimento delle funzioni loro conferite dalla legge regionale.
La questione non è fondata.
L’art. 63, comma 2, in esame, che conferisce alla legge regionale la facoltà di disciplinare organizzazione e svolgimento delle funzioni degli enti locali nei “casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie”, fa evidente riferimento alle varie ipotesi di applicazione del principio di sussidiarietà previste dalla Costituzione. Si tratta cioè di una deroga rispetto al criterio generale accolto dal comma 1 dello stesso articolo, il quale riserva alla potestà regolamentare degli enti locali la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni conferite. Ma tale deroga si inserisce nell’ambito della previsione del sesto comma dell’art. 117, come attuato dall’art. 4, comma 4, della legge n. 131 del 2003, secondo cui la potestà regolamentare dell’ente locale in materia di organizzazione e svolgimento delle funzioni si esplica nell’ambito delle leggi statali e regionali, che ne assicurano i requisiti minimi di uniformità.
La previsione statutaria di un regime di riserva assoluta di legge regionale anziché relativa è infatti ammissibile purché sia limitata, per non comprimere eccessivamente l’autonomia degli enti locali, ai soli casi di sussistenza di “specifiche esigenze unitarie”, che possano giustificare, nel rispetto dei principi indicati dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, la disciplina legislativa regionale dell’organizzazione e svolgimento delle funzioni “conferite”. Negando tale facoltà si perverrebbe, infatti, all’assurda conclusione che, al fine di evitare la compromissione di precisi interessi unitari che postulano il compimento di determinate attività in modo sostanzialmente uniforme, il legislatore regionale non avrebbe altra scelta che allocare le funzioni in questione ad un livello di governo più comprensivo, assicurandone così l’esercizio unitario. Il che sarebbe chiaramente sproporzionato rispetto al fine da raggiungere e contrastante con lo stesso principio di sussidiarietà (cfr. sentenze nn. 43, 69, 112 e 172 del 2004).
Dovendosi in tal modo interpretare la norma denunciata, la questione è infondata.

6. — Un’ulteriore censura concerne l’art. 64, comma 2, dello statuto, nella parte in cui prevede che “la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli enti di istituirli”. Secondo il ricorrente la norma violerebbe l’art. 119 della Costituzione, in quanto prevederebbe in materia un rapporto tra fonti normative “che è invece solo uno di quelli possibili, costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art. 119 della Costituzione”.
La questione non è fondata.
La norma statutaria in esame riguarda il complesso tema dell’autonomia tributaria degli enti locali nel quadro della nuova disciplina prevista dall’art. 119 della Costituzione, in relazione alla quale pare opportuno riferirsi alla sentenza di questa Corte n. 37 del 2004. Secondo questa decisione, in considerazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione, che comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo almeno gli aspetti fondamentali dell’imposizione, ed in considerazione anche del fatto che gli enti locali sub-regionali non sono titolari di potestà legislativa, deve essere definito, da un lato, l’ambito di esplicazione della potestà regolamentare di questi enti e, dall’altro lato, il rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario dei tributi locali. Al riguardo, sempre secondo la citata sentenza, si possono <>.
Il modello seguito dalla disposizione citata è evidentemente quello a “due livelli”, cioè una disciplina normativa dei tributi propri degli enti locali risultante dal concorso di fonti primarie regionali e secondarie locali. Un ragionevole criterio di riparto tra questi due tipi di fonti deve attribuire alla fonte regionale la definizione dell’ambito di autonomia entro cui la fonte secondaria dell’ente sub-regionale può esercitare liberamente il proprio potere di autodeterminazione del tributo. In ogni caso, la norma censurata deve essere interpretata nel senso che, in base all’art. 119, secondo comma, della Costituzione, la legge regionale ivi prevista deve comunque attenersi ai principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario appositamente dettati dalla legislazione statale “quadro” o, in caso di inerzia del legislatore statale, a quelli comunque desumibili dall’ordinamento. Proprio in questo senso, del resto, si é espressa questa Corte nella citata sentenza n. 37 del 2004, sostenendo che il legislatore statale <>.
Così interpretata la disposizione denunciata non risulta sussistente il prospettato vizio di legittimità costituzionale.

7. — Un’altra censura ha ad oggetto l’art. 70, comma 1, dello statuto, nella parte in cui prevede che gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione ed attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale. Secondo il ricorrente la disposizione violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, che attribuisce alla legge statale le forme di partecipazione regionale alla formazione ed attuazione degli atti comunitari.
La questione non è fondata.
Nel quadro delle norme di procedura che la legge statale, di cui all’art. 117, quinto comma, della Costituzione, determina in via generale ai fini della partecipazione delle Regioni alla formazione ed attuazione degli atti comunitari, la disposizione statutaria impugnata prevede la possibilità che la legge regionale stabilisca, a sua volta, uno specifico procedimento interno diretto a fissare le modalità attraverso le quali si forma la relativa decisione regionale, nell’ambito dei criteri organizzativi stabiliti, in sede attuativa, dall’art. 5 della citata legge n. 131 del 2003. In proposito può essere in qualche modo indicativa la regolamentazione in materia già prevista dalla Regione Toscana con la legge 16 maggio 1994, n. 37 (Disposizioni sulla partecipazione della Regione Toscana al processo normativo comunitario e sulle procedure relative all’attuazione degli obblighi comunitari), la quale stabilisce al riguardo le diverse competenze del Consiglio e della Giunta regionale.
Sotto i profili prospettati, pertanto, la disposizione statutaria in esame non appare in contrasto con l’art. 117, quinto comma, della Costituzione.

8. — L’ultima questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo riguarda l’art. 75, comma 4, dello statuto, nella parte in cui, ai fini dell’abrogazione referendaria di una legge o di un regolamento regionale, è richiesto che partecipi alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali. Tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto contrasterebbe con il principio di ragionevolezza, facendo riferimento ad un criterio casuale e contingente, oltre che irrazionale, nonché con l’art. 75 della Costituzione.
La questione non è fondata.
In primo luogo va rilevato che non si può considerare principio vincolante per lo statuto la determinazione del quorum strutturale prevista dall’art. 75 della Costituzione. La materia referendaria rientra espressamente, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello statuto, cosicché si deve ritenere che alle Regioni è consentito di articolare variamente la propria disciplina relativa alla tipologia dei referendum previsti in Costituzione, anche innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perché ogni Regione può liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai processi di controllo democratico sugli atti regionali.
Va infine osservato che non appare irragionevole, in un quadro di rilevante astensionismo elettorale, stabilire un quorum strutturale non rigido, ma flessibile, che si adegui ai vari flussi elettorali, avendo come parametro la partecipazione del corpo elettorale alle ultime votazioni del Consiglio regionale, i cui atti appunto costituiscono oggetto della consultazione referendaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 6, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, in riferimento agli articoli 48, 117, secondo comma, lettere f) e p), 121, secondo comma, e 138 della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera h), del predetto statuto, in riferimento agli articoli 2, 3, 5, 29, 117, secondo comma, lettere i) e l), 123, primo comma, della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera l), del predetto statuto, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera m), del predetto statuto, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo comma, della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettere n), o) e p), del predetto statuto, in riferimento all’art 117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3 e 122, quinto comma, della Costituzione; dell’articolo 54, commi 1 e 3, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 113 della Costituzione; dell’articolo 63, comma 2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione; dell’articolo 64, comma 2, del predetto statuto, in riferimento all’articolo 119 della Costituzione; dell’articolo 70, comma 1, del predetto statuto, in riferimento all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione; dell’articolo 75, comma 4, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3 e 75 della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta

F.to:
Valerio ONIDA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere