Sentenza 02 aprile 2007, n.3016
TAR Campania. Sentenza 2 aprile 2007, n. 3016: “Strutture ospedaliere e servizio sanitario pubblico”.
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione prima,
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 2124/05 reg. gen. proposto dalla Provincia religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli, titolare dell’Ospedale Buon Consiglio di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t. Direttore generale e Presidente fra […], rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Recchia e Silvio Bozzi, con gli stessi elettivamente domiciliata in Napoli alla piazza Sannazzaro n. 71 presso lo studio dell’avv. Valerio Barone,
contro
– Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa dall’avv. Beatrice Dell’Isola, con la stessa elettivamente domiciliata in Napoli alla via S. Lucia n. 81,
– Azienda sanitaria locale di Napoli 1, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Innocenzo Militerni, Antonio Nardone e Giuseppe Ceceri, con gli stessi elettivamente domiciliata in Napoli alla Riviera di Chiaia n. 276,
per l’annullamento
della determina dirigenziale A.s.l. n. 337 del 29/12/2004, concernente la determinazione del volume totale di prestazioni afferenti alla branca di “assistenza in regime di ricovero ospedaliero” per gli anni 2003 e 2004; delle delibere di Giunta regionale n. 1272 del 28/3/2002, n. 2451 dell’1/8/2003, come modificata dalle delibere n. 3133 del 31/10/2003 e n. 2751 del 18/9/2003, e n. 48 del 28/11/2003; del verbale di intesa in data 18/10/2004 tra la A.s.l. e l’AIOP per la definizione dei criteri e delle linee guida per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni erogabili dalle case di cura private relative al ricovero ospedaliero degli anni 2003 e 2004; nonché degli atti connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate;
viste le memorie difensive prodotte dalle parti;
vista la documentazione prodotta dalla A.s.l.;
visti gli atti tutti di causa;
alla pubblica udienza del 6/12/2006, relatore il cons. Donadono, udi¬ti gli avvocati presenti di cui al verbale di udienza.
F A T T O
Con ricorso notificato il 25/2/2005, la Provincia religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli (ente ecclesiastico civilmente riconosciuto), titolare dell’Ospedale Buon Consiglio di Napoli (struttura compresa tra gli ospedali classificati in base all’art. 1 della legge n. 132 del 1968, operante in regime di accreditamento provvisorio), riferiva che:
– con delibera di Giunta regionale n. 1272 del 28/3/2003, la Regione Campania, previo accordo con le organizzazioni sindacali e di categoria maggiormente rappresentative della sanità privata (AIOP), stabiliva i criteri direttivi del piano annuale delle prestazioni relativo all’anno 2003;
– con le delibere n. 2451 dell’1/8/2003 e n. 48 del 28/11/2003, venivano definiti i volumi di prestazioni erogabili sia nella regione, che per singole aziende per il 2003 ed il 2004;
– l’A.s.l. di Napoli 1 concordava con l’AIOP i criteri per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni in regime di ricovero ospedaliero per gli anni 2003 e 2004 da parte delle strutture private accreditate;
– con la determina n. 337 del 29/12/2004, la A.s.l., ritenuta la necessità di procedere alla definizione dei tetti di spesa nonostante la mancata sottoscrizione di uno specifico accordo con la ricorrente, individuava il limite del fatturato contabilizzato per gli anni 2003 e 2004 dall’ospedale “Buon Consiglio”, rinviando ogni determinazione in ordine al volume totale delle prestazioni ed ogni altro aspetto ad un tavolo tecnico con la ricorrente (da ultimo convocato per il 16/2/2005);
– con la risoluzione di indirizzo del 16/2/2005, il Consiglio regionale impegnava l’esecutivo regionale alla soluzione delle problematiche afferenti gli ospedali religiosi classificati, coerentemente con lo “status” loro attribuito.
In relazione a quanto precede, l’ordine ospedaliero Fatebenefratelli impugnava gli atti in epigrafe.
Le amministrazioni intimate si costituivano in giudizio, resistendo all’impugnativa.
La domanda incidentale di sospensione non veniva trattata, essendo cancellata dal ruolo cautelare.
D I R I T T O
1. Preliminarmente la A.s.l. resistente eccepisce che:
– la controversia avrebbe ad oggetto diritti soggettivi e pertanto sarebbe sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici, ai sensi dell’art. 33 del d. lgs. n. 80 del 1998 come riformulato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004;
– le delibere regionali nn. 1272, 2451, 3133, 2751 e 48 del 2003 sarebbero state comunicate alla ricorrente con la nota prot. n. 6487 del 20/10/2004, rimasta inoppugnata, per cui il ricorso ora proposto contro tali delibere sarebbe tardivo ed inammissibile;
– neppure risulterebbe impugnata la nota prot. n. 1950/DS del 22/2/2005 con la quale la A.s.l. aveva risposto alle contestazioni contro la determina n. 337 del 29/12/2004, sollevate dalla ricorrente con la nota prot. n. 18/05/003C del 10/1/2005.
Le eccezioni vanno disattese.
1.1. In primo luogo gli atti impugnati non hanno natura paritetica, ma implicano l’esercizio di poteri autoritativi di fronte ai quali la posizione giuridica soggettiva del destinatario assume carattere di interesse legittimo. Inoltre la controversia in esame riguarda il contenuto di un rapporto di tipo concessorio e le prestazioni rese nell’espletamento di un servizio pubblico (come quello sanitario), la cui cognizione resta devoluta alla giurisdizione esclusi¬va del giudice amministrativo (in base all’art. 33 del d. lgs. n. 80 del 1998, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, come emendato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale) allorché la pubblica amministrazione “agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero” o si vale della “facol¬tà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo” (cfr. Cass., ss.uu., 8/8/2005, n. 16605; Cons. St., ad. plen., 2/5/2006, n. 8).
1.2. Per quanto concerne l’impugnativa delle delibere regionali, è da osservare che tali atti, contenenti direttive e criteri per i budget da assegnare alle singole aziende sanitarie e per la definizione dei provvedimenti di loro competenza, hanno un carattere essenzialmente generale e non recano determinazioni direttamente ed immediatamente lesive, suscettibili di una autonoma impugnativa. Pertanto l’interesse, ed il conseguente onere, a contestarle in sede giudiziale nascono per effetto dell’emanazione degli atti applicativi che rendano attuale e concreta la lesione nella sfera giuridica dei destinatari (cfr. Cons. St., sez. V, 25/1/2002, n. 418).
1.3. La nota A.s.l. prot. n. 6487 del 20/10/2004 contiene una mera convocazione a sottoscrivere i contratti relativi alla definizione dei tetti di spesa 2003 e 2004. Tale atto, di invito alla stipula di un atto negoziale, è per sua natura privo di alcuna attitudine lesiva e di effetti unilateralmente imposti dall’amministrazione.
Il provvedimento nel quale si esprime il potere autoritativo consiste piuttosto nella determina n. 337 del 29/12/2004, rispetto alla quale il ricorso in esame risulta tempestivo ed ammissibile.
1.4. La nota A.s.l. prot. n. 1950 del 22/2/2005 non ha contenuti innovativi, ma ha unicamente lo scopo di rispondere alle contestazioni sollevate stragiudizialmente dalla ricorrente con una nota del 10/1/2005, spiegando le ragioni di diritto poste a fondamento della determinazione impugnata. La nota in questione, per sua natura, non produce alcun effetto antonomamente lesivo e non rientra nel novero degli atti suscettibili di impugnativa.
2. Nel merito la ricorrente deduce che:
– gli ospedali classificati ai sensi dell’art. 1 della legge n. 132 del 1968 rappresenterebbero una realtà organizzativa peculiare, essendo gravati da obblighi ed oneri particolari a causa della loro collocazione nel quadro delle aziende e dei presidi ospedalieri pubblici, che li distingue dalle case di cura private; l’assimilazione degli ospedali classificati nell’ambito del settore sanitario pubblico, sancita dall’art. 1, co. 18, e dall’art. 4, co. 12, del d. lgs n. 502 del 1992, escluderebbe l’assegnazione di un tetto di spesa inferiore a quello determinato per le aziende ospedaliere pubbliche;
– le determinazioni impugnate rifletterebbero il contenuto di accordi presi con l’associazione di categoria delle case di cura private che non rappresenterebbe la ricorrente, la quale sarebbe stata invece estromessa dalla concertazione relativa alla programmazione ed alla individuazione delle prestazioni e delle tariffe;
– la individuazione del fatturato contabilizzato come limite invalicabile per le conseguenti determinazioni sarebbe in contraddizione con la riconosciuta necessità di aprire uno specifico “tavolo tecnico”, che peraltro risulterebbe sostanzialmente condizionato dai criteri già concordati con l’AIOP;
– le determinazioni impugnate, comunicate solo nel 2005, avrebbero effetti retroattivi, lesivi delle legittime aspettative della ricorrente rispetto ai tetti di spesa per gli anni 2003 e 2004; tali aspetti sarebbero tuttora indefiniti, in attesa dell’esito dei lavori di un tavolo tecnico (ancora nel 2006 inconcludente);
– gli atti impugnati indicherebbero unicamente l’ammontare globale dei corrispettivi conseguibili, ma non consentirebbero di conoscere la tariffa prevista per le singole prestazioni, né il volume delle prestazioni erogabili; ciò sarebbe in conflitto con la normativa che contemplerebbe la fissazione di un volume massimo di prestazioni da pagare sulla base di tariffe predefinite; le strutture accreditate, secondo le normali esigenze di ogni operatore economico, dovrebbero essere messe in condizione di conoscere preventivamente le remunerazioni spettanti, con le eventuali riduzioni tariffarie per le prestazioni eccedenti il limite assegnato.
2.1. E’ incontroverso che l’ospedale “Buon Consiglio di Napoli” è gestito da un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, è operante in regime di accreditamento provvisorio con il servizio sanitario nazionale in attesa dell’attuazione in Campania del sistema dell’accreditamento istituzionale, è classificato come ospedale generale di zona ai sensi dell’art. 1 della legge 132 del 1968.
In base alla citata disposizione, l’assistenza ospedaliera pubblica è svolta esclusivamente dagli enti ospedalieri (comma 1), ai quali tuttavia si affiancano gli istituti di ricovero e cura riconosciuti a carattere scientifico (comma 2), le cliniche ed agli istituti universitari di ricovero e cura per quanto riguarda l’attività assistenziale (comma 3), le case di cura private e le fondazioni e associazioni che ottengano il riconoscimento come enti pubblici ospedalieri (commi 2 e 4), nonché gli enti e istituti di natura ecclesiastica civilmente riconosciuti che esercitano l’assistenza ospedaliera (commi 5 e 6).
Nel sistema della legge n. 132 del 1968 la classificazione della struttura ospedaliera in una delle tre categorie di cui all’art. 20 non conferisce formalmente natura pubblica a tali strutture, ma nondimeno consente, ferma restando la personalità giuridica di diritto privato, l’inserimento dell’ospedale nell’ambito della pianificazione regionale prevista dal titolo IV della legge (programmazione ospedaliera) al fine di coordinare ed armonizzare l’offerta di servizi ospedalieri sul territorio.
Il riferito quadro normativo è stato sostanzialmente confermato dall’art. 41 della legge n. 833 del 1978, che ha previsto la stipula di apposite convenzioni in conformità allo schema tipo approvato con il d.P.C.M. 18/7/1985. Il testo della citata convenzione definisce ulteriormente il ruolo degli ospedali ecclesiastici classificati nell’ambito dell’assistenza ospedaliera pubblica, in particolare per quanto riguarda l’assimilazione al sistema pubblico relativamente al regime delle ammissioni e dismissioni dei pazienti, agli obblighi nel caso di interruzione per qualsiasi causa dei servizi essenziali, alla disciplina degli organici e della struttura operativa.
Il d. lgs. n. 502 del 1992, recante il riordino della disciplina in materia sanitaria, contempla gli ospedali “classificati” all’art. 4, co. 12, conservandone la tipicità, ma nel contempo precisando che l’apporto dell’attività delle suddette strutture al Servizio sanitario nazionale è regolamentato con le stesse modalità previste per gli ospedali pubblici, ai quali i “classificati” vengono “equiparati” dall’art. 1, co. 18, dello stesso testo legislativo, per quanto riguarda le prestazioni ospedaliere.
Orbene l’art. 8-quinquies, co. 2, del citato d. lgs. n. 502 del 1992 prevede che “la regione e le unità sanitarie locali, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale … (indicando, tra l’altro) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale della medesima unità sanitaria locale, si impegnano ad assicurare, distinto per tipologie e per modalità di assistenza … (nonché) il corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate, globalmente risultante dalla applicazione dei valori tariffari …”.
E’ agevole osservare che il modello negoziale contemplato per gli operatori pubblici ed “equiparati” (accordo) risulta formalmente diverso da quello previsto per gli altri soggetti privati accreditati (contratto).
Occorre quindi decifrare quali siano le ragioni, il significato e, quindi, le implicazioni di questa distinzione.
Come è noto, i presidi del servizio sanitario nazionale, siano essi pubblici che privati, vanno considerati in linea di principio su di un piano di parità, assicurata attraverso un meccanismo di finanziamento del settore basato sul sistema di remunerazione a tariffa delle prestazioni sanitarie rese all’utenza, sia per quelle direttamente erogate dalle aziende sanitarie e ospedaliere, sia per quelle acquistate, in base ad accordo o contratto, da ogni altra struttura accreditata.
Questo sistema corrisponde all’esigenza, per un verso, di garantire elementi di concorrenza come fattore di stimolo dell’economicità e dell’efficienza e, per altro verso, di salvaguardare il diritto dell’assistito di scegliere liberamente la struttura, pubblica o privata, alla quale rivolgersi.
Nondimeno, la tutela della “libera scelta” da parte dell’utente (prevista dall’art.8-bis del d. lgs. n. 502) incontra un limite nelle risorse finanziarie disponibili, per cui l’amministrazione può fissare tetti di spesa di livello inferiore rispetto alla capacità operativa massima di una determinata struttura, o dell’insieme delle strutture accreditate (art. 8-quater, co. 8, del ripetuto d.lgs.). Del resto anche il diritto fondamentale alla salute, pur garantito dall’art. 32 cost., non si sottrae comunque al condizionamento derivante dalle insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica.
Orbene, in presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno, le regioni e le unità sanitarie locali, attraverso gli strumenti negoziali di cui all’articolo 8-quinquies, sono tenute a porre a carico del servizio sanitario nazionale un volume di attività compatibile con gli indirizzi della programmazione nazionale. L’insieme delle prestazioni che il servizio sanitario regionale è chiamato a rendere e deve, perciò, acquistare dalle strutture, pubbliche o private, va suddiviso fra le une e le altre secondo criteri coerenti con i principi della libertà di scelta (art.8-bis, co. 1 e 2) e dell’efficace competizione fra le strutture accreditate (art.8-quater, co. 3, lett. b).
Del resto, l’art. 8-quater, co. 2, dello stesso d. lgs., stabilisce espressamente che “la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies”. Tale disposizione determina, in sostanza, una scissione tra accreditamento e remunerabilità delle prestazioni rese dal soggetto accreditato, essendo quest’ultima condizionata alla sottoscrizione dello strumento negoziale.
Inoltre, in un modello consensuale, è da escludere che una delle due parti contraenti possa imporre all’altra di prestare un consenso non voluto; e questo vale anche nei confronti dell’amministrazione, che non può essere costretta ad impegnare somme superiori alle proprie disponibilità, per l’acquisto di prestazioni sanitarie in eccedenza rispetto al fabbisogno.
Vi è tuttavia una peculiarità che distingue l’operatività delle strutture pubbliche da quelle private. I presidi sanitari pubblici, a differenza degli altri soggetti privati accreditati, hanno l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti anche oltre il tetto preventivato, nei limiti ovviamente della loro capacità operativa determinata dall’assetto strutturale ed organizzativo. In definitiva, le strutture private, pur prestando un servizio pubblico del tutto analogo sotto ogni altro aspetto, sono vincolate ad erogare le prestazioni sanitarie richieste nell’ambito del servizio sanitario nazionale unicamente nei limiti stabiliti negozialmente (cfr. Cons. St., sez. V, 30/4/2003, n. 2253).
La distinzione tra “accordo” e “contratto” nel citato art. 8-quinquies del d. lgs. n. 502 del 1992 riflette appunto questa differenza: la struttura pubblica non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti.
Orbene, come già detto, gli ospedali “classificati” sono espressamente “equiparati” ai presidi pubblici ai fini della disposizione in questione.
2.2. Tanto premesso, per chiarire in punto di fatto e di diritto, il quadro complessivo della controversia in esame, va riconosciuto che nella specie gli atti impugnati tendono ad imporre una proposta “contrattuale” essenzialmente basata sul presupposto di un protocollo di intesa elaborato per la sanità privata, rispetto al quale la ricorrente è estranea.
La difesa della A.s.l. resistente obietta che l’ARIS, associazione di categoria di appartenenza della ricorrente, benché invitata (nota prot. 4933 del 1/9/2004) a partecipare alle riunioni per la stipula dei protocolli di intesa (poi conclusi con la sola AIOP in data 18/10/2004), sarebbe rimasta assente: la mancata partecipazione dell’ARIS non sarebbe imputabile alla A.s.l., non potrebbe paralizzare il procedimento e non escluderebbe la potestà dell’amministrazione di determinare criteri e limiti di spesa per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera. Inoltre, la difesa della A.s.l. resistente rappresenta di aver concordato con l’AIOP esclusivamente il tetto di branca e non quello per singola struttura; gli atti impugnati indicherebbero i fatturati come mero riferimento, senza costituire un tetto di spesa individuale, laddove l’obbligo imposto alla ricorrente consisterebbe piuttosto nel non superare il tetto di branca unitamente alle altre strutture provvisoriamente accreditate.
La ricorrente replica deducendo la necessità – evidenziata anche dal Consiglio regionale con risoluzione di indirizzo, da ultimo, del 16/2/2005 – di un accordo differenziato con gli ospedali classificati, che tenga conto della peculiarità della loro posizione.
In effetti, le circostanze rappresentate dalla A.s.l. non escludono, ma semmai dimostrano, che l’amministrazione resistente ha seguito, sul piano sia procedimentale che sostanziale, un modello negoziale diverso dall’accordo, previsto dal citato art. 8-quinquies del d. lgs. n. 502, prescindendo dalla considerazione della tipicità propria della ricorrente, quale titolare di un ospedale “classificato”, in quanto tale assoggettata ad obblighi e vincoli, derivanti dalla “equiparazione” (per l’attività di assistenza ospedaliera) alle strutture pubbliche, che derivano dalla legge e che prescindono dal consenso negoziale.
Sotto questo profilo, le censure dedotte si palesano pertanto fondate.
2.3. Per quanto riguarda l’omessa predeterminazione delle tariffe e dei criteri di regressione tariffaria, la difesa della A.s.l. evidenzia che l’art. 5 dei protocolli di intesa farebbe riferimento alle tariffe regionali previste dal vigente nomenclatore tariffario, fatti salvi eventuali adeguamenti tariffari e le bande di regressione tariffaria dal tavolo tecnico.
Al riguardo è appena il caso di osservare che, in effetti, le tariffe poste a base delle determinazioni impugnate non possono che essere quelle attualmente previste dal nomenclatore tariffario, il cui contenuto esula dall’oggetto del presente giudizio; come pure esula dalla materia del contendere la prospettazione di eventuali variazioni tariffarie, la cui legittimità potrà essere contestata solo se e quando verranno adottate determinazioni in materia.
Del pari è incontroverso che alcuna decisione è stata adottata, per la definizione concreta del tetto di spesa e delle regressioni tariffarie, dal tavolo tecnico all’uopo istituito, il quale, ancora nel 2006, non avrebbe risolto le problematiche in questione relative agli anni 2003 e 2004.
Pertanto, sotto questo profilo, le censure dedotte con il quarto motivo vanno disattese.
3. In conclusione il ricorso in esame va dunque accolto per le ragioni e per gli effetti sopra stabiliti.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di causa.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione prima, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso n. 2124/05, annulla gli atti impugnati nei limiti dell’interesse.
Spese compensate, fermo restando il rimborso del contributo unificato a carico delle parti soccombenti in solido, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nelle camere di consiglio del 6 dicembre 2006 e del 28 febbraio 2007, con l’intervento dei signori:
Antonio Guida Presidente
Fabio Donadono consigliere estensore
Michele Buonauro referendario
Il Presidente
L’estensore
Depositata in segreteria il 2.4.2007
Autore:
Tribunale Amministrativo
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Ospedali, Enti ecclesiastici, Sanità, Pazienti, Cura, Ricoveri, Strutture private accreditate, Attività assistenziale, Sistema sanitario nazionale
Natura:
Sentenza